MISSIONE IMPOSSIBILE A PRISTINA
di Guglielmo Zappatore & Pierpaolo Quarta

A distanza di qualche giorno dal nostro ritorno da Pristina ci sembra quantomai utile tirare le somme di questa esperienza, un semi fallimento dal punto di vista degli obiettivi, ma importantissima per ciò che riguarda i vari livelli di rapporti che si sono venuti a creare.
Innanzitutto le realtà presenti all'interno di questo grande contenitore chiamato "I Care" (IC) erano svariate, differenti e animate da punti di vista e scopi diversi: dai "Beati i costruttori di pace" (BCP), "Pax Cristi" (PC), Associazione "Papa Giovanni XXIII" (PG), obiettori di coscienza, gruppi universitari di Firenze, Lecce, Milano, Bologna, Palermo, fino ai Boy Scout della Agesci e altre realtà che ora non ricordiamo. Il panorama delle presenze era quindi vasto, con tutto ciò che ne consegue e che ora proveremo ad analizzare.

I° livello. La piattaforma I care e quella universitaria
La situazione già a Bari si presentava ben strutturata dal punto di vista organizzativo: training di un giorno e mezzo tenuto da Mauro Fusi (sempre allerta con la sua sveglietta portatile a scandire tempi e interventi) e Marco Baino (anch'egli gestore degli interventi ma più dinamico ed attento anche alla preparazione fisica dei partecipanti); alle varie tecniche di gruppo mirate a creare rapporti di fiducia tra le persone si aggiungevano brevi discorsi sul merito dell'iniziativa (informazioni riguardanti il conflitto kossovaro, discussione e spiegazione del metodo del consenso e dell'azione pacifista e non violenta).
Subito si intuiva soprattutto da parte nostra (gruppo dell'Università di Lecce) una tendenza a escludere qualunque altro apporto tematico e alla discussione interna dei gruppi e agli obiettivi dell'iniziativa. Ci sentivamo in qualche modo fagocitati da una sorta di ferrea disciplina tedesca che il gruppo organizzativo si era dato (niente ritardi, niente
intromissioni in merito agli obiettivi). Da parte nostra l'adesione al progetto I Care non significava abbandonare il nostro progetto di ricerca, ma arricchire vicendevolmente le due piattaforme di lavoro.
Il nostro obiettivo specifico era quello di stabilire contatti duraturi con le due università parallele (serba e albanese), parlare con l'Upsup (Unione degli studenti albanesi di Pristina), creare una finestra di dialogo fra le due parti su base universitaria (e quindi necessariamente pacifista e non violenta).
Abbiamo quindi ricavato il nostro spazio all'interno di I care formando il Gruppo di Affinità "Università senza frontiere" (USF). A lunga distanza la meta per noi era mettere attorno ad un tavolo serbi, albanesi, baschi e irlandesi (popoli accomunati dallo stesso tipo di conflitto etnico) organizzando per Marzo 99 un convegno internazionale e mettendo in opera quella che potrebbe definirsi una "diplomazia culturale", la cui azione è mirata alla soluzione politica e non armata dei conflitti.
Gli incontri avuti da questo punto di vista sono stati pienamente soddisfacenti: sia i serbi che gli albanesi si sono mostrati disponibili.
I primi forti contrasti si sono manifestati nella mattinata del 10 dicembre durante la seconda sessione del Convegno Internazionale "Il Kossovo tra guerra e soluzioni politiche" già avviato all'Università di Lecce. La pietra dello scandalo è stata l'intervento del Prof. Fumarola che affermava la necessità di riequilibrare il conflitto serbo-albanese, troppo a favore dei serbi, per poter sperare di avviare un processo di soluzione politica (cfr. teoria del conflitto in A. L'Abate, Conflitto, consenso e mutamento sociale), e quindi necessariamente si dichiarava filo-albanese. Risultato: tutte le componenti di IC manifestavano il loro dissenso ed addirittura nello stesso gruppo di affinità USF si nutrivano forti contrasti.
Naturalmente la preoccupazione di IC era quella di una compromissione del dialogo con i serbi a causa di quella che loro consideravano una presa di posizione all'interno del conflitto.
Da parte dell'USF invece le obiezioni riguardavano non i contenuti ma la ricezione del messaggio da parte albanese, una sorta di equivoco. La nostra impressione è che la parte albanese abbia tradotto "riequilbrare il conflitto" come una giustificazione della loro lotta, mentre in realtà si trattava (anche nelle intenzioni del Prof. Fumarola, di questo ne siamo certi) di una condizione senza la quale nessuna azione pacifista e non violenta e quindi nessuna soluzione politica potesse avviarsi.
Nonostante i comprensibili sforzi di IC a non far sembrare la loro azione uno schierarsi, risultava chiaro comunque che la solidarietà fosse tutta verso la parte albanese.
Ma questo episodio ha solo contribuito a far esplodere un conflitto le cui avvisaglie erano già presenti sin dalla partenza a Bari.
In buona sostanza la ferrea disciplina tedesca iniziale di IC è andata tramutandosi in intransigenza e totale chiusura, tanto più che per eguale reazione dall'altra parte (la nostra) si passava alla ricerca spasmodica e provocatoria del dialogo. Se prima nei confronti dell'USF vi erano forti perplessità ed anche forti pregiudizi (indicativo è l'episodio con la polizia serba a cui eravamo totalmente estranei e che ci ha visto additati a priori come gli unici possibili colpevoli) a quel punto si è passati ad un rifiuto netto del confronto, all'attuazione di metodi di comportamento di radicale negatività.
Dalla nostra ci abbiamo messo tutto l'impegno affinchè questo atteggiamento si giustificasse...adottando un po' la teoria controparadossale (Watzlawich, Scuola di Palo Alto) con risultati non entusiasmanti.

II° livello. I problemi di ricerca all'interno dell'USF (prognosi riservata)
Premetto che la mia partecipazione a questo gruppo di ricerca trae principalmente la propria motivazione dalla disponibilità alla condivisione delle esperienze resa normalmente piacevole dallo stringersi di rapporti di disponibilità ed amicizia .
Solo secondariamente il mio interesse per la politica e, infine???, il mio essere un cameraman (rinchiuso nella camera, come vorrebbero alcuni..), in via di miglioramento .
Nienti sacciu de "la teoria controparadossali", non me ne sono mai interessato. Un qualche studio della storia mi ha portato, da posizioni di rivolta, con gli anni, ad un senso della diplomazia dell' ineluttabilità nell' ordine di eventi, che poi saranno forse storia . Condivido quindi una possibilità di "antropologia visuale" che sta per me come le cronache alla cronaca singola. Questo potrà generare degli imbarazzi, in alcuni casi commozione, in altri dubbi curiosi. Un eterno campo lungo si ridurrà certamente, al momento della fruizione o ad una mezz' ora insopportabile o ad un montaggio, una qualche abbreviazione che se non necessaria metterebbe in dubbio la necessità dell' onnipresenza del video(e del v. professionale, se non altro per i costi che esso comporta Smmp) .
Voglio dire che, da sempre- e per ovvii motivi - gli archivi in cui sono conservate registrazioni di avvenimenti non prettamente televisivi, sono pieni di registrazioni audio e testi scritti, e, solo nel caso in cui sia intervenuta per prima a raccogliere la testimonianza la televisione, di copie di nastri video.
Non capisco come si possa quindi pensare di fare una antropologia visuale con tale povertà di mezzi e nessuna preparazione di un metodo di lavoro il più simile possibile a quello di una troupe non televisiva ma documentaristica.
La cronaca, l'elencazione fedele degli avvenimenti, tesa, come reso evidente dalla preferenza per il campo lungo ed il piano sequenza, a permettere un' osservazione dettagliata degli atteggiamenti umani, dei rapporti tra gli individui in situazioni particolari o dei rapporti tra questi comportamenti nella loro simultaneità necessita di attrezzature di maggiore complessità. Oppure di una gestione saggia dei mezzi economici ed umani .
Intravedo la possibilità di creare un gruppo di almeno 2 addetti alla registrazione audio totale (questa sì priva di interruzioni, a basso costo, ampiamente fruibile),due o più telecamere di bassa qualità atte a produrre grandi quantità di materiale per la sola consultazione (anche qui la spesa sarebbe modica), una telecamera professionale, visto che già c'é, per registrare le interviste, gli avvenimenti ufficiali e tutto quello che può interessare un montaggio, vera e propria postproduzione, con finalità di pubblicazione o di forte visibilità.

Il Gatto e la Volpe

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