LA COOPERAZIONE CIVILI MILITARI NEI CONFLITTI INTERNAZIONALI INTRODUZIONE di Giovanni Vultaggio e Federica Nogarotto Arjuna, in piedi sul carro, vede il padre, i nonni, i maestri, gli zii materni, i fratelli, i figli, i nipoti, i compagni, gli amici, e gli si piegano le ginocchia, gli si dissecca la bocca, gli arde la pelle allidea del prossimo massacro. Perché uccidere? Non aspira alla vittoria, alla regalità, ai piaceri. Nemmeno per la regalità dei tre mondi vorrebbe ferire. Come potrebbe essere felice dopo aver ucciso? Arjuana è puro, perfetto è il suo disinteresse. Eppure, dopo aver pronunciato queste parole, egli non si ritira affatto dalla battaglia! Lascia, sì, cadere arco e frecce e si siede sul fondo del carro, ma il suo spirito è turbato dallangoscia .. Gli uomini sono pieni di affanno, sia che facciano sia che non facciano. Le loro guerre lo mostrano come le loro paci, che sono un fuggire la guerra. O peggio, come nel caso nostro, di oggi, un chiudere gli occhi il più possibile a lungo per non vedere gli assassini. Il problema della conflittualità umana (e della guerra) costituisce la perenne bancarotta di ogni forma di umanesimo. Siamo nel terzo millennio. Per anni la contrapposizione fra i due blocchi ha allontanato lEuropa dalla guerra, non ha, tuttavia eliminato i conflitti armati. Violenza e conflittualità sono, infatti, per anni rimaste confinate al Terzo Mondo. Fra il 1945 ed il 1989, data di caduta del Muro di Berlino, la contrapposizione fra i blocchi gelava la guerra allest come allovest, ma, altrove, scoppiavano rivoluzioni e controrivoluzioni, colpi di Stato e massacro di milioni di individui, generando nuovi dispotismi più o meno totalitari. Al termine di tale periodo migliaia di persone avevano perso i loro punti di riferimento. La situazione sta ora rapidamente cambiando. La fine del XX secolo e linizio del III millennio sono stati segnati dallincertezza. Avvenimenti di grande ampiezza come lunificazione tedesca, la scomparsa dei regimi comunisti dellEuropa dellEst, il crollo dellUnione Sovietica, labolizione dellapartheid in Sudafrica, le guerre a bassa intensità in Europa, Sud America, nel corno dAfrica, in Medio ed Estremo Oriente, hanno influenzato, modificandolo notevolmente, il paesaggio geostrategico del mondo. In ogni angolo del mondo sussistono vivai di guerrieri, giovani e meno giovani, vestiti come capita o in uniforme, avidi di conquistare alloggi, carriere, donne e ricchezze. Altri avvenimenti ancora, anchessi di enorme portata, come i fenomeni di migrazione di massa, i mutamenti nellorganizzazione del lavoro e nei metodi di produzione, la globalizzazione, hanno esercitato uninfluenza decisiva sulla vita politica mondiale, provocando notevoli perturbazioni. Per il sociologo Pierre Bordieu, gli equilibri di una politica concepita come gestione degli equilibri economici .si pagano in modi diversi, sotto forma di costi sociali, psicologici, fino ad arrivare al risentimento, al razzismo e allo smarrimento.. . Una delle conseguenze è appunto lesigenza di ricercare (e/o riscoprire) nuove (o vecchie) dimensioni giuridico politiche. E mentre gli economisti spiegano che la mondializzazione delleconomia avanza, lantagonismo tra rivendicazioni territoriali e ragioni nazionali condiziona notevolmente la storia del mondo dalla fine della guerra fredda. Dal punto di vista della complessità dei rapporti geopolitici, assistiamo alla rinascita dei nazionalismi, alla crescita degli integralismi, alla divisione degli stati, alla richiesta dellindipendenza/autonomia da parte di molte minoranze. La maggior parte dei conflitti scoppiati fra la fine del XX secolo e linizio del XXI secolo, sono conflitti interni, che hanno opposto, e tuttora oppongono, un potere centrale ad una parte della popolazione, conflitti dunque, comunque, fortemente caratterizzati da una componente culturale, etnica e sociale. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino e la fine dellimpero sovietico è terminato lo scontro fra due ideologie, due concezioni della società, il capitalismo e il comunismo. Abbiamo perciò assistito alla disintegrazione di una parte degli stati dellEuropa orientale, quella stessa Europa orientale che, dalla fine della seconda guerra mondiale, era stata lesito geopolitico degli accordi fra Stati Uniti ed Unione Sovietica, che avevano condotto alla divisione in due blocchi mondiali: quello occidentale (Europa, Stati Uniti) e quello orientale (Unione sovietica, stati satelliti dellEuropa orientale). Non appena terminata questa rivalità bipolare, ecco dunque sorgere in Europa e in altre parti del mondo una serie di conflitti caratterizzati dal desiderio di possesso di parti di territorio, rivendicate per ragioni intricatissime: territori storici e territori simbolo; territori rivendicati perché caratterizzati da specificità linguistiche, etniche e da tradizioni culturali e storiche distinte. Dal crollo del muro di Berlino (1989) e la fine del bipolarismo con la ridefinizione politica del continente europeo a quello delle Torri Gemelle (2001), lo scenario strategico ha subito profondi cambiamenti e le sfide che hanno impegnato la comunità internazionali appaiono disattendere lassunto di Clausewitz, che la guerra è la continuazione di una logica politica. Lirrazionalità che ha, ad esempio, caratterizzato i conflitti dei Balcani o gli obiettivi dell11 settembre, rivelano come siano mutate le sfide e le crisi che la comunità internazionale, è oggi, chiamata ad affrontare. Sembra siano state liberate tutte le forze, le tensioni e gli interessi che la logica bipolare aveva imbavagliato per decenni. Questo continuo evolversi dello scenario strategico è tuttora in corso. Tutti questi avvenimenti, in cui crisi umanitarie, disastri naturali, conflitti ed attività criminose spesso si mescolano, hanno avuto come conseguenza una più ampia definizione del concetto di sicurezza, che non si esaurisce più nella sola connotazione militare ma assume nuove e più rilevanti dimensioni politiche, economiche, sociali, etniche, religiose ed anche umanitarie. Linclusione dellaspetto umanitario nellambito delle problematiche più generali inerenti la sicurezza, e viceversa, è qualcosa di recente ed evidentemente molto discusso. Probabilmente questo processo è avvenuto anche perché, a partire dal 1990, le operazioni di peacekeeping, ed i relativi finanziamenti ed investimenti, sono aumentate in maniera esponenziale. Da ciò ne consegue che le organizzazioni umanitarie hanno dovuto modificare il loro approccio rispetto alla loro missione, dovendo imparare a cooperare (o quantomeno coesistere con forze militari) presenti in una zona di conflitto. Il modo di pensare, che tutte queste sfide richiedono, deve essere, quindi, necessariamente pluralistico. Linterazione sinergica e complementare dei vari attori presenti in una situazione di conflitto, e quindi, di conseguente crisi umanitaria, appare, pertanto, fondamentale per la delineazione di una strategia complessiva di prevenzione e contrasto delle sfide del nuovo millennio. Hanno dunque ragione coloro che sostengono, come il Presidente emerito della Repubblica italiana Carlo Azelio Ciampi, che, nessuno vince da solo e che non cè sicurezza nazionale se non nel contesto duna più generale sicurezza collettiva. Nello scenario che si viene così a delineare, tramontata la tradizionale difesa territoriale e delle barriere verso est, è dunque auspicabile una maggiore integrazione degli sforzi che preveda limpiego armonizzato di più organizzazioni, fermo restando lintelaiatura garantita dalle Nazioni Unite, per arrivare ad una sicurezza globale. LA COOPERAZIONE CIVILE MILITARE Premessa Lassistenza umanitaria che, un tempo, coinvolgeva esclusivamente una cerchia ristretta di attori e di attività si è conseguentemente evoluta ed adattata a questi nuovi scenari. Lintervento umanitario è ora visto come un complesso di attività organizzative per fronteggiare situazioni di crisi, uno strumento per la costruzione della pace e della stabilità, punto di partenza per consentire lo sviluppo di una determinata area geografica. Tutto questo porta ad una proliferazione degli attori presenti in una determinata situazione di crisi: attori civili, istituzionali e non, ed attori militari, ciascuno, caratterizzato da culture, modi di pensare e di porsi istituzionalmente diversi, con catene di comando, strutture organizzative, mandati ed obiettivi, metodi di lavoro, molto diversi fra di loro, persino il vocabolario utilizzato è diverso. Linevitabile confusione di ruoli che ne è derivata ha generato grandi dibattiti e discussioni per definire delle chiare modalità e politiche di coordinamento ed intervento di ciascuno degli attori. Dalla fine della Guerra Fredda, il coinvolgimento delle forze armate nelle operazioni di aiuto umanitario è dunque aumentato in maniera considerevole. In considerazione che tradizionalmente laiuto umanitario era una capacità delle organizzazioni umanitarie (civili) governative e non, è evidente come il contatto fra queste organizzazione e le forze armate è diventato sempre più frequente, stretto e quindi problematico. Il radicale mutamento del contesto strategico e levoluzione del concetto tradizionale di impiego delle forze militari hanno comportato, quindi, nel recente passato, cambiamenti notevoli nelle capacità, nelle strutture e nelle dottrine dimpiego degli eserciti. Dai compiti statici, di difesa del territorio, si è passati ad impieghi dinamici di intervento esterno, dove gli eserciti sono sempre più coinvolti in operazioni non convenzionali, tra le quali vanno comprese anche delle operazioni di aiuto umanitario a supporto delle popolazioni locali. In un tale contesto, negli ultimi anni, il supporto militare agli interventi di aiuto umanitario è stato dato in numerose emergenze derivanti da crisi complesse. In un tale contesto, la varietà delle relazioni fra le forze militari e gli attori civili è ampio. In generale si può, dunque, arrivare a dire che la cooperazione civile-militare è un insieme di interdipendenze: gli assetti militari sono sempre più richiesti per assistere le autorità civili e, allo stesso tempo, il supporto delle autorità civili nelle operazioni militari è considerato fondamentale per la riuscita di unoperazione militare. La natura di queste relazioni ed interdipendenze sarà diversa e varierà in rapporto ai diversi tipi di attività che dovranno essere condotte e, conseguentemente, parametri diversi dovranno essere stabiliti ed applicati: mentre, infatti, nel caso di interventi umanitari non collegati ad operazioni militari, gli assetti militari possono essere dispiegati in supporto delle autorità civili, nel caso di operazioni militari, le forze militari dispiegate possono essere impiegate per far fronte ad emergenze umanitarie. Il ruolo delle forze militari, anziché ridursi o esaurirsi, come qualcuno prevedeva, si è invece ampliato e complicato. Gli aspetti militari della sicurezza devono, conseguentemente, essere presi in considerazione unitamente ai fattori politici, economici e sociali. Se poi ai parametri della complessità socio-politica, intrinseci all'operazione, si aggiungono quelli che derivano dalla multinazionalità dei contingenti e delle altre componenti civili (istituzionali e non), i problemi operativi e gestionali si complicano ulteriormente, il che significa che necessita uno stretto coordinamento fra tutte le componenti che partecipano allintervento che non è mai solo (e più) militare o solo umanitario e civile, ma contemporaneamente l'una cosa e l'altra. Con la fine della guerra fredda i movimenti pacifisti sembravano, inoltre, orientati verso leliminazione degli eserciti, la riduzione degli arsenali, il rifiuto della guerra, il tutto molto radicato in un profondo sentimento antimilitarista. Alla fine degli anni 90, il termine antimilitarismo venne quasi abbandonato del tutto per lasciare il posto ad una nuova terminologia, derivante essenzialmente da un comportamento di prassi politica, sempre più orientata al positivo e al costruttivo: si preferisce parlare di gestione civile, sia da parte della corrente di pensiero dellalternativa al militare, sia da parte della corrente di pensiero della collaborazione con il militare: nasce, quindi, la crescente convinzione che la cooperazione con le forze militari sia utile e necessaria. Ed i militari si sono trovati a dover gestire operazioni complesse che impongono l'assunzione, oltre che del ruolo di militari in senso stretto, anche di quelli della ricerca della stabilità, dellimposizione del rispetto delle norme del diritto internazionale e la loro azione è legittimata, non solo dalla difesa degli interessi nazionali, ma soprattutto dalla difesa degli interessi dellintera comunità internazionale. II contatto personale con le popolazioni locali, le fazioni in lotta, i militari degli altri contingenti, i numerosi membri delle varie organizzazioni internazionali e di volontariato, portatori anchessi di grandi esperienze e di valori, alle volte contrastanti, richiedono al soldato disponibilità al dialogo, apertura mentale e capacità duso limitato della violenza. La grande complessità di questo tipo di operazioni richiede, in definitiva, lo sviluppo e il consolidamento di nuovi modelli di comportamento, di coordinamento ed anche di convivenza; richiede, tutto sommato, una nuova identità professionale da parte di tutti i protagonisti. Diventa così necessario verificare come questi protagonisti (civili e militari) reagiscono ai nuovi stimoli, dando lavvio a un processo di analisi delle cose che si possono fare insieme e del come farle, partendo da un elemento sicuramente comune a tutte le componenti: la volontà di trovare soluzioni il più efficaci possibili, nel rispetto reciproco dei mandati particolari. La Cooperazione civile militare è in continua evoluzione, grazie anche agli sforzi, nel campo dell'addestramento e della formazione, prodotti sia dalle Forze Amate, sia dalla parte civile per capitalizzare le esperienze vissute e tentare di creare una vera cultura nell'ambito del CIMIC. Il confronto giornaliero e le discussioni creano quell'indispensabile conoscenza reciproca (tra quadri militari e funzionari civili) che poi, al momento dell'emergenza, permetteranno di realizzare la sinergia di sforzi necessaria per ben operare, mettendo da parte pregiudizi e luoghi comuni. La cooperazione e il coordinamento civile militare Laiuto umanitario è essenzialmente diretto alle vittime di crisi e disastri e al soddisfacimento dei loro bisogni primari. Comprende la distribuzione di cibo, acqua e generi di prima necessità, la costruzione di ricoveri, lassistenza sanitaria. Ma ha anche lo scopo di salvare vite, di mitigare le sofferenze umane, di garantire sicurezza alle persone e alle istituzioni rappresentative, legittimamente elette. Deve essere indipendente rispetto alle caratteristiche etniche, religiose, politiche. Lefficacia di tali interventi è direttamente legata al grado di sicurezza dellambiente nel quale esse so svolgono. Il compito primario delle forze militari è quello di assicurare la protezione del personale, dei mezzi, dei materiali e delle strutture delle organizzazioni responsabili dellaiuto umanitario, creare dei corridoi per il transito degli aiuti, condurre delle operazioni per eliminare la minaccia nellarea interessata. Solo, in casi di assoluta emergenza, qualora si sia resa necessaria levacuazione del personale delle organizzazioni umanitarie, la distribuzione di aiuti umanitari può essere svolta dalle stesse forze militari, che comunque concorrono nei limiti imposti dalla necessità di assolvere alle proprie missioni. Mentre le organizzazioni umanitarie hanno la responsabilità dellimplementazione delle misure di intervento e di aiuto, le forze armate hanno il compito di restaurare e garantire la cornice di sicurezza in cui gli interventi di aiuto umanitario devono essere portati. Ciò implica che il successo di un interevento non dipende solo dagli aspetti militari e/o civili, ma si basa sul grado di interazione fra le varie componenti per il conseguimento di obiettivi più ampi, nelle diverse fasi delloperazione (imposizione stabilizzazione - ricostruzione), funzionali alle esigenze primarie della società civile. Nellambito di tali obiettivi, un ruolo fondamentale è assunto dallazione di che una forza di intervento deve svolgere a favore della stabilizzazione attraverso operazioni di tipo multifunzionale, chiamate anche operazioni di sostegno della pace (Peace Support Operations PSO), condotte in aderenza al principio di imparzialità ed in ottemperanza ad un mandato stabilito, di norma da unorganizzazione internazionale. Hanno la funzione di raggiungere una soluzione politica stabile a lungo termine ed altre condizioni specificate nel mandato. Questo carattere di multifunzionalità consiste nelleterogeneità delloperazione: nelle operazioni di sostegno alla pace, oltre alle forze militari, vengono impiegati, infatti, anche rappresentanti diplomatici ed organizzazioni umanitarie (governative e non). In tale ottica si può parlare di una vera e propria evoluzione del sistema di risposta alle crisi, caratterizzata dalla concentrazione nella stessa operazione di più attività. Il mantenimento della pace (Peacekeeping PK) Le operazioni di mantenimento della pace sono svolte, di norma, in accordo a quanto previsto dal capitolo VI dello Statuto delle Nazioni Unite e sono condotte con il consenso di tutte le parti in causa. Hanno lo scopo di sorvegliare e facilitare limplementazione di un accordo di pace. Caratteristiche fondamentali di tali operazioni sono limparzialità e il minimo uso della forza. Tali forze sono destinate essenzialmente a dividere i contendenti e ad aiutarli nel ristabilire e nel mantenere le condizioni di pace e di sicurezza. In tale contesto, di norma, nellambito delle operazioni di peacekeeping le forze militari, allo scopo di ristabilire le normali condizioni di vita, politica ed istituzionale, agiscono in combinazione con personale civile di organizzazioni internazionali e di ONG. Possono essere svolti diversi tipi di missione: a. Le missioni di osservazione Costituiscono le missioni di base del PK ed hanno lo scopo di monitorizzare una situazione per ottenere informazioni tempestive ed attendibili. In particolare, tali missioni sono finalizzate a diramare lallarme in caso di inizio delle ostilità, a sorvegliare il ritiro delle truppe o di gruppi armati da determinate aree ed a controllare se il comportamento delle parti è coerente con quanto concordato. b. Le missioni di interposizione Hanno lo scopo di assicurare la separazione dei contendenti a seguito di accordi di cessate il fuoco e richiedono lo schieramento della forza dinterposizione immediatamente dopo la cessazione delle ostilità. c. Le missioni di assistenza nella transizione Sono missioni militari che si svolgono a seguito di un accordo di pace, precedendo lavvio delle attività civili previste dallaccordo stesso. Lo scopo di tali missioni è di supportare la fase di transizione tra una situazione di guerra e quella di pace, favorendo il ritorno alla normalità attraverso un ambiente sicuro per il ritorno alle normali condizioni di vita. d. Il controllo degli armamenti E unattività di natura essenzialmente politica e diplomatica svolta con la finalità di mantenere la stabilità a livello regionale. Le forze militari possono partecipare a tale tipo di operazioni attraverso personale ispettivo ed osservatori che conducono verifiche e controllano le modalità di smobilitazione di forze regolari o di gruppi armati, nonché mediante personale specializzato che provveda ad effettuare o sovrintendere allaccantonamento ed alla distruzione di materiale bellico. Limposizione della pace (Peace enforcement PE) Consiste in operazioni svolte secondo il Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite. Esse sono di natura coercitiva e sono condotte qualora non sia stato raggiunto il consenso di tutte le parti in causa, o esso sia incerto. Hanno lo scopo di mantenere o di ristabilire la pace, o di imporre altre condizioni specificate nel mandato. La decisione di una operazione d´imposizione della pace richiede una precisa decisione politica ed un altrettanto chiaro mandato dellONU. Il contingente incaricato di condurre tali operazioni utilizza la forza, o ne minaccia l´uso, per obbligare o convincere i contendenti a rispettare i contenuti del mandato. Pertanto, anche quando è necessario ricorrere al combattimento, queste operazioni si differenziano dalla guerra in quanto il loro obiettivo non è rappresentato dalla distruzione delle forze contrapposte, ma dal raggiungimento, anche se imposto coercitivamente, delle condizioni stabilite dal mandato internazionale. In funzione del tipo di mandato, il contingente può condurre le seguenti operazioni: a. contenimento, condotto allo scopo di controllare lespansione e l´intensità di un conflitto armato ricorrendo o meno all´uso della forza; b. applicazione di misure coercitive limitate, attuate allo scopo di avvertimento e consistenti nell´uso deliberato della forza limitato nel tempo e contro determinati e circoscritti obiettivi; c. l´intervento per permettere l´esecuzione di operazioni umanitarie. In questo caso si tratta di garantire la necessaria sicurezza sia alla popolazione, sia a coloro che sono incaricati di portarle aiuto. Le attività poste in essere sono la scorta dei convogli, la difesa di infrastrutture e dei campi, ecc; d. la creazione ed il controllo di aree sicure; e. la separazione dei contendenti, che consiste nella condotta di operazioni, limitate nellintensità e nellestensione, allo scopo di costringere le parti a ritirarsi al di là di determinate linee di demarcazione e/o demilitarizzate; f. la liberazione di territori occupati, che consiste nella condotta di operazioni che consentano il ristabilimento della legittimità della sovranità di uno Stato. La prevenzione dei conflitti (conflict prevention) La prevenzione dei conflitti comprende una vasta gamma di attività, di norma condotte secondo il Capitolo VI dello Statuto delle Nazioni Unite, finalizzate ad impedire linsorgere di conflitti. Tali attività spaziano dalle iniziative diplomatiche allo spiegamento preventivo di forze, al fine di impedire che controversie locali possano espandersi o evolvere in confronti armati. Il compito delle forze armate è quello di fornire il sostegno alle iniziative ed alle attività politiche e diplomatiche mediante limpiego di forze che assolvano funzioni di allarme (early warning) e di deterrenza attraverso le seguenti missioni: a. Lo spiegamento preventivo E una misura attuata in unarea dove sussiste il rischio dinsorgenza di un conflitto fra stati oppure fazioni o gruppi allinterno di uno Stato. Questo tipo di missione costituisce sempre un forte segnale di carattere politico, specie se le forze impiegate hanno configurazione multinazionale o appartengono a un sistema di alleanze (es. NATO); Lo spiegamento preventivo allinterno di unarea di crisi può comunque avvenire solo previo mandato di unorganizzazione internazionale (ONU) ed il consenso dello Stato interessato ad ospitare le forze. b. La sorveglianza La sorveglianza consiste nella sistematica osservazione di una determinata area e delle attività che in essa si svolgono. Attraverso di essa è possibile evitare la sorpresa ed acquisire elementi per intraprendere adeguate iniziative di carattere politico, diplomatico e militare. c. Lallarme preventivo Lallarme preventivo è unattività condotta generalmente a livello strategico ed operativo ed è svolto nellambito delle normali attività di sorveglianza e monitorizzazione della situazione condotte sia a livello nazionale, sia in ambito internazionale. Questa attività consente di fronteggiare eventuali crisi con sufficiente preavviso, in quanto la tempestiva identificazione della minaccia permette di avviare le opportune misure politiche e militari. Ledificazione della pace (peacemaking) E unampia gamma di attività diplomatiche svolte dopo lo scoppio di un conflitto armato al fine di stabilire un cessate il fuoco o un sollecito accordo di pace. Includono mediazioni, azioni riconciliatorie, pressioni diplomatiche, isolamento o sanzioni. Ledificazione della pace è unattività essenzialmente di tipo diplomatico alla quale lo strumento fornisce sostegno sia indirettamente, attraverso attività di staff o di consulenza, sia direttamente, con il coinvolgimento di contingenti di forze. Le missioni assegnabili sono quelle tipiche della prevenzione dei conflitti, quali la sorveglianza, oppure quelle che rientrano nellimposizione di sanzioni o di embarghi, utilizzati come strumenti di pressione politica. Il consolidamento della pace (peace building) Si tratta di azioni di supporto delle misure politiche, economiche, sociali e militari, nonché delle strutture aventi il fine di rafforzare e consolidare gli accordi politici che mirano a neutralizzare le cause di un conflitto. In particolare, il peace building include le procedure atte ad identificare e supportare le strutture per il consolidamento della pace, promuovere la sicurezza ed il benessere e facilitare la ricostruzione economica. Le operazioni umanitarie (humanitarian operations) Si tratta di operazioni aventi lo scopo di alleviare le sofferenze di una popolazione o di un gruppo dovute a disastri naturali oppure causate dalle conseguenze di guerre o di persecuzioni e si svolgono generalmente quando le autorità locali non sono in grado di sostenere la popolazione. Queste operazioni possono essere condotte nel contesto delle Peace Support Operations o anche quali operazioni indipendenti, precedendo o svolgendosi in contemporanea con attività umanitarie condotte da altre organizzazioni. La particolarità di questo tipo di missione impone di tener presente i seguenti aspetti: 1. la cooperazione: le organizzazioni incaricate degli aiuti devono stabilire una stretta cooperazione con le autorità civili locali per stabilire quali siano le prioritarie esigenze da soddisfare e chi siano e dove si trovino i destinatari dei soccorsi; 2. il consenso: nella maggior parte dei casi le operazioni avvengono su richiesta o quanto meno con il consenso delle Nazioni interessate; 3. la sicurezza: in mancanza di consenso, devono essere adottate specifiche misure di sicurezza a tutela delle organizzazioni umanitarie, della popolazione e delle forze militari incaricate dellintervento. In genere la minaccia da fronteggiare è ascrivibile alle fazioni locali e/o ad elementi criminali che tendono a colpire la popolazione, ad impossessarsi degli aiuti umanitari o a colpire le organizzazioni umanitarie ed il contingente per manifestare la contrarietà allintervento. Un case study: la cooperazione civile-militare in Afghanistan Con la fine dell´occupazione sovietica, l´Afghanistan è rimasto abbandonato a se stesso per pressoché dieci anni. L´attacco terrorista dell´11 sttembre 2001 e la guerra al terrorismo hanno riportato impetuosamente questa terra sullo scenario della politica internazionale. Dopo l´intervento della comunitá in forme piú o meno internazionalmente accettate e legittimate, l´Afghanistan, al giorno d´oggi, si presenta caratterizzato dai seguenti fattori: &Mac183; forte esclusione sociale, basata sul sesso, l´etnia e l´appartenenza ad un determinato gruppo politico; &Mac183; violazione dei diritti umani e mancanza di interventi approppriati; &Mac183; sul territorio, con eccezione della capitale, evidente mancanza di presenza del governo centrale, vasta diffusione dell´illegalitá; &Mac183; a causa dell´accentuata frammentarietá del governo del paese, sussiste una mancanza di vere capacitá gestionali e grande disparitá nella distribuzione e gestione delle risorse e dell´impiego; &Mac183; mancanza di infrastrutture di supporto sociale e/o sanitario; &Mac183; presenza di forze militari, percepite come forze di occupazione e assistenza innapropriata e non coerente da parte della comunitá interazionale; &Mac183; accentuata povertá, malnutrizione e condizioni ingieniche e sanitarie precarie; Nonostante i recenti progressi in campo politico ed anche economico, l´Afghanistan rimane uno Stato fortemente frazionato, dove esiste ancora molta illegalitá, rivalitá etniche e anche molta violenza. Costituisce, inoltre, un terreno di prova per nuove forme di collaborazione ed interventi multidimensionali e multilaterali. Attualmente l´intervento della comunitá internazionale è rappresentato dalla presenza di 13 PRTs (Provincial Reconstruction Teams), 18 agenzie delle Nazioni Unite e circa 232 NGOs. La situazione attuale, in Afghanistan, costituisce un´opportunitá unica per la cooperazione fra civili e militari. Mentre, da una parte, il rischio della consistente presenza internazionale è nella possibile confusione dei ruoli e nell´erronea percezione delle attivitá da parte della popolazione afghana. Il successo della missione internazionale dipenderá, invece, dall´abilitá e capacitá di raggiungere e garantire il raggiungimento degli obiettivi attraverso la coesione, il consenso e l´unitá di intenti, nella definizione delle strategie e modalitá operative ed il loro relativo coordinamento. Stabilire, mantenere e rinforzare la cooperazione civile-militare è un elemento determinante per garantire un´adeguata sicurezza ed il successo per la creazione di uno Stato afghano. Il personale delle forze militari dovrá, ad esempio, essere chiaramente identificabile e distinguibile dal personale delle organizzazioni civili e dovrá essere destinato essenzialmente in compiti di mantenimento della pace e della sicurezza, riducendo al minimo gli interventi di assistenza. CONCLUSIONE Le varianti del quadro geopolitico che influenzano la pace e la guerra sono molteplici e nessun criterio morale specifico è facilmente formulabile a tal proposito. La società moderna è, per quanto abbiamo visto, intrinsecamente conflittuale ed il problema fondamentale è quello di definire un quadro istituzionale entro cui i conflitti siano regolabili. La conclusione non può essere diversa dalla necessità che il dialogo e linterazione fra gli attori militari e civili debbano essere i fattori determinanti, oltre che auspicabili, negli intereventi dei diversi attori presenti nelle emergenze umanitarie, cercando di evitare la competizione e minimizzare le sovrapposizioni. E, dunque, necessario ed importante che entrambi gli attori comprendano il complesso sistema di operare di ciascuno: è importante che i militari comprendano la complessità del mondo umanitario, ma è altrettanto importante che gli attori civili siano coscienti delle varie ragioni e motivazioni per le quali le forze militari sono presenti nello spazio umanitario. Nel complesso mondo delle relazioni civili-militari cè, dunque, un gran numero di situazioni dove la cooperazione, il coordinamento, la corresponsabilità, la coesistenza, diventano elementi assolutamente necessari per il successo di una missione, nel pieno rispetto dei ruoli ed anche degli ideali di ciascuno, che, per quanto diversi possano essere fra di loro, non possono costituire un ostacolo al lavorare e cooperare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune che, in ogni caso, è al di sopra, delle convinzioni e dei modi di operare di ciascuno. Mentre i militari hanno la capacità di operare e far operare nellambito di un cordone di sicurezza, di offrire assistenza in termini di dispiegamento rapido di uomini e mezzi, di trasporti, di adeguato supporto logistico, le organizzazioni umanitarie hanno le capacità di identificare i destinatari e beneficiari dellintervento umanitario, i bisogni e le vulnerabilità e di monitorare e valutare limparzialità e la neutralità degli interventi di aiuto umanitario. Appendice: Intervista al personale del NATO CIMIC GROUP SOUTH di Motta di Livenza
|