“Who Cares? I Care!”
Considerazioni sulla camminata a “fisarmonica”

Nei due giorni a Prishtina siamo riusciti a fare tre cose distinte:
1. La visita in delegazioni a tutte le realtà presenti serbe e albanesi
2. Il simposio sui diritti umani all’università albanese
3. La marcia silenziosa a “fisarmonica”
Le prime due cose possono essere considerate dei lavori che tendono verso un ricomponimento del cft in una forma di dialogo. Quindi questi tipi di lavori, facilmente associabili al progetto dell’operazione colomba, sono da considerarsi di mediazione e riconciliazione.
Anche la marcia aveva questo obiettivo. Noi con la marcia volevamo ricordare tutte le vittime e “tutti i diritti umani di tutti”, serbi e albanesi. Purtroppo questo non è stato capito e le autorità serbe non hanno dato l’autorizzazione. È chiaro che il terzo punto ha una connotazione più pubblica, ha le caratteristiche di una manifestazione, di una azione diretta nv, e quindi era evidente che avrebbe trovato, da parte della polizia, una attenzione più morbosa. Ora diventa importante fare un’analisi sulle possibili alternative che potevamo mettere in campo non tanto per cercare delle fantomatiche colpe, ma quanto di trovare degli insegnamenti per le future ADN nelle interposizioni di cft internazionali. In questa prospettiva credo che il terzo punto, comunque si pensasse, sarebbe stato in tutti i modi difficoltoso. Forse, una possibile variante poteva essere quella di indirizzarsi verso un’idea che rendeva evidente un coinvolgimento delle parti (serbe e albanesi) e noi eravamo l’azione di ponte che rendeva visibile i loro lavori. Un esempio concreto poteva essere quello di raccogliere dalle visite in delegazioni dei messaggi sui diritti umani, noi poi avremmo richiesto l’autorizzazione solo per essere lo strumento di “ponte” per distribuire i fogliettini alla gente.
Con la polizia si spiegava che gli scritti erano anche dei serbi e che il ns intento era quello di far capire che i diritti umani sono di tutti, anche dei serbi. L’idea aveva la capacità di far lavorare i 220 partecipanti anche senza che necessariamente fossero tutti insieme. Cioè l’azione riusciva anche senza la necessità della visibilità del gruppo compatto come in una marcia, e questo poteva essere un altro elemento da giocare con la polizia.
Sempre su questa linea un’altra cosa fantasiosa poteva essere il lancio in aria di palloncini con dei messaggi raccolti nel giorno precedente. Certo a far cavalcare la fantasia siamo bravi tutti, ma l’atteggiamento della polizia sarebbe stato in tutti i modi lo stesso? Quasi sicuramente, si! L’occasione pubblica dà comunque fastidio al regime di Belgrado e ai suoi organi istituzionali (ovviamente sempre che non siano sfacciatemente a loro favore). Il clima attuale nel Kossovo, fa spostare la percezione (di simili azioni pubbliche) della gente in un messaggio di denuncia e quindi di sfida nei confronti dei serbi. Ecco che quindi, non c’era molto spazio a idee alternative alla marcia, se non magari quell’unico tentativo (forse illusorio) di ricercare qualcosa nella direzione di un’azione di “ponte”.
Per alcuni, soprattutto nella gestione della marcia a “fisarmonica”, c’è stata troppa arrendibilità nei confronti della polizia. È stato scelto di avere un atteggiamento, in ogni caso, improntato alla collaborazione, per non compromettere il lavoro che i volontari stanno facendo con il progetto dell’operazione colomba nelle zone di cft in Kossovo. In tutti i modi è stato molto utile attenerci alle disposizioni della polizia, perché il camminare in fila per due (tenendoci per mano, in silenzio e in gruppetti di dieci persone distanziati tra loro) ha trasmesso, tra le strade che abbiamo percorso, la sensazione che anche se si costringe a rispettare i divieti non si riesce a fermare la volontà di comunicare un messaggio alla gente.
Durante la “camminata” (anche se non c’era da pare ns. molta preparazione) abbiamo visto la polizia “impazzire”, non sapeva più cosa inventarsi: ci divideva in gruppi sempre più piccoli e distanziati tra loro, ma con i semafori e gli incroci la distanza tra un gruppo e l’altro si riduceva e rendeva la marcia più grande ed evidente di quel che era. Certo rimane il rammarico di non essere passati per il centro di Pristhina, ma di averlo sfiorato, però per questo ci ha pensato il monaco buddista giapponese che si è fermato per tre ore in preghiera nella piazza centrale della città facendo fermare tutta la gente che incuriosita sopraggiungeva.
Rimane, in ogni caso, il dubbio se ci si poteva permettere di essere un po’ meno tempestivi nell’avvisare la polizia di ogni passo che intendevamo fare.
Ecco che allora ci si può chiedere se in simili occasioni non sia utile avere anche delle forze autonome che abbiano più libertà di azione e che non siano assoggettabili a compromessi con le autorità preposte. In effetti un gruppo indipendente (da qualsiasi collegamento con associazioni che lavorano in Kossovo e che comunque non ha intenzione di lavorare in loco), è più libero di scegliere l’azione migliore da attuare senza dover essere soggetti a compromessi con le autorità.
Ovviamente, il ns. (di “I care”) atteggiamento di mediazione e collaborazione con le autorità, resta l’approccio più giusto e migliore per lavorare sugli obiettivi (mediazione e riconciliazione) che ci siamo posti. Però può essere molto utile l’esistenza di questi gruppi indipendenti, perché facendo delle ADN possono essere il “volano” (e anche di sostegno, di coscientizzazione) della ripresa delle attività dei gruppi locali che agiscono con la lotta nv. Chiaramente in zone di cft (come appunto il Kossovo) diventa difficile riuscire ad avere grosse libertà di manovra e quindi questi gruppi autonomi devono considerare che (oltre alla difficoltà di entrare nel paese) quasi sicuramente le persone che partecipano ad una ADN saranno soggetti ad espulsione. Questa apparente fragilità di operare alla fine può provocare una risonanza nell’opinione pubblica.
Un ultima considerazione è per il concerto che si doveva fare nella serata del 10 dicembre. Oltre ai motivi tecnici, il concerto non si è svolto perché non siamo riusciti a trovare degli artisti disposti a suonare a Prishtina. Probabilmente abbiamo pensato a organizzare un concerto, perché ci sembrava il modo migliore per far interessare i mass-media. Questo è stato uno sbaglio! Dobbiamo pensare di fare le azioni perché lascino il segno nel luogo di conflitto e non perché ne parlino a casa, (anche se siamo tentati a vederlo come il metro della valutazione del successo dell’iniziativa). La ns “devianza” verso un gesto eclatante che facesse parlare i mass-media ci ha distolti sul cercare altre più proficue idee da realizzare nella serata del 10.
Durante la marcia a “fisarmonica” un serbo si è avvicinato e ha detto: “Io sono serbo, però sono con voi.” Questo fa pensare che sarebbe possibile far cadere il castello di carta che il regime ha costruito… forse siamo noi quelli impreparati e che riusciamo appena a pronunciare qualche sillaba della linguaggio nonviolento che in futuro accomunerà tutti i popoli.

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