http://www.gianfrancobertagni.it Simone Weil e i pericoli del potere
L'interesse, per molti aspetti davvero sorprendente, che si riaccende oggi sulla figura di Simone Weil, è sicuramente positivo, tanto da riscoprire i primi testi filosofici, ovviamente di valore diverso (la Weil, tanto per chiarirlo, non è Hegel...) ma comunque oltremodo significativo , per lo studioso e per il "curioso" che però sia almeno disposto a esaminare con maggiore attenzione i veri motivi della sua curiosità. Scrittrice, drammaturga, pensatrice politico-religiosa, Simone Weil (1909-1943) sfugge a tutte le classificazioni: ebrea, si avvicinò alla fede cristiana, socialista, fu considerata non a torto "revisionista" rispetto a uno schema complessivamente rigido di pensiero operaio e rivoluzionario (ma talora anche riformista) modellato sul marxismo, molto legata al sindacalismo rivoluzionario, non è tuttavia propriamente «anarchica», a meno che non si allarghino a dismisura le maglie semantiche di tale contenitore. Sarebbe forse accettabile, ma con riserva, accostarla al pacifismo rivoluzionario di un Tolstoj, da cui tuttavia la divideva un mondo di esperienze esistenziali e umane e soprattutto la convinzione che un nuovo regime rivoluzionario avrebbe comunque riprodotto condizioni di oppressione sociale e politica (nonché economica). Più prudente compararla, nella diversità, a una pensatrice sua contemporanea, ebrea tedesca, allieva-amante-avversaria di Martin Heidegger, Hannah Arendt, in quanto entrambe le autrici propongono, se pure con tecniche di scrittura e talora argomentazioni differenti, una critica radicale al totalitarismo di ogni forma e «colore». Inutile domandarsi se la Weil si sia realmente convertita al cattolicesimo: sarebbe opera da apologetica di basso profilo, inutile e dannoso, a maggior ragione, volerne fare una paladina involontaria dell'attuale revisionismo storico e politico, anche perché la scrittrice rimane assolutamente consapevole della necessità di un'opzione non capitalista (implacabile a attualissima la sua analisi del taylorismo, ossia della moltiplicazione e dell'accelerazione della produzione - un metodo ormai obsoleto nelle società affluenti ma decisamente riconoscibile, invece, in molte realtà da terzo e "quarto" mondo). Non parliamo neppure di un suo uso stumentale, tuttavia esistente, quasi che la Weil avesse anticipato la teoria degli opposti estremismi politici: farlo-usarla, cioè, in questa chiave, vuol dire leggerla in modo totalmente a-storico. La Weil, poi, a differenza di tanti altri autori e pensatori confrontatisi via via con la questione sociale, ha un vantaggio: da scrittrice e pensatrice s'era tuttavia "obbligata" a sperimentare la vita di fabbrica, lavorando come operaia semplice (non specializzata) alla Renault, la più grande fabbrica automobilistica francese, dal'34 al'35, ossia nell'epoca del successo delle ricette tayloriste in Europa e un anno prima del successo delle sinistre alle elezioni parlamentari francesi, che portò alla formazione del primo governo europeo di coalizione delle sinistre, il Front populaire. Di quest'esperienza ci rimane una straordinaria testimonianza nel «Diario di fabbrica» (tradotto in italiano da Franco Fortini, non a caso): acuta fenomenologia dall'interno della condizione operaia del '900, ha ancora rilievo anche per quella attuale, pur con tutte le modifiche del caso. Come tale è paragonabile solo al testo di Friedrich Engels su «La situazione della classe operaia in Inghilterra» (anteriore di quasi un secolo), dove però era un socialista di condizione borghese, figlio di un industriale, a osservare e descrivere una condizione che viveva da vicino ma non da protagonista attivo. Per altri aspetti, fuori dal marxismo, potremmo citare la francese-latinoamericana Flora Tristan (anche lei scrive circa un secolo prima della Weil), ma nella Tristan, che ci lascia note molto meno organiche, è in primo piano la condizione femminile - che la Weil tratta ma non mettendola in primo piano - e il libertarismo di derivazione fourierista del «libero amore». Fulminante, Simone Weil, quando ci parla dell'irruzione della dimensione mistica nella vita, in specie in quella svuotata di senso dell'operaio che lei ha visto da vicino: quando non rimane nulla, si può dire semplificando, ecco l'humus ideale per l'avvento di Dio. Sono argomentazioni da sempre considerate «folli», almeno da quando Paolo di Tarso parlò del cristianesimo come di «scandalo per gli Ebrei, follia per i Gentili»... |
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