I DIRITTI UMANI E LA CRISI DEL KOSSOVO
di Vladan A. Vasilijevic
SOMMARIO

I diritti umani e l’eredità comunista

La “resurrezione” della Serbia e il sacrificio dei diritti umani nel Kossovo

Conclusione


In tutta l’Europa orientale le riforme politiche ed economiche introdotte fin dal 1989 hanno suscitato opposizione. In nessun luogo, comunque, questa resistenza è stata più rilevante che negli stati multinazionali come l’Unione Sovietica e la Jugoslavia. Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, i primi tentativi seri di compiere le riforme economiche e portare avanti la democratizzazione hanno provocato una forte opposizione da parte delle forze conservatrici che tendevano a fermare il processo. Ciò nonostante il risultato è stato in qualche misura favorevole e l’Unione Sovietica si è trasformata nella Federazione di Stati Indipendenti, con la Russia come rappresentante nelle organizzazioni e negli affari internazionali che agisce sulla base di un accordo politico fra tutte le parti in causa. Naturalmente ci sono stati seri inconvenienti: nella Transcaucasia, il dissenso nazionalistico ha portato a conflitti armati, che hanno causato vasti danni materiali e molte perdite.
Per quanto concerne la ex-Jugoslavia i cambiamenti hanno preso la direzione sbagliata fin dall’inizio. Le “naziocrazie” delle unità federali che avevano costituito l’asse della Jugoslavia fin dalla sua fondazione nel 1918 (Serbia, Croazia e Slovenia) non sono state in grado di trovare un nuovo modus vivendi all’interno della federazione. Gli interessi economici e politici comuni furono subordinate ai fini molto dubbi delle élites repubblicane, in repubbliche che, secondo la costituzione jugoslava del 1974, avevano quasi tutti gli attributi dello stato. La situazione era anche complicata dalle esigenze di altre unità federali, per non menzionare il fatto che l’eredità della mescolanza etnica, a eccezione della Slovenia, ha continuato a causare problemi quasi insolubili nel corso della storia.
Infine ci sono anche state anche divisioni profonde e pericolose sulla questione irrisolta dei crimini di guerra commessi durante la seconda guerra mondiale nello stato indipendente di Croazia1. Dopo la guerra i problemi dei crimini contro l’umanità - commessi principalmente contro i Serbi - e della punizione dei criminali di guerra non furono sollevati in Croazia e, in maniera sorprendente, nemmeno in Serbia. Si notava chiaramente che entrambe le “parti” erano colpevoli al riguardo, per esempio, nel caso di Andrija ArtukoviÊ, l’ultimo dei grandi criminali di guerra croato ad essere posto sotto processo. Egli fu condannato a morte, ma per delitti molto meno gravi dei crimini contro l’umanità, vale a dire per crimini di guerra contro civili e prigionieri di guerra, e per un caso singolo di delitto, motivato dall’avidità. La sentenza del tribunale competente di Zagabria fu confermata dalle più alte corti di Belgrado. La legislazione che trattava di questi crimini risaliva al 19452 e non permetteva l’incriminazione per crimini contro l’umanità, come aveva già deciso lo statuto della corte marziale internazionale per i processi ai criminali di guerra delle potenze europee dell’Asse. Questo fatto suggerisce che il trattamento della questione passava intenzionalmente dalla sfera legale a quella politica.
Da allora il problema è stato politicizzato, ancor più dopo il 1990, quando si sviluppò un enorme conflitto tra le unità federali della ex-Jugoslavia. La cosa peggiore è stata che questa tendenza a manipolare politicamente la questione dei crimini di guerra ha ricevuto il pieno sostegno degli Accademici: l’Accademia delle Scienze e le università hanno sostenuto l’interpretazione arbitraria del passato, senza preoccuparsi evidentemente dell’etica professionale. Un massiccio appoggio è stato dato anche dai mass media controllati dallo stato, che si resero complici dei crimini commessi nelle successive e recentissime guerre.
Ulteriori divisioni sussistevano rispetto alla sistemazione interna della Jugoslavia. Forti motivi di scontento esistevano fino dalla creazione della Jugoslavia nel 1918 e questa situazione si ricreò alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando lo stato jugoslavo fu ricostituito in circostanze irregolari dal punto di vista costituzionale, compreso il fatto che i crimini contro l’umanità rimasero impuniti. Questo causò risentimento per l’ingiustizia recata a una nazione, i Serbi, in favore di un’altra, i Croati. Questo risentimento fu rinforzato dalla tesi comunista di una egemonia serba prebellica, che venne ufficialmente disapprovata, come anche dal trattamento preferenziale riservato a Sloveni e a Croati e dalla creazione della nazione macedone. L’interferenza straniera negli affari interni della Jugoslavia, specialmente da parte di Mosca, le cui losche attività erano spesso portate avanti dalla Bulgaria, dall’Albania e perfino dalla Romania, aggravò questi problemi per anni, sebbene con varia intensità.
Tutti questi elementi di divisione ebbero un’influenza decisiva sugli sviluppi successivi al 1990. Una volta che le passioni accumulate e apparentemente represse si furono scatenate, la disintegrazione del sistema totalitario in Jugoslavia condusse ben presto a un processo di radicalizzazione totale in Serbia (o attuale “Jugoslavia”) Croazia e Bosnia-Erzegovina. La frantumazione finale della Jugoslavia è stata contrassegnata da un’estrema ferocia, crudeltà e violenza, che ha arrestato brutalmente il processo della transizione democratica, con scarse possibilità di un suo reinizio, almeno in tempi brevi.
Per quanto riguarda la Serbia, la situazione è complicata dalle vecchie divisioni interne della nazione serba, derivanti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e dal terrore bolscevico dopo la guerra: i sostenitori dell’idea nazionale serba e del regno di Jugoslavia sono stati proclamati criminali3, con o senza decisioni dei tribunali. Essi si trovarono di fronte a vincitori che parlavano in nome della giustizia e che pretendevano di avere la verità dalla loro parte4. Fino ad ora, questa situazione iniqua non è stata rimediata, malgrado il fatto che molti paesi dell’Europa orientale hanno riabilitato le vittime del terrore comunista; essi aderiscono tutti a principi di giustizia ed equità, che è la condizione essenziale per costituire la democrazia e uno stato di diritto. Un tentativo simile in Jugoslavia - nel 1992-1993 fu proposta una legge per riabilitare questi casi - è fallito. Dal momento che le questioni legali sono state chiarite a sufficienza nel maggior numero dei casi, sembra chiaro che la politica abusi di nuovo della situazione per i suoi fini quotidiani. Essa ha mobilitato il sostegno di un pubblico disinformato per ostacolare gli avversari politici che esigono la restaurazione della società civile e la fine del nazionalismo e del populismo serbo, che chiaramente reca i segni di teorie razziali superate. In altre parole, la difesa della democrazia e dei diritti umani è screditata a favore di un neototalitarismo serbo di origine fascista, che assicura gli interessi del regime personale di Milo_evic’. La tesi della divisione fra Serbi buoni e cattivi, valutata nella misura in cui essi servono a interessi nazionali non definiti del popolo serbo e sostengono l’idea della superiorità della nazione serba, che implica anche la negazione dei diritti di altri gruppi etnici, ha avuto un esito disastroso: guerra e devastazione in Slovenia e Croazia, la distruzione della Bosnia-Erzegovina ed un governo totalmente arbitrario nel Kossovo con la minaccia imminente dell’estensione del conflitto alla Macedonia.

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I diritti umani e l’eredità comunista

La fine della Jugoslavia segna un netto contrasto con la fine del totalitarismo nella maggior parte dell’Europa orientale, in cui si riscontrano molti esempi di transizione coerente e relativamente positiva, anche se le riforme sono ancora contrastate dalla ripresa dei regimi pre-esistenti e dalla difficile situazione economica. Per quanto riguarda la disintegrazione della Jugoslavia l’elemento più negativo è rappresentato dai casi di crudeltà estrema nei confronti della popolazione civile, manifestatisi su vasta scala5. I diritti umani hanno perduto quasi del tutto valore e non sono in alcun modo rispettati e protetti. Le violazioni del diritto umanitario internazionale, come anche dei diritti inalienabili asseriti dalla Convenzione Internazionale sui diritti Civili e Politici, sono state frequentissime e assai rilevanti. Questo è accaduto malgrado la ex-Jugoslavia, di cui la Jugoslavia attuale si presenta come il successore, avesse firmato e ratificato tutti i documenti internazionali rilevanti.
La situazione del Kossovo riflette soltanto il generale disinteresse per i diritti umani e la mancanza di meccanismi per la loro protezione, sia entro la Serbia stessa che nella Repubblica Federale di Jugoslavia. La presente Federazione Jugoslava è una farsa, un quasi-stato creato per mascherare le ambizioni corrotte del regime di costituire una Grande Serbia, con l’uso di mezzi privi di scrupolo, illegali e perfino criminali. Nel Kossovo, più che in ogni altra regione, si possono riscontrare i risultati nefasti di questa politica nel modo in cui sono costituiti i rapporti fra la nazione dominante e le minoranze.
Molti problemi del Kossovo hanno radici storiche e si riferiscono alla vita comune in un ambiente etnico misto. Fino dai tempi del dominio turco, le differenze economiche, religiose e culturali hanno lasciato tracce profonde di discordia, che si sono manifestate nella maniera più virulenta prima della Prima Guerra Mondiale6. Per di più, le migrazioni hanno portato a cambiamenti costanti nella struttura demografica del Kossovo, che risultano nella situazione presente in cui gli Albanesi costituiscono dall’ottanta al novanta per cento della popolazione. Questi fattori hanno contribuito all’isolamento della regione e ad eterne incomprensioni tra Serbi e Montenegrini da un lato e Albanesi dall’altro; questo ha anche influenzato gruppi etnici meno numerosi, alcuni dei quali sono ora scomparsi dal territorio. Marie-Françoise Allaine Kavier Galmiche descrivono la situazione del Kosovo non senza fondate ragioni come una condizione o di guerra o di terrore, che non è particolarmente favorevole alla protezione dei diritti umani7.
Una delle chiavi interpretative della crisi del Kossovo sono i cambiamenti costituzionali introdotti dall’ultima Costituzione Jugoslava del 1974, che furono il risultato finale di sviluppi già iniziati nel 1946. La creazione di due regioni autonome in Serbia, Kossovo e Vojvodina, ha avuto implicazioni di ampia portata per i diritti delle minoranze, in primo luogo per gli Albanesi. Il risultato è stato che le repubbliche e le province autonome, unite in modo soltanto formale da una politica federale comune, sono state messe sullo stesso piano. Esse diventarono eguali in termini di diritti e doveri, inclusa anche la partecipazione nel governo del paese a livello di federazione. I Serbi la sentirono come un’ingiustizia ed una minaccia diretta ai loro interessi nazionali e come una violazione dei loro diritti umani e delle loro libertà civili fondamentali. Questo contribuì all’intensificazione dell’agitazione etnica o nazionale, in particolare nei rapporti fra Serbi ed Albanesi nel Kossovo. In tutta la Jugoslavia, la Costituzione del 1974 suscitò la tendenza fra i dirigenti di tutte le unità federali a mirare alla costituzione di stati sovrani nazionali. Essi pertanto abusarono della Costituzione del 1974 e delle sue possibilità di sistemare le relazioni interne della federazione.
Questi cambiamenti costituzionali ampliarono anche la regolamentazione dei diritti umani, con un sistema elaborato di provvedimenti formali nella costituzione federale, repubblicana e provinciale. I provvedimenti concernenti i diritti umani della Costituzione Jugoslava8 fornirono la base per altri regolamenti a livello inferiore; pertanto la Costituzione serba e quella del Kossovo giunsero a contenere regolamenti simili o perfino identici9. Provvedimenti aggiuntivi trattavano dei rapporti all’interno della federazione e delle condizioni economiche e sociali che sono di rilievo per l’esercizio e la protezione dei diritti umani in linea con entrambe le convenzioni internazionali sui diritti umani. Malgrado questi provvedimenti nelle rispettive costituzioni si svilupparono tuttavia forme multiple di incoerenza che interferirono direttamente coi principi legali, mentre la politica ricavava l’occasione di diffondere illusioni di eguaglianza apparente contenute nello slogan altamente problematico di “fraternità e unità”10.
Dal punto di vista formale, la legislazione si atteneva agli standard internazionali più alti dell’esercizio e della protezione dei diritti umani. I diritti esposti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nella Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, come anche nella Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, sono stati tutti quanti riconosciuti e incorporati nella struttura legale della Jugoslavia, la quale prevedeva anche che i diritti umani “fossero limitati soltanto da eguali libertà e diritti degli altri e dagli interessi costituzionali della comunità socialista”11.
Ma l’applicazione pratica di questi regolamenti, come anche il contenuto stesso di alcune delle leggi e delle prescrizioni è stata insoddisfacente. Nel campo del diritto criminale, in cui i diritti umani sono più vulnerabili, come anche nella legislazione sulla proprietà e sul lavoro, gli obblighi internazionali furono osservati soltanto in maniera sporadica, a seguito di circostanze specifiche; questo non era molto differente dall’atteggiamento che gli stati totalitari dimostrano di solito verso i diritti umani e la loro protezione12.
Per lo più, l’assenza di tribunali indipendenti e l’arbitrio assoluto del partito al potere rese i regolamenti costituzionali privi di valori, creando sentimenti di insicurezza legale e di paura fra i cittadini, del tutto contrari alle intenzioni delle protezioni moderne dei diritti umani. Nel Kossovo le conseguenze sono state ancor più sgradevoli, specialmente dopo il 1990, quando fu introdotto uno stato di emergenza non proclamato. Il regime serbo approfondì sistematicamente la divisione fra Serbi e Albanesi, sacrificando la protezione dei diritti e delle libertà civili ed umane alle esigenze della politica ufficiale dello stato serbo.
Ma anche prima gli sviluppi nel Kossovo erano stati in contraddizione con la protezione dei diritti umani, specialmente con la regola che questi diritti possono essere limitati soltanto da eguali diritti di altri cittadini. Negli anni Settanta, gli Albanesi hanno sviluppato un atteggiamento, in nome di un qualche diritto naturale, di poter ottenere una posizione più favorevole e privilegiata di quella dei Serbi. Quando questo è diventato manifesto, le autorità comuniste non hanno fatto molto per fermare queste tendenze. I Serbi sono stati indotti a credere di essere stati maltrattati e sacrificati, cosa che a sua volta ha dato origine a odio ed intolleranza nazionale su vasta scala. Questo a sua volta ha prodotto il maggior incentivo alla successiva trascuratezza per i diritti civili in Serbia, in particolare nel Kossovo e nella Vojvodina, che ha importanti minoranze ungheresi, slovacche e croate.
Bisogna tener conto del fatto che anche negli anni Settanta un certo numero di Serbi godeva di posizioni privilegiate, coloro che erano al potere o vicini ad esso. Dopo questo periodo, molti di loro furono in grado di mantenere i loro privilegi e di contribuire a gravi violazioni dei diritti umani a detrimento degli Albanesi, ed in qualche misura anche dei Serbi che non intendevano aderire alla nuova politica serba nel Kossovo. Questi ultimi furono privati dei loro diritti al pari degli Albanesi. In questo caso si può parlare di un continuo abuso di potere da parte delle autorità, che incideva direttamente sui diritti umani e sella loro protezione.
Erano a rischio i diritti fondamentali alla vita, alla libertà, al lavoro, alla vita familiare e all’educazione dei figli, alla libertà d’opinione ed alla protezione contro la tortura. La proibizione della discriminazione di qualsiasi tipo non è mai stata rispettata. La conseguenza più rilevante di questo radicato disprezzo per i diritti umani è stata l’inizio del processo di pulizia etnica dei territori. Le migrazioni, sebbene motivate da varie ragioni, sono state per lo più il risultato di pressioni mirate all’espulsione di popolazioni che costituivano minoranze etniche. Nel Kossovo queste pressioni sono state applicate in primo luogo ai non Albanesi, sebbene anche gli stessi Albanesi le abbiano subìte.

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La “resurrezione” della Serbia e il sacrificio dei diritti umani nel Kossovo.

Dopo l’avvento del nazionalismo serbo, che faceva parte di più ampi sviluppi in Jugoslavia, la situazione del Kossovo è deteriorata rapidamente. Sebbene questi sviluppi fossero collegati al crollo del totalitarismo nel resto dell’Europa orientale, essi si riferirono specificamente alla Jugoslavia, che non era mai stata in grado di trovare una soluzione soddisfacente alle sue questioni interne. Questo problema aveva interessato a lungo il paese e si era manifestato con più intensità dopo il 1980. Per quanto concerne la Serbia, il programma nazionalista dell’unione panserba portò inevitabilmente a un cambiamento di rapporti entro e fuori la Serbia. Con Milo”eviÉ, la questione nazionale serba venne di nuovo messa sul tappeto politico ed i problemi dei territori cosiddetti serbi oltre il fiume Drina ed in Macedonia sono stati intensamente strumentalizzati.
La Costituzione del 1974 rappresentava un serio ostacolo per gli obiettivi delle nuove autorità serbe. Gli accordi costituzionali del 1974 avrebbero richiesto comunque modifiche sostanziali, ma questi cambiamenti sarebbero stati normalmente basati su principi e procedure legali e su accordi politici appropriati. Al contrario i dirigenti serbi scelsero un approccio radicalmente diverso, quello della violenza. Inizialmente le proteste serbe sembravano spontanee, sebbene fossero guidate dalla politica ben strutturata della Lega dei Comunisti di Serbia, che divenne ben presto il Partito Socialista di Serbia. In primo luogo fu abolita l’autonomia della Vojvodina, che era basata sulla costituzione del 1974. Poi la stessa cosa accadde al Kossovo, ma dato che questo era un caso molto più difficile, fu usata apertamente la forza. Sebbene all’inizio l’uso della forza avesse tutti gli elementi dell’arbitrio politico, ben presto esso poté basarsi anche su mezzi legali. Il primo passo dei tentativi serbi di riconquistare il Kossovo si concluse più o meno con la sostituzione dei dirigenti politici albanesi e la loro prosecuzione in processi politici non molto diversi da quelli dell’epoca bolscevica (Azem Vllasi ed altri). A questo punto fu introdotto lo stato di emergenza, che continua tuttora.
Questo continuo stato di emergenza, non dichiarato secondo il diritto internazionale, ma imposto in pratica, ha privato gli Albanesi del Kossovo, in modo allarmante, dei loro diritti umani e soprattutto dei loro diritti etnici collettivi. Al contempo, però, si sono verificate spesso anche serie violazioni del diritti umani a spese dei Serbi e dei Montenegrini: questi sviluppi non sono stati malvisti dal regime serbo, che ha usato queste violazioni dei diritti umani per giustificare gli emendamenti alla costituzione del 1974, approvati nel 1989 e la nuova Costituzione Serba del 1990. L’autonomia del Kossovo è stata ridotta, tutti gli elementi statuali del Kossovo sono stati eliminati, specialmente quelli che avevano parificato le province autonome alle repubbliche. Ma il risultato è stato l’illegalità, che è la caratteristica di tutta la Serbia odierna. La Serbia non è più uno stato governato dal diritto, ma piuttosto da varie “autorità” in competizione e cioè da autorità ufficiali e parallele, spesso connesse con i partiti politici di estrema destra e con una malavita sempre più potente.
Dal punto di vista formale lo stato di emergenza nel Kossovo si è basato su un certo numero di leggi speciali, per esempio sulla Legge sulle attività delle autorità Repubblicane in circostanze speciali13, e sulla Legge sui Rapporti di Lavoro in Circostanze Straordinarie14. Inoltre le autorità hanno fatto ricorso a competenze derivanti da leggi speciali repubblicane e da leggi provinciali sugli affari interni, che erano state approvate prima della Costituzione del 1990. Successivamente, nel 1991, la Legge sugli Affari Interni della Repubblica di Serbia15 fu resa armonica con la Costituzione Serba, ma ciò non è servito affatto ad eliminare le pratiche illegali e gli abusi dei diritti umani compiuti dalla polizia nel Kossovo.
Le leggi summenzionate divergono, per il loro contenuto stesso, dagli standard internazionali minimi applicati in simili casi16. Esse hanno reso possibili, per esempio, cambiamenti di competenza dei tribunali e hanno anche reso possibile l’intervento politico diretto nell’organizzazione interna delle imprese, creando una situazione di insicurezza legale assoluta per i cittadini. Dirigenti di impresa, soprattutto per quel che concerne quelle più grandi, sono stati sostituiti per decreto del Parlamento Serbo, mentre lavoratori albanesi sono stati licenziati in gran numero. Altri regolamenti giuridici interferiscono con i rapporti di proprietà: per esempio lotti di edifici sono stati sottoposti a misure speciali di controllo, sempre a svantaggio degli Albanesi. L’assenza di ogni controllo significativo sulle attività di polizia ha reso possibile le torture.
Anche nel campo dell’educazione, scienza e cultura, la situazione del Kossovo è diventata eccezionale. I professori universitari albanesi di Pristina sono stati licenziati, semplicemente per il fatto di essere albanesi e perché non ci si fida di loro per quel motivo. I curriculi delle scuole elementari e medie sono stati adeguati ai programmi serbi, in modo unilaterale e senza accordi, il che minaccia seriamente la conservazione dell’identità nazionale e culturale della minoranza albanese. Questo ha provocato il boicottaggio albanese delle scuole. Un certo numero di istituzioni scientifiche è stato chiuso, oppure ne sono stati rimossi i soci albanesi. Infine è particolarmente grave la situazione della sanità, in cui sono stati applicati metodi di pulizia etnica, indicando una seria violazione del diritto alla vita, in aggiunta all’infrazione di altri basilari diritti umani. Le spedizioni punitive contro i civili, contraddistinte dal desiderio di regolare i conti politici, costituiscono una grave violazione del diritto ad un giusto processo e alla protezione contro le azioni di forza. Gli arresti preventivi e le altre misure atte a controllare l’ordine e la quiete pubblica sono in contrasto con le premesse fondamentali per la protezione del diritto alla libertà. Ci sono state anche serie violazioni del diritto di informazione. I mezzi di comunicazione sono stati posti sotto lo stretto controllo dello stato, e vengono spesso usati per la discriminazione su base nazionale ed etnica. In breve, la situazione dei diritti umani nel Kossovo dimostra che è in corso un’azione di vendetta, che cerca di imporre la “giustizia” e l’”equità” sulla base di interpretazioni molto arbitrarie e unilaterali di eventi passati.

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Conclusione

E’ ovvio che la situazione esistente dei diritti umani nel Kossovo deve essere considerata nel contesto di sviluppi a lungo termine all’interno della Federazione Jugoslava. Questi sviluppi sono continuati dopo la disintegrazione della Jugoslavia nel 1991 fino ad oggi17. La chiave per la soluzione di questi problemi è ora nelle mani sbagliate. Né le autorità serbe né i dirigenti albanesi intendono avviarsi lungo l’unica strada possibile per uscire dalla crisi: l’accordo su opzioni di mutuo interesse e beneficio. Ovviamente la condizione essenziale di qualsiasi soluzione è l’istituzione di uno stato di diritto e la creazione di istituzioni appartenenti a una società civile e democratica. E’ chiaro che i problemi del Kossovo, comprese le gravi violazioni dei diritti umani, hanno radici molto più profonde, che superano di molto i suoi confini. Tutta la Serbia ha bisogno di riforme, come tutti gli stati che si sono creati nel territorio della ex-Jugoslavia. Se questi stati realmente desiderano assicurare la pace e la prosperità, debbono garantire l’esercizio e la protezione dei diritti umani in linea coi più alti standard nazionali e internazionali. Tutto ciò che è accaduto nella ex-Jugoslavia, non offre molta speranza di ottimismo per quanto concerne la possibilità di sostituire la realtà del conflitto e del confronto con un nuovo approccio basato sulla saggezza umana. Nell’ex-Jugoslavia, specialmente in Serbia e in Croazia, questo sembra un’utopia più che una prospettiva realistica.

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Note

1) V. Novak, Magnun crimen. Pola Vijeka Klerikalizma u Hrvatskoj, Zagreb, 1948.
2) Zakon o krivicnim delima protiv narodfa i drzave (Legge sulle azioni criminali contro il popolo e lo stato), Zakon o zabrani izazivanja nacionalne, rasne i verske mrznje i razdora (Legge sulla proibizione dell’incitazione all’odio e al dissenso nazionale, razziale e religioso).
3) V. il documento, Jugoslovenska demokratka narodna zajednica: Odluke Svetosavkog kongresa u slobodim planinama (La comunità nazionale democratica jugoslava: Decisioni del Congresso di S. Sava nelle montagne liberate), 1944, p. 32.
4) V. Ko”tunica E K. Ñavo”ki, Party pluralism or Monism. Social Movements and the Political System in Yugoslavia, 1944-1949, New York, Columbia University Press, 1985.
5) V. Nahoum-Grappe, La cruauté extrème en ex-Yugoslavie, “Esprit”, 190, 1993, pp. 64-75.
6) Per gli eventi a cavallo fra Otto e Novecento, vedi, p.e., M. Rakic, Konzulska pisma. 1905-1911, Beograd, 1985; V. Stojancevic (a cura di), Serbia and the Albanians in the 19th and Early 20th Centuries, Belgrado, 1990.
7) M.F. Allan e X. Galmiche, Guerre ou terreur au Kosovo? Deux façon de mourir, “Esprit”, 190, 1993, pp. 76-85.
8) Parte II. Capitolo III, Human and Civil Freedoms. Rights and Obligations, (art. 153-203).
9) Art. 177-223 della Costituzione Serba e artt. 170-216 della Costituzione del Kossovo.
10) Artt. 244-279 della Costituzione Jugoslava, artt. 291-315 della Costituzione Serba e artt. 280-299 della Costituzione del Kossovo.
11) Artt. 153, 177 e 170 delle Costituzioni della Jugoslavia, Serbia e Kossovo.
12) V. DimitrijeviÉ, Ljudska prava, demokratija, svet. Jugoslavia, “Forum-Covek i pravo”, 1990, 1, pp. 34-40.
13) Zakon o postupanju republickih organa u vanrednim prilikama, “Sluzbeni glasnik SR Srbije” (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Socialista di Serbia), 30, 26 giugno 1990.
14) Zakon o radnim odnosima u posebnim okolnostima, “Sluzbeni glasnik SR Srbije”, 40, 26 luglio 1990.
15) Zakon o unutrasnjim poslovima Republike Srbije.
16) Minimum standards of human rights norms in a state of exception, International Law Association, Report of the Sixty-first Conference, Paris, 1984.
17) H. Roggemann, Krieg und Frieden auf dem Balkan: historische Kriegsursache, wirtschaftliche und soziale Kriegsfolgen, politische und rechtliche Friedensvioraussetzungen, Berlin, 1993.

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