I TURISTI NON GUIDANO L’AUTOBUS
Di Txemi Kintana Gastaka
Gruppo Università senza frontiere

Prima di tutto si deve fare una piccola introduzione, a modo di presentazione: dal 6 al 12 dicembre 1998 un gruppo di studenti dell’Università di Lecce è stato a Pristina, capitale del Kossovo. Come studenti di Sociologia delle relazioni internazionali volevano conoscere meglio la realtà del Kossovo.
Il gruppo decide di aderire ad una iniziativa di pace chiamata I care ed organizzata da tre gruppi: Pax Cristi, Beati i costruttori di pace ed Ass. Papa Giovanni XXIII, alla fine quasi 200 persone vanno in Kossovo. Ma prima si organizzano due giornate a Bari per sapere come si gestisce tutto il gruppo. Dopo un lungo viaggio si arriva a Pristina dove si resta due giorni svolgendo varie attività. Il primo, le 200 persone si dividono in piccoli gruppi e prendono contatto con diversi gruppi locali (scuole, università, massmedia, politici, religiosi, etc). Nel secondo si celebra il 50° anniversario dei diritti umani con due atti, un simposio ed una manifestazione.


Grosso modo questa è una descrizione generale del viaggio e del lavoro in Kossovo. Adesso è tempo di valutare. Prima di tutto chi scrive queste pagine deve raccontare un aneddoto che può essere molto significativo. Quando il soggiorno a Pristina era finito e stavamo tornando i nostri autobus si sono dovuti fermare un momento. A pochi chilometri della città c’erano tre giovani ragazze che sembravano andare a scuola, cominciano a gesticolare e a dirci qualcosa, ma non possiamo capirle. C’è rumore e dall’interno dell’autobus non sappiamo cosa stanno dicendo. Finalmente leggiamo sulle loro labbra. Sono due parole in inglese: "Thank you".
Devo riconoscere che questo gesto giustifica tutto il sacrificio del viaggio. Giustifica tanti momenti di litigi fra noi, tanti momenti di tensione, tanti momenti di frustrazione e insoddisfazione al pensiero di non essere riusciti a far niente. Qualcosa abbiamo fatto: non è solo il ringraziamento delle ragazze. É stata anche la valutazione positiva degli amici che abbiamo conosciuto lì. Comunque, c’è un lato negativo: "siete venuti troppo tardi". Sono le parole di Naim, uno studente albanese di medicina che impara ad essere dottore in un vecchio palazzo fatiscente, esempio della vita parallela che la comunità albanese ha dovuto sviluppare.

Un’altra cosa che si deve analizzare è il modus operandi degli organizzatori di questa iniziativa di pace. A priori gestire un gruppo di 200 persone era un compito difficile, come si è potuto dimostrare, teoricamente si seguiva un metodo di consenso, proprio di una organizzazione non violenta, cioè ogni piccolo gruppo presentava le sue idee in confronto con quelle degli altri. Così alla fine c’era un progetto comune. Sicuramente una persona che non ha preso parte a questo viaggio a difficoltà nel capire questo. Cercherò di spiegare che un gran sentimento di frustrazione è seguito alla "pseudo-manifestazione" che abbiamo fatto. Un atto non consentito dalla polizia serba e che ha avuto grossi limiti. Secondo la stragrande maggioranza la manifestazione è stata un fallimento e non ha avuto in pratica il consenso di tutti, ma chi è l’ingenuo che quando fa un viaggio come turista, per esempio a Parigi, pensa che si può concordare il percorso tra l’autista, la guida ed i turisti?

Il metodo del consenso aveva eccezioni che qualcuno non ha letto (leggi linee guide date dagli organizzatori, chiamati gruppo di coordinamento). In ogni costituzione, in ogni regolamento, in ogni norma, etc., ci sono limiti. Anche in questo caso. E noi eravamo limitati. Chi non lo sapeva può pensare che non è stata democrazia, ma dal primo giorno si poteva sapere che "in casi particolare, alcune persone all’interno del coordinamento sono delegate a prendere decisioni veloci". Addirittura gli organizzatori chiedevano ad ogni partecipante di aprire un credito di fiducia, di essere cioè responsabili nei confronti dell’autorità, giacché erano preparati in modo specifico al compito, perché erano loro il mezzo più efficace e veloce per comunicare con le realtà esterne.

Insomma, non difendo l’organizzazione, né difendo il suo modus operandi, cerco di far capire che è un’utopia credere che si può mettere in pratica il metodo del consenso. Ci sono persone non ingenue che invece di criticare come si è lavorato criticano ciò che si è fatto male. Ce ne sono tante, ma vorrei portare un esempio significativo: siamo stati ubbidienti con le autorità serbe, con la polizia serba. Dov’è una delle caratteristiche della persona non violenta: il rifiuto della autorità? Sappiamo che una persona non violenta obbedisce alla legge dove questa è il risultato di un processo democratico. Questo non è il caso del Kossovo, una società in cui la legge è iniqua, in cui noi dovevamo agire con atti di disubbidienza civile non violenta.

Infine vorrei dire qualcosa riguardo alle parole più criticate di questo viaggio. Parole dette dal Prof. Fumarola durante il Simposio: "Siamo filo-albanesi". Parole violentemente (cattivo esempio) criticate dalla maggioranza dei partecipanti, maggioranza che applaudiva le belle parole dette da tanti politici e religiosi. Purtroppo nei conflitti la bellezza è sporca e se vogliamo trovare una soluzione dobbiamo sporcarci.

In ultima analisi è come se l’autista dell’autobus diretto a Parigi avesse deciso, per opinione personale e per il bene dei turisti, che Bordeaux è più bella ed interessante. É vero, i turisti non guidano l’autobus, ma, qualche volta, hanno la possibilità di aprire i finestrini e gridare al vento "libertà".

TOP