CONTRO LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO
di Pablo Esposito

E senza dubbio il nostro tempo...preferisce l’immagine alla cosa,
la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere...
ciò che per esso è sacro, non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità.
Ludwig Feuerbach

L’esigenza di redigere una relazione sull’esperienza da me vissuta a Pristina, in Kosovo, nasce come contrapposizione alla religione dei mass-media che sempre più distrae una società troppo proiettata verso l’apparenza del fatto, per cogliere l’essenza della repressione, della violenza, della prepotenza, ritenendole realtà inesistenti o lontane.

Bari,6-12-1998. Iniziativa "I Care" che, in occasione del cinquantesimo anniversario della dichiarazione dei diritti umani fondamentali, ha organizzato un’azione di pace in Kossovo dove ormai da otto anni le tensioni etniche segnano la vita della popolazione. Otto anni di resistenza non-violenta del popolo albanese nei confronti della repressione poliziesca attuata dal governo serbo di Milosevich.
Il ritrovo era fissato allo stadio della Vittoria, per eseguire un training che sarebbe stato d’aiuto ad affrontare la situazione che avremo incontrato a Pristina, capitale del Kossovo, meta della nostra azione. L’accoglienza è stata gradevole, affiancata da una buona organizzazione strutturale.
La singolarità dell’evento si è inizialmente manifestata quando si è palesata l’intenzione del gruppo organizzativo di effettuare un training di formazione alla non-violenza nell’arco di due giorni, forse troppo intensivo per la vastità del tema.
Sembrava che spingessero i partecipanti ad un percorso forzato sulle linee di una metodologia non-violenta, e credo che fra teoria ed azioni non fossero poche le dissonanze. Il metodo ritenuto più efficace per incarnare queto ideale , utilizzato da molte organizzazioni di questo tipo, detto "del consenso", ha un assetto chiaro ed organico, tanto che in alcuni punti sembra quasi alienante, e si discosta dai principi di non-violenza che, benchè in fase sperimentale, hanno come base anni di studi e ricerche. Infatti, stando a questo metodo, la valutazione finale in caso di conflitto pone, come risoluzione,un compromesso rispettoso delle parti, ignorando che il cosiddetto "compromesso" spesso non risolve il conflitto, ma tende a mantenerlo. L’attuazione invece, di un processo di conoscenza e di comprensione reciproca, affiancata ad una ricerca di una soluzione non rispettosa ma costruttiva per ambedue le parti ,è stata, dove è riuscita, un momento significativo per la ricerca di fini originali per la risoluzione dei conflitti.
Lo stile dell’intera manifestazione doveva essere basato sulla collaborazione consapevole dei partecipanti, ed ogni decisione doveva essere presa attraverso il metodo del consenso, fondato sul rispetto della posizione di ogni membro, ad eccezione delle decisioni "veloci". Com’era facilmente prevedibile, in un’azione del genere, e di questa intensità, tutte le decisioni di maggior importanza sono state realizzte repentinamente.
La permanenza a Bari si è conclusa con una piccola manifestazione nel centro della città; dopodichè si è partiti per Pristina. Lo sbarco del traghetto è avvenuto a Bar, nel Montenegro; realtà dai tratti tristi. Le prime persone che ci hanno accolto ci chiedevano soldi, cibo, o contrabbandavano sigarette.
Tappa successiva: Pristina, raggiunta dopo diverse ore di viaggio su strade che si insinuavano tra paesaggi di incontaminata bellezza. Arrivati nella capitale Kosovara siamo stati ospitati nell’ex facoltà di medicina, un locale di circa 350 metriquadri di proprietà privata, adibita ad università clandestina dopo l’esproprio degli spazi pubblici eseguito dal governo serbo ai danni della popolazione albanese. Bambini curiosi sono stati i primi ad avvicinarsi, seguiti dalla polizia serba che piantonava il posto e che, probabilmente irritata dalla nostra permanenza in locali di proprietà albanese, ha provveduto a trasferirci in un palazzetto dello sport di gestione serba. Durante la prima serata si è effettuata un’assemblea nella quale si sono programmati gli incontri possibili con rapresentanze politiche, religiose, scolastiche e mass-mediali. Come gruppo di ricerca universitaria la nostra scelta è stata indirizzata verso un’analisi delle realtà universitarie serba ed albanese, organizzando un incontro con l’Unione Studenti Indipendenti, con il rettore albanese e con quello dell’università serba. Conclusasi l’assemblea ci è stato imposto di non uscire sia per l’irritazione della polizia che voleva addirittura sgombrare il nostro rifugio, sia perchè ancora non possedevamo il permesso di soggiorno; notizie che creavano un velo di tensione.
Il giorno successivo i permessi di soggiorno sono stati consegnati con perfetto tempismo, permettendo così il regolare svolgimento del lavoro e l’incontro con i rappresentanti dell’Unione Studenti Indipendenti, la prima organizzazione fondata dopo lo smembramento politico. Il loro primo obiettivo è stato organizzare l’attività universitaria, e in seguito, una lotta impostata su metodologie non-violente che si protrae ormai da sette anni . Hanno effettuato menifestazioni di protesta chiedendo la restituzione degli edifici scolastici e, nonostante una linea non-violenta, la polizia li ha fatti disgregare tutti caricando duramente, picchiandoli, incurante della presenza di giornalisti e di esponenti esteri. Inizialmente esisteva un dialogo fra gli studenti serbi di Belgrado, che riconoscevano l’azione repressiva di Milosevich, e gli studenti albanesi. Il rapporto non era ben visto dalla comunità internazionale perchè, a suo parere, nocivo alle trattative ed in seguito fu interrotto a causa dei problemi che i serbi ebbero con le istituzioni e per lo scoppio della guerra in Kosovo che rendeva gli incontri difficili da effettuarsi.
Attraverso le ultime trattative gli studenti sono riusciti ad ottenere un unico stabile per 23.000 iscritti, mentre la guerra a bassa intensità continua con i suoi pestaggi, con i suoi omicidi, distruggendo interi villaggi. Raccontano che l’incomunicabilità è arrivata ad uno stadio di non ritorno, ne è sentore una manifestazione serba durante la quale studenti e professori protestavano con slogan come "non dategli nemmeno una penna". Affermano che, probabilmente, non c’è più spazio per una manifestazione non-violenta e credono in un organizzazione di liberazione come l’UCK.
In questa sede ci è svelato che la marcia di pace che dovremmo sostenere non è autorizzata dalla polizia , che non desidera alcun simposio in cui si parla di diritti umani.
Come gruppo universitario abbiamo portato un progetto che prevede un incontro futuro di studenti kosovari, baschi e nord-irlandesi per un confronto ed un’analisi comparata dei diversi conflitti; solo una prima iniziativa di ciò che potrà essere una duratura collaborazione tra università italiana e kosovana. La proposta da parte degli studenti è stata accolta molto volentieri , dato anche che l’Italia è uno dei Paesi che ancora non riconosce la validità dei titoli di studio di queste università, a differenza dell’Austria, della Macedonia, della Germania, della Turchia e della Scandinavia che implicitamente non favoriscono l’azione serba.
Diverso è stato l’incontro con il rettore dell’università albanese che, dopo aver ricordato gli omicidi avvenuti cinque giorni prima ai danni di cinque studenti , ha esposto le problematiche dell’università . Dopo la distruzione dei villaggi molti degli studenti che vivevano lì sono stati costretti a rifugiarsi o a ritornare nelle case distrutte: di loro il 3% è ammalato di tubercolosi, il 3,5% soffre di malattie al sistema osseo; tutto dovuto alle precarie condizioni in cui vengono effettuate le attività scolastiche. Infine, dopo aver accolto la proposta di collaborazione al progetto di ricerca già esposto agli studenti, il rettore ha insistentemente chiesto collaborazione ai Paesi europei, ritenendola più vantaggiosa di quella con un Paese dell’est come la Russia.
Il terzo incontro si è avuto con il rettore dell’universtà serba, un incontro formale, diplomatico, freddo (probabilmente a causa di un attentato perpetrato nei suoi riguardi).

Molto informale, e per questo particolarmente interessante, è stato l’incontro con dei ragazzi albanesi nel bar della loro università. Con loro abbiamo discusso in maniera eterogenea di interessi, abitudini, voglie; ci sono stati scambi di ricordi e di esperienze, battute divertenti. La guerra sembrava una vecchia foto in bianco e nero in quel bar colmo di ragazzi e ragazze con gli stessi ormoni dei ragazzi e delle ragazze europei , forse solo con un diverso senso sociale, o forse solo con problematiche più complicate e cruente.
10-12-1998, 50 anni dalla dichiarazione dei diritti umani fondamentali: in programma un simposio per commemorare la giornata e per discutere sulla situazione kosovara, con una manifestazione per concludere con un "fatto" il percorso della giornata . Il simposio è avvenuto nella sala più grande che l’università albanese potesse mettere a disposizione, risultata insufficiente per ospitare tutti gli intervenuti. Inizialmente si era pensato di uscire tutti nell’atrio dell’edificio, ma ciò non è stato fatto principalmente per motivi di sicurezza. Il dissenso che si è manifestato è stato smorzato dalla notizia che fuori l’aula si sarebbe almeno potuta ascoltare la discussione attraverso un impianto fonico. In realtà ciò non è mai avvenuto. Il simposio a mio parere è stato un incontro di retoriche diplomatiche: si è svolto con la presentazione del programma "I CARE", con la denuncia del rettore albanese sui soprusi attuati dalla polizia serba, con la richiesta di aiuto da parte di don Lus e con la sua delucidazione sul metodo della non-violenza. Era interessante osservare i volti annoiati degli studenti albanesi che mostravano una completa sfiducia in parole che come gocce cinesi cadevano su anni di resistenza non-violenta, di massacri e distruzione. Le uniche dichiarazioni che in questo incontro uscivano dai canoni, sono state quella di una donna serba che ha rappresentato il dissenso di una parte del suo popolo sulle scelte politiche del governo di Belgrado, denunciandone le ingiustizie; e quella del professor Fumarola dell’università di Lecce. Dichiarando una posizione filoalbanese sua e del suo gruppo, il suo intervento è stato superficialmente inteso come un atteggiamento di rottura con l’equanimità della linea "I CARE", secondo la quale "è importante partire dalla posizione di tutte le vittime albanesi e serbe quindi una scelta di dialogo con tutte le parti ed uguale impegno per il rispetto dei diritti umani di tutti.", mentre aveva un ruolo diverso da quello di una semplice rottura o di una provocazione. In realtà questa presa di posizione è l’espressione di un principio sulla regolazione del conflitto, che assume un ruolo importante nelle azioni non-violente.Tale principio si articola sul movomento del conflitto a difesa di una più uguale distribuzione del potere, dando quindi più potere alla parte più debole.
Alla fine del simposio si è tenuta una pseudo- manifestazione lungo il percorso di ritorno al palazzetto dello sport dove alloggiavamo.

L’ultima manifestazione degli studenti albanesi si era tenuta nel marzo1998, nello stesso periodo in cui il regime cominciava a distruggere i villaggi, e la gente, stanca dell’indifferenza della comunità internazionale e della Nato, ha formato dei gruppi di autodifesa armata. Insieme questi gruppi hanno creato un’organizzazione di liberazione: l’UCK, nata come risultato dei massacri, e generata dalla mancanza di alternative per della gente non guerrafondaia, ma costretta dalle circostanze; ora la realtà di una guerra diviene solo questone di tempo.

Noi non avevamo avuto il permesso della polizia , che ci ha guidato per tutta la marcia, distanziandoci, ed organizzandoci secondo le loro esigenze. Come da programma, non si sono cercate forzature, ma come solitamente accade quando mancano forzature, mancano anche le reazioni, soprattutto dell’opinione pubblica, indirizzata sempre alla ricerca della spettacolarità , anche in una guerra.
L’azione di pace si è conclusa con il nostro rientro in Italia.
La mia esperienza invece con una serata indimenticabile in compagnia dei ragazzi dell’USI, in un pub, festeggiando qualche ora di apparente libertà...

... e con una frase, detta da un umanoide, che rimbomba ancora nella mia testa:

"Gli albanesi? bisogna cacciarli da bambini, perchè da grandi saranno terroristi".

EQUITA’? FORSE IPOCRISIA!

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