Corpi Civili di Pace :
La realizzazione di una politica estera di pace,
nonarmata e nonviolenta,
passa per la ridefinizione del nesso fra difesa, sicurezza e gestione dei conflitti

La rete per i Corpi Civili di Pace è una rete di associazioni ed Ong, espressione della società civile organizzata, che si occupano di mediazione nonviolenta e nonarmata in zona di conflitto a livello di ricerca, formazione ed intervento.

Essi sono costituiti da persone qualificate, adeguatamente preparate ad intervenire, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, in situazioni di crisi esercitando funzioni di prevenzione, di interposizione e di diplomazia popolare.

I CCP fanno riferimento alla Carta dei Diritti dell'Uomo, con lo scopo di contribuire alla costruzione di una futura politica estera non armata capace di costruire sicurezza e pace.

"Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa dichiarazione possano essere pienamente realizzati"

"L'individuo, in quanto ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel presente patto"

Tali diritti-doveri sono chiaramente enunciati dalla "Carta del'ONU" (San Francisco giugno 1945) dalla "Dichiarazione Universale dei Diritti Umani" (Ginevra dicembre 1948) dallo "Insitut de Droit International" (Santiago di Compostela settembre 1989), dal Parlamento Europeo nella sua politica comunitaria dei diritti dell'uomo, dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, CSCE (Documento conclusivo della conferenza sulla dimensione umana, Mosca ottobre 1991), dall'Assemblea dei cittadini di Helsinki (Bratislava, marzo 1992).

E’ quindi lecito, anzi doveroso, per ogni persona, gruppo o istituzione interessarsi delle vicende relative ai diritti umani, in casa propria e in casa altrui, operando per la loro promozione e tutela. Più precisamente, le strutture indipendenti della società civile sono pienamente legittimate, anche sotto il profilo giuridico-formale, ad esercitare il diritto-dovere di portare aiuto e solidarietà alle persone, ai popoli e alle minoranze che subiscono violazioni dei loro diritti inalienabili e di agire attivamente per ricercare e proporre soluzioni appropriate.

La società civile ha conquistato sul campo il diritto di ingerenza umanitaria delle proprie strutture organizzate, laddove siano violati i diritti umani. E, grazie alle esperienze degli ultimi venti anni, oggi, la somma globale spesa dalle organizzazioni non governative per portare aiuto nelle zone di conflitto supera quella spesa dalla stessa ONU.

Un esempio per meglio capire la differenza tra le cifre spese per fare la guerra e quelle invece dedicate alla prevenzione dei conflitti armati. In Kossovo le spese affrontate per le attività di riconciliazione, monitoraggio e costruzione della pace dalle organizzazioni che hanno lavorato per la prevenzione del conflitto armato nella Provincia Autonoma del Kossovo rappresentano, in totale, all’incirca solo il costo di pochi minuti di guerra (al massimo cinque), che, in termini percentuali, corrisponde solo allo 0,006%, ovvero sei lire su ogni 100.000 di quanto è stato speso in soli 60 giorni di bombardamenti (dei circa 75 in cui è durata la guerra). E questo senza tenere conto di tutte le spese che vengono e verranno investite per l’assistenza ai profughi di questa guerra e dei costi per la ricostruzione di ciò che la guerra ha distrutto (ma molte vite umane non saranno mai più “ricostruibili”). Se alla prevenzione si fossero dedicate più risorse, economiche ed umane, sicuramente i risultati avrebbero potuto essere molto diversi

Le norme giuridiche internazionali sui diritti umani, enunciate nell'art. 2 della Carta delle Nazioni Unite rafforzano il principio della risoluzione pacifica delle controversie e del divieto dell'uso della forza. (Comma 3:
I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace, la sicurezza internazionale e la giustizia, non siano messe in pericolo. Comma 4: I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale che contro l'indipendenza politica di qualsiasi stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite).

Affinché non si sviluppino conflitti nell'applicazione di questi principi, occorre che la comunità internazionale adegui le proprie istituzioni, così da garantire giustizia e sicurezza per tutti. Ma, nonostante i vari e ripetuti pronunciamenti in sostegno della realizzazione di Corpi Civili di Pace da parte del Parlamento Europeo, dell'ONU e dei singoli stati nazionali, compresa l'Italia, regna l'inerzia. E sono ormai troppi i volontari internazionali che vengono arrestati e/o assassinati da eserciti di stati membri dell'Assemblea Generale dell'ONU.

L'orrore per le stragi di New York, Istanbul, Gerusalemme, Baghdad, Madrid, Beslan, e per i rapimenti in Iraq, lo portiamo dentro tutti. Eppure, oggi più che mai, noi crediamo che la violenza possa essere sconfitta solo dalla nonviolenza, crediamo in un cambiamento che possa finalmente affermare le ragioni della giustizia e della pace, ristabilendo la certezza del diritto internazionale sotto l'egida dell'ONU. Siamo convinti che per uscire dalla violenza delle guerre, delle ritorsioni criminali e delle rappresaglie terroristiche così infestanti e distruttive, la sola strada sia di lavorare allo sviluppo di una politica estera non armata capace di ridefinire il nesso tra difesa, sicurezza e gestione dei conflitti.

Con la fine della guerra fredda, sicurezza e difesa smisero di essere percepite come dipendenti da una minaccia ben definita ed iniziarono ad essere dipendenti da una serie di rischi multidirezionali. Oggi, ai tempi della globalizzazione, i conflitti sono aumentati nuove stragi vengono commesse su tutto il pianeta e si profila all’orizzonte un nuovo scontro fra civiltà. Crediamo che oggi più che mai, sicurezza e difesa, possano essere assicurate solo proteggendo allo stesso tempo popolazione, ambiente e interessi collettivi: il lavoro per la coesione sociale diviene in quest’ottica il fattore centrale più idoneo a soddisfare le esigenze di una politica estera non armata e nonviolenta, impegnata ad una seria ridefinizione del nesso fra sicurezza, difesa e prevenzione dei conflitti.

Nel trentennio ‘60/'90, i movimenti nonviolenti, proseguendo la tradizione antimilitarista, proclamavano l'abolizione degli eserciti e lo svuotamento degli arsenali. A partire dal 1990, affiancano all'opposizione integrale alla guerra una strategia orientata al positivo e al costruttivo per la risoluzione nonviolenta dei conflitti e la gestione civile delle crisi e della sicurezza. In Italia, per fortuna, abbiamo visto, da Dolci a L'Abate, figure di ricercatori che hanno saputo unire pratica e teoria, come nel caso del Kossovo, delle iniziative degli scudi umani durante la prima guerra in Iraq, ma anche le iniziative pacifiste nei Balcani da parte di "Beati.."

Nell’autunno del ’90, i Volontari di Pace in Medioriente, intervennero all’interno del conflitto esploso in Iraq, realizzando a Baghdad un campo per la pace, che fu, allora, il punto di incontro del primo pacifismo internazionale e interventista. Nel Natale del 1990 tra il confine irakeno e l’Arabia Saudita quel campo di pace avrebbe ospitato oltre un centinaio di volontari da tutti i paesi del mondo, ma in particolare provenienti dalle nazioni che avrebbero bombardato il paese, sarebbero rimasti in Iraq per venti giorni dopo l’inizio dei bombardamenti. Durante quell‘esperienza venne redatto un documento indirizzato al Governo Irakeno, alle Nazioni Unite ed ai governi interventisti, con diverse esplicite richieste:
- all’Iraq di liberare gli ostaggi e di ritirarsi dal Kuwait e nel medesimo tempo di lasciare il posto ai Caschi Blu, che avrebbero presidiato la regione.
- di rifornire di viveri il personale delle ambasciate americana e inglese nel Kuwait che era circondato e affamato e che rischiava di essere uno degli alibi per lo scoppio del conflitto armato.
- ai pacifisti di contribuire alle azioni di interposizione nonviolenta nel campo irakeno.

A quest’azione, seguì l’azione di diplomazia popolare dell’11 dicembre 1992, nell’anniversario della Giornata Internazionale dei Diritti Umani “Solidarietà di Pace a Sarajevo” dove, cinquecento partecipanti, dopo aver lasciato alcuni ostaggi sul fronte Serbo-Bosniaco, riuscirono a penetrare l’assedio entrando nella Sarajevo multietnica e multiculturale, assediata dall’esercito serbo, dopo l’orario di chiusura del check point dei Caschi Blu dell’ONU. Ottenendo una tregua e/o comunque una breve interruzione delle ostilità, in un periodo, il 1992, dove le esplosioni di granate superavano, per intensità e frequenza, i battiti che occorrono al cuore per battere un minuto. Affermando inoltre il riconoscimento del diritto di ingerenza umanitaria delle strutture organizzate di società civile laddove vengano violati i diritti umani. Infine strinsero rapporti con la Municipalità e la cittadinanza, iniziando un cammino di condivisione dell’assedio, che non era un’interposizione diretta ma piuttosto una permanenza che stabiliva un forte legame di solidarietà con il tessuto della società civile. Legame che si sarebbe sviluppato affermando le motivazioni ideali del diritto-dovere di schierarsi in difesa dei diritti umani e aprendo così una breccia umanitaria che permise, negli anni seguenti, una miriade di interventi da parte della società civile di tutta l’Europa.

Contemporaneamente, la gravità della condizione delle popolazioni civili all’interno dei conflitti, la pulizia etnica in ex Yugoslavia e in Ruanda, portarono Alexander Langer a concretizzare l’idea dei Corpi Civili di Pace e, con il sostegno del Gruppo Verde al Parlamento Europeo, e presentare una raccomandazione a questo proposito che venne accolta seppur senza finanziamento. Da anni si lavora, soprattutto a livello europeo, per la realizzazione di un Corpo Civile di Pace, formato da un nucleo di professionisti, che intervenga con strumenti civili in situazioni di crisi: ma oggi esso non esiste ancora. Esistono, invece, gruppi e organizzazioni, espressione della società civile, costituiti da persone qualificate ed adeguatamente preparate ad intervenire in situazioni di crisi, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, che esercitano funzioni di prevenzione, di interposizione e di diplomazia popolare, si tratta di Corpi Civili di Pace spontanei che nascono dal basso, organizzati in modo volontario e impegnati, in casa e sul campo, per la costruzione di una vera politica estera di pace, nonarmata e nonviolenta. Finora, l’utilizzo di contingenti civili in situazioni ad alto rischio è stato sperimentato dalla società civile organizzata solo per diverse piccole azioni di interposizione, ma dall’enorme significato simbolico e di valore scientifico. E non poco è stato fatto anche sul terreno della diplomazia popolare nel riallacciare relazioni tra popolazioni divise dalle guerre. I Corpi Civili di Pace sono ancora in fase di progettazione a livello istituzionale, ma esistono numerose esperienze sufficienti per metterne a fuoco mansioni e compiti, tipo di preparazione e competenze.

Nonostante dal 1995 vi siano stati, anche da parte delle istituzioni, vari e ripetuti pronunciamenti in sostegno della realizzazione di Corpi Civili di Pace (Parlamento Europeo, ONU e singoli stati nazionali) la struttura militare e l’apparato legislativo-istituzionale sono ancora molto lontani da considerare l’ipotesi di affidare il compito della “difesa”, sia in senso tradizionale che nel senso di operazioni internazionali di pace, ad un apposito contingente non armato. Questo perché la relazione tra civili e militari si basa ancora su una rigida divisione dei compiti: quando le condizioni di sicurezza lo consentono, prevenzione e riconciliazione, dialogo, assistenza e monitoraggio vengono delegate ai civili ma, negli altri casi, l’utilizzo delle armi torna ad essere l’unica opzione praticata. Si assiste, oggi, ad una preoccupante invasione di campo delle forze armate che sempre di più allargano i propri compiti all'azione umanitaria, alla protezione civile, alla ricostruzione e alla riabilitazione post-conflitto.

Sentiamo l’impellente necessità di condivisione diretta con le popolazioni di culture diverse che richiedono di poter essere ricondotte ad una rinascita democratica. Occorre lavorare con tutti gli attori civili di quei territori perché esistono molteplici modelli di civismo altrettanto democratici dei nostri ma affatto simili. Vedi il libro “Le Democrazie degli Altri” di A. Sen. E’ infatti su queste nuove interconnessioni sociali, che i civili di tutto il mondo possono veramente incontrarsi e costruire un futuro comune di pace. Ed è sulla nostra capacità di formare e impiegare questi Corpi Civili di Pace che gridiamo il nostro appello e il nostro impegno a costituirli.

Nell’ottica di migliorare la qualità dell’intervento civile nasce nel 2003, la Rete Corpi Civili di Pace, un coordinamento di organizzazioni italiane impegnate in zone di conflitto, che si propongono di ottenere il sostegno e il riconoscimento dell’azione dei Corpi Civili di Pace ovunque questi intervengano. L’aiuto e il riconoscimento, nelle forme e nei modi possibili, da parte delle varie istituzioni nazionali e internazionali, è un elemento estremamente prezioso nel prosieguo del lavoro di costruttori di pace che permette di continuare la propria attività in zona di conflitto in maggiore sicurezza e serenità, contribuendo, così, a meglio rappresentare la volontà di pace della maggioranza dell’umanità che non vuole le guerre e intende realizzare al più presto una politica estera di pace.


NOTE :
I testi originali che compongono questo documento vengono citati nella seguente lista.

I Volontari di Pace in Medio Oriente, 1990
Al Presidente della Repubblica, ai Ministri in Carica,
al Presidente del Parlamento, a tutto il popolo irakeno..
(Lega per il Disarmo Unilaterale, Movimento Internazionale di Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Difesa Popolare Nonviolenta, Pax Christi, Forum Donne Verdi.)
Documento, n° 2 - pag. n° 63, 64, 65
Tratto da Volontari di Pace in Medio oriente (quaderno della Difesa Popolare Nonviolenta n° 21
(Molfetta (Ba) 1993 Edizioni La Meridiana)

Beati I Costruttori di Pace:
A Sarajevo per la Giornata Internazionale dei Diritti Umani 1992
Tratto da Passo … Passo … anch’io a Sarajevo
(Edizioni Messaggero Padova, 1993)

Dopo la guerra jugoslava : corpi di pace nonviolenti per la riconciliazione nel Kossovo
di Alberto L’Abate

Capodanno in Iraq
di Maria Carla Biavati
tratto da Guida all’Azione Diretta Nonviolenta a cura di Enrico Euli
(Libelluli Altreconolia, supplemento al n° 33 di Altreconomie
(Vignate, (Mi) novembre, 2002)


Corpi Civili di Pace :
La realizzazione di una politica estera di pace passa
per una ridefinizione del nesso fra difesa, sicurezza e gestione dei conflitti
per la segreteria Corpi Civili di Pace
Alberto Capannini
Sandro Mazzi
Silvano Tartarini

I civili devono essere difesi dai civili:
le Istituzioni devono riconoscere i Corpi Civili di Pace
di Maria Carla Biavati

Sostenere le Realtà di Pace nelle Aree di Conflitto
di Francesco Lo Cascio
per la segreteria nazionale
del Movimento internazionale per la Riconciliazione

Ricerca :
dodici anni di cammino
di Maurizio Cucci


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