Il 6 dicembre 1998 ci recammo a Bari, punto da cui sarebbe partita liniziativa dei Beati costruttori di pace in Kosovo come gruppo di ricerca del prof. Fumarola dell Università di Lecce.
I Beati avevano organizzato un training per prepararci allazione a Pristina, che aveva come finalità una lotta non violenta per il rispetto dei diritti umani fondamentali.
IL gruppo di coordinamento lavorò per due giorni, distribuendoci delle dispense e impiegando metodi creativi sui quali molti rimasero perplessi.
Il nostro gruppo in particolare riteneva superflui diversi punti di queste metodologie, che somigliavano a terapie di comunità e non stimolavano alcuna analisi scientifica del contesto kosovaro.
Inoltre la nostra impressione era che il timore riguardo alla situazione che avremmo potuto trovare si stesse accrescendo molto più del necessario.
Il metodo decisionale scelto dagli organizzatori fu quello del consenso, nel quale l importante è che la decisione sia presa da un gruppo di persone in possesso delle medesime informazioni.
La decisione si dichiarava presa in caso di accordo unanime, altrimenti si dava luogo ad un dibattito che avrebbe dovuto riavvicinare le parti in disaccordo.
Il Gruppo di coordinamento si riservava la facoltà di prendere le decisioni veloci e quelle relative alla marcia del 10 a Pristina, che aveva già una sua impostazione.
Ci vennero elencati i presupposti per raggiungere la finalità della non violenza e le caratteristiche dellindividuo che la persegue.
Lelaborazione dei concetti trasmessi dal Gdc fu diversa nei diversi Gruppi di affinità, unità nei quali fummo ripartiti.
Ogni Gda era costituito da quindici persone che riferivano le loro decisioni al Gdc per mezzo di uno speaker.
La struttura dellorganizzazione era più complessa, ma limpressione che ricevemmo era che pochi intendevano soffermarsi sui processi storici e culturali che avevano generato il conflitto tra serbi e albanesi.
Il training si concluse con una fiaccolata nel centro di Bari prima di imbarcarci per il Montenegro. Il viaggio durò quasi una giornata intera.
Arrivati a Pristina si delinearono in unassemblea i programmi relativi al giorno seguente, che avrebbero interessato i singoli Gda in diverse attività.
Lobiettivo della carovana dellazione era invece una marcia di pace preceduta da un simposio nelluniversità albanese, prevista per lultimo giorno della nostra permanenza in Kosovo.
Lattività del nostro Gda era mirata ad una serie di incontri nellambito universitario serbo e in quello albanese.
Nella prima mattinata trascorsa a Pristina fummo ricevuti dal presidente della Student Union Independent, che avvenne in un edificio privato.
Con lui cerano altri tre ragazzi che ci diedero una meravigliosa ospitalità fino al nostro rientro in Italia. Ci spiegarono il problema della situazione kosovara fin dalle sue radici, elencandoci una serie di date storiche alle quali sono legati importanti avvenimenti. Cercherò di riassumerli.
Nel 1931 la popolazione albanese fu divisa tra Albania, Macedonia e Kosovo per scongiurare la possibilità di un avamposto musulmano sui Balcani.
Nel 1958 nacque a Pristina la prima università serba.
Nel 1968 vennero fondate altre università serbe.
Nel 1971 nacque la prima università albanese.
Nel 1991 il regime di Milosevic dichiara illegale luniversità albanese e sequestra gli edifici.
Nel 1996 vennero stipulati degli accordi che prevedevano la restituzione degli edifici universitari sequestrati dai serbi, che avevano concesso soltanto una struttura per 23.000 studenti albanesi.
Dopo due anni questi accordi non erano ancora stati rispettati e molti di questi studenti dovevano utilizzare edifici privati o occupati, vedendosi preclusa la facoltà di accedere anche alluniversità serba.
Linsegnamento della lingua albanese era ancora proibito e fuori da Pristina le granate radevano al suolo anche le case, con gli abitanti di quelle zone costretti a vivere in tendopoli con temperature invernali che unite alla fame uccidevano.
I ragazzi ci spiegavano la nascita dellUCK con unesigenza di fermare questo massacro dopo otto anni di passiva immobilità di Rugova.
Il rettore albanese, che incontrammo in unaltra aula privata, descriveva la situazione negli stessi drammatici termini.
Dopo pranzo dovemmo dividerci in due gruppi, dato che non tutti saremmo potuti entrare nel rettorato serbo.
Io e il mio gruppetto non ci recammo al rettorato serbo, per cui posso solo riferire sulle relazioni di alcuni compagni.
La struttura adibita a rettorato era lussuosa, con costosi pezzi di arredamento e particolari molto curati. La sala ospitava autorità e giornalisti serbi. Laccoglienza di facciata fu molto cortese, era possibile chiedere del caffè o altre bevande.
Durante lincontro latmosfera era teatrale, visto che il rettore serbo evitava di discutere di situazioni specifiche e badava a rassicurare i presenti riguardo allaggressività del regime.
Io ero rimasto con gli studenti albanesi e mi resi conto invece nel clima nel quale la polizia serba li teneva.
Largomento generava per forza una contraddizione che affiorò inevitabilmente durante il simposio del giorno seguente nelluniversità albanese.
Il Gdc insisteva sullimportanza della non violenza, perché la violenza genera altra violenza, ma nella retorica non fu analizzata alcuna teoria né fatta alcuna proposta per una soluzione concreta.
Nel suo intervento il prof. Fumarola espose uno dei punti sulla teoria sui conflitti di Alberto LAbate, secondo il quale la non violenza può portare ad unintesa soltanto nel caso in cui il conflitto è simmetrico, cioè le due parti hanno lo stesso potere. Se il conflitto è squilibrato, la parte più forte tende a sovrastare laltra, senza possibilità di trattative.
Il nostro gruppo di ricerca affrontava questi studi nellambito universitario di Lecce.
Il prof. Fumarola fu duramente attaccato e accusato di privilegiare i suoi interessi e non il programma dei Beati costruttori di pace.
Il senatore Gallo e Don Albino Bizzotto chiusero il simposio.
Nel giorno del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti umani fondamentali la polizia serba ci negò quello di manifestare e si decise di evitare una possibile situazione di disagio.
La manifestazione per i diritti di un popolo oppresso si svolse con una silenziosa passeggiata di gruppetti di sei persone distanziati di quindici metri tra loro, dando unaria di rassegnazione che ci rese quasi buffi.
Il malcontento sembrava unanime, ma pochi sapevano che Don Albino commentava euforico la nostra azione, dicendomi: "E incredibile, li abbiamo messi in difficoltà, per loro diventa un tormentone!"
Riteneva proprio opportuno prolungare gli otto anni di non violenza passiva degli albanesi.
Nellassemblea che si svolse in serata si sprecavano i rimpianti per unazione tanto inefficace dopo un viaggio così lungo.
Dopo aver fatto altra retorica sulla non violenza qualcuno decise di criticare ancora lintervento del prof. Fumarola.
Ma con lui noi la non violenza la studiavamo riconoscendole il suo valore.
Ritengo opportuno riportare uno dei principi degli schemi di Wehr, accreditato sociologo che li presento al seminario sulla risoluzione dei conflitti. Il principio è quello di muovere il conflitto di relazione a difesa di più uguale distribuzione di potere, dare potere alla parte più debole.
La non violenza può dare un importante contributo nella risoluzione dei conflitti, ma se chi la predica ne attacca i principi otterrà soltanto che si incrementi labisso tra teoria e realtà.
Abissale è anche la divergenza tra lottica serba e quella albanese, anche al di fuori delle istituzioni. Col proposito di darne unidea, dopo aver già parlato dellauspicio degli albanesi in una convivenza, voglio concludere con un dialogo del Prof. Fumarola con un ragazzo serbo nel Grand Hotel di Pristina. Il ragazzo era armato di pistola e Fumarola gli chiese "perché non siete disposti a trovare una soluzione pacifica con gli albanesi?" il ragazzo rispose "perché sono tutti terroristi! Dobbiamo cacciarli via dal Kosovo". "Ma le donne e i bambini cosa centrano? Anche i bambini sono terroristi?" "Adesso non lo sono ma tra 15 anni lo saranno".
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