E’ TEMPO DI PROVARE LA VERA NONVIOLENZA IN KOSOVO
di Dr. Jan Oberg
Direttore, capo della TFF
(Transnational Foundation for Peace and Future Research)
Conflict-Mitigation team Balcani e Georgia

“In Kosovo hanno fallito sia la non violenza del Dott. Rugova che la violenza dell’ UCK. Sembra che entrambe manchino di analisi politica e di una chiara base filosofica. L’ alternativa alla nonviolenza pragmatica kosovaro-albanese, tuttavia, non è la lotta terrorista e militare. L’ alternativa potrebbe essere una nonviolenza basata su principi morali e l’ innovazione politica basata sul realismo” - dice il direttore della TFF, Jan Oberg -.
“Sotto la leadership del Dott. Ibrahim Rugova gli albanesi kosovari hanno lottato per la loro indipendenza dalla Serbia usando mezzi non violenti a partire dal 1996, quando l’ Esercito clandestino di Liberazione del Kosovo - essendosi armato sin dal 1992-93 - apparve sulla scena. E’ stata l’ unica leadership politica nella ex Yugoslavia che ha perseguito la non violenza e che ha anche favorito l’ idea di una repubblica indipendente del Kosovo non militarizzata e dai confini flessibili. In breve, è stato il movimento politico più saggio e più innovativo della regione.
L’ UCK ha, almeno per il momento, alterato la situazione politica del conflitto del Kosovo. E in peggio! Durante una mia recente conversazione con il Dott. Rugova, avvenuta il 31 luglio, egli mi ha assicurato che la LDK ed egli stesso sostengono fermamente la non violenza.
Ma quale tipo di non violenza? Per metterla crudemente, è una non violenza pragmatica e simpatetica più che una nonviolenza filosofica o basata sui principi morali. Quando si dice basata su principi morali, diciamo “nonviolenza” in un’ unica parola, e non “non-violenza”. Il Dott. Rugova è un uomo che parla a bassa voce, dlla personalità moderata, colta, acuta e ostinata. Personalmente ho avuto il privilegio di incontrarlo molte volte sin dal 1992 e di intrattenere con lui discussioni informali. Non ho dubbi che sia convinto, in cuor suo, che l’ indipendenza del Kosovo debba essere raggiunta attraverso la non-violenza, piuttosto che la violenza.
Le politiche della LDK e di Rugova sono state chiamate “gandhiane” - da persone che non sanno molto di Gandhi -, ma ci sono molte somiglianze. Forse le imprese più impressionanti, in termini di vera nonviolenza, nello stato parallelo del Kosovo, non si dovranno trovare nella sfera politica, ma nella società civile del Kosovo.
Lo sviluppo di un sistema d’ informazione internazionale e di presenza dei media - attraverso fax, e-mail e siti web - e l’ attività diplomatica internazionale stanno impressionando, in verità, molto di più così, che quello della Serbia/Yugoslavia.
Lo sviluppo in Kosovo di settori paralleli culturali, sociali e di salute pubblica è “gandhiano” per molti versi. Non ha nuociuto all’ avversario, ma ha procurato il minimo agli insegnanti albanesi, ai bambini e alla gioventù che, dal 1990 in particolar modo, non si sentono ben accolti nell’ orientamento dato sistema scolastico da Belgrado. Si può sempre discutere la qualità di questi sistemi alternativi di salute pubblica e d’ istruzione; mi è stato detto che 20.000 insegnanti vengono pagati dal governo del Kosovo ed è stato stimato che, in totale, mantenere lo stato del Kosovo operante in tal senso, costa l’ equivalente di 1,5 milioni di dollari USA al giorno. Questa somma è prodotta all’ interno del Kosovo, ma in gran parte, raccolta all’ estero chiedendo a tutti gli albanesi della diaspora di pagare il 3% delle loro entrate allo stato del Kosovo.
Sarebbe stato impossibile avere tutto questo, se non ci fosse stato un forte sostegno pubblico ad una tale strategia non-violenta all’ interno del Kosovo. Inoltre, la politica non-violenta - in generale, non tanto isomorfica alla cultura degli albanesi - è stata un fattore di stabilità e di moderazione durante le guerre in Croazia e Bosnia. Difficilmente si osa pensare a cosa sarebbe potuto accadere se, non Rugova, ma delle teste calde avessero a quel tempo diretto il Kosovo!
Ad ogni modo queste imprese dono impressionanti ed uniche, credo che il problema vero sia iniziato quando, il 2 luglio 1990, i Kosovari proclamarono sovrana la loro repubblica del Kosovo e la separarono dalla Serbia. Fecero questo sui gradini esterni del parlamento, nel tumulto successivo alla pressione esercitata dalle autorità serbe contro la loro autonomia e l’ espulsione della MP dall’ edificio del parlamento. Il 22 settembre 1991, quando il parlamento parallelo della Repubblica del Kosovo dichiarò lo stato indipendente ed ebbe la conferma di questa decisione, alcuni giorni dopo, con un referendum organizzato clandestinamente. In altre parole, uno storico momento di panico.
Ciò fu “simbolicamente politico” - qualcosa che Gandhi difficilmente avrebbe fatto -. Il dilemma venutosi così a creare appare evidente: se tu dici, o prometti, ai tuoi due milioni di persone che loro vivono di già in un Kosovo indipendente, nessuna negoziazione con la Serbia, la Yugoslavia o la comunità internazionale porterebbe a concepire l’ abbandono di questa posizione massimalista - che era tale vista da Belgrado o dalla prospettiva della comunità internazionale -. Questa è la ragione percui, nessuno stato, eccezion fatta per l’ Albania, riconobbe la Repubblica del Kosovo. I giovani, che avevano circa dieci anni quando i loro genitori gli dissero che vivevano in un Kosovo indipendente e che ora stanno per intraprendere gli studi universitari e acquisendo coscienza politica, si sentono frustrati quando scoprono che, questo stato auto-proclamatosi, è una società parallela con problemi socio-economici giganteschi e che a stento, o certamente non del tutto, è uno stato reale.
Ciò spiega perchè la leadership kosovaro-albanese è stata consistentemente negativa nei confronti delle negoziazioni - sebbene si sia dichiarata favorevole ad esse, se, a livello internazionale, avesse partecipato una terza parte. La mia esperienza personale nel portare avanti e indietro messaggi per quattro anni è del tutto chiara su questo punto: per il Dott. Rugova non c’è mai stato il momento giusto per dare inizio alle negoziazioni. Inoltre, partecipando alle elezioni della Yugoslavia gli albanesi kosovari avrebbero potuto espellere Milosevic, ma, nonostante ciò, si sono rifiutati di farlo. Coloro i quali sostennero la partecipazione alle elezioni furono visti come dei traditori. La strategia richiedeva la presenza di un “diavolo” a Belgrado, anche per mobilitare la simpatia all’ estero.
Questa startegia, nel suo insieme, non è chiaramente gandhiana, ma è invece una strategia senza principi morali. Gandhi avrebbe cercato attivamente di stabilire un dialogo faccia a faccia e di costruire alleanze con i serbi “buoni”. Così fu per l’ idea di sostenere la non-violenza, mentre, contemporaneamente, si chiamava la NATO a proteggere e, in alternativa, a bombardare il territorio serbo a sostegno dell’ indipendenza del Kosovo. Io so che il Dott. Rugova guardava continuamente a questo dilemma, ma coloro che sostengono la linea dura e le romantico-militariste teste calde non vorrebbero sentire una parola sulle negoziazioni. “Noi siamo già indipendenti, quindi su cosa discutere con la Serbia fascista”, dicono spesso.
Non gandhiano è stato anche il ripetuto appello a sanzioni più dure contro la Serbia e i serbi. Un vero gandhiano non vede alcun motivo per nuocere all’ avversario e, certamente, non ai cittadini innocenti della parte avversaria. Inoltre, è stato un grande errore usare e diffondere il tipico stereotipo sui serbi che: “vistone uno, li hai visti tutti, perchè sono brutti individui”. Un altro errore, ancora più grosso - dal punto di vista gandhiano - è stato che la LDK, nelle scuole alternative, non ha fatto nulla per educare ai temi della pace e dei diritti umani e per introdurre alla comprensione del conflitto. Non si sono uniti ai serbi del posto, nè alla gente serba di altri luoghi. La LDK ha centri d’ informazione in tutto il mondo, ma non a Belgrado, dove è più necessario!
Poi c’è il problema della creatività e dell’ energia politica: è evidente che la leadership kosovaro-albanese ha nutrito un certo numero di illusioni o di speranze elevate, manon realistiche:
a) che il processo di Dayton avrebbe incluso il Kosovo;
b) che il mondo non avrebbe riconosciuto la Yugoslavia con la provincia del Kosovo all’ interno di essa;
c) che il sostegno mondiale, ai diritti umani degli albanesi kosovari, sarebbe stato identico al sostegno dato al progetto di una repubblica indipendente.
Quando è accaduto che queste si sono rivelate delle false speranze, la leadership ha perso il suo slancio e si è paralizzata. Non c’ era una strategia su cui ripiegare e nè una revisione dei mezzi o degli obiettivi. Il dialogo pubblico fu soffocato e la gente iniziò a lasciare la LDK. E’ triste, ma ecco com’ è andata.
Perciò ci si domanda, la lotta militare è l’ alternativa? Ovviamente no, è un pericoloso corto circuito intellettuale e morale. Sentirete dire ripetutamente che è comprensibile, quando la gente è così frustrata. Ma la formazione di un esercito clandestino, illegale è iniziata 5-6 anni fa, non lo scorso anno.
Molti hanno criticato Rugova per aver scelto una non-violenza “passiva”. La volevano più attiva, più visibile. I critici potrebbero argomentare: perchè ci sono state le elezioni, se in tutti questi anni Rugova si è rifiutato di riunire il parlamento kosovaro? Perchè non ci sono state dimostrazioni, marce pacifiste e scioperi in tutta la regione, perchè non ci sono stati sitdown, disobbedienza civile, azioni di protesta per rallentare il lavoro e ostruzionismo nelle fabbriche, tutto nei limiti della nonviolenza?Queste, sono domande interessanti.
Credo che l’ istruzione e l’ addestramento di tutti i cittadini a questo tipo di attività - che altrimenti sarebbero pericolose senza un addestramento precedente - non siano mai state contemplate dalla leadership di Rugova. D’ altronde, qui dobbiamo fare attenzione con le parole: la costruzione di una società parallela non è, esattamente, espressione di passività. Ma, in aggiunta a questo, qualcosa è andata perso - perchè questa non era una politica nonviolenta gandhiana.
Può darsi che, oggi, la risposta di Rugova sia che loro hanno scelto la via giusta per determinate circostanze - che se invece si fossero usati metodi più radicali “noi - mi ha detto di recente - non saremmo qui, oggi”. Tuttavia, paradossalmente, l’ unica volta in cui il parlamento del Kosovo si è riunito in assemblea è stato lo scorso luglio, non nel momento più sicuro, ma quando vi erano dei pesanti combattimenti nella provincia. E’ stato possibile svolgere delle funzioni cerimoniali 20 minuti prima che la MP andasse via ed è da notare che non vi è stato alcun tentativo, da parte delle autorità serbe, di impedire l’ assemblea o di interromperla. (Si veda PressInfo 45 sulla tolleranza dimostrata da Belgrado durante gli anni).
Per un certo tempo, gli intellettuali ed i politici dell’ opposizione albanese hanno accusato la LDK e Rugova di mancanza del senso di democrazia, di flessibilità e di costruzione del consenso. Che lui non ascolta, o ascolta senza far nulla. Alcuni dicono, persino, che Rugova è in collusione con Milosevic. Sembra strano che, dalle elezioni di marzo, non si sia ancora formato un governo e che il modo in cui il nuovo - troppo ristretto - gruppo di negoziazione, che è stato composto, sia totalmente non-trasparente.
Molti di questi intellettuali ora abbracciano acriticamente l’ UCK e argomentano che “l’ alternativa alla non-violenza è questa lotta militante”.
Su questo punto vorrei dire alcune cose: primo, che è impossibile vedere l’ UCK, più democratico o più tollerante rispetto alle opinioni differenti, di quanto non sia la leadership di Rugova. In verità, si è rifiutato di sottostare a qualsiasi democratico controllo politico e di responsabilità pubblica; molti agiscono sotto falso nome e sembra che nessuno conosca chi sia a capo, in quale frazione e responsabile per quale attività. Ai cittadini della Repubblica Kosovo non è stata garantita alcuna opportunità di dar voce alle proprie opinioni, se in ogni caso sviare dalla non-violenza, ad una politica militante o, direttamente, alla lotta violenta.Tristemente, i cittadini del Kosovo vengono ora vittimizzati, sia direttamente dall’ attività propria dell’ UCK e costretti al “reclutamento”, sia indirettamente dai contrattacchi delle forze serbe, che li colpiscono duramente.
Secondo, è interessante assistere al fatto che il Sig. Adem Demaqi sia diventato il capo politico o portavoce dell’ UCK. Per un certo tempo il Sig. Demaqi ha patrocinato la soluzione di una “Balcania”, che, fra le altre cose, implica il fatto che il Kosovo dovrebbe diventare una terza repubblica della Yugoslavia. Sebbene ciò può esser visto come un passo verso la cessazione, a paragone con l’ obiettivo massimalista di Rugova di indipendenza totale, questa posizione è moderata. Espresso in mezzi, Demaqi ha promosso, sino ai tempi più recenti, un’ attiva nonviolenza massimalista che contrasta quelli minimalisti di Rugova. Così l’ UCK ha scelto una forma politica che ha sostenuto obiettivi e mezzi direttamente opposti a quelli dell’ UCK! Così, il Sig. Demaqi ha rapidamente radicalizzato la sua retorica.
Quindi, è vero, ci sono contraddizioni nelle scelte politiche di Rugova e sembra che il suo movimento sia rimasto senza capacità visiva ed energia. Le contraddizioni dentro e attorno all’ opposizione verso di lui sembrano eseere, tuttavia considerevolmente più grandi.”
Oberg fa notare che, mentre Rugova si è portato su politiche simboliche, ha ancora un vantaggio maggiore: non ha sangue sulle sue mani.
Si potrebbe chiedere quanto tempo occorrerà ai promotori e ai professionisti della violenza albanesi riconoscere che la violenza non crea alcun processo, alcun accomodamento e una vita futura più difficile, non meno.
L’ UCK ha già fallito in quattro modi: 1) moralmente, perchè è partito col terrore ed ha annunciato che intende ritornare ad esso: 2) militarmente, perchè ha calcolato male il “bilancio delle forze”, pensando che avrebbe potuto creare e mantenere le città liberate e che sarebbe stato salvato dalla NATO; 3) politicamente, perche il suo portavoce discute degli albanesi in uno stato, e 4) democraticamente, perchè non è un movimento genuino di guerriglia, che “nuota nel mare” dei suoi cittadini ed è amato da essi. La paura è dovunque.
“Ma, la nonviolenza, basata su valori morali, sta per soccombere dinanzi ad un regime repressivo come quello di Belgrado ? “ Noi non conosciamo la risposta. - dice Oberg - Non è stata praticata nè a Belgrado, nè in Kosovo (o in altre parti della ex Yugoslavia). Ma è stato un movimento popolare nonviolento che ha posto fine al regime di Marcos, a quello di Shah in Iran e mobilitato l’ opinione mondiale contro la guerra del Vietnam. Ha messo fine all’ autoritario comunista polacco, Solidarnosc e condotto la “rivoluzione di velluto” in Czechoslovakia. Cosa sarebbe accaduto se avessero combattuto con le armi contro nemici militarmente più forti? E’ stato un movimento di pace, le donne, i dissidenti e Michael Gorbachev, che - con la non-violenza - hanno messo fine alla Guerra Fredda e aperto la via ad una riduzione molto significativa negli arsenali nucleari del mondo. Questi non sono piccoli risultati per la storia umana! - enfatizza il direttore della TFF - Ma, veri risultati, non sono mai stati presentati come vittorie della nonviolena dai nostri media, così la loro potenzialità resta in granparte nascosta.”
Oberg conclude dicendo: “Se una battaglia militare può essere combattuta in modi differenti, così è per una lotta non-violenta. L’ alternativa alla non-violenza passiva non è la violenza e il terrore, neanche se si trovasse a dover affrontare violenza e terrore. E’ una nonviolenza diversa, quella dei principi morali - e, naturalmente, attiva -, basata non sul voler far credere nelle idee politiche, ma su una politica reale nella tradizione di Mahatma Gandhi e di Martin Luther King.
Per decenni il Kosovo è stato il luminoso esempio del famoso detto gandhiano che recita: “ Il principio occhio per occhio renderà, un giorno, il mondo cieco”. I politici della linea dura e il popolo pronto ad usare la violenza, d’ ambo le parti, sono stati ciechi abbastanza a lungo. Ciascuno dovrebbe essere in grado, da subito, di vedere che la violenza, che è stata provata ora anche dalla parte albanese, non dovrebbe fare da espediente. E, se lo fosse stato, il Kosovo liberato diventerebbe uno stato di presidio, uno stato impregnato di repressione, lo specchio dello stato dal quale si è separato e, forse, la scena di una guerra civile.
Le potenzialità della nonviolenza basata su principi morali non sono state consumate in Kosovo. Infatti, non è stata ancora provata. Dovrà essere reinventata attraverso nuove energie. Infatti, è l’ unico mezzo che possa produrre una soluzione vitale. Ci si chiede perchè, la comunità internazionale, da destra a sinistra, produca così tante voci, provenienti da un’ epoca oscura, che insensatamente fanno appello alla violenza della NATO come unica soluzione. Cosa c’è di sbagliato nella nonviolenza basata su analisi e su principi coerenti di mitigazione dei conflitti? Perchè non vediamo diplomatici, esperti e media esplorare le potenzialità e insegnare la forza di una tale strategia?”

TOP