GLI ALBANESI TRA L’ORIENTE E L’OCCIDENTE
di Shkëlzen Maliqi
SOMMARIO

La “minaccia” islamica

Il fattore religioso

La religione nel Kossovo

L’Islam minacciato

Nell’Europa? Si, ma come?


Nell’ultimo decennio la propaganda serba, particolarmente quella prodotta per essere consumata in Occidente, ha preteso che il conflitto nel Kossovo sia dovuto ad un’intolleranza non solo etnica o nazionale, ma anche religiosa da parte degli Albanesi (mussulmani) verso i Serbi (ortodossi). Infatti si dice che gli Albanesi stiano conducendo una “Jihad”, una “guerra santa mussulmana”, contro i Serbi allo scopo di islamizzare la zona ed espandere ulteriormente la fede mussulmana verso il Nord, nel cuore dei Balcani. Secondo questa propaganda i fondamentalisti mussulmani intenderebbero costituire due stati mussulmani nei Balcani (la Bosnia- Erzegovina e l’Albania) non solo per dare all’Islam una solida base territoriale in Europa, ma anche per utilizzare questi stati come teste di ponte per ulteriori attacchi contro il Cristianesimo.
I motivi per cui il regime serbo e molti politici serbi, compresi quelli dell’opposizione, diffondono questo tipo di propaganda sono ovvi: presentando gli Albanesi come fondamentalisti, come fanatici religiosi che patrocinano una variante del Komeinismo, hanno cercato di mobilitare i Serbi affinché reclamino il Kossovo e la sua eredità serbo-ortodossa. Inoltre, attraverso questa propaganda la Serbia cerca di ottenere la benedizione dell’Occidente per i suoi metodi draconiani nel Kossovo. La Serbia sa bene che le è molto più facile ricevere un appoggio per la sua politica repressiva nel Kossovo se riesce a persuadere l’Occidente che gli Albanesi sono fondamentalisti mussulmani. In linea con tutto ciò i Serbi si sono presentati come uno “scudo” per la difesa dell’Europa contro l’avanzata dell’Islam, come nel Medio Evo.

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La “minaccia” islamica

Per sostenere questa loro tesi i Serbi hanno cercato nella storia delle “prove scientifiche” che indichino che il conflitto attuale é un conflitto etnico secolare ed ha un importante sfondo religioso. Ad esempio il ben noto libro di Dimitrije Bogdanovic’ Knjiga o Kosuvu (Il libro sul Kossovo)(1), esemplifica il punto di vista della maggior parte degli storici serbi. Bogdanovic’ sostiene che i Serbi diventarono ostili agli Albanesi nel tardo Medio Evo, quando questi ultimi, dopo essersi convertiti all’Islam, cominciarono a servire gli interessi dei Turchi. La spaccatura religiosa viene presentata come un tratto costante dell’antagonismo albanese-serbo, o addirittura come il punto centrale del loro conflitto, come hanno sostenuto altri analisti. Il Kossovo, la Bosnia-Erzegovina, la regione del Sangiaccato (al confine tra la Serbia ed il Montenegro), l’Albania e parte della Macedonia e della Tracia sono visti come i centri da cui l’Islam viene disseminato in zone di vitale interesse per il Cristianesimo Orientale. Si dice che lo scopo finale é quello di dividere e distruggere l’Ortodossia Cristiana; sfortunatamente i Serbi si sono sempre trovati sul percorso di quest’espansionismo mussulmano “aggressivo”, e perciò i Serbi hanno subìto pressioni continue tendenti a farli emigrare dal centro dei Balcani verso il Nord, ed in particolare verso la pianura Panoniana.
Fin dal 1984, durante un Simposio tenutosi nel Monastero Ortodosso di Rila, in Bulgaria, Dimitrije Bogdanovic’ avvertì di questa rinnovata minaccia islamica che, ai suoi occhi, sta mettendo in pericolo la compattezza spirituale e l’unità delle terre ortodosse. Egli propose anche lo sviluppo di una strategia ortodossa comune per controbilanciare questo pericolo, e cioè stabilire un’alleanza ortodossa e promuovere una sorta di nuova crociata balcanica (2). In seguito agli avvertimenti di Bogdanovic’ questa idea di una alleanza pan-ortodossa, accentrata intorno alla Russia, si é guadagnata molti sostenitori in Serbia, particolarmente dopo che il progetto Yugoslavo si è concluso con un’amara delusione. Attualmente molti ideologi e scrittori serbi sostengono che l’aver sposato l’idea della Yugoslavia è stato l’errore più grande che sia mai stato fatto dalla Serbia. Invece di fare quel che i Serbi avrebbero dovuto fare - unirsi con i loro fratelli ortodossi di qualsiasi parte - essi abbracciarono l’idea di una unità Slava del Sud, insieme con Croati e Sloveni cattolici che, secondo loro, non hanno mai appoggiato sinceramente la Jugoslavia (3).

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Il fattore religioso

Quanto seriamente dovremmo prendere in considerazione questa prospettiva che è palesemente in linea con un più ampio risveglio di vecchi tracciati e progetti storici? E, più concretamente, è proprio vero che la religione ha un ruolo di una certa importanza nel conflitto attuale nel Kossovo? Indipendentemente dal fatto che la propaganda serba non si sia fatta scrupoli nello sfruttare tutta la questione, penso che questa sia di per sé una domanda importante, che merita tutta la nostra attenzione. Apparentemente c’é qualcosa da dire rispetto al punto di vista secondo cui i conflitti nel Kossovo e nel resto della ex-Jugoslavia siano causati dalla religione: le divisioni esistenti corrono, ovviamente, lungo linee religiose. E’ significativo il fatto che fin dagli anni ‘80 le tensioni nell’ex-Jugoslavia abbiano assunto l’aspetto di uno scontro tra due blocchi nettamente divisi dalla religione: uno é quello cristiano-ortodosso, mentre l’altro consiste in una alleanza - una “coalizione senza principi” - di cattolici e mussulmani. Questo fatto si riflette anche nella geografia: c’é una linea che corre diagonalmente attraverso i Balcani - dalla Macedonia Occidentale, attraverso il Kossovo, la regione del Sangiaccato, la Bosnia -Erzegovina fino a Zara nei Dalmazi - che può essere considerata come il margine del conflitto tra nazioni ortodosse (i Serbi, i Macedoni, ed i Montenegrini), da un lato, e quelle cattoliche ed islamiche (Croati, Mussulmani ed Albanesi) dall’altro.
E’ ovvio tuttavia che non possiamo comprendere i conflitti della ex-Jugoslavia se li riduciamo a pure differenze religiose; questa prospettiva non è né completa né esatta. Ma, malgrado questo, desidero sostenere che la configurazione confessionale è rilevante in quanto è il riflesso di ramificazioni culturali, linguistiche ed economiche che si sono sviluppate nel passato. Quando renderemo più trasparenti queste divisioni religiose, anche da un punto di vista storico, saremo in grado di smascherare le mistificazioni e le irrazionalità che caratterizzano in modo così elevato i conflitti attuali. In questo modo possiamo svelare la genesi di questi conflitti che troppo spesso si pensa si basino su differenze “eterne” ed “incompatibili”. Per esempio, anche se alcuni tendono a ridurre la guerra in Bosnia-Erzegovina ad un antico conflitto tra la “croce e la mezzaluna”, i Mussulmani Bosniaci sono Slavi quanto i loro vicini Serbi e Croati. Si convertirono all’Islam in tempi relativamente recenti e solo ultimamente hanno creato la loro nazione mussulmana o bosniaca, che è una branca di una più ampia famiglia slava del Sud. Quello che intendo dire è che i conflitti dell’ex-Jugoslavia non sono tra due croci diverse o tra la croce e la mezzaluna, ma sono molto più concreti, cioè sono in rapporto con condizioni politiche, economiche e culturali e con sfere di interessi nazionali. Il fattore religioso è semplicemente una copertura che nasconde con maggiore o minore successo i veri motivi del conflitto.

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La religione nel Kossovo

Anche per il Kossovo si può facilmente dimostrare quanto ho detto. Quando i propagandisti serbi dicono che il conflitto in Kossovo è religioso, che gli Albanesi sono fondamentalisti che ricevono gli ordini da centri estremisti del mondo mussulmano, non portano mai prove in appoggio della loro tesi. Suppongono tutto ciò soltanto sulla base del fatto che la maggior parte degli Albanesi sono mussulmani e subito saltano alle conclusioni. Secondo loro è ovvio che i mussulmani lottino per diffondere l‘Islam; ogni successo albanese è considerato, quasi per definizione, come un trionfo della “Jihad” (guerra santa). Di tanto in tanto, Serbi “ben informati” che stanno investigando sulle attività politiche degli albanesi, forniscono cosiddette “prove” di questa “guerra santa” albanese: di solito non vanno molto oltre rispetto all’osservare che membri del clero mussulmano partecipano alle manifestazioni e ad altre attività politiche degli Albanesi, che alcune di queste attività sono portate avanti in moschee o in scuole religiose e che, di tanto in tanto, certe riunioni religiose si trasformano in incontri politici di protesta.
Ma quando analizziamo le finalità politiche e le dichiarazioni del movimento albanese dall’inizio della crisi in Kossovo, o anche precedentemente, non possiamo trovare alcun segno, neppure il minimo indizio, che si abbia a che fare con un movimento religioso. Mancano totalmente prove concrete di motivazioni religiose, anche se cerchiamo di fare del nostro meglio per smascherare le intenzioni “indirette” o “nascoste” del movimento albanese, come ai Serbi piace fare. Tutte le richieste e dichiarazioni degli Albanesi da circa dieci anni hanno avuto esclusivamente un carattere nazionale e politico, senza alcun riferimento alla religione. Non c’è neppure la minima traccia di un estremismo religioso nella società albanese: considerata in rapporto col movimento albanese la religione è assente dalla matrice ideologica di questo movimento. Alla luce di queste considerazioni, il fatto che dei preti mussulmani albanesi abbiano partecipato a manifestazioni o altre attività politiche non deve essere attribuito a motivi religiosi, ma piuttosto a motivi nazionali. E’ vero che, in alcune situazioni critiche, si sono utilizzate spontaneamente delle riunioni religiose per esprimere finalità nazionali, ma questo é dovuto soprattutto alla proibizione di assembramenti politici di massa. Anche alcuni funerali e cerimonie di riconciliazione di vendette di sangue tra famiglie albanesi sono stati utilizzati allo stesso scopo. Perciò si arriva all’unica conclusione che gli Albanesi hanno utilizzato, in una certa misura, l’ambito religioso per esprimere le loro finalità nazionali e politiche, e non viceversa.
Si potrebbe persino sostenere che il termine “fondamentalismo” - se si insiste a volerlo utilizzare - si applica molto meglio al nazionalismo serbo con la sua forte enfasi sull’ortodossia serba e la sua intolleranza verso le altre religioni come l’Islam ed il Cattolicesimo. L’ironia di questo fondamentalismo serbo è che ha fatto dimenticare agli Albanesi le differenze religiose in modo da riunire la nazione su una solida base di tolleranza religiosa. Nell’ultimo decennio l’espressione delle nostre finalità ha compreso spesso riferimenti espliciti al superamento delle divisioni religiose. Questa tolleranza religiosa si manifesta in molte occasioni, nella vita quotidiana, per esempio si festeggiano insieme ricorrenze culturali e religiose di Albanesi sia mussulmani che cattolici. Anche la parte “atea” della nazione partecipa regolarmente a queste manifestazioni.
Ciò nonostante non si può negare che membri del clero sia islamico che cattolico abbiano rafforzato la propria posizione nella società, particolarmente se il loro ruolo nella vita politica è diventato più rilevante. Nella situazione attuale non hanno altra scelta che partecipare alla vita politica, non perché desiderino un rafforzamento del clericalismo, ma piuttosto perché hanno semplicemente bisogno di sopravvivere e di conservare il sostegno dei credenti. L’indifferenza di fronte ad un’estrema repressione, alla segregazione ed all’apartheid sarebbe certamente percepita come una specie di tradimento della nazione e ciò minerebbe la loro autorità nella società Albanese.

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L’Islam minacciato

Tenendo presente il carattere del movimento nazionale albanese, sono più incline a pensare che è l’Islam che è in pericolo, sia in Kossovo che in Albania. A mio parere, ci sono ben poche prospettive per un radicalismo mussulmano e per lo stabilirsi di una repubblica islamica in Albania ed in Kossovo. Dopo che il movimento nazionale albanese è precipitato in un vuoto ideologico quando ne sono state distrutte le basi “marxista” e “ socialista” - su cui si appoggiava prima - l’Islam non ha riempito la lacuna quale pilastro della nuova identità albanese. E non ci sono molte possibilità che ciò avvenga in futuro, anche se l’Islam è la religione più diffusa tra gli Albanesi. I motivi per questo non dipendono né dal fatto che gli Albanesi sono divisi dal punto di vista religioso (4) e ciò impedisce all’Islam di presentarsi come religione nazionale, né dallo slogan “la religione degli Albanesi é l’Albanesismo” che é stato un elemento fondamentale dell’ideologia nazionale fin dalla Rinascita Albanese (Rilindja) (5). La più grave minaccia all’Islam viene dal fatto che gli Albanesi desiderano venire a far parte dell’Occidente, dopo il crollo dell’utopia socialista.
Pare che un’ampia maggioranza degli Albanesi del Kossovo e dell’Albania ritengano necessario rinunciare alla loro eredità islamica, come primo passo verso l’inserimento nella civiltà occidentale e l’omogeneizzazione nazionale. Nel 1990, quando la situazione nel Kossovo peggiorava di giorno in giorno, gli Albanesi mussulmani prendevano apertamente in considerazione l’idea di una conversione collettiva al Cattolicesimo Romano. Chiedevano a sé stessi ed ai loro amici attorno a loro - qualcosa del genere l’ho sentita dire io stesso - se fosse possibile ritornare alla “fede dei nostri antenati”. Era un periodo di profonda delusione collettiva, ma anche di catarsi, dopo la fine del Bolscevismo, e di liberazione dalla “tutela” della leadership albanese che si era auto-eletta nell’ex provincia autonoma del Kossovo.
Questo desiderio di una conversione di massa al Cattolicesimo mostra, infatti, le complesse relazioni esistenti tra gli Albanesi e l’Europa ed il ruolo cruciale che la religione sembra avere. Si possono analizzare questi rapporti così complessi da diversi punti di vista. Si può prendere la religione come punto di partenza e chiedersi che cosa essa significhi per gli Albanesi e per il resto dell’Europa. Un altro punto di vista è il concetto dell’Europa e la realtà di un continente in cui gli Albanesi hanno vissuto per molti secoli, un continente che si sta trasformando in una composita comunità politica che mira allo sviluppo ed al progresso, alla giustizia ed alla stabilità, alla sicurezza ed alla prosperità. Ci si può domandare quale sia - o dovrebbe essere - il ruolo della religione in questa nuova Europa e quale sia - o potrebbe essere - il contributo di una nazione piccola, ma principalmente mussulmana, come quella degli Albanesi.
Comunque ciò che mi sta più a cuore è un miglioramento nella situazione della nazione albanese. Questa mia inclinazione scaturisce dalla triste condizione in cui viviamo che, in un modo o nell’altro, pone delle domande fondamentali a noi Albanesi: chi siamo noi oggi? In che cosa dovremmo credere, in cosa riporre la nostra fiducia? E che cosa faremo in futuro? Queste domande non sono semplicemente accademiche: non mirano semplicemente ad approfondire la nostra conoscenza di noi stessi, come se ci trovassimo in un periodo buono e sereno. Al contrario queste domande emergono dalla sofferenza nazionale che sperimentiamo in questo momento, che minaccia le stesse basi della nostra esistenza e turba la persona stessa che se le pone. Oggi essere Albanesi significa essere in pericolo: è chiaro che si tratta della nostra stessa sopravvivenza.
Ma ciò che è peggio, la minaccia esistenziale non viene dagli invasori che mirano a cancellare via gli Albanesi dalle loro terre, ma anche dal di dentro: dopo mezzo secolo di governo comunista, la nazione albanese è in preda al vuoto, alla distruzione ed al crollo. Abbiamo inflitto a noi stessi ferite ancora più dolorose di quelle che ci hanno inferto i nostri nemici. Non è tanto difficile resistere alle minacce dall’esterno con lo scudo dell’identità nazionale, e lottare per la difesa, la sopravvivenza e la libertà della nazione; è molto più duro affrontare i sogni spezzati e le amare delusioni dopo il crollo del Comunismo.
Non sono d’accordo con quegli intellettuali albanesi che sostengono che il Comunismo non è mai penetrato profondamente nell’anima albanese; al contrario le conseguenze del Comunismo sono state immense, in tutti i campi della vita materiale e spirituale. Ciò è tanto più chiaro se confrontiamo la nostra situazione con quella delle altre nazioni dell’Europa Orientale che sono pure emerse dal Comunismo con qualche dolorosa ferita. Se chiedete ad un Ceco, ad un Polacco, o ad un Ungherese, cosa faranno dopo la morte del Comunismo, risponderanno senza esitare che riprenderanno ad andare avanti dal punto in cui il Comunismo li aveva fermati mezzo secolo fa. Possono ricadere nelle tradizioni cristiane ed europee del passato che possono essere utilizzate come una nuova base della loro esistenza. I Cechi, i Polacchi e gli Ungheresi considerano l’Europa come casa loro e l’Europa, a sua volta, ha spalancato loro la porta.
Gli Albanesi, al contrario, non possono tornare a tradizioni stabilite in precedenza, non possono far rivivere antiche istituzioni per ricostituire o ricostruire la nazione. Nel caso polacco la Chiesa Cattolica ha funzionato come la fonte principale della rigenerazione nazionale, persino durante il Comunismo. Gli Albanesi, invece, sono divisi dal punto di vista religioso; in passato i Comunisti, in Albania, hanno voluto superare questa situazione, prendere il posto della religione e promuovere sentimenti di unità nazionale che pensavano potessero provenire semplicemente dal prendere molto alla lettera il famoso slogan di Pashko Vasa: “La fede degli Albanesi è l’Albanesimo”(6).
Dopo la caduta del Comunismo, gli Albanesi hanno bisogno di ridefinire la loro identità e le loro complesse relazioni interne. Sfortunatamente non ne sono stati capaci, quasi ovunque, in quasi tutti i campi. Ora essi sono divisi in molti sensi: vivono in cinque Stati, si sono suddivisi in molti partiti politici, e poi ci sono le vecchie divisioni come quelle religiose, quella anche linguistica tra i “Geghs” e i “Tosks”, e quella tra gli Albanesi di Albania e gli Albanesi del Kossovo. Questo livello di frantumazione è eccessivo per una nazione piccola e povera come quella albanese. Il linguaggio comune non basta per unire gli Albanesi; bisogna avere in comune degli ideali per sopravvivere e resistere alle tentazioni distruttive della discordia. Intendo sostenere la tesi che sia la religione sia l’idea di Europa possono ambedue offrire modelli per la rigenerazione spirituale degli Albanesi. La prima ci fornisce la tradizione, anzi tradizioni multiple, basate su diverse eredità religiose; mentre la seconda collega il nostro destino ad un futuro, sotto l’ombrello di una civiltà sincretica che si spera si sviluppi all’interno di un’Europa Unita.

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Nell’Europa? Si, ma come?

Questa tematica del ridefinire la nostra esistenza non è nuova. All’inizio del Ventesimo Secolo, come pure tra le due guerre mondiali, tra le elites Albanesi c’è stato un profondo dissenso riguardo alla civiltà a cui gli Albanesi avrebbero dovuto aderire: quella Occidentale o quella Orientale. Tra i diversi circoli prevalse l’orientamento verso l’Occidente. Anche il Comunismo si rivestì in abiti occidentali, benché sia poi evoluto in un dispotismo di tipo orientale. Attualmente l’opinione pubblica albanese ed i circoli che hanno potere decisionale in Kossovo sono decisamente a favore dell’unione con l’Occidente: tutti dicono che dovremmo guardare verso l’Occidente, verso l’Europa e rinunciare alle nostre vecchie tradizioni orientali.
Per la mia formazione educativa, e per convinzione, faccio parte di coloro che preferiscono inserirsi nella civiltà occidentale, non solo per motivi geografici, ma anche perché penso che per le nostre tradizioni e modi di vita facciamo parte del continente europeo. Ciò nonostante penso che gli Albanesi dovrebbero riflettere sull’orientamento europeo e valutare attentamente i vantaggi e gli svantaggi. Inoltre dovremmo prendere seriamente in considerazione il problema perché l’integrazione nell’Europa non significa la stessa cosa per tutti gli Albanesi: gli Albanesi del Kossovo la vedranno da un punto di vista diverso da quello degli Albanesi d’Albania, e ci saranno variazioni analoghe tra Cattolici, Ordodossi, Mussulmani, Atei.
Dobbiamo tener sempre presente l’estrema complessità della realtà Albanese, particolarmente per il fatto che la maggior parte degli Albanesi aderisce all’Islam, religione che, di solito, è considerata “orientale” e “non-europea”. Perciò dipende dalla disponibilità dei Mussulmani albanesi se l’Albania ed il Kossovo entreranno a far parte dell’Europa. Sarebbe l’ideale se ciò potesse essere ottenuto col consenso, cioè con una voce chiara della maggioranza degli Albanesi mussulmani a favore dell’Europa Unita. Ciò che è sicuro, tuttavia, è che quest’ideale non potrà mai essere raggiunto se trascuriamo completamente il fatto che l’Islam è la religione dominante tra gli Albanesi o se consideriamo la nostra eredità mussulmana come una peculiarità o un’aberrazione da correggere con la forza o con altri mezzi, per amore del conformismo.
Alcuni circoli Albanesi tendono a considerare l’inserimento nell’Europa in un modo molto semplicistico. Insistono sul fatto che la civiltà europea ha profonde radici cristiane e che ciò è ovviamente in contrasto con l’Islam. Come ho già accennato, alcuni propongono una conversione di massa al cristianesimo, come precondizione necessaria per il riconoscimento degli Albanesi come una nazione europea degna di fiducia. A mio parere queste idee sono pericolose e possono anche avere un effetto “boomerang”. Le categorie “Oriente” ed “Occidente” ed “Europa” sono relative, e questi concetti, a seconda di come vengono intesi, possono interrelarsi tra di loro in vario modo. Se li si intende come concetti che si escludono reciprocamente, come simboli chiave di civiltà che si oppongono, e di religioni antagonistiche che pretendono ognuna di salvare l’umanità ai danni di qualsiasi altra, allora si vedranno dappertutto importantissimi fronti di conflitto, soprattutto in aree dove ambedue le civiltà si incontrano. Osservando i fatti da questo punto di vista, sembra che ci sia in corso una nuova crociata, dalla Bosnia-Erzegovina e dal Kossovo fino alla Cecenia.
Tuttavia un’altra prospettiva - non tanto inimmaginabile - è che queste cosiddette religioni mondiali rinuncino alle loro finalità universalistiche e fondino le loro attività sul principio dell’ecumenismo; in tal caso non sono antagonistiche né irreconciliabili. Benché i rapporti tra l’Islam ed il Cristianesimo siano sempre intercorsi con conflittualità, c’è, d’altra parte, tra di loro anche una tradizione veramente profonda di tolleranza e coesistenza. In fondo i loro punti di vista religiosi e teologici, come pure i loro modi di vita, non sono tanto dissimili, perché tutt’e due le religioni provengono dallo stesso ceppo. Esse sono anche vicine in senso geografico: si incontrano nell’antico “cuore” del mondo, il Mediterraneo che è sempre stato il bacino di contatti commerciali, culturali e religiosi e di quello che si può considerare come una sorta di ecumenismo mediterraneo. Penso che questo concetto di un ecumenismo mediterraneo (di cui ho già parlato prima (7)) possa essere un supplemento indispensabile all’idea dell’Europa, e possa offrire una via d’uscita dal dilemma tra l’Est e l’Ovest di fronte al quale si trovano gli Albanesi. Tutti gli Albanesi possono inserirsi in questo concetto, immaginando se stessi come una nazione complessa che rappresenta diverse tradizioni e religioni, il che è molto meglio che cercare di stabilire un unico zoppicante sincretismo.
Il destino della nazione albanese è stato determinato dalla sua appartenenza mediterranea. Il problema oggi, non è quale religione ci salverà, ma come possiamo costruire una comunità di tolleranza e di dialogo tra quei particolari gruppi religiosi che sono diventati parte integrante della nazione albanese. Se il vuoto che il Comunismo ha lasciato dietro di sé può essere rimpiazzato da qualcosa, da qualche sorta di fede o convinzione nazionale, questa funzione può assolverla il credo che gli Albanesi sono una nazione di ecumenismo che porta avanti la tradizione di persone come Naim Frashëri, Fan Noli e Gjergj Fishta.

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Note

1) Dimitrije Bogdanovic’, Knijia o Kosovu, Beograd: Srpska Akademija Nauka i Umetnosti, 1986.
2) Dimitrije Bogdanovic’, “Srpski manastiri na Kosovu kao knjizevni centri”, Knjizenva rec (Beograd), n. 250,
10 Febbraio 1985, p. 6.
3) David Steele, “Religion as a fount of ethnic hostility or an agent of reconciliation”, in Dusan Janjic, a cura
di, Religion and War, Belgrade, European Movement in Serbia, 1994, pp. 172-175.
4) Gli Albanesi appartengono a due religioni: l’Islam ed il Cristianesimo. I Cristiani (compresa la diaspora
Albanese nell’Italia Meridionale) si suddividono tra tre chiese: quella Cattolica, quella Ortodossa, e quella
“Uniate” (Chiesa di rito ortodosso, ma collegata al Vaticano). La maggioranza mussulmana - circa il 70% di
tutti gli Albanesi è mussulmano - è suddivisa, per tradizione, tra una comunità “Sunni”, predominante, ed
un ramo relativamente forte degli ordini “Sufi”, nel quale l’ordine dei Dervishi Bektashi è il più diffuso e cospicuo.
Quest’ordine si é praticamente sviluppato in una comunità religiosa indipendente.
5) Quest’idea é stata espressa da molti scrittori di Rilindjia Albanese: “Lasciamo che i Mussulmani siano
Mussulmani, e che i Cristiani siano Cristiani - l’Albania appartiene a tutti” (Faik Konica, in Albania, n. 2, 1897);
“Che l’ Europa sappia che l’Albania è viva ed integra [.....] E’ vero che ci sono tre religioni in Albania [.....] ma è
ben risaputo, anche,che un Albanese dimenticherà le differenze per dare una mano al fratello in pericolo[.....]
(Visar Dodani, in Albania,n.3, 1897); “Finché siamo Albanesi siamo dello stesso genere [.....] Che si sia
un prete cattolico (prift), un monaco ortodosso (kalogjer), o un prete mussulmano (hoxh) o dervish, siamo tutti
fratelli” (Naim Frashëri, in, Albania, n.5, 1897); “Da molto tempo le religioni in cui è suddivisa la nazione Albanese
hanno raggiunto un modus vivendi indisturbato” (Faik Konica, in Albania, n.7, 1904); “Non cambiamo nulla,
creiamo soltanto leaders religiosi consapevoli e responsabili. Questo è il sistema migliore per creare l’unità tra di
noi, meglio di qualsiasi programma per introdurre cambiamenti religiosi. Ciò porterebbe a dividerci completamente
tra di noi” (Fan S. Noli, inè, n. 80, 1908).
6) Pashko Vasa, Vepra, Prishtinë,: Rilindja, 1989, vol. I, p.77.
7) Shkëlzen Maliqi, “Shqiptarët dhe Evropa”, Thema, (Prishtina), nn.. 12-13, 1993, pp. 6-16.