La riflessione tematica proposta dai Berretti Bianchi nelloccasione della Tavola Rotonda del decennale è stata sollecitata da tre spunti di riflessione che, a loro volta, rimandano alle domande aperte sulla base delle quali è stato istruito il percorso seminariale. Vale a dire: 1) quale molla induce a partire per le zone del conflitto e del post-conflitto al fine di esercitare lopzione della mediazione e della riconciliazione? 2) come fare per evitare i danni del cosiddetto colonialismo solidale? 3) come gestire il rapporto con il territorio e gli attori locali nel contesto di destinazione. Hanno proposto alcune risposte a queste domane, e quindi coordinato i lavori dei panel tematici, cinque associazioni: Associazione per la Pace (Assopace) [Farshid Nourai], IPRI Rete CCP (Corpi Civili di Pace) [Maria Carla Biavati], Operatori di Pace Campania ONLUS [Gianmarco Pisa], PBI Peace Brigades International Italia [Pasquale Dioguardi], Un Ponte per
[Martina Pignatti Morano] ed il Tavolo Trentino con il Kosovo [Mauro Cereghini]. Le conclusioni sono state affidate al Presidente della IPRI rete CCP e co-fondatore dei Berretti Bianchi, Alberto LAbate.
Quello che induce a partire è certamente la cosiddetta domanda leggibile, da non confondere con la chiamata esplicita, vale a dire lesistenza di una condizione leggibile ed avvertita di bisogno, corrispondente alla particolare esposizione di determinati gruppi umani che hanno sofferto e subito le conseguenze morali e materiali del conflitto armato e dellesercizio della violenza. Ove non soccorra una domanda, può intervenire una situazione di particolare clamore umanitario, come nel caso dellintervento del Tavolo Trentino in Kosovo, ma in ogni caso è necessario curare limpronta umanitaria e quindi limpatto dellintervento della parte terza nella realtà in cui si va ad operare. Ciò solleva una serie di interrogativi, tra i quali: 1) come ci si comporta sul posto dopo aver corrisposto alla chiamata/domanda? 2) perché la risposta che normalmente si offre allemergenza del bisogno è quella solidaristico-umanitaria e non il peace-building ? 3) cosa impedisce, sia in termini di sensibilità della pubblica opinione sia in termini di selezione dellagenda da parte del mainstreaming politico-mediatico, di sviluppare sistematicamente e coerentemente il peace-building?
Quanto alla seconda domanda, come evitare di ripiombare nel cosiddetto colonialismo solidale e quindi nellaltrettanto tristemente famoso circo umanitario, si può fare riferimento alla legittimità dellintervento conseguente alla chiamata ed alla relazione positiva sviluppata con gli attori locali, ma bisogna necessariamente fare capo alla formazione in partenza, e quindi alla conoscenza dei vettori culturali e delle istanze auto-determinanti localmente presenti, la conoscenza delle quali è misura fondamentale per ladeguamento e ladeguatezza dellintervento positivo e trasformativo medesimo. Si tratta, in definitiva, di provare a strutturare una sorta di frammentazione e de-frammentazione dellimmaginario di partenza e di decentramento emotivo e cognitivo dello stereotipo etno-centrico (euro-centrico) di provenienza, nel nostro caso (occidentale, europeo, italiano) peraltro segnato da una lunga storia di guerra, rapina, sopraffazione, violenza e colonialismo. Si tratta, dunque, di approfondire la formazione in partenza ed in itinere, come sperimentato dalle PBI; di conoscere le storie e le istanze dellaltro, come nellesempio serbo-kosovaro, ricordato dagli Operatori di Pace - Campania e, non meno importante, di orientare ed adeguare la propria condotta, in termini di equilibrio ed equivicinanza, come si sarebbero incaricati di dimostrare gli stessi BeBi.
Quello del rapporto con gli attori locali è, infine, argomento estremamente spinoso: nellesperienza dellAssociazione per la Pace, ad esempio, questo elemento si declina nei termini della facilitazione e del rafforzamento delle capacità degli operatori locali, cui viene pressoché interamente demandato il compito dellazione locale; nella vicenda delle PBI, invece, si determina come integrale indipendenza e distinzione di ruoli e rapporti esterni tra accompagnante ed accompagnato, essendo quella dellaccompagnamento protettivo la misura fondamentale della loro azione di interposizione nonviolenta. SI tratta, in definitiva, di tenere conto dellazione dei conflitti di secondo livello (ad es. il portato di conflitto interno al gruppo artefice della trasformazione del conflitto medesimo) e del meta-conflitto (le iterazioni ulteriori che concorrono ad alimentare il conflitto che si intende trasformare), ampliando il contesto normativo e metodologico di riferimento e costruendo una vera e propria infrastruttura per la pace, basata sui diritti umani e la prassi nonviolenta, entro cui provare a inibire lo spazio dellarbitrio e dellimprovvisazione e incrementare gli elementi di organizzazione e facilitazione per migliorare aderenza ed efficacia dellazione di trasformazione nonviolenta.
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