DERIVE KOSOVARE
di Prof. Pietro Fumarola

Preambolo
Il primo incontro tra le Università di Lecce e quella albanese di Pristina risale al 1993.
In quella occasione fu presente a Lecce il rettore Eljup Statovic e quattro docenti della Università di Pristina. Fu quella anche l’occasione in cui per la prima volta si propose un tema di discussione pubblica sul ruolo e lo spazio della non violenza in Kossovo e si avanzò il progetto di una carovana pacifista verso Pristina.
Per varie documentate ragioni (P. Fumarola, Kaleideoscopi albanesi, in Studi e Ricerche, Milella, Lecce 1996) quell’incontro segnò un fallimento sia della prospettiva di collaborazione interuniversitaria, sia dell’ intervento pacifista a Pristina. Da quel momento l’ interesse per la situazione delle Università Kossovare si è mantenuto e consolidato solo grazie all’ iniziativa di singoli ed in particolare di un gruppo pacifista che si auto-organizzò col nome di "Campagna Kossovo", di cui fece parte il prof. A. L’ Abate dell’ Università di Firenze, il quale per circa due anni fu a Pristina e con un’ osservazione partecipante attiva ( Ambasciata di pace ) seguì lo sviluppo del conflitto etnico.
Nel 1996 il MURST autorizzò con una sovvenzione di £. 30.000.000 un progetto ed una convenzione interuniversitaria Lecce-Pristina. L’accordo fu siglato dai rettori Prof. A. Rizzo di Lecce e Il Prof. E. Statovic dell’ Università albanese di Pristina, considerata "illegale" dai serbi.
Fu un fatto simbolicamente significativo. poiché in qualche modo rappresentò un riconoscimento da parte del nostro Ministero dell’ esistenza di quella Università.
Con l’ Università serba di Pristina non fu possibile alcun accordo né alcun dialogo, avendo l’ allora rettore Prof. Papovic rifiutato, almeno in due occasioni, perfino di incontrare chi scrive ed il prof. L’ Abate.

Il Kossovo tra guerra e soluzioni politiche del conflitto: I Care!
E’ stato questo il titolo del convegno internazionale organizzato a Lecce il 12, 13, 14 Novembre 1998 con i fondi resi disponibili dal Ministero dell’ Università. Il convegno fu concepito come una prima sessione di lavoro con serbi, albanesi del Kossovo e membri giunti da varie Università in rappresentanza del mondo internazionale della non violenza e del pacifismo. esso fu interamente progettato come parte dell’ Iniziativa "I Care!" che prevedeva, tra l’ altro, una seconda sessione di lavoro a Pristina, in occasione della marcia proposta e poi realizzata con 220 persone il 9 e 10 dicembre 1998.
Sono in preparazione gli atti di quel convegno il cui interesse non è solo relativo ai contenuti del dibattito, ma anche il fatto di aver messo a confronto per ogni sessione dei tre giorni di lavoro, un serbo ed un albanese, i cui rispettivi punti di vista, di volta in volta diventavano argomento di riflessione e su cui si apriva un dibattito. Dopo molti anni si è realizzata così la prima esperienza di confronto tra l’ intellettualità ed il mondo universitario serbo ed albanese.
Abbiamo avuto la netta impressione che da parte delle istituzioni governative e diplomatiche italiane si è voluto tenere sottotono questa iniziativa che, nonostante ciò, ha raggiunto i suoi obiettivi coinvolgendo anche le amministrazioni pugliesi regionali e cittadine.

La formazione come rito d’iniziazione alle lotte non violente.
Dopo il convegno un gruppo di studenti (17) e due docenti dell’ Università di Lecce hanno chiesto ed ottenuto di potere aderire al progetto "I Care !" ed alla marcia verso Pristina. E’ stato così concesso dall’ Università do Lecce un contributo di £. 5.000.000 con cui si sono coperte le spese di adesione previste dagli organizzatori del progetto per il viaggio degli studenti a Pristina.
E’ stata coinvolta l’ Amministrazione Provinciale di Lecce, presente alla marcia con il Dott. Preste, Consigliere di maggioranza delegato a rappresentarla.
Il giorno 6 Dicembre ci siamo presentati a Bari, allo stadio della Vittoria, dove si è svolto per due giorni un training di formazione. Per circa la metà dei partecipanti (un centinaio su 220) c’era già stato un primo incontro di due giorni a Bologna, tra i 22 leccesi presenti solo un paio avevano esperienza di training di formazione alla non violenza ed avevano operato in zone di guerra, per gli altri, di età non superiore ai 23, 24 anni, si trattava del primissimo approccio a queste pratiche.
Nel gruppo aleggiava una giustificata preoccupazione per lo sviluppo della situazione e d un clima di incertezza rispetto alla marcia a Pristina dovuto al fatto che ancora non si sapeva:
a) se sarebbe stato possibile attraversare la "frontiera" tra Montenegro e Kossovo,
b) se sarebbe stata autorizzata la marcia,
c) se e dove fare il simposio,
d) dove alloggiare.
Nonostante la preoccupazione e l’ incertezza diffusa il primo impatto con il training e la formazione è stato caratterizzato, nel gruppo dell’ Università di Lecce, da un atteggiamento di sufficienza come razione alla rigidità delle regole. Ho l’ impressione che questo atteggiamento sia stato generalizzato almeno per il primo giorno, già il secondo una buona metà del gruppo sembrava più coinvolto, interessato ed attivo.
Si è sviluppato un reale interesse per le forme organizzative ed in particolare per il G. d. A. (Gruppo di Affinità).
Si sono creati due gruppi:
a) Università senza Frontiere,
b) Osservatorio sulle migrazioni.
Al primo aderirono gli studenti di Sociologia delle Relazioni Internazionali di Lecce ed altri studenti di Bologna, Palermo e Milano, al secondo gli studenti di Sociologia delle Relazioni Etniche.
L’ impressione che si è avuta è stata che l’ omogeneità di questi gruppi, i loro interessi e le loro motivazioni sono state generalmente vissute come un elemento di differenziazione negativo dal resto della carovana, ma non in tutti i casi.
Numerosi intrecci di comunicazione e varie forme di solidarietà si sono manifestate già nel corso dei due giorni di formazione a Bari e, come spesso accade, nei momenti di socialità non funzionalizzati al training ed alla formazione.
Il giorno 7 Dicembre, i formatori hanno tratto spunto da un lungo ritardo, più o meno motivato, di chi scrive, del gruppo dell’ Osservatorio migrazioni e di qualche altro studente leccese per una riflessione collettiva, in assemblea plenaria, sulla necessità di comportamenti omogenei, sull’ obbligo della puntualità, della responsabilità collettiva, ecc. .
Si è creata così una situazione in cui da una parte si è vissuta e percepita questa discussione come un processo di "criminalizzazione" e comunque di colpevolizzazione; dall’ altra si sono costituiti gli elementi per la formazione di un pregiudizio, che, nel corso dei giorni successivi, ha funzionato come schema relazionale non verificato di volta in volta ed a seconda delle situazioni concrete.
Si è prodotta una distorsione nei processi di comunicazione di cui si potrebbero fare numerosi esempi.
In complesso, comunque, si può dire che il modello di formazione proposto ed attuato è stato di grande efficacia: non si è trattato solo di un rito d’iniziazione, cioè di un primo impatto con le lotte non violente, ma si è sviluppato in parte anche come un T. Group capace di formare e d educare alle dinamiche di gruppo, di esplicitare i conflitti latenti, di orientare o far capire, quanto meno, il metodo delle decisioni consensuali e dell’ autogestione ecc. .
E’ stata, per quanto mi riguarda e per le mie esperienze in merito, una lezione di psicosociologia vissuta e partecipata.
Qualche riflessione critica andrebbe fatta sull’ opportunità di predisporre dispositivi di documentazione generale più "scientifici" di queste esperienze, uniche, rare e preziose nel loro genere non solo per la "storia della non violenza", ma anche per permettere a posteriori una riflessione più puntuale e documentata, utile proprio allo sviluppo dei metodi ed alle occasioni di formazione.
Su questo abbiamo discusso nel gruppo Università senza Frontiere dei nostri limiti e dei nostri errori, ma varrebbe la pena di renderle una riflessione critica allargata e generale.
Nel merito dei conflitti e delle divergenti opinioni emerse durante le assemblee plenarie in riferimento alla concreta esperienza di lotta non violenta di I Care! a Pristina. si può dire che forse, proprio perchè "iniaziandi", nel gruppo di Università senza Frontiere non ci è sembrato molto importante nè essenziale aver rinunciato a forzare in qualche modo i dispositivi e gli orizzonti di azione imposti dalla polizia serba. Certo, forse gli albanesi e un certo numero di partecipanti si aspettano qualcosa di più significativo, visibile, spettacolare, ma sono convinto che le decisioni prese dal coordinamento siano state sagge, adeguate cioè alla situazione e che gli obiettivi di I Care! siano stati pienamente realizzati se si pensa al " quasi boicottaggio" delle autorità italiane, prima ancora di quelle serbe.
Le ragioni fondamentali di questo mio punto di vista sono riferite al fatto:
1° che in Kossovo è rimasta gente a lavorare in situazioni difficili,
2° che vogliamo continuare a lavorare e che non è detto che non sia necessario organizzare a Pristina altre iniziative, magari simili a questa marcia, oppure diverse, ciò non ha molta importanza; è essenziale invece che non si siano pregiudicate le condizioni per poterle realizzare.
Non sono dunque d’ accordo con molti interventi dell’ ultima assemblea plenaria a Pristina e neppure con l’ intervento conclusivo di Don Albino a questa assemblea, che motivò questo "appiattimento sulle posizioni della polizia serba" (come fu da più parti detto e "denunciato"), con il fatto di non avere a disposizione " un gruppo omogeneo", con il fatto di essere di fronte a gente che a mala pena riusciva perfino a comunicare tra loro.
C’è da pensare, invece, che le differenze siano spesso una ricchezza e che se portano qualche forma di conflitto, tanto meglio, soprattutto se questi vengono liberati e gestiti nella prospettiva del fare collettivo.
C’è invece un’ altro elemento che vale la pena considerare ed è relativo alla prospettiva generale di I Care ! in relazione alla teoria sociologica della non violenza ed alla risoluzione dei conflitti.

Equidistanza nei conflitti asimmetrici?
Il penultimo paragrafo di un importante libro di Alberto L’Abate (A.L’Abate, Consenso, conflitto e mutamento sociale, Franco Angeli, Milano 1990) ha questo titolo: Sociologia della non violenza e risoluzione dei conflitti.
Considero decisivo per chi non lo avesse letto un suo studio, poichè offre elementi teorici di base, elementari, per orientarsi nei comportamenti pratici facendo riferimento alla non violenza per la risoluzione dei conflitti. Per questa ragione appena rientrati a Lecce è la prima lettura che ho suggerito agli studenti del corso di Sociologia delle relazioni internazionali.
Sostanzialmente si distingue come base elementare di analisi dei conflitti tra quelli simmetrici (ad equilibrio più o meno instabile di poteri) e quelli asimmetrici (dove i poteri sono totalmente squilibrati). Lo schema dello squilibrio di poteri nei conflitti asimmetrici indica e sottolinea tra numerosi studiosi l’importanza e la necessità di un lavoro di empowerment, di crescita di potere dei gruppi e/o delle etnie più deboli (Sharp, Capitini, Wer).
Senza questo lavoro di riequilibrio nessun conflitto di questo tipo può trovare una risoluzione non violenta, anzi se si dovesse realizzare una qualche forma di pacificazione si configurerebbe come una "pace terrorista", un finto equilibrio nel terrore e nell’ingiustizia (pax americana).
Credo che questo dibattito vada affrontato per il Kosovo (ma non solo), nella consapevolezza che la parte albanese vada sostenuta in tutti i modi possibili e vadano esplicitate le ragioni teoriche oltre che morali di questo sostegno. Se ciò è vero in generale, ancor più cogente è la necessità del nostro sostegno alle scuole ed all’università albanese di Pristina. In questo senso non posso che riaffermare quanto ho detto in Università, sia a Lecce che a Pristina, e cioè la necessità di solidarizzare con i più deboli come precondizione per una vera risoluzione politica del conflitto in Kosovo.
Ciò ovviamente non significa essere "partigiani" degli albanesi, nè interrompere il dialogo con i serbi, ma esplicitare il proprio punto di vista, confrontarlo argomentandolo, inserirlo nella prospettiva di un dialogo (ancora tutto da costruire) tra le parti come una delle precondizioni del suo avvio verso una risoluzione non cruenta.
É bene qui ricordare che il gruppo Università senza frontiere, che con A. L’Abate ha incontrato le autorità accademiche serbe di Pristina (pomeriggio del giorno 9), ha avanzato proposte operative molto importanti e significative di collaborazione, come la possibilità di attivazione dell’insegnamento delle rispettive lingue nelle università di Lecce e Firenze (il serbo) e l’italiano presso l’università di Pristina, nonchè la costituzione di un Centro di cultura italiana ed altro ancora.
Tutto ciò nel reciproco rispetto sollecita ed aiuta il dialogo tra le parti in conflitto, ma non rinuncia al punto di vista di una terza parte che tenta, attraverso forme di interposizione e di valorizzazione simbolica, una risoluzione politica e culturale del conflitto.
Se così non fosse francamente non si capisce come ci differenzieremmo dalla diplomazia ufficiale italiana che operando nella prospettiva di una equidistanza spesso finisce con l’agevolare la parte più potente ed in definitiva l’oppressione.
Questo ragionamento generale per esempio potrebbe essere applicato a vantaggio dei serbi lì dove l’oppressione e la violenza croata e bosniaco-musulmana hanno violato brutalmente i loro diritti elementari.
In qualche modo si ripropone qui il noto slogan: "Pensare globalmente agire localmente", e su questo e sulla necessità di processi di democratizzazione e di ristabilimento del diritto di cittadinanza in Serbia che varrebbe la pena di aprire un dibattito e un confronto tra le diverse posizioni emerse tra i partecipanti di I care.

Qualche prospettiva per dare continuità ad I care
I care finora si è prodotta come un’esperienza collettiva attiva e creativa, formativa per molti versi, credibile con le parti in conflitto e sarebbe utile riprogettarla per il futuro, visto che una credibile soluzione politica del conflitto non è individuabile a breve e medio termine.
La nostra proposta di un Convegno sui conflitti etnici regionali armati dell’area europea è stata fin’ora ben accolta da kosovari e baschi, meno dai serbi dell’Università di Pristina. Siamo in contatto con i curdi e gli irlandesi ed anche a loro sembra una buona iniziativa, si spera di contattare i ciprioti. La proposta riguarda il coinvolgimento, lì dove è possibile, dell’ambiente scientifico universitario. L’obiettivo è quello di fare il punto attraverso un’analisi comparata dei modelli di soluzione pacifica (seppure ancora instabile) applicati in alcune regioni dove il conflitto etnico armato si era storicamente consolidato (Paesi Baschi e Irlanda).
Sarebbe auspicabile che questo convegno si tenesse entro la fine di Febbraio ed al progetto potrebbero essere interessati forse l’Università di Lecce, le amministrazioni locali pugliesi, ma abbiamo notizie di un concreto interesse anche del Ministero della Ricerca scientifica e dell’Università della Repubblica Macedone.
Si potrebbe dunque pensare ad una iniziativa mista marcia-convegno a Skopije per la fine di Febbraio o al massimo entro la prima decade di marzo perchè è per quel mese che si annuncia la ripresa del conflitto armato kosovaro. Nel frattempo il Salento e le sue amministrazioni nonchè l’Università leccese potrebbero sostenere e agevolare una giornata di cultura kosovara invitando a Lecce qualche leader studentesco del movimento albanese, musicisti come Skurte Fejza, un vero mito della musica popolare di quella regione; Vula, una giovane rapper ed i Minatori, un gruppo rock che usa stilemi e strumenti musicali tradizionali.

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