http://www.vita.it Intervista a Wangari Maathai. Il mio Nobel verde & nero E' la prima donna africana a ricevere il massimo premio per la pace. Ha fondato un grande movimento popolare ambientalista in Kenya. «Wangari Maathai chi? Ah, la professoressa! Certo che la conosco. La conosciamo tutti qui». Questa è la risposta standard per ottenere la quale basta prendere in mano le Pagine gialle del suo Paese, andare alla lettera “enne” di Nyeri, cittadina ai piedi del monte Kenya, e scegliere un numero a caso. La “professoressa” spiega al telefonino a Vita, nella sua prima lunga intervista esclusiva rilasciata dopo aver vinto il Nobel per la pace, perché tutti la chiamano così nella cittadina in cui è nata e ha trascorso la sua gioventù. «è perché a Nyeri sono stata la prima a ottenere quel titolo di studio, quando anche in tutto il Kenya erano poche le donne ad averlo conseguito…». Ma anche per una forma di profondo rispetto, aggiungiamo noi, nei confronti di una donna che ha passato gran parte dei suoi 64 anni a difendere l’ambiente, a insegnare a giovani, donne e uomini politici che il rispetto per la natura è alla base del rispetto per la vita. Vita: Quando ha iniziato a interessarsi di ecologia? Wangari Maathai: Sono cresciuta in campagna, molto vicina alla foresta e circondata da un mucchio di alberi, immersa in una vegetazione verde e rigogliosa. Negli anni della mia infanzia sono andata a scuola nelle aree rurali. Ecco, credo che sia stata proprio questa mia infanzia campagnola che mi ha trasmesso l’amore per il verde e l’ambiente. Vita: È stato difficile, per una come lei, trasferirsi da Nyeri a Nairobi, dalla campagna alla grande metropoli? Maathai: No, perché dopo avere concluso le scuole elementari in una scuola gestita dai padri della Consolata di Milano, sono andata alle scuole medie, alle superiori e poi - per forza di cose - a Nairobi, l’unico posto in Kenya dove potevo laurearmi e ottenere un lavoro. Quindi per me è stato naturale trasferirmi nella capitale. Vita: Quando ha iniziato a lavorare all’università di Nairobi? Maathai: A 27 anni, facevo l’assistente. Vita: E 27 anni fa ha fondato il Green Belt Movement, il Movimento della cintura verde, un’associazione ambientalista con la quale ha piantato oltre 30 milioni di alberi in Kenya. Quando le venne l’idea? Maathai: Ho iniziato ad appoggiare attivamente il movimento ambientalista nel 1973-74: in Kenya avevano cominciato a prepararsi per la Conferenza delle Nazioni Unite in Messico, dove si sarebbe celebrato l’Anno internazionale della donna. Andai ad ascoltare alcune donne kenyane: mi dissero che la loro prima preoccupazione era costituita dall’acqua, dall’incendio delle foreste e dalla carenza di alimenti… Lì mi si “accese la lampadina”. Vita: Quindi il suo ingresso nella società ambientalista è stato - tutto sommato - casuale: l’incontro con alcune donne che si stavano preparando per una Conferenza dell’Onu a Città del Messico. Come mai, a causa delle sue battaglie a favore dell’ambiente, è finita in prigione? Maathai: La ragione per cui il governo kenyano osteggiava ciò che stavo facendo non era tanto da collegarsi alla mia volontà di piantare alberi: in realtà, l’allora presidente Arap Moi non voleva che organizzassi le donne del mio Paese… Vita: Scusi, che c’entra l’“organizzazione delle donne kenyane”? Maathai: C’entra eccome. Lei forse non lo sa, ma per piantare alberi bisogna prima organizzare gruppi, educare i componenti affinché si preoccupino di ambiente ma anche di essere buoni cittadini. In una parola: far capire loro l’interconnessione tra cattivo governo, degrado ambientale e molti dei loro problemi. È stata questa connessione che ha mandato “fuori dai gangheri” il governo kenyano dell’epoca: il presidente Arap Moi non voleva che io insegnassi queste cose ai cittadini, soprattutto alle donne. Vita: Il Nobel per la pace a un’altra donna, dopo la Ebadi. Che lezione ne dobbiamo trarre? Maathai: Che è molto importante, per noi donne, capire il valore della democrazia. In Kenya prima il governo non permetteva alla gente di incontrarsi, di organizzarsi, di muoversi da un posto all’altro. Avere invertito questo trend è stato molto importante per far crescere la democrazia kenyana: abbiamo insegnato alla gente che è fondamentale far valere i propri diritti fondamentali, che sono poi la base di quella democrazia partecipativa di cui tanto si parla. Vita: Dopo la comunicazione della sua vittoria del Nobel, un’agenzia le ha attribuito alcune dichiarazioni polemiche sull’origine dell’Aids, che lei avrebbe accusato essere nato da esperimenti in laboratorio. Cosa voleva dire? Maathai: L’agenzia ha cambiato completamente le mie dichiarazioni e quando l’ho letta ci sono rimasta molto male. Vita: Qual è, in realtà, la sua posizione? Maathai: I kenyani hanno perso un sacco di tempo prima di affrontare seriamente questa malattia. Dai dati in nostro possesso l’Aids ha colpito per la prima volta il mio Paese nel 1984, ma abbiamo atteso sino al 2000 per dichiararlo una calamità nazionale. Adesso non dobbiamo più rimandare. Vita: Quale il problema maggiore? Maathai: Qui circola molta disinformazione su questa malattia, che sta aumentando la sua diffusione soprattutto tra le popolazioni rurali, le meno informate. Vita: Può fare qualche esempio di disinformazione? Maathai: Pensi che alcune persone affermano che se un uomo malato da Aids fa sesso con una vergine, lui ne guarirà all’istante. Questo genere di informazioni errate ha reso le giovani ragazze kenyane molto vulnerabili agli abusi sessuali. E, conseguentemente, al contagio. Vita: Lei è molto attiva nell’istruire i membri del comitato kenyano per la lotta all’Hiv/Aids, che devono essere formati su come indirizzare le loro comunità nell’affrontare l’epidemia. Cosa insegna loro la “professoressa” Wandari? Maathai: Soprattutto che, dal momento che vanno in giro a parlare soprattutto ai giovani, devono informarli dei pericoli dell’Aids e delle poche opzioni disponibili per proteggersi dal contagio. Vita: Quali sono le opzioni su cui puntate maggiormente in Kenya? Maathai: Per esempio i preservativi, attualmente disponibili e molto usati. Però, dal momento che non sono efficaci nella prevenzione al 100% a causa delle possibili rotture, io dico sempre che devono essere usati con cura e prudenza. Ma soprattutto enfatizzo ai membri del comitato che, in quanto portatori di informazione, devono anche inculcare uno spirito di responsabilità morale e di valori, cosa ancora più importante soprattutto per i giovani. Inoltre cito sempre l’astinenza come metodo più sicuro. In assoluto. Vita: Quindi smentisce l’affermazione che l’Occidente ha creato in laboratorio il virus dell’Aids? Maathai: Certo. Ho riflettuto a lungo, in molte occasioni, sulle molte teorie che vorrebbero spiegare le origini di questa malattia. Prima ci è stato detto che venne individuata in California, tra gli omosessuali e, più tardi, tra gli eroinomani che usavano siringhe in gruppo. Poi è uscita la teoria che l’Aids proviene dalle scimmie africane mentre, per altri ancora, è una sorta di punizione divina per chi fa violenza sessuale. Altri, infine, sostengono che il virus sia stato creato in laboratorio e, accidentalmente, si sia diffuso all’esterno. In realtà nessuno conosce la verità sulle origini di questa terribile malattia. Del resto esiste la possibilità di creare agenti distruttivi in laboratorio. Per esempio la guerra in Iraq è iniziata perché si riteneva che quel Paese possedesse la capacità di produrre armi di distruzione di massa. Vita: Molti sostengono che la guerra irachena sia stata dichiarata per sfruttare le sue risorse. Lei che idea s’è fatta? Maathai: Quando i soldati statunitensi sono stati mandati a Bagdad, ci era stato detto che era solo ed esclusivamente per esportare la democrazia e per togliere di mezzo Saddam, una persona che stava pianificando la produzione di armi da guerra chimiche, biologiche e di distruzione di massa. Adesso vediamo che, in realtà, non c’era nulla, e ci sono molti più problemi di prima. Vita: Torniamo al problema: qual è la sua ricetta per iniziare a combattere sul serio il problema dell’Aids nel suo Paese? Maathai: Ci dobbiamo armare d’informazione, aiutando la nostra gente a superare l’ignoranza su questa malattia. Perché, se non la prendiamo sul serio, con il tasso di mortalità che abbiamo in Africa, rischiamo di fare la stessa fine dei dinosauri e, in futuro, d’essere descritti come «quella razza nera estinta» il cui ultimo esponente è stato sepolto nell’anno 3000! Questo - tra le risate collettive alla luce di alcune candele - l’ho detto un mese fa ai membri del comitato kenyano per la lotta all’Hiv/Aids. Vita: Quale messaggio si sente di poter lanciare ai giovani africani? Maathai: Vorrei enfatizzare l’importanza del principio della precauzione, soprattutto nell’affrontare tematiche come l’Aids. Un principio che, ancora e purtroppo, non capiamo appieno. Vorrei incoraggiare la nostra gente a mantenersi fedele ai valori morali e a farsi testare. Per conoscere il proprio status e proteggere se stessi e il prossimo da questo nemico pericoloso. Ecco l’essenza del mio messaggio. Vita: Ci piacerebbe averla in Italia per la festa dei 10 anni di Vita, il prossimo 25 ottobre... Maathai: Anche a me piacerebbe esserci. Ho un legame molto stretto con le sorelle e i padri della Consolata di Milano. E visto che la vostra festa sarà a Milano… |
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