ATTI DEL CONVEGNO
Il Kossovo tra Guerra e Soluzioni Politiche del Conflitto
Lecce - 12 - 14 novembre 1998

GIORNO 12 novembre 1998 ORE 10:00
SALUTO DELLE AUTORITA’ ACCADEMICHE

SOMMARIO

Saluto del Prorettore dell’ Università degli Studi di Lecce, Prof. M. Signore.

Saluto del Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Prof. O. Limone

Saluto del delegato del Rettore dell’Università di Pristina.

A MO’ DI INTRODUZIONE:
LA SITUAZIONE ATTUALE
E GLI ANTECEDENTI DELLA CONFERENZA DI LECCE
di Alberto L’Abate, con la collaborazione (in ordine alfabetico) della Campagna per una Soluzione Non-violenta in Kossovo, di Sue Glover, Jan Oberg, Franco Perna, Vatroslav Vekaric


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A MO’ DI INTRODUZIONE:
LA SITUAZIONE ATTUALE
E GLI ANTECEDENTI DELLA CONFERENZA DI LECCE
di Alberto L’Abate, con la collaborazione (in ordine alfabetico) della Campagna per una Soluzione Non-violenta in Kossovo, di Sue Glover, Jan Oberg, Franco Perna, Vatroslav Vekaric

E’ il giorno di Pasqua 1999. Invece di uova pasquali nella città di Belgrado sono cadute missili e bombe. Sotto questi ordigni di guerra rischiano di morire non tanto Milosevic ed i suoi fedeli, che si proteggono sicuramente in comodi bunker antiaerei, ma la popolazione comune quotidianamente vittima della dittatura miloseviciana. Tra questi anche i molti pacifisti che hanno protestato, alcuni anni fa, contro l’inizio della guerra jugoslava (oltre 200.000 belgradesi hanno partecipato a queste manifestazioni). Ed anche i nostri amici, come Stasa delle “Donne in Nero”, che con il suo gruppo si è sempre opposta alla politica militarista di Milosevic e si è data da fare per cercare un' equa soluzione al problema del Kossovo. Stasa è stata una delle nostre ospiti al Convegno di Lecce ed ha dato un contributo notevole alla delineazione di una politica al di sopra delle parti e contro le pulizie etniche. Lo stesso si può dire di Natasha Kandic, che dopo l’inizio della guerra della NATO, è stata fermata e picchiata dalla Polizia serba perché considerata una quinta colonna della NATO e dei governi occidentali. In realtà lei, con la sua associazione “la Fondazione per la Legge Umanitaria” ha raccolto sistematicamente le notizie ed i dati sulle violazioni dei diritti umani, non solo da parte del governo serbo ma anche, ad esempio, dell’UCK, l’esercito di liberazione degli albanesi del Kossovo. Se le prime erano più pesanti e più sistematiche delle seconde non è certo colpa sua, ma della politica portata avanti in tutti questi anni dal governo serbo, ed in particolare da Milosevic e dai suoi più stretti collaboratori come, ad esempio, il famigerato Arkan, capo di un gruppo paramilitare operante per lunghi anni nel Kossovo, che si è macchiato dei crimini peggiori non solo in questa area ma anche in Bosnia, e che non è perseguito dal Tribunale contro i crimini di guerra in Jugoslavia, non perché non ne ha commessi, ma perché i suoi “tigrotti” , come si fanno chiamare, sono inquadrati e vestiti come la normale polizia di Milosevic, e percio’ non distinguibili da questa. Ricordiamo, “sperando che se la cavi” da questi duplici attacchi, con simpatia e solidarietà Natasha che, partecipando all’incontro promosso dall’iniziativa “I CARE” (all’interno della quale si è inserito anche il convegno di Lecce) a Pristina nel 50 anniversario della Dichiarazione dell’ONU sui diritti umani, ha chiesto che i colpevoli delle stragi commesse a Drenica, o a Racak, nel Kossovo, venissero identificati e processati dal Tribunale dell’Aia. Ma attualmente essa, come Stasa e come tutte le persone che abbiamo incontrato in questi anni a Belgrado e sono diventate nostre amiche, alcune delle quali hanno partecipato all’incontro di Lecce (ad esempio i due professori dell’Università di Belgrado Janic e Simic) o che hanno dato dei buoni contributi, oltre che a Lecce, anche in altri incontri o seminari per la ricerca di valide soluzioni dei problemi del Kossovo cui ho avuto occasione di partecipare anche io (ad esempio a Vienna, o ad Ulqin) sono attualmente tra l’incudine ed il martello (o, se preferiamo, tra Scilla e Cariddi) con il rischio di morire per le bombe Nato oppure per le persecuzioni della polizia di Milosevic, da cui vengono di solito considerati dei traditori della Patria. E’ il dodicesimo giorno dall’inizio della guerra della NATO ed i bombardamenti, invece di essere interrotti come hanno chiesto circa 100.000 persone riunitesi a Roma per questo scopo in una grande manifestazione per la pace, e come hanno chiesto i messi del Papa e i rappresentanti di vari gruppi religiosi (cattolici, ortodossi, protestanti, ecc.), sono stati intensificati. E questo perché la comunità internazionale sostiene che la guerra è stata una scelta obbligata, dopo, a detta sua, aver tentato tutte le vie pacifiche di risoluzione del conflitto. Le organizzazioni non governative, come la Transnational Foundation for Peace and Future Research (TFF) che dal 1992 si adoperano per la prevenzione di questo conflitto, oppure la Campagna per una Soluzione Non-violenta nel Kossovo, che è nata nel 1993 per questo stesso scopo e che ha lavorato anche lei per tutti questi anni per questo stesso obbiettivo, sanno che questo non è vero. Che le grandi potenze e le diplomazione ufficiali hanno fatto poco o niente per prevenire l’esplosione del conflitto armato in questa area, lasciando questo compito alla diplomazia non ufficiale delle ONG, ma non solo non ascoltandole, ma addirittura sfruttando il loro lavoro ai fini della ricerca di mercati delle nostre industrie, anche di quelle che fabbricano armi. Questa tesi ed alcune delle possibili ragioni di questa mancanza di interesse per la prevenzione le esporrà Jan Oberg, Direttore di ella TFF nel suo saggio pubblicato nel proseguo di questa introduzione.
Ma tornando al tema di questo saggio, e cioè agli antecedenti del Convegno di Lecce, esso nasce appunto dal lungo lavoro fatto dalla Campagna per una Soluzione Non-violenta nel Kossovo (CSNK), a Pristina ed in Italia. Le ragioni e l’inizio del lavoro di questa Campagna sono state esposte al Convegno stesso dalla sua Coordinatrice, la Prof. Etta Ragusa, che ha presieduto una delle sessioni di lavoro. Comunque in sintesi si può dire che la Campagna ha voluto rispondere positivamente alla richiesta di aiuto fatta dal movimento albanese del Kossovo che ha lottato con la non-violenza per oltre dieci anni (dal 1989, anno in cui l’autonomia di questa regione è stata pressocché annullata, fino al 1998) per i propri diritti e per la propria libertà calpestate dal regime di Milosevic. Inizialmente questo appoggio ha avuto il carattere di viaggi studio per far conoscere la realtà della situazione del Kossovo (su cui c’era un colpevole silenzio stampa) a studiosi, od a persone impegnate nella non-violenza italiana, e per studiare, insieme agli amici kossovari, forme efficaci di mutua collaborazione. Al primo di questi viaggi ha partecipato anche il Prof. Pietro Fumarola, dell’Università di Lecce, organizzatore del Convegno di cui stiamo parlando. Ad altri viaggi hanno partecipato alcuni dei più impegnati vescovi italiani, dell’organizzazione Pax Christi, una delle organizzazioni che hanno promosso la stessa Campagna: tra questi Monsignor Bettazzi, e Monsignor Bona, o della Caritas Italiana. Al terzo viaggio studio svoltosi nell’estate 1994, hanno partecipato 12 persone attive nei movimenti nonviolenti ed ecologisti italiani Tra questi anche il sottoscritto. Dal viaggio studio, che ci ha portato a conoscere ed intervistare personaggi importanti del mondo politico serbo ed albanese, ne abbiamo tratto la conclusione che c’era uno spazio, sia pur ridotto, per un lavoro di intermediazione tra le due parti che si trovavano ambedue bloccate in quello che abbiamo definito un “muro contro muro”, e cioè in una grave mancanza di comunicazione reciproca, anche legata a quanto c’era di più positivo nella lotta non-violenta degli albanesi del Kossovo, e cioè alla costruzione di un governo e di una società parallela, che riduceva al minimo le occasioni di scambio e di confronto. Questo “muro contro muro” rischiava, se si fosse approfondita ed aggravata l’incomunicabilità, di portare all’incremento del distacco e dei pregiudizi reciproci, alla trasformazione di questi in un vero e proprio odio etnico, ed ad una possibile esplosione di un conflitto armato, come poi, in realtà succederà. Per questo il gruppo di studio, al suo ritorno, ha fatto un progetto di costituzione, a Pristina, di una “Ambasciata di Pace” che lavorasse, invece, per aprire, o mantenere aperti se c’erano, spazi di conoscenza reciproca, forme di comunicazione, di confronto e di dialogo e per rompere il “muro contro muro”. Per cercare possibili soluzioni accettabili ad emtrambe le parti e per appoggiare le non molte organizzazioni umanitarie che ancora non erano state “ripulite etnicamente”: Queste organizzazioni ancora miste, su suggerimento di un amico francese, le abbiamo definite “focolai di pace”: tra queste quella con cui avremmo lavorato più intensamente, aiutando anche il suo gemellaggio con organizzazioni consimili italiane, sarà l’Associazione dei paraplegici del Kossovo che aveva promosso anche un coordinamento di tutte le organizzazioni handicappati della zona, e che portava avanti un lavoro molto importante di organizzazione di servizi di base gestiti democraticamente a livello delle singole aree del Kossovo. Per aiutare questa comunicazione reciproca abbiamo contribuito a mettere in contatto i gruppi antimilitaristi e pacifisti serbi, che avevamo ricercato ed apprezzato e che svolgevano un lavoro egregio di resistenza alle tendenze nazionalistiche interne alla Serbia, con il movimento albanese che usava almeno alcune delle tecniche della non-violenza ma che, soprattutto nei primi tempi del nostro impegno nella regione, sembrava chiuso in sé stesso evitando rapporti con i serbi considerati tutti, alla stessa stregua, come nemici del popolo albanese. Con il tempo, non solo per merito nostro ma anche grazie al lavoro di altre organizzazioni, come ad esempio il Balkan Peace Team, che hanno lavorato molto e bene in questa direzione, questo distacco è venuto man mano riducendosi tanto che negli ultimi tempi la collaborazione tra donne, ad esempio, od organizzazioni per i diritti umani, o per la risoluzione non-violenta dei conflitti, dei due gruppi etnici e delle due città (Pristina e Belgrado) era diventata di ordine corrente e molto positiva. Un esempio di questa collaborazione è stato l’incontro di Ulqin, in Montenegro, organizzato insieme da ONG del Kossovo ed altre di Belgrado, e che è stato un momento di confronto molto valido tra serbi ed albanesi sulle reciproche esigenze e posizioni, e per trovare utili strade comuni per risolvere il conflitto senza violenza.
Ma uno dei progetti più importanti portati avanti dall’Ambasciata di Pace che nel frattempo si era potuta aprire a Pristina, grazie al contributo fondamentale della Campagna per l’Obiezione di Coscienza alle Spese Militari (prima quella italiana e poi anche quella internazionale), era quello di contribuire alla ripresa del dialogo tramite scuole ed Università, attraverso la tecnica della cosiddetta triangolazione. Questa prevedeva che delle scuole italiane, alcune delle quali avevano già aderito al progetto, oppure delle Università (le prime a rispondere positivamente a questa proposta sono state l’Università di Firenze, nella quale insegnavo io, e quella di Lecce, in cui insegnava il Prof. Fumarola) si gemellassero con una scuola serba ed una albanese, e corrispettivamente, per l’Università, con le due Facoltà, quella Statale Serba e quella Parallela, Albanese. Questo gemellaggio triangolare doveva permettere scambio di lettere, di disegni ed infine anche visite di studenti e docenti di queste diverse scuole e Università, in un primo tempo separatamente, più tardi, era la nostra speranza, anche mettendo insieme le scuole e le Università delle due diverse etnie. L’auspicio del progetto era quello di contribuire, sia pur a livello di base e non di vertice, al ristabilimento della comunicazione reciproca, al superamento di almeno alcuni dei più radicati pregiudizi, ed allo scambio e confronto dei differenti punti di vista. A latere avevamo fatto anche un progetto della costituzione, a Pristina, di un Circolo di Cultura Italiana (più tardi allargato all’idea di un Centro Europeo), dato l’estremo interesse che avevamo trovato sia nei serbi che negli albanesi di imparare la nostra lingua con l’idea di utilizzare la lingua per lo stesso scopo di aprire canali di comunicazione e comprensione reciproca. Inizialmente l’insegnamento della lingua sarebbe avvenuto, o in una nostra sede, o presso le due distinte Facoltà, ma si sperava, in seguito, di poter mettere insieme gli studenti delle diverse etnie con una maggiore conoscenza dell’italiano, per vedere una serie di film di nostri registi, molto apprezzati da entrambi i gruppi, e poterne discutere tutti insieme. In una relazione che ci è stato chiesto di fare al Parlamento Europeo abbiamo chiesto che, invece che esclusivamente italiano, questo fosse un “Centro di Cultura Europea”, in modo analogo a quello che avevano aperto a Pristina gli USA. Questi progetti sono restati, almeno in parte, lettera morta dato che i direttori delle diverse scuole od anche il Rettore dell’Università Statale Serba rimandavano la decisione alle autorità superiori e queste- malgrado vari incontri nostri a questo livello con i ministri dell’Istruzione e degli Affari Esteri - non hanno mai dato una risposta definitiva. Ma nel frattempo la prima persona incaricata di aprire l’Ambasciata di Pace e che aveva molto lavorato per trovare queste occasioni di dialogo a livello delle scuole elementari e medie, Massimo Corradi, era stata espulsa dal Kossovo e dalla Serbia dalla Polizia Serba, lasciandogli solo il tempo di una settimana, con il divieto di tornare per un anno. Ufficialmente la motivazione era quella che non aveva permesso di soggiorno per lavoro, richiesto ma non concesso, di fatto perché aveva rapporti con le scuole albanesi considerate dai serbi “illegali”. Non molta maggiore fortuna abbiamo avuto io e mia moglie, andati a sostituire il primo Ambasciatore di Pace, perché malgrado tante belle parole detteci ai ministeri di Belgrado non è mai arrivato né il permesso di soggiorno (perciò abbiamo dovuto, per due anni, fare avanti ed indietro dall’area mai superando il periodo di tre mesi che faceva scattare l’esigenza del permesso di lavoro) né l’autorizzazione a portare avanti il progetto universitario, per realizzare il quale avevo ottenuto dalla mia Università prima un anno e poi un altro di congedo per studio. La ragione di queste resistenze c’è stata detta chiaramente dal Segretario agli Affari Esteri della Serbia - chiamato così ma di fatto il vero e proprio Ministro degli Esteri dato che quello Federale non contava quasi niente - in uno dei vari colloqui con lui avuti, e nel quale si era più sciolto: “di mediatori ne abbiamo anche troppi”, “preferiamo che le persone straniere non si intromettano nei nostri rapporti con la popolazione albanese”. Infatti, questa è sempre stata la tesi delle autorità serbe, “il problema del Kossovo è un problema interno della Jugoslavia e gli stranieri non ci devono mettere il naso”. Alla fine, dopo essere stati ancora una volta all’Università Serba di Pristina per parlare con il Rettore, e dopo che lui ci ha sbattuto la porta in faccia (il plurale è dovuto al fatto che in quel viaggio, nel marzo 98, c’eravamo sia io che Pietro Fumarola) ci siamo dovuti accontentare di avere la firma per il gemellaggio dei Rettori dlle Università di Firenze e di Lecce e dell’Università Albanese di Pristina. Per fortuna il Ministero dell’Istruzione Italiana, che aveva deciso di dare un contributo economico per il progetto originario, ha accettato che il progetto venisse modificato e ridotto perciò alla collaborazione tra queste due Università e quella Albanese del Kossovo. Ed è questa che è stata la base economica su cui si è poi sviluppato il Convegno di Lecce di cui riportiamo gli atti in questo libro.
Ma qualche cosa di più c’è da dire sul progetto del Centro di Cultura Italiano a Pristina. L’Università di Firenze, ed in particolare l’allora Facoltà di Magistero (ora trasformatasi in Facoltà di Scienze della Formazione), aveva deciso di dare un contributo alla costituzione di questo Centro stanziando una somma che ha permesso l’acquisto di molti libri della cultura classica italiana. Purtroppo mentre stavamo portandoli a Pristina, durante la tappa a Belgrado, c’è stata rubata la macchina (di un volontario di Trento che stava portando del materiale per gli handicappati del Kossovo), con la scatola dei libri dentro. Secondo informazioni riservate avute i ladri erano degli amici di Arkan che rubano le macchine straniere per poi rivenderle oltre la frontiera, e procurarsi così i soldi per l’acquisto di armi che poi usano per le loro scorribande. Inoltre un personaggio influente del Ministero degli Esteri Italiano, cui c’eravamo rivolti per appoggi all’iniziativa, ci ha fatto capire chiaramente che l’Italia era più interessata a mantenere buoni rapporti commerciali con Milosevic che occuparsi dei problemi degli Albanesi del Kossovo, così il progetto non si è potuto sviluppare nella sua pienezza. Ma altri libri non rubati ed una serie di cassette di film italiani sono stati da noi dati ad un circolo giovanile, presso la Chiesa Cattolica di Pristina, in cui veniva svolto anche, da volontari, prima degli atttuali tragici avvenimenti, l’insegnamento della lingua italiana, e questo è servito a potenziare il loro lavoro ed a dar vita ad un primo nucleo, pur imperfetto rispetto al progetto dato che questi erano esclusivamente di nazionalità albanese, di giovani interessati ad imparare la cultura e la lingua del nostro paese.
In complesso però il nostro sforzo non è stato del tutto inutile. Sia per tutto il lavoro portato avanti dalla CSNK per far conoscere ai politici, agli amministratori comunali, ed al pubblico più vasto i problemi di questa area, di cui parla la coordinatrice della Campagna Etta Ragusa nel suo intervento, sia per il fatto di aver aiutato altri gruppi che avevano obbiettivi simili al nostro. Un esempio di questo è la Comunità di San Egidio di Roma che è riuscita a far firmare a Milosevic ed a Rugova un accordo per la normalizzazione del sistema scolastico nel Kossovo. Gli amici della Comunità infatti, che hanno poi aderito alla nostra Campagna, ci hanno ringraziato per le informazioni sul nostro lavoro che l’Ambasciata mandava in giro periodicamente con i resoconti delle varie interviste svolte. Queste relazioni , a detta loro, li hanno facilitati nel lavoro di mediazione e di raggiungimento di un accordo. Ed infine perché da questo lavoro è scaturito anche il Convegno di Lecce, che è stato un momento di confronto franco tra serbi ed albanesi e tra persone che, anche su altri problemi, come quello dell’accoglienza in Italia degli immigrati, la pensano in modo radicalmente diverso.
Ma come antecedenti del Convegno di Lecce c’è da dare atto di altri due momenti che sono serviti a mettere a punto il progetto stesso. Il primo è stato, a Firenze il 14 maggio 1998, l’incontro con il Direttore del Centro Studi Strategici dell’Università di Belgrado, il Prof. Vratroslav Vekaric. Questi è stato invitato dalla Pro Rettrice dell’Università di Firenze, Prof.sa Fuscagni, docente di Archeologia, a parlare sul ruolo dei miti nello sviluppo della guerra jugoslava. La relazione da lui presentata in quella occasione, in italiano, è sembrata a me ed a mia moglie molto interessante ed utile a capire meglio il conflitto della Jugoslavia in generale, e quello del Kossovo in particolare. Con l’accordo della Prof.sa Fuscagni e del Prof. Vekaric la proponiamo perciò ai lettori di questi atti:

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Breve introduzione del Prof. A. Donno

Saluto del Prorettore dell’ Università degli Studi di Lecce, Prof. M. Signore.

“Benvenuti nella nostra città di Lecce. Il Rettore dell' università avrebbe voluto venire personalmente a salutarvi, purtroppo per questa mattinata è impegnatissimo. Comunque si farà vedere nel corso dei lavori di questo convegno.
In verità, no sono qui a porgere un rituale saluto ai convenuti, perché lo spessore del tema e il pathos che nel tema si nasconde richiede qualcosa di più, richiede un coinvolgimento che deve essere di tutta l’Università di Lecce.
Questo è un convegno pensato da diverso tempo, un convegno anche sofferto e devo dare atto a chi ha creduto fino in fondo a questa iniziativa del professore Fumarola, ma bisogna anche dare atto alla sensibilità di questa, ormai non più piccola, Università del sud d’Italia, che da qualche anno ha dovuto scoprire la propria vocazione, una vocazione particolare che la porta a privilegiare i rapporti con le Università del Mediterraneo e in particolare con quelle Università che da noi si attendono una presenza più incisiva, perché insieme si possano scoprire le antiche radici comuni.
Il tema del convegno è intrigante, importante, attualissimo, direi drammaticamente attuale.
Non entro, né posso entrare nel merito delle soluzioni o dissoluzioni, che non siono soluzioni politiche, soluzioni culturali che portIno decisamente a privilegiare le armi della ragione sconfiggendo la politica della ragione delle armi.
D’altra parte, essere qui insieme magari etnie diverse,culture diverse, a dialogare vuol dire che già la politica del dialogo ha vinto sulla politica del conflitto.
Noi oggi vogliamo fare di questo convegno un piccolo laboratorio, un laboratorio in cui insieme si parla, si dialoga, ci si confronta, si colgono anche le diversità, ma con l’impegno e lo sforzo di individuare tutto ciò che ci accomuna , piùttosto che ciò che ci divide.
Devo essere chiaro solo a questa condizione una Università può sponsorizzare e far proprioa un’ iniziativa di questo genere.
Noi siamo sinceramente impegnati in questa direzione, una universitas studiorum non può che essere il luogo in cui le diversità tentano di cercare un elemento di comunione, un elemento di dialogo, perciò questo convegno lo abbiamo voluto e lo seguiamo con estremo interesse.
Da parte mia, ecco qui, parlo a titolo personale, voglio dire tutta la mia attenzione per questi temi. Da sempre, insieme con il professor Pietro Fumarola con il professor Gigi Perrone e con altri amici abbiamo spinto, perché questa Università ritrovasse la sua ragione d’ essere, spingendosi verso tutte le frontiere del Mediterraneo. La Facoltà di Lingue e Letterature Straniere ha un foro linguistico privilegiato in cui la lingua albanese, per adesso, ma insieme ad tante altre lingue dei paesi Mediterranei trovano un loro spazio.
Siamo un’ Università legata certamente alla mittel Europa, ci sentiamo occidentali collegati con il cuore dell’ Europa, parliamo con Trento, parliamo con Trieste ma ci sentiamo anche strettamente legati a questo altro fronte, che è il fronte del Mediterraneo, che stiamo scoprendo sempre di più, che ci intriga, che ci impegna, credo che debba diventare la nuova frontiera della nostra Università.
Perciò Vi ringrazio di essere qui.
Vorrei fare una annotazione, qui, fra il pubblico c’è la professoressa Cecilia Santoro. Insieme alla collega Santoro abbiamo ritenuto, che anche il Rettorato, che oltre al Rettore, al Prorettore, ha una serie di delegati, che servono, appunto, per risolvere problemi particolari, avesse nella sua compagine di governo un delegato per i problemi che riguardano le Università del Mediterraneo. Cecilia Santoro sarà qui ad ascoltare tutti, a sentire i Vostri problemi, a dire anche quali sono i problemi dell’Università di Lecce.
La ringrazio per aver accettato questa delega.
Agli amici che sono qui presenti, alcuni li ho rivisti dopo tanti anni, devo dare un saluto particolare ad Alberto Gasparini, ricordando alcuni decenni fa, tanto lavoro fatto assieme. Poi è bello vedere che quel lavoro non si è disperso, per cui in un momento in cui ci si ritrova possiamo un po' rendicontare il lavoro che abbiamo fatto assieme.
Saluto tutti gli altri colleghi che sono qui ,cito gli italiani perché mi viene più facile leggere i loro nomi: Alberto L’ Abate, Don Albino Bizzotto, Don Antonio Dell' Olio, domani e nelle giornate successive vedremo altre persone, che si alterneranno in questo dibattito, in questo confronto.
Saluto tutti e consentitemi poi di mandare un saluto, so che il Rettore dell' Università di Pristina ha dovuto lasciare tempestivamente questo consesso, perché impegnato in problemi locali. Noi lo seguiamo col cuore, l' intelligenza, la cultura, sappiamo qual è la fatica di un Rettore in quella zona di frontiera. Speriamo veramente che i problemi si risolvino e che si possa aprire con il Rettore di Pristina, abbiamo già rapporti con un po’ tutte le Università del Mediterraneo, un discorso più costruttivo e si possa pervenire dalle discussioni, dai dialoghi, dai colloqui, anche a decisioni che siano di vantaggio sia per la nostra Università di Lecce che per queste altre Università sorelle. Vi ringrazio ancora di essere qui, spero di poter tornare ad ascoltare qualche relazione e ridò la parola al nostro chairman”.

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PROF. A. DONNO :
“ Grazie professor Signore. Ora do la parola al professor Oronzo Limone, Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, prego.

Saluto del Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Prof. O. Limone

Cari studenti, carissimi colleghi e colleghe, quando due anni fa la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere è sorta, nell' Università di Lecce, ci è stato chiesto di costruire un organico e molti di noi hanno abbandonato precedenti collocazioni culturali, perché credevano e credono in una svolta dinamica, originale, aperta - come ha detto il collega Mario Signore - verso il Mediterraneo. Con questo obbiettivo, con questo programma, la Facoltà ha iniziato i propri lavori.
E’ forse ora il momento di fare il primo consuntivo, abbiamo oggi la soddisfazione di poter vedere che il risultato di quegli sforzi ha avuto successo negli studenti.
Abbiamo attivato tutte le lingue del bacino del Mediterraneo, dall' albanese al neo-greco, all'ebraico, l' arabo, il portoghese, il turco, ieri è stato assegnato l' ultimo incarico di Lingua e letteratura turca, oltre alle lingue come spagnolo e francese.
Siamo un' Università che si presenta sullo scenario nazionale ed internazionale con questo preciso compito: di essere Mediterraneo-centrica, ma di non abbandonare la sua vecchia tradizione eurocentrica.
Non ci siamo limitati all' attivazione degli insegnamenti, siamo andati al di là grazie a sforzi comuni che l' intero Ateneo ha fatto, ma soprattutto grazie al fatto che il Rettore dell' Università ha creduto in questo progetto, siamo riusciti ad intercettare risorse europee e attiveremo fra poco un master di operatori culturali nel Mediterraneo il primo di tal genere in Italia.
Tutto questo vede direi quasi come protagonista il popolo albanese all' interno della nostra Università. La lingua albanese, la cultura albanese ha ben tre insegnamenti attivati a Lecce nella Facoltà di Lingue, oltre a Lingua e letteratura albanese, Filologia albanese e Dialetti albanesi dell' Italia meridionale; i colleghi sono qui in sala e li saluto, li ringrazio anche per il loro sacrificio costante e per il fatto che hanno dato veramente un apporto sostanziale a questo progetto, oltre agli altri docenti che ci hanno onorato della loro presenza.
Vorrei solo dire due parole, avevo in animo di dire qualcosa di più, ma ormai il tempo stringe, vorrei dire che il legame tra questi due paesi, la soluzione dei problemi del Kosovo passa sicuramente, prioritariamente, attraverso una soluzione politica e questo è sotto gli occhi di tutti. Vorrei però aggiungere che se da parte di noi, tutti, che siamo operatori culturali e non politici o non solo politici, non c'è uno sforzo comune per trovare una strada, un binario culturale alla soluzione dei problemi del Kosovo, la soluzione politica può rischiare di restare asfittica, di non avere molto respiro. Noi sappiamo che solo dopo uno sforzo costante, progettuale, strategico, di formazione alla multiculturalità sia nel paese dei nostri amici albanesi sia qui, soprattutto, si avranno dei risultati. Bisogna ancora sensibilizzare molto il Salento, c'è molto da fare, non bastano i nostri sforzi, anche la scuola deve intervenire, il Ministero della Pubblica Istruzione, sin dalla scuola elementare bisogna sensibilizzare i nostri ragazzi all'idea che siano tutti legati allo stesso destino culturale. Bisogna trovare le matrici comuni e ciò che ci unisce, è troppo facile trovare ciò che ci divide, altri lo fanno e lo fanno molto bene, a noi spetta il compito di trovare ciò che ci unisce e questo legame di unione, di fusione, lo possiamo trovare solo attraverso uno sforzo costante di promozione della multiculturalità e della multietnia. E’ su questa linea, che mi auguro, che l' Università di Lecce e la Facoltà di Lingue possano continuare a lavorare. Questo convegno è la dimostrazione che su questa strada siamo già avviati.
Mi auguro che questo convegno, organizzato interamente dal collega Fumarola - noi abbiamo fatto molto poco, abbiamo dato solo il nostro apporto -, che insegna Sociologia delle relazioni internazionali nella nostra Facoltà, possa essere un punto di partenza, non un punto di arrivo, di un lungo cammino che ci troverà insieme.
Grazie”.

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PROF. A . DONNO :
“Grazie professor Limone, ed ora l’ ultimo saluto del professor Abdullah Sejnullahu, delegato del Rettore dell’ Università di Pristina, prego”.

Saluto del delegato del Rettore dell’Università di Pristina.

Gentili Signori,
permettetemi di salutare a nome del professor Zenel Kelmendi, Rettore dell' Università di Pristina, che è stato invitato come ospite a questa conferenza .
Il Rettore è stato in questi giorni in visita qui in Italia, gli incontri che egli ha avuto presso l’ Università del Politecnico di Milano e l’ Università di Firenze si sono rivelati molto utili, poichè ha avuto l’ opportunità di stipulare accordi di collaborazione.
Il Rettore è stato però obbligato a ritornare subito in Kosovo per motivi urgenti di lavoro; egli, tuttavia, mi ha incaricato di esprimervi la sua convinzione che la cooperazione con le Università italiane, in generale, e con l' Università degli Studi di Lecce, in particolare, è di singolare importanza. L' Università di Pristina manterrà un contatto continuo con l' Università di Lecce, crediamo e speriamo che presto si potrà realizzare una visita come quella che abbiamo fatto presso le altre Università italiane di Milano e di Firenze.
Per chiarire, in fine, ulteriormente alcune cose, vi riferisco le parole del professor Kelmendi che è stato invitato a questa conferenza soltanto come ospite: l' Università di Pristina non è stata promotrice ed organizzatrice del convegno, ma collabora alla sua realizzazione ed è presente ai lavori con i suoi professori partecipanti e solo così essa può essere presente in questa conferenza.
Vi auguro buon lavoro.

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