La Nonviolenza alla Prova Istituzionale: L'esperienza del Comitato Dcnanv
di Antonino Drago

1. Premesse sulle decisioni istituzionali e politiche

Le premesse politiche lontane sono i tanti episodi di DPN nel secolo XX, tra i quali il principale è la liberazione dell'India sotto la guida della nonviolenza di Gandhi; poi l'Art. 11 della Costituzione Italiana, che ripudia la guerra; la fondazione dell'ONU come strumento di risoluzione non armata dei conflitti internazionali; nel 1992 l'Agenda per la Pace dell'allora Segr. Gen. ONU B.B. Ghali, la quale istituiva corpi di peacekeepers e peacebuilding civili; la positività della esperienza del SC degli obiettori di coscienza in servizio civile (odc) nel venticinquennio 1974-2000.
Poi nel 1998 la legge n. 230 ha istituito l'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile (UNSC) che è separato dal Ministero della Difesa, perché dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega al Ministro per i rapporti col Parlamento, on. Giovanardi. All'art. 8 e) la legge prevede per i SC.isti la "istruzione e sperimentazione di una difesa civile non armata e nonviolenta". Su questo punto si è perso tempo, nonostante che poi la legge n. 64 del 2001 (che ha istituito il servizio civile (SC) volontario, anche al di là della sospensione dell'obbligo della leva, avvenuta dal gennaio 2005) finalizzi questo nuovo SC a (art 1, a)): "concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi e azioni non militari."; e nonostante che questo nuovo SC sorprendentemente ha avuto una immediata crescita a 30.000 giovani.
Finalmente il DPCM del 18 febbraio 2004 ha deciso una prima istituzione specifica per la difesa popolare nonviolenta (DPN), il che segna l'inizio di un processo di transarmo; l'Italia è la prima nazione del mondo che incomincia questo processo. Nel maggio 2004 è stato insediato un "Comitato per la Difesa civile non armata e nonviolenta" (DCNANV), che ha compiti consultivi verso l'UNSC, per uan previsione di spesa di 400.000 euro l'anno. E' stato composto con sei rappresentanti istituzionali (due del Min. Difesa, uno rispettivamente di: Min. Interni, Prot. Civile, EE.LL., UNSC) e dieci persone della società civile (Enti di SC, prof. universitari ed esperti, ma non tutti quelli più importanti). E' la prima istituzione di difesa popolare nonviolenta (DPN); quindi esso rappresenta.[1]
In realtà il Governo si sarebbe deciso a istituire il Comitato non tanto in obbligo alle leggi, quanto per evitare che le Regioni, con un ricorso alla Corte Costituzionale basato sulla legge sulla regionalizzazione dello Stato, gli sottraessero il Servizio Civile. Siccome la Corte Costituzionale aveva già affermato (sentenze 164/1985 e altre) che il SC è difesa della Patria con altri mezzi, allora il Governo poté ben sostenere che, istituendo il Comitato, tutto il SC stava attuando una forma di difesa nazionale, la quale è chiaramente una competenza nazionale.
Il Comitato ha dovuto operare in un quadro politico molto sfavorevole ("nuove guerre", decadenza ONU, politica USA da unica superpotenza, terrorismo, passaggio della Nato alla difesa offensiva, arroccamento dei militari, Governo Berlusconi, rinuncia dei Verdi tedeschi al loro programma di DPN istituzionale, invasione dei militari sulla formazione al Peacekeeping).. Invece sono stati elementi positivi: la continuazione del SC (rispetto alla possibilità concreta che venisse cancellato completamente) e la sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2004 che, in risposta ai ricorsi delle Regioni, ha ribadito che il SC è finalizzato alla difesa della Patria (ovviamente senza armi).
La novità politica della DPN è di importanza internazionale; ma è estranea ai nostri partiti; infatti nessun partito, neanche i Verdi, è favorevole alla DPN. E' ben noto che in Italia il Parlamento ha approvato la legge sull'odc, ma mentre che i militari varavano il loro Nuovo Modello di Difesa e una portaerei. Inoltre nel 2001 ha approvato il SC volontario, ma mentre accettava la volontà dei militari di sospendere (contro la Costituzione!) l'obbligo di leva. Le leggi che parlano di DPN sono state approvate in Parlamento sì dai 2/3 dei votanti, ma sempre in maniera trasversale ai partiti, e più che altro per adesione personale dei deputati. Inoltre, si noti che anche un minimo Corpo di Protezione Civile (PC) sarebbe la base istituzionale della DPN. Ma i partiti non hanno mai istituito un simile Corpo. Quando in Italia è avvenuta una catastrofe, si è improvvisata una PC "con le stellette" militari; ma oggi non c'è più l'esercito di leva per questo lavoro di supplenza; eppure non si mette mano ad un Corpo di PC. Allora si può ben pensare che i partiti possono temere la nascita della DPN, che sposterebbe gli equilibri in atto, o anche, possono volerla bloccare.
Il quadro politico delle iniziative istituzionali che erano già avviate su qualcosa di almeno vicino alla DPN è desolante. Il MAE non ha rapporti con l'UNSC. Non esiste una PC, né ci sono sperimentazioni popolari di PC e tanto meno in collaborazione con i serviziocivilisti (SC.isti), benché queste ultime siano previste dalla legge 230/98 (né nel Comitato DCNANV la rappresentante della PC ha avanzato qualche proposta; poi si è assentata sistematicamente). Il rappresentante degli EE.LL. nel Comitato è stato sempre assente e quasi sempre quello del Min. Interni. I VVF, che sono l'unico Corpo difensivo professionale disarmato, sta per essere militarizzato per provvedere all'intervento antiterrorismo. Nessuna interazione c'è stata tra il Comitato DCNANV e la Consulta dell'UNSC, o con la Conferenza degli Enti SC (CNESC).
Il quadro delle decisioni entro il quale ha dovuto operare il Comitato è stato riassunto con le prime otto righe della tabella seguente. Le altre otto saranno l'argomento del seguito.

Tab. 1 Le decisioni che condizionano l'operato del Comitato DCNANV

DECISIONE PRESA DA
RISULTATO DELLA DECISIONE
DECISIONE ALTERNATIVA NEGATA
Corte Costituzionale
(Sentenze 164/85 ... 228/04)
Equivalenza della difesa non armata con quella armata
Monopolio giuridico dei militari sulla difesa
Leggi 230/98 e 64/01
SC degli odc e dei volontari, includente la DCNANV
Emarginazione degli odc e della DCNANV
Ministero Difesa
Accettazione (?) dell'indipendenza dell'UNSC
Subordinazione dell'UNSC al Minis-tero Difesa; DPN come Difesa Civile
Ministero Interni
Assenza sistematica
Collaborazione con i Corpi difensivi professionali (VV.UU., VVF, ecc.)
Protezione Civile
Distacco dall'UNSC e dal SC; Assenza sistematica;
Subordinazione del SC alla PC
Ministero Affari Esteri
Assenza
Collegamento col SC all'estero
Ministero Sanità
Assenza
DCNANV nelle emergenze sanitarie nazionali
Regioni
Accettazione (?)della sent. Corte C. n. 228/04: il SC è nazionale perché include la DCNANV
SC solo regionale; DCNANV come politica per lo sviluppo internazionale
UNSC
Sul SC: politica "privatistica"; grande potere agli Enti sul SC; il SC.ista dipende dall'Ente
Politica "pubblicistica": rapporto diretto del l'UNSC con il SC.sta; un programma DCNANV dell' UNSC
UNSC sulla Formazione dei SC.sti e dei Formatori
Sulla formazione dei SC.isti: affidato agli Enti di I^ classe del SC
Affidato alle Università e ad organismi culturali nazionali
Consulta Enti SC sul SC
SC come solo solidarietà e politica giovanile? Monopolio del rapporto con l'UNSC?
Movimentismo nonviolento? Difesa della Patria?
Enti di SC sul SC
Riduzione della DCNANV a solidarietà comunitaria? Politica di crescita a diventare grandi Enti? Gestione del terzo settore?
Proposta collettiva di DPN. Interventi all'estero?
Militanti e Associazioni nonviolente
Sostegno dell'IPRI. Attesa (passiva) di una istituzione DPN permanente. Attesa del funzionariato?
Impegno militante? DCNANV indipendente dai militari? Attivazione nonviolenta di Libera
Vita giovanile popolare
Disoccupazione, lavoro o interinale o in nero; volontariato no-profit
Autonomia economica giovanile; la DCNANV oltre la difesa personale
Politica pubblica
Governo Berlusconi; mafia
DCNANV per la democrazia, contro la mafia e per la pace

2. La dinamica messa in moto dai gruppi nonviolenti e per la pace

La nascita del Comitato costituisce un salto di qualità per il movimento per la DPN e per tutte le associazioni nonviolente (e anche per la pace). Con la nascita del Comitato essi non facevano più politica solo mediante obiezioni a leggi già operanti, o presentando una petizione ad organismi decisionali, o formando un gruppo di pressione su una istituzione deliberante. Con il Comitato il fare politica da primo attore non era più evitabile; neanche con la scusa che essendoci oggi il governo Berlusconi, non poteva essere vero che esistesse una vera istituzione statale per la DPN, o che questa istituzione potesse andare a buon fine. Con quella nascita essi per la prima volta erano stati posti nelle condizioni di proporre una novità politica importante e di gestirla (tramite le approvazioni dell'UNSC). Si trattava di fare politica decisionale così come fa una delle tante altre forze politiche che entra in una sede istituzionale, e fare politica gestionale di un (piccolo) settore della vita pubblica.
Era quell'appuntamento con la politica gestionale che le associazioni nonviolente avevano sostanzialmente rinviato dagli anni '70, quando era nato il SC come loro creatura. Sarebbe stato naturale che esse ci avessero investito le energie migliori, crescendo assieme ad esso e arrivando a gestirlo secondo un progetto politico nazionale più ampio della sola richiesta di una prima istituzione di DPN. Avrebbero potuto realizzare una politica sociale e, alla fine, anche istituzionale sul terzo settore, là dove occorre risolvere i conflitti sociali a livello meso, al di fuori dei tribunali. La piccolezza di queste associazioni, il non aver colto l'intera posta in gioco, l'impegno su altri obiettivi politici ancora di opposizione (contro le centrali nucleari, contro la corsa agli armamenti, contro gli inquinamenti) ha fatto loro lasciare da parte questo primo lavoro politico gestionale.[2]
In questo quadro, l'aver ottenuto la prima istituzione statale di DPN, avrebbe dovuto spingere questi gruppi nonviolenti e per la pace ad un salto di qualità politico: aggregare la base e sfondare il quadro avverso.
Ma nulla di tutto ciò è avvenuto. Oggi essi dirigono tante energie su obiettivi di prospettiva incerta (oltre alle manifestazioni contro la guerra, quando essa avviene) e che finora sono stati poco produttivi: una giustizia mondiale (non meglio precisata), i diritti umani (di prima, seconda, terza,... generazione); la semplice riduzione (di quanto?) delle spese belliche; la regolamentazione del commercio delle armi; il SC di Pace europeo, che però giuridicamente non può basarsi su nulla di comparabile con l'art. 11 della nostra Costituzione; l'Istituto per la Pace, senza pensare che i professori universitari favorevoli alla DPN sono due o tre e con scarso potere accademico, ecc.).
In effetti la politica nonviolenta (odc, SC, DPN) ha tagliato trasversalmente l'arco politico destra-sinistra; di converso, anche la politica nonviolenta si è fratturata in destra-sinistra, per cui la stessa parola "nonviolenza" ha assunto almeno questi due qualificazioni. Però le associazioni nonviolente non se ne sono accorte e, divise al loro interno, non riescono più a fare politica; sono o ricadute nel fare lavoro di opinione pubblica, cioè culturale; oppure tentano di aggregarsi ad un partito esistente (i Verdi).
A livello della ricerca e della formazione sulla DPN è da notare che da quattro anni sono nati due corsi di laurea sulla Pace (Firenze e Pisa); anche se ancora non riescono a sviluppare cultura approfondita sulla pace e la nonviolenza; intanto proliferano i corsi privati su(gestione, mediazione, ecc. de)i conflitti (a pagamento anche elevato). Dal canto loro i militari hanno quasi monopolizzato i corsi universitari per peacekeeping. Ma fortunatamente le Regioni (Bolzano, Piemonte, Toscana, Marche e Campania) hanno iniziato corsi professionali di peacekeeper da 800 ore (quindi ben impegnative) con ottime prospettive di europeizzazione e di configurare la professione di peacekeeper.
Il quadro delle iniziative di base è abbastanza ricco. Ci sono le iniziative di interposizione nonviolenta dei Beati Costruttori di Pace, Rete Caschi Bianchi, Berretti Bianchi. In particolare la Caritas invia suoi SC.isti all'estero, grazie al finanziamento di 150.000 euro della CEI, apposito per la DPN; però sembra seguire una sua politica della DPN, senza prendere iniziative ad ampio raggio. Il Movimento Nonviolento ha semplicemente fiancheggiato (poco di più ha fatto il MIR). Sono assenti Pax Christi e Assopace, Tavola per la Pace, oltre che Acli e Arci. Queste associazioni ripongono tutta la loro attenzione su obiettivi ambiziosi (ad es., SCP europeo, le alleanze possibili con i partiti nelle prossime elezioni e iniziative parlamentari per il controllo del commercio delle armi, per la riconversione fabbriche d'armi, ecc). Insomma, o la politica partitica o la non politica.
Alla base dei movimenti per la pace e la nonviolenza il clima generale è stato quello dell'attesa di benefici, come se si fosse conquistato lo Stato e ne dovessero conseguire automaticamente dei vantaggi; non c'è stata aggregazione al fine di sostenere e difendere questa conquista. D'altronde, sul tema difesa prevale l'individualismo, quello che ha osannato la fine della "naja"[3] Più in generale, c'è la paura della disoccupazione e del ricatto della perdita del lavoro; quindi c'è una la tensione alla riuscita individuale; da qui la tendenza al funzionariato e al carrierismo nei singoli, anche SC.isti).

3. Lo scontro sulle decisioni già prese ed approvate del Comitato. Il blocco delle attività

Fino alla quarta riunione del Comitato DCNANV non c'è stato conflitto; anche perché quasi tutti giudicavano utopica l'idea della DPN e quindi non davano rilevanza politica a quanto sarebbe uscito dal Comitato, a parte la destinazione dei fondi. Tutte le decisioni sono state prese all'unanimità (anche l'elezione del Presidente A. Drago e Vice Presidente P. Consorti), comprese quelle che il 14 luglio 2004 hanno dato un deciso avvio: l'approvazione di un primo gruppo di proposte suggerite dal Presidente: a) collaborazione col Servizio Civile di Pace tedesco, b) invio di 100 SC.isti nella ex-Yugoslavia per attività di peacebuilding; e c) sei ricerche per ottenere la prima conoscenza necessaria al Comitato per poi prendere decisioni (affidate due all'Università di Pisa, una rispettivamente a l'Università di Firenze, CSDC, Com. S. Egidio).
Ma a settembre il quadro è cambiato completamente. Sulla base di una malaccorta lettera del Centro Studi Difesa Civile, sono stati esternati sospetti (anche da parte del Vice Presidente) di collusione del Presidente col CSDC.
In ottobre, caduta la iniziativa con il Ministero tedesco per una sua mancanza, è sorto un secondo conflitto: il dott. Bandiera degli Enti di SC ha presentato eccezione formale sulla insufficiente verbalizzazione delle proposte a) e c) decise il 14 luglio. Le implicazioni politiche erano gravi: gran parte del lavoro fatto dal Comitato veniva annullato e disconosciuto il lavoro che il Presidente aveva fatto per una estate per fare approvare quelle proposte dal Direttore UNSC; il quale era stato interpellato su proposte che non sarebbero state autorizzate dal Comitato ma volute dal solo Presidente; e, ignaro di ciò, le aveva approvate (in via definitiva proprio lo stesso 6 ottobre, prima della riunione).
Quelle proposte non sono decadute perché figuravano anche nel punto seguente dell'o.d.g.. Un gruppo di lavoro doveva solo aggiungere valutazioni finanziarie ad una serie di 33 proposte (frutto di un documento del Presidente e di una rielaborazione del gruppo di lavoro Bonini-Cavagna-Grandi). Invece il vice-Presidente le ha presentate come una sua "Programmazione annuale". Comunque esse sono state approvate (sia pure nel finale della seduta, convulsamente, non a maggioranza e con una dichiarazione di dimissioni del Vice Presidente). Ma poi il Comitato entrava in uno stallo dovuto a personalismi, boicottaggi e rinvii di riunioni, più una prima lettera di dimissioni del vice-Presidente.
Dopo una crisi di due mesi, la situazione si è sbloccata nella riunione del 7 dicembre 2004. Il vice-Presidente ha presentato una seconda lettera di dimissioni, che (anche a seguito di un documento della CNESC) passava dalla interpretazione personalistica del conflitto in atto a quella strutturale: la causa della divergenza politica era come inserire la DCNANV nel sistema del SC (se modificando strutturalmente il SC, o no). Questa interpretazione del conflitto era stata già data dal Presidente, che pertanto riapriva il dialogo. Ciò portava gran parte del Comitato a chiedere al vice Presidente di ritirare le dimissioni; cosa che egli ha fatto. Inoltre sono state riconosciute valide le decisioni del 14 luglio, nonostante le mancanze nella formalizzazione del verbale relativo.
Ma nella riunione del 18 gennaio si è avuto un nuovo scontro. Il vice Presidente ha sollevato una alternativa: o, come lui proponeva, iniziare a discutere di nuovo la sola "programmazione", o dare la priorità alle decisioni del 14 luglio. Il Presidente invece non vedeva contrapposizione, secondo lo spirito con cui il 6 ottobre fu approvata la Programmazione; soprattutto dichiarava di non volere disdire la prima ed unica approvazione, ottenuta dal Direttore dell'UNSC già dal 6 ottobre precedente, su decisioni prese pochi mesi prima all'unanimità dal Comitato, sulle quali nessuno osava esprimere giudizi chiaramente negativi. Tanto più che la Programmazione era composta da ben 33 voci, che, pur approvata il 6 ottobre, il 7 dicembre è stata considerata dagli stessi proponenti come solamente tentativa; per cui il 18 gennaio è stata dichiarata bisognosa di gruppi di lavoro per chiarire che cosa ci fosse dietro ogni voce; dopo di che si sarebbero dovuti chiedere colloqui con il Direttore Palombi per ottenere la sua approvazione; il tutto in vista di una attuazione da parte dell'UNSC, il quale però aveva annunciato che, essendo sovraccarico di lavoro, poteva attuare le proposte una ad una.
Alla fine del dibattito una apposita mozione veniva approvata a maggioranza; essa considerava in vigore le decisioni prese il 14 luglio (e la loro approvazione da parte dell'UNSC) assieme alle altre. Ma il Presidente veniva accusato di non aveva allegato ad una sua lettera al Direttore UNSC i fogli della "Programmazione" (che però il Direttore aveva già acquisito dal 6 ottobre). Per questo motivo formale, il Presidente veniva sfiduciato con tre voti contro uno e quattro astenuti (sui sedici membri potenziali del Comitato). Pochi giorni dopo, contrariamente alla precedente mozione, il vice Presidente, senza il Presidente, è andato a colloquio con il Direttore UNSC; e non ha rinnovato la richiesta di applicazione delle decisioni del 14 luglio, ma ha presentato la sola Programmazione, come idea su cui discutere in futuro.
Dopo la riunione, si sono dimessi da componenti del Comitato: il Prof. Venditti (motivi di salute ma anche insoddisfazione per l'andamento del Comitato), il Prof. Drago (stravolgimento delle finalità istitutive del Comitato e denuncia di varie irregolarità commesse nel frattempo dal vice Presidente) e Minervino (malcostume dentro il Comitato). Il Comitato, che aveva già due membri decaduti per assenza sistematica, era così calato ad un numero (dieci), che è il minimo per convocarsi, ma solo includendo due membri sistematicamente assenti per impegni inderogabili, che di solito vengono benevolmente giustificati.
Il 24 febbraio è stato eletto Presidente l'ex-vice Presidente Consorti e vice Presidente G. Grandi dei Caschi Bianchi, senza portare avanti le decisioni prese ed approvate dall'UNSC.[4] Di fatto, in questo modo niente è stato spese del bilancio 2004 (salvo i rimborsi per le riunioni del Comitato), le decisioni del 14 luglio dimenticate e la Programmazione tutta da discutere.
Una valutazione pessimistica dice che dopo quasi un anno di attività tutte le proposte del Comitato sono state rimandate alle calende greche.

4. Il conflitto interno al Comitato: personale o strutturale?

Le interpretazioni date a questo blocco oscillano tra una di tipo personalistico e una di tipo strutturale.
La interpretazione personalistica è stata espressa dalla prima lettera di dimissioni del Vice Presidente mediante una allegoria (un tandem in cui lui si è stancato di pedalare di buona lena su obiettivi dati dal Presidente primo ciclista, ai quali egli non credeva molto); in più, lamentele e dichiarazioni di principio (su quale dovrebbe essere una buona conduzione del Comitato). Ma questi aspetti sono da giudicare generici, rispetto alla grande rilevanza dei fatti politici coinvolti dall'esistenza del primo Comitato del genere nel mondo.
Per una interpretazione che invece veda gli aspetti strutturali del problema, occorre compiere una analisi degli Enti coinvolti nella questione; per primo, il Comitato.
Per la sua composizione, il Comitato poteva essere di tipo o organizzativo della DCNANV, o di progettazione della stessa, o di interessi sulla stessa. E' chiaro che almeno i dieci componenti civili avrebbero potuto farlo diventare progettuale e magari organizzativo; infatti, così ha funzionato nella riunione del 14 luglio. Ma tutto dipendeva da come si ponevano i rappresentanti specifici degli Enti di SC, che sui dieci componenti civili erano almeno tre; questi avrebbero potuto abbassarne le ambizioni fino a ridurlo ad un Comitato di interessi.
Poi di fatto, all'interno del Comitato si sono manifestati vari tipi di resistenza al lavoro di ricerca e di proposta di novità sulla DCNANV:
· eccessiva attenzione alle parole utilizzate per definire le forme di difesa alternativa;
· contrapposizioni artificiose tra differenti concetti di DCNANV, benché equivalenti ai fini della ricerca di una prima alternativa alla difesa militare;
· pretesa dei rappresentanti degli Enti SC privati di rappresentare solo quegli Enti che operano all'interno dell'Italia, quando invece gli organismi collettivi degli Enti di SC (Consulta, CNESC, FOCSIV) rappresentano anche Enti istituzionali e ONG che intervengono all'estero;
· eccessiva attenzione alle formalità, quasi che si dovesse precisare una materia già ben definita;
· resistenza agli interventi all'estero, per restringere la DCNANV al solo significato di intervento dentro la società italiana, laddove però al momento non ci sono grandi attività movimentiste di DPN (lotta alla mafia), né operano specifiche istituzioni (neanche la PC),
· pretesa di dilazionare i tempi del finanziamento delle attività di una DCNANV in Italia.
Inoltre la composizione del Comitato non rendeva semplice il lavoro di mediazione tra eventuali pareri differenti, perché chiaramente i vari componenti avevano quattro tipi di divergenze:
1) sulle motivazioni, tra nonviolenti "storici" da una parte e dell'altra i nonviolenti esperienziali, o le persone appartenenti solamente all'area pacifista, o addirittura le persone di semplice buona volontà (in particolare i funzionari);
2) sul metodo di interazione politica, tra chi intende la politica come testimonianza e chi intende la politica come mediazione; e quindi tra una politica fondata su dei principi, in particolare quello della obiezione di coscienza, e una politica come un incarnarsi nella situazione particolare col fine di essere efficaci rispetto agli obiettivi che ci si propone;
3) sulla politica sul SC, tra chi vuole un modello pubblicistico di SC e chi vuole mantenere un modello privatistico, come quello già attuato dagli Enti di SC, d'intesa con l'UNSC e col Ministro (una divergenza che verrà chiarita tra poco);
4) sulla politica delle istituzioni statali, tra chi appartiene al movimentismo per la pace e per la DPN; chi si sente legato alle istituzioni civili statali; e chi si rifà alla tradizione militarista, sia pure aperta al civile (subordinato);
5) sulla politica parlamentare, tra la generale deriva a destra e la "resistenza" della sinistra, fino a chi rifiuta il "bipartisan".
Lo scontro si è manifestato non sul punto 4), così come si temeva, ma sui punti 1), 2) e 3).

5. La difficoltà fondamentale: il modello privatistico del SC volontario

La prima divergenza strutturale è quella del punto 3). Qui c'è ampia materia per divergenze, anche tra quelle persone del Comitato che nel passato condividevano molti temi politici (in particolare il sostegno all'obiezione di coscienza). Questa divergenza ci fa allargare l'attenzione all'esterno del Comitato, perché può essere collegata fino allo scontro politico nazionale tra Stato e Regioni (le quali favoriscono un SC privatistico); questo scontro era stato deciso formalmente dalla sentenza 228 della Corte Costituzionale, ma politicamente era stato rimandato allo stabilire dei reali rapporti di forza tra Stato e Regioni.[5]
Consideriamo la scelta politica compiuta dall'UNSC su come istituire il nuovo SC nazionale su base volontaria. L'UNSC poteva scegliere tra due modelli: uno pubblicistico, secondo il quale i SC.isti sono in carico all'UNSC (cioè allo Stato) e poi affidati agli Enti per la parte operativa; l'altro privatistico, secondo il quale i SC.isti sono affidati agli Enti e l'UNSC compie solo la funzione di controllo della attuazione della legge.
Nel 2002 l'UNSC ha scelto il modello privatistico.[6] Sicuramente lo ha fatto per ragioni organizzative (era la prima volta che in Italia si istituiva questo tipo di SC e l'UNSC disponeva di pochissime risorse economiche e amministrative); ma anche per ragioni giuridiche (all'interno del mercato del lavoro, questo SC non può che essere un lavoro precario; oggi non è nemmeno un Co.Co.Co. e si avvicina al lavoro in nero; esso è positivo per i disoccupati del Sud; ma il rapporto giuridico del SC.ista con lo Stato o con l'Ente è tutto da formulare e quale potrà essere il suo futuro? Allora allo Stato è convenuto lasciarlo nel sottobosco del privatistico, all'interno di un suo compromesso tra più direzioni politiche: semi accettazione del lavoro sommerso, calmiere per la disoccupazione del settore giovanile, politica giovanile, ecc..) e per ragioni amministrative (semplificazione degli organi consultivi, tutti costituiti da Enti di SC; fa eccezione il Comitato DCNANV, ma anche qui ci sono almeno tre rappresentanti del SC su sedici persone).
In questo quadro consideriamo gli Enti di SC. Essi sono cambiati dai tempi in cui sostennero a gran voce la DPN davanti al Parlamento. Oggi, non essendoci più l'obbligo della leva, essi non sono più costretti a partecipare ad una politica ideale, perché i SC.isti non sono più "marchiati" come obiettori di coscienza; né (salvo la Caritas) si sentono legati a quel passato. Né ora hanno impegni pubblici; debbono solo sottoscrivere una "Carta di impegno etico" che li invita ad "essere consapevoli" che il SC ha finalità innovative anche sulla difesa e compartecipa una solidarietà sociale generica. D'altra parte i controlli dell'UNSC oggi possono solo escludere gli Enti che siano chiaramente devianti, ma non i più rappresentativi e influenti. Quindi gli Enti di SC godono un'ampia libertà.
In più, il lavoro dei SC.isti è praticamente gratuito per gli Enti; esso può fare da sostegno alla programmazione di maggiori attività, in vista del potenziamento degli Enti nella società; fino a porsi come grandi Enti nazionali di terzo settore (con percentuali del loro funzionariato sul volontariato, che potrebbero diventare anche quelle, molto alte, che esistono oggi nelle ONG per lo sviluppo all'estero) e così gestire tutto il terzo settore.[7] Questa loro crescita è in accordo, al vertice istituzionale, con la attuale politica di privatizzazione delle iniziative statali e parastatali e, alla base, con la aspirazione dei tanti "volontari" a diventare funzionari retribuiti con regolare contratto.
Quindi la scelta privatistica dell'UNSC ha dato agli Enti privati di SC un grande potenziamento.
Nel contempo, il SC è aperto a tante finalità private ed è senza finalità pubbliche. Perciò si può dire che, rispetto a quello degli obiettori, il SC di oggi è ricaduto su se stesso.
Inoltre il modello privatistico del SC porta gli Enti privati di SC, anche se non sono enti pubblici, ad essere di fatto il luogo della gestione materiale del sistema SC nazionale, sia pur regolata dagli atti amministrativi dell'UNSC nelle sedi competenti. Il che è lecito e giustificabile, ma non è adatto a proporre novità istituzionali; perché quando si voglia introdurre una finalizzazione del SC nazionale a progetti, nazionali o internazionali si dovrebbe passare attraverso gli Enti di SC, per come oggi essi si sono accordati con l'UNSC; cioè attraverso una loro buona volontà e una intelligente progettualità; virtù rare in giro.[8] Mentre invece una politica degli Enti che sia attaccata ad una visione del SC nazionale privatistica e solo interna alla società italiana, può percepire il Comitato DCNANV come un elemento di disturbo dell'ormai avviato sistema del SC.
Anche, e soprattutto, perché la DPN istituzionale è, per sua natura, una attività pubblicistica; essa, non solo non può appartenere solo alle Regioni (come ha sentenziato la Corte Costituzionale nel 2004), ma tanto meno può essere assimilata alle attività di alcuni Enti privati di SC, per quanto grandi essi siano. Sia la sentenza della Corte che la istituzione del Comitato DCNANV chiedono al sistema attuale del SC un salto di qualità per incorporare in maniera non laterale, ma strutturale, la DCNANV, secondo una nuova prospettiva che, nel luglio scorso, all'uscita della sentenza 228 della Corte Costituzionale, veniva valutata da più voci "un'autentica rivoluzione".[9]
Rispetto all'attuale sistema del SC, ciò comporta un livello di lavoro superiore a quello che oggi gli Enti fanno al loro interno: richiede sia una diversa formazione dei SC.isti, sia un nuovo rapporto con l'opinione pubblica nazionale (la quale certamente si attende molto dai tentativi di costruire una alternativa alla difesa armata), sia una capacità di intervento all'estero, svolto in collaborazione con le ONG che già vi operano; in definitiva, richiede innanzitutto la subordinazione delle esigenze particolari degli Enti.[10]
Allora, nel blocco del Comitato si può vedere la resistenza degli Enti di SC alla nascita di una DPN in Italia. In altre parole, la attuale organizzazione del SC, meritoria perché costruita a tamburo battente in soli due anni, si è rivelata già vecchia rispetto alla istituzione della DCNANV e richiede un cambiamento radicale. Il grosso degli Enti di SC si rifiuterebbe di farlo, sacrificando la DPN; o meglio, riducendo la DCNANV a semplice solidarietà.L'aver posto un freno al Comitato, ha permesso agli Enti di mantenere l'attuale sistema del SC, o quanto meno cambiarlo in maniera lenta e più concertata, in modo da attenuare l'impatto della DCNANV sul SC.

6. La rinuncia ad una formazione superiore dei SC.isti

A favore di questa interpretazione è anche la mancata collaborazione (pur non obbligatoria) col Comitato da parte di altri Enti consultivi dell'UNSC. Ma soprattutto questa interpretazione ha una conferma nella formazione dei SC.isti alla DPN.[11]
Sin dal 1988 il movimentismo DPN italiano aveva lavorato per preparare dal basso una prima istituzione di DPN. Ha puntato con lungimiranza sulla formazione alla DPN dei responsabili del SC e dei formatori dei SC.isti e l'aveva progettata presso i massimi Istituti culturali nazionali: le Università,[12] con il progetto di costituire, come centro formatore nazionale, un Centro di ricerche sulla DPN; in modo che questa prima istituzione specifica per la DPN non fosse di vertice, ma avesse un'ampia base di persone decisamente a favore della DPN.
Ma nel 2002 l'UNSC non si è voluta accordate con questo lavoro preparatorio, compartecipato da tutto il movimento per la DPN. Chiaramente questa è stata una grave decisione politica (del Ministro?).
Piuttosto, l'UNSC ha deciso che l'ingente finanziamento (3 milioni di euro) per la formazione dei SC.isti andasse distribuito a ciascuno degli Enti. La giustificazione addotta è che alcuni di questi Enti sarebbero i veri depositari della precedente esperienza di formazione degli obiettori. Di certo gli Enti di SC hanno condiviso, se non voluto, questa decisione.
Inoltre l'UNSC, cercando di controllare questa attività, che nei singoli Enti è un po' sfuggente, li ha sottoposti ad un pesante meccanismo burocratico che praticamente è sopportabile da pochissimi Enti, dichiarati di prima categoria. Questi ora formano i SC.isti anche degli altri Enti, facendosi pagare somme pari a uno, due e anche tre stipendi del SC.ista (fino al paradosso dell'Università di Pisa, dove il Centro Interdipartimentale Studi per la Pace (CISP), che è promotore del corso di laurea in Scienze per la Pace, paga 600 euro al piccolo Ente CESC-Project per la formazione di ogni suo SC.ista); mentre invece il Comune di Torino chiede ad altri Enti solo 100 euro. Il che configura una gerarchia amministrativa, se non politica, tra gli Enti di SC.
Nonostante ciò, si poteva ancora recuperare la formazione nazionale dei SC.isti, formando centralmente i Responsabili e i Formatori dei SC.isti. Ma l'UNSC ha deciso di non utilizzare la suddetta grande esperienza, senza pari in altri Paesi. Nel maggio 2003 e nell'agosto 2004 non ha nemmeno risposto alla domanda, presentata da alcune Università (in particolare Firenze e Pisa, dove esistono i Corsi di laurea per la Pace) che volevano farsi carico della formazione dei responsabili della formazione negli Enti di SC. Neanche il Comitato DCNANV è riuscito a farsi coinvolgere nel processo iniziato dall'UNSC per la nuova progettazione della formazione, che, specie dopo la sentenza 228 della Corte Costituzionale, sarebbe da svolgere in funzione della DCNANV (o che almeno la dovrebbe includere come nucleo importante): il 14 luglio ha inviato una apposita mozione in proposito, ma senza ricevere risposta. Nell'estate 2004 l'UNSC ha iniziato questa formazione affidandola a persone di non altissima qualificazione.
In conclusione, la politica attuale dell'UNSC ha fatto nascere una forbice tra l'obiettivo politico pubblicistico di una DCNANV e quelli privatistici degli Enti di SC, di cui il progetto CISP dell'Università di Pisa si è fatto latore principale.[13]
Quindi, senza avere una composizione molto adeguata alla promozione di una novità assoluta come la DPN, il Comitato si è trovato ad operare non solo dentro molti vincoli, ma anche contro decisioni UNSC già prese e concordate con gli Enti di SC.

7. Gli Enti di SC fanno politica partitica?

Ma si noti che troppe amicizie personali sono state messe in gioco da un giorno all'altro. In più il Presidente è stato sfiduciato per un motivo insussistente e con una votazione impresentabile (tre contro, uno a favore e quattro astenuti). Inoltre gli atti ostativi all'operatività del Comitato sono stati compiuti con decisione; la loro sequenza e la loro esecuzione oggi appaiono premeditate e concertate lungo sette mesi. In questo frattempo il Comitato è stato portato a cambiare programma di lavoro tre volte. Nonostante questa variabilità, la progettazione di una DPN operativa non è risultata contrattabile.
Tutto ciò ha senso solo all'interno di un deliberato progetto: bloccare le prime decisioni, qualificanti la DPN, per restringere il Comitato ad attività poco incisive (così come teorizza l'ex vice Presidente).[14] Il che fa pensare che il progetto proviene da poteri ancora più forti che gli Enti di SC.
Allora la interpretazione deve salire di livello. In effetti, vari di questi Enti sono collaterali ai partiti (punto 5 del par. 3) e a loro volta i partiti sono molto rispettosi delle FF.AA (punto 4). [15]
Di sicuro la DPN disturba le FF.AA. italiane. Essa non può nascere senza che i militari cerchino di darsi un ruolo: certamente quello di frenare l'iniziativa del Comitato. Sapendo ciò, il Ministro Giovanardi ha scelto per il Comitato dei particolari rappresentanti del Ministero della Difesa, quelli che a priori erano favorevoli all'avvio di una DPN; cosicché le FF.AA. non hanno potuto (o voluto) agire direttamente sul Comitato. Allora c'è da chiedersi: ciò significa che il grosso delle FF.AA. è rimasto a guardare, oppure che ha premuto attraverso altri canali? Se lo ha fatto indirettamente, ha scelto i Partiti; che, a loro volta, hanno molta influenza su alcuni Enti di SC.
In funzione di quale obiettivo? Oggi le operazioni militari richiedono i civili, sia come supporto assistenziale, amministrativo e dirigenziale nella zona occupata, sia come mediazione verso quella società civile alla quale debbono chiedere il consenso con ben di più che la propaganda televisiva. Perciò le attuali FF.AA. includono una componente civile, pur di subordinarla alla programmazione delle operazioni belliche. Nel caso del rapporto con la società civile italiana, questa componente delle FF.AA. si associa bene con un SC che abbia una visione a corto raggio della società, tale da non considerare i conflitti sociali riducendo il metodo nonviolento ad un fair play. In tale prospettiva la DCNANV perde i due ultimi aggettivi, riducendosi alla sola "Difesa civile". Nelle catastrofi militari e terroristiche i SC.isti diventerebbero la truppa specifica della Difesa Civile, già istituita dai militari, per sollevare il morale della popolazione. Il che va molto bene sia per chi (come l'ex vice Presidente) vuole un SC ristretto alla sola solidarietà verso la popolazione, sia per i tanti Enti che indicano dei progetti di lavoro sociale solo a corto raggio e a scarsa responsabilità.
Con ciò tutte le istituzioni sarebbero contente: le FF.AA. per aver eliminato la concorrenza della DPN; lo Stato che non dovrebbe apportare modifiche alle sue istituzioni; l'UNSC e gli Enti di SC che resterebbero così come sono; epperò lo Stato conserverebbe il motivo valido per mantenere il SC a livello nazionale, perché il Comitato DCNANV starebbe lavorando sulla difesa nazionale (sia pure in termini di sola solidarietà).
Su questa base può essere avvenuto un accordo tra FF.AA. e Enti, mediato da quei Partiti di sinistra che mai hanno visto la DPN come una loro proposta possibile, e che forse, dopo gli eventi del 1989, la temono pure.[16]

8. Che cosa ha fatto il movimento di base nel frattempo

Nel periodo di attività del Comitato e in particolare dello scontro, si può dire che nel movimento di base c'era:
· chi aspettava che succedesse qualcosa di comparabile con il 1989 senza sentire la necessità di dargli un appoggio;
· chi ha cercato di rimboccarsi le maniche per costruire un contraltare di base di pari rilevanza politica alla politica delle istituzioni sul tema DCNANV;
· chi aspettava di capire lo scontro interno al Comitato e che dinamica politica si configurasse;
· chi aspettava i finanziamenti e i vantaggi che potevano venirne per gruppi e persone;
· chi aspettava l'occasione per ridimensionare la DPN a qualcosa di accettabile per il SC (e per le istituzioni).
Tre azioni di sostegno di una politica per la DPN nel Comitato sono state compiute. La Campagna OSM-DPN ha seguito da vicino l'andamento del Comitato, giusto perché la aveva avuto come uno dei suoi tre obiettivi terminali (prima istituzione per la DPN). In più ha lanciato una petizione per il rafforzamento istituzionale della DPN in Italia. Era rivolta al Presidente Ciampi, affinché egli si riconoscesse Capo supremo della DCNANV oltre che delle FF.AA.. La petizione è stata accolta da diversi organismi ed ha raggiunto circa mille firme. Ciò ha dato motivo per lavorare ad un coordinamento, guidato dall'On. Bianchi (Margherita) di deputati che facciano lobby per la DPN. Ma le convulse vicende parlamentari dell'estate e dell'autunno hanno dilazionato la riunione di avvio del gruppo fino al 18 dicembre; data che poi l'On. Bianchi ha dovuto rinviare per altri impegni; e poi non si è più tenuta, lasciando senzqa iniziative il livello parlamentare e dei partiti.
Solo l'IPRI,[17] l'unico istituto di ricerche per la pace italiano legato alla nonviolenza, ha avuto una iniziativa appropriata: si è rifondato in funzione di riproporsi come associazione di tutti i ricercatori DPN italiani, all'interno di un nuovo progetto di ricerca. Ma non ha fatto in tempo a farsi considerare il gruppo di riferimento dei ricercatori DPN.
In definitiva, il movimento per la DPNnon ha saputo reagire ad una mossa politica venuta a basso livello (neanche quello dei partiti, che, se ci sono stati, sono rimasti nell'ombra e che richiedeva come risposta una politica collettiva di gestione di una conquista pubblica; probabilmente perché non era abituato ad una politica che non fosse di contrapposizione.

9. Conclusioni

Nel futuro occorrerà sempre tenere conto di questa prima esperienza, di soli otto mesi, ma già molto significativa.
E' vero che la DPN nelle istituzioni, essendo di fatto una rivoluzione mondiale, prima o poi in Italia doveva incontrare degli ostacoli politici. Ma sono sorprendenti tre fatti:
1) L'ostacolo è avvenuto sul nascere, contraddicendo la stessa finalità del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (18/2/04): "... elaborare analisi, predisporre rapporti, promuovere iniziative di confronto e ricerca al fine di individuare indirizzi e strategie di cui l'UNSC possa tenere conto per predisporre di forme di ricerca e di sperimentazione di DCNANV." Si noti l'ampiezza delle finalità, che non sono obbligate a passare attraverso i SC.isti e gli Enti di SC.
2) Non c'è stata una opposizione politica diretta dei militari (anzi quelli del Comitato hanno spinto ad attuare la DCNANV). Né la PC ha voluto includere il SC o imporre un suo indirizzo al Comitato (invece è stata alla finestra). Né hanno interferito negativamente le Regioni (i progetti delle quali sono state fermate dalla sentenza 228/04 della Corte Costituzionale). Quindi non sono state le istituzioni statali a porre gli ostacoli manifesti; lo scontro è rimasto limitato a duelli personali e al rapporto tra il Comitato e gli Enti di SC; quindi casomai sarebbero stati, al livello strutturale più basso, gli Enti di SC; proprio quegli Enti che, avendo condiviso le lotte per la obiezione di coscienza e il SC, sembravano voler proporre (così come è stato fino al 14 luglio) anche la DCNANV in maniera concorde ai nonviolenti; e che invece hanno preferito mantenere il SC già attuato, senza nemmeno dichiararlo in maniera diretta.
3) Il quadro politico italiano avrebbe attribuito alla nascita della DPN istituzionale un peso politico molto piccolo, tale che gli organismi più potenti non sarebbero stati costretti ad intervenire direttamente; per cui, essi, se sono intervenuti, si sarebbero disfatti di un disturbatore politico mettendo in atto una azione solo indiretta, per interposti attori (Enti di SC? Componenti del Comitato stesso). (L'esserci riusciti, avrebbe confermato il pregiudizio dei partiti: i nonviolenti sono persone di sola buona volontà, da utilizzare per il loro impegno volontaristico, ma sono inconcludenti nella lotta politica corrente).
Quando fu resa nota la composizione del Comitato, che era sostanzialmente positiva, erano sorte grandi speranze. Rispetto ad esse, il risultato politico del lavoro di otto mesi può apparire deludente. Comunque il Comitato non ha lavorato invano. Ha ottenuto dei risultati, anche se non sono passati all'attuazione operativa:
· ha dimostrato che oggi la DPN non è un'idea di intellettuali, ma esiste a livello anche istituzionale, perché anche a questo livello ha saputo presentare proposte concrete che meritano finanziamenti specifici!
· ha indicato (grazie ai documenti di Drago e poi Bonini-Cavagna-Grandi) una serie di più di trenta proposte;
· in particolare, ha proposto nonostante l'assenza di PC., EE.LL., M.AA.EE. un progetto di sperimentazione della DPN: l'invio di un grosso gruppo di SC.isti nella ex-Jugoslavia, in modo da fare un esperimento da valutare per la prima volta scientificamente e poi riproporre a livello europeo; questa proposta del Comitato è stata approvata dall'UNSC (che quindi dovrebbe solo attuarla); quindi oggi si sa come lo Stato potrebbe e dovrebbe incominciare una esperienza di DPN operativa;[18]
· ha iniziato a sperimentare un legame politico tra la DPN e gli Enti di SC, legame essenziale per la DPN, e i legami con altre istituzioni.
Se anche questi risultati non avranno séguito, il lavoro compiuto non sarà affatto perduto: avrà rafforzato il movimento dal basso (sia davanti alle istituzioni che presso l'opinione pubblica), perché ha saputo esplicitare gli obiettivi della DPN istituzionale con un progetto praticabile e sviluppabile attraverso questo movimento.
Sarà piuttosto lo Stato che, dopo aver deciso di costituire un suo Comitato su una materia così impegnativa, si è dimostrato inefficace a sostenere il raggiungimento di una ulteriore tappa; e anzi oggi rischia di offrire una semplice politica giovanile da terzo settore, politica sostenuta al più da un principio di semplice solidarietà, che non va oltre le piccole comunità né vede le conflittualità; e quindi non può offrire granché alla popolazione, né può sostenere quella difesa (alternativa) della Patria che la nostra Costituzione (anche con la sentenza 228/04 della Corte Costituzionale) richiede al SC e che l'aver istituito il Comitato aveva promesso alla gente.. Quindi, sarà lo Stato a dover recuperare una credibilità ed una idealità.
Per il movimento per la DPN la vicenda dei primi otto mesi rappresenta una battuta d'arresto nella sua lunga e faticosa, ma gloriosa marcia verso una istituzione statale di DPN. La attuale situazione istituzionale delineata dall'UNSC va molto stretta al movimentismo italiano per la DPN, che viene obbligato non solo a contrattare una novità assoluta (i contenuti politici e organizzativi della DPN) con le istituzioni statali (e quelle militari in particolare), ma anche con la politica privatistica degli Enti di SC e le scelte privatistiche dell'UNSC.
Con il blocco della attività del Comitato il movimento ha perso la autonomia sul tema della DPN: ora è aperto lo spazio per tutte le interpretazioni vicine alla difesa civile e il movimento per una vera DPN viene emarginato dalla vita politica istituzionale. Avendo perso la occasione di fare politica su un tema che le caratterizzava, la DPN, le Associazioni nonviolente sono oggi tentate a ridursi ad associazioni culturali.
In un quadro più ampio, sembra di poter concludere che la società civile italiana ancora non è matura per una conquista così avanzata come il transarmo; quanto meno occorre certamente che la società civile faccia più attenzione al tema della DPN rispetto ai tanti altri temi. Ma soprattutto la ripresa ci potrà essere se i nonviolenti, umilmente, si porranno come primo obiettivo quello col quale nel passato si doveva cominciare a fare politica nazionale propositiva: il SC, da progettare oggi direttamente su finalità pubbliche.

Tab. 2: SERVIZIO CIVILE VECCHIO, NUOVO E GIURIDICAMENTE CORRETTO

ATTORE SOCIALE
Il SC "vecchio" è stato:
Il SC "nuovo" è:
Il SC giuridic.te corretto é:
Per lo Stato
dovere-diritto, sostitutivo del servizio militare
Politica giovanile? Lavoro statale in nero?
Risorse umane equivalenti alle risorse economiche che lo Stato non dà al terzo settore
Lavoro sociale straordinario
Transarmo
Per l'Ente di SC
Compartecipazione (almeno implic.te) all'odc e ai suoi valori politici
"Essere consapevole" che il sistema SC è per la difesa della Patria. Risorse umane senza contropartite. Bacino di reclutamento per terzo settore e volontariato
Progettazione di lavori di difesa (intesa in senso ampio) interna, nazionale e all'estero
Per il SC.ista
Scelte (almeno parziali) di forte etica-politica
Esperienza sociale, Opportunità,
Convenienza

Lavoro sociale di compar-tecipazione volontaria alla politica di transarmo
Per il mercato del lavoro (Sindacati)
Creazione di un nuovo segmento, senza regolamentazione
Calmiere della disoccupazione,
lavoro in nero
Lavoro straordinario regola-mentato giuridicamente, ma non professionalmente
Per la Società civile
Un servizio sociale (specie negli organismi di base)
Giurid.te: dolidarietà, difesa della Patria con mezzi non militari. Nella pratica: solidarietà generica, aiuto agli Enti di terzo settore
Inizio del transarmo: Lavoro sociale per la soluzione dei conflitti a livello meso e macro. Rafforzamento della solidarietà sociale

In sintesi, la nuova situazione può essere riassunta con la seguente tabella.

Tab. 3 IL CAMBIAMENTO SULLA DPN IN ITALIA NEGLI ANNI 2004 E 2005

MOVIMENTO DPN
PRE-2004
PROPOSTE DI DPN 2004
PROSPETTIVA DPN 2005
Prima Istituzione di DPN
Accademia della Pace per la Formazione dei Formatori DEI SC.isti
Comitato consultivo per l'UNSC sulla DCNANV
Concetto di DPN
DPN: Risposta agli scenari di invasione, dittatura, crisi internazionali
idem, salvo che alla DPN di base si affianca la DCNANV istituzionale
DCNANV senza nonvio-lenza e "non FF.AA.". Solidarietà sociale all'interno dell'Ente di SC
Ruolo dell'UNSC
Accettazione dei progetti di DPN, suggeriti dalla base, che coinvolgano i SC.isti
Approvazione ed attuazione delle proposte del Comitato DCNANV
Conduzione amministrativa del SC come solidarietà
Formazione dei SC.isti alla DPN
Scuola Nazionale Universitaria dei Formatori; Formazione dei SC.isti alla DPN
Richiesta di cambiare l'affido agli Enti di 1^ classe e la formazione dei Formatori all'UNSC stesso
Affido della formazione ai singoli Enti di 1^ classe e della formazione dei Formatori dell'UNSC stesso
Ruolo degli Enti di SC
Sostegno alla DPN
idem
Gestione della DCNANV ridotta alla solidarietà, assieme all'UNSC
Attuazione DPN da parte di:
Enti di base e Associazioni NV
idem più l'UNSC
DPN da parte delle sole Associazioni di base; DCNANV ridotta a DC (e delegata al CISP?)
Associazioni NV
Base ispiratrice della strategia (escluso MN?)
idem più IPRI rifondato
Espropriate della DPN istituzionale
Associazioni di interposizione NV
Base operativa della DPN
idem
Rapporto generico della DCNANV solidaristica con esse
Base DPN
Associazioni NV, Associazioni di interposizione NV, SC.isti e Formatori dei SC.isti
idem
Associazioni NV e Asso-ciazioni di interposizione NV, senza contare sul sistema SC (né sulla PC)


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[1] Sul Comitato sono stati pubblicati due articoli di prima informazione e valutazione di A. Drago: "Se la nonviolenza entra nel palazzo", Mosaico di Pace, 15 (4) 2004, 4-5 e di Diego Cipriani: "La difesa civile entra nel palazzo del governo"; Azione Nonviolenta, giu. 2004, 9. Inoltre A. Drago: "L'ingresso italiano nella politica del transarmo: i primi sei mesi della DPN istituzionale", Missioni Oggi, luglio 2005, in stampa, presenta la dinamica dei primi sei mesi del Comitato in maniera dettagliata. Sul sito di Satyagraha si può trovare un ampio articolo di quest'ultimo sui primi otto mesi del Comitato. Infine è noto che i verbali delle riunioni del Comitato sono pubblici e possono essere richiesti al Segretario, Sig. Ronci, ronci@serviziocivile.it.
[2] Fortunatamente è stato rilevato dalla Caritas per un lungo periodo. Questo fatto ha permesso ai nonviolenti di proseguire una crescita politica, pur non avendo grandi meriti. Altro settore sociale che sarebbe caratteristico dei nonviolenti è l'educazione alla pace e la scuola; dopo un periodo di gestione della tematica (1976-84) essi hanno lasciato il campo al Centro Psicopedagogico di Piacenza (CPPP), impresa privata. Nel 1995 i nonviolenti italiani hanno chiamato la società civile a intervenire nella lotta contro la mafia; è nata la più grande federazione di gruppi di base, Libera. Ma non hanno saputo gestirla; essa si è ridotta a chiedere un intervento da puro volontariato, che nei conflitti non agisce mai direttamente; non fa che solidarizzare con le forze di polizia, i magistrati, il pentitismo e la legalità (quando invece la nonviolenza è anche contro la legalità, specie quella del pentitismo). Infine i nonviolenti non hanno mai avuto iniziative comuni col sindacato. Anche nel più ampio quadro dei movimenti di base per la pace ci sono altri segnali politici negativi. Il primo è la mancanza di una chiara leadership. Le organizzazioni di base per la PC, riunite in una federazione (AZAN), per molti anni hanno cercato di formare una lobby sul Governo; ma inutilmente. Le ONG per i PVS non sono riuscite a svolgere una politica unitaria soddisfacente sul MAE e anzi sono state trascinate in vari compromessi. L'Agesci da decenni ha una base molto motivata per l'odc e il SC, ma la dirigenza costringe la specifica Segretaria per la Pace ad una attività ridotta, non incisiva.
[3] Questa fine è stata valutata da molti, compresi molti nonviolenti (v. il numero di Azione Nonv, 36 (1999) marzo; dove il testo dell'articolo a mia firma in realtà deforma il mio pensiero) come una conquista, in vista della abolizione (automatica?) dell'esercito; quindi secondo una strategia attendista e di seconda battuta, invece della strategia di costruire politicamente la novità della DPN all'interno di una politica di transarmo.
[4] Pochi giorni prima è stata diffusa una lettera della rete Caschi Bianchi; la quale poteva essere interpretata come un patteggiare l'assenso al nuovo corso in cambio (della sola promessa) di poche proposte, sostanzialmente il solo bando per i SC.isti nella ex-Jugoslavia. Così si lasciavano nel vago le altre proposte della cosiddetta Programmazione; si riduceva l'insieme delle decisioni del 14 luglio ad una sola (il bando per il peacbuilding) che si accettava che regredisse a proposta ancora da presentare all'UNSC; benché la mozione approvata dal Comitato prima delle dimissioni del Presidente avesse rinnovato tutte le decisioni prese il 14 luglio, incluso il bando che erano state già approvate dall'UNSC e che questo Ufficio doveva solo attuare.
[5] L'ex-vice Presidente ha scritto contro le sentenze della Corte Costituzionale. P. Consorti: "Dal 'vecchio' al 'nuovo' servizio civile: Profili giuridici" in P. Consorti (ed.): Senza armi per la Pace, PLUS, Pisa, 2003, pp. 41-72; pp. 53-57.
[6] Lo mette bene in luce il Prof. E. Rossi: "Alcune indicazioni per un servizio civile serio ed efficace", in E. Rossi e F. Dal Canto (edd.): Le prospettive del servizio civile in Italia: Dalla legge 64/2001 ai decreti attuativi
, Fond. Zancan Padova e Scuola Sup. S. Anna Pisa, 2002, 135-141, p. 139. D'altronde occorre ricordare che la tendenza a privatizzare è entrata da tempo nella politica dominante in Italia e lo è anche tra i nonviolenti: l'esempio maggiore è quello del CPPP, che negli anni '90 è sorto utilizzando la aggregazione e le competenze che erano state accumulate da un lavoro collettivo nazionale tra gli insegnanti nonviolenti (i campi estivi a Barbiana).
[7] Ciò a scapito degli Enti di piccolo calibro, quelli che sono stati il sostegno politico principale del SC degli obiettori. Prima del 2002 il ruolo dominante del grande Ente Caritas non toglieva spazio agli Enti di base, perché alla fin fine la Caritas rappresenta delle semplici Parrocchie, le quali vanno avanti con il lavoro di tante persone di buona volontà, tra le quali si potevano ben inserire gli obiettori alla misera paga militare. Invece oggi nei piccoli Enti il lavoro volontario di una persona di buona volontà può venire svilito dal confronto con i 430 euro al mese che riceve ogni SC.ista. (La esperienza fatta dal SC degli obiettori, sin dal loro inserimento nel 1974 all'Ospedale di Trieste, dove aveva operato Basaglia, indica che, anche negli Enti più meritori, nascono conflitti competitivi tra volontari e lavoratori dell'Ente). Tanto più quando nel terzo settore esistessero grossi Enti con molti funzionari.
[8] Un paragone possibile è il seguente: una riforma scolastica ministeriale che sia vincolata a mantenere la buona organizzazione della scuola privata (Ben altra cosa è la sussidiarietà, cioè sostituire lo Stato sulla base delle capacità del tessuto civile rispetto a quello pubblico, ma sul medesimo obiettivo politico).
[9] F. dal Canto: "Una autentica rivoluzione", Toscana oggi, n. 30, 1° ag. 2004, p. 1-2: "In altre parole, i due organi di garanzia [sentenza 228 della Corte Costituzionale e dichiarazione del Presidente della Repubblica] sembrano condividere l'idea secondo la quale il dovere costituzionale della difesa della patria si appresta a divenire il valore costituzionale all'interno del quale inquadrare in futuro ogni forma di impegno volontario e solidaristico promosso e organizzato dallo Stato e finalizzato alla costruzione del bene comune."(sott. agg.)
[10] Il dott. Bandiera (rappresentante dell'AISM, Ente di SC dedito alla lotta contro la sclerosi multipla, e della CNESC), assente nella seduta del 9 settembre, il 6 ottobre ha fermato (con una richiesta formale) la attuazione delle ricerche già approvate dall'UNSC. Nella stessa riunione si è espresso così su un punto centrale delle proposte del 14 luglio: "Per quanto attiene il sostegno a progetti sperimentali di SC, [il dott. Bandiera] ritiene che, come già detto da lui nel passato, in questo momento al SCnon fa bene un bando straordinario, perché potrebbe essere distorcente; bensì occorre collocare la nostra azione nell'ambito di un funzionamento generale dell'UNSC e del sistema del SC. Per cui se anche questa iniziativa dovesse partire dopo, nel prossimo bando si dovrebbe pensare che queste somme stanziate vengano utilizzate non come un incentivo agli operatori del settore, ma per creare un sistema che favorisca al massimo il potenziale dei ragazzi in SC." Da cui appare chiaro: 1) il proposito di non cambiare "il sistema SC" per come esso è ora organizzato; 2) al punto da rimettere in questione la decisione già presa con la mozione il 14 luglio ("... e se anche questa iniziativa dovesse partire dopo, nel prossimo bando,..."); 3) e comunque la volontà di non finanziare l'aumento delle capacità di intervento di interposizione nonviolenta, ma solo "il potenziale" dei singoli SC.isti. Al seguito di ciò il Presidente gli chiedeva formalmente di pronunciarsi se fosse a favore o no della attuazione del bando per l'invio dei SC.isti nella ex-Jugoslavia; ma egli si rifiutava di rispondere.
[11] Lo nota anche lo scritto, citato precedentemente, di E. Rossi.
[12] Dal 1990 ha sperimentato delle Scuole di Formazione per Formatori di odc (che sono state realizzate per tre anni assieme alla Fondazione Zancan a Malosco TN, a Capua con l'Università di Napoli, a Firenze con le Università di Firenze e di Bologna, vari anni a Rovereto con l'Università della Pace, per un totale di una dozzina di corsi, svolti al massimo livello: quello di Firenze aveva avuto come relatori Galtung, Sharp, Muller ed Ebert). In più, per il progetto "Scienza e Guerra" del Dipartimento di Fisica dell'Università di Napoli nel 1994-97 si sono tenute quattro scuole per obiettori di coscienza su: "Modelli scientifici dei conflitti e loro soluzioni cooperative", con tutti i relatori docenti universitari. Nel 1995-1996 per il progetto MURST su "Educazione alla Pace" (Prof. E. Butturini di Verona) questa scuola è stata allargata a tutti i temi appartenenti alla cultura dell'obiezione di coscienza, con la collaborazione delle tre università in Napoli e della Facoltà Teologica. Le lezioni sono state pubblicate in parte in: S. Parrello: Obiezione di coscienza, coscienza dell'obiezione. Un percorso formativo, Qualevita, Sulmona, 1999.
[13] La prima stesura del progetto è del Prof. Consorti (docente di Diritto Ecclesiastico, che anche davanti al Ministro si dichiara inesperto di DPN) e suscitò subito reazioni di meraviglia; ma fu approvata dal CISP (Centro Interdipartimentale Studi per la Pace dell'Università di Pisa) che per tre anni non la volle modificare. Ora sul sito del CISP c'è una versione aggiornata al dicembre 2004, che gioca ambiguamente sui due termini Difesa civile (14 volte) e DCNANV (solo 10 volte). Il punto più importante è la costituzione di un Centro Studi sul SC (non sulla DPN!) che secondo la eguaglianza "DCNANV=solidarietà" può essere inteso anche come agemzia esterna a cui l'UNSC delega la tematica DCNANV.
[14] Si veda anche l'ultimo scritto di P. Consorti: Legislazione del Terzo settore, Plus, Pisa, 2005, pp. 61 ss.
[15] Ovviamente, come sempre in politica, nessuno ha le prove di un eventuale coinvolgimento del Comitato nei livelli 4 e 5. Ma chi vuole fare politica non può aspettare le prove, altrimenti verrebbe sempre preceduto da mosse deliberatamente coperte da paraventi, le quali diverranno chiare solo a decisioni prese. Perciò occorre esplorare anche questa possibilità.
[16] Un D'Alema, che conduce la guerra nel Kosovo e poi va a fare la marcia pacifista Perugia-Assisi, o un Bassolino che firma un accordo per avere a Napoli il comando europeo della Nato e il giorno dopo va ad Acerra a guidare con Mons. Riboldi una marcia per la pace, certamente non vogliono intaccare il potere delle FF.AA.; ed anzi sono disposti a coprirne le mosse, anche vestendo i panni dei pacifisti.
[17] E' un piccolo Istituto che dal 1978 ha riunito nel passato vari ricercatori nonviolenti indirizzati alla DPN e che nel dicembre 2004, cogliendo l'occasione di un convegno internazionale e Firenze su "Università e ricerca per la Pace", si è rifondato sulla proposta di un ampio progetto di ricerca sulla DPN in Italia.
[18] Sono state presentate anche altre iniziative di forte rilevanza, oltre le 33 della Programmazione: collaborazione con l'Ufficio degli UN Volunteers e il M.AA.EE. per l'inivio di decine di SC.isti secondo i programmi JPO; collaborazione con le Regioni che hanno iniziato i corsi professionali di Peacekeeper da 800 ore; istituzione di almeno cinque nuovi insegnamenti di DCNANV in Università italiane (Parma, Roma LUMSA, Seconda Univ. Napoli, Istituto Univ. Orientale, Palermo). Tutte sono state annullate dal nuovo Presidente, con motivi vari.

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