Marco Pacioni Ricorda Jean-Pierre Vernant Tratto dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 gennaio 2007. Marco Pacioni, saggista, svolge attivita' di ricerca presso l'Universita' "La Sapienza" di Roma. Opere di Marco Pacioni: (con Marco Santoro, Michele Carlo Marino), Dante, Petrarca, Boccaccio e il paratesto. Le edizioni rinascimentali delle "tre corone", Edizioni dell'Ateneo, Roma 2006 Scomparso ieri a Sevres, all'eta' di novantatre anni, Jean-Pierre Vernant era uno dei piu' grandi studiosi del mondo greco antico, che sapeva animare di imprevedibili contrasti interpretandolo attraverso concetti capaci di contraddire la vulgata relativa alla perfezione idealizzante, quella delle raffigurazioni artistiche compassate e monocrome del neoclassicismo. Il punto di vista della comparazione rendeva sfaccettato il suo campo d'indagine: quelli che venivano presi in considerazione non erano piu' soltanto i grandi distillati concettuali della cultura greca, secondo un'ottica tipicamente classicistica, ma i singoli elementi che portarono alla loro nascita. Il metodo di Vernant non procedeva tanto a una storia delle idee assunte come se esse fossero "naturalmente" infuse dentro quella grande astrazione che chiamiamo "civilta' greca", e che sviluppandosi secondo una supposta linea di continuita' avrebbero raggiunto noi contemporanei. Piuttosto, cercava di restituire il contesto che aveva dato origine a quelle idee e, attraverso di esso, provava a misurare l'inevitabile distanza dell'"uomo greco" rispetto a noi, suoi supposti eredi. Un progetto ambizioso che mirava, come disse lo stesso Vernant, non a costruire una storia evenemenziale, bensi' una "storia interiore dell'uomo greco". Sin dall'inizio degli anni Sessanta definiva il suo progetto con queste parole: "Che si tratti di fatti religiosi (miti, rituali, rappresentazioni figurali), di scienza, di arte, di istituzioni sociali, di fatti tecnici ed economici, noi li consideriamo sempre quali opere create dall'uomo, espressione di un'attivita' mentale organizzata. Attraverso queste opere noi cerchiamo che cosa e' stato l'uomo greco in se', quest'uomo greco inseparabile dal quadro sociale e culturale di cui egli e' insieme l'artefice e il prodotto". * Negli anni successivi, Vernant continuo' a sottoscrivere le linee della sua ricerca pur informandole di una maggior moderazione, senza tuttavia arrivare mai a contraddire le sue piu' remote convinzioni. Vennero eliminati dai suoi studi i residui piu' scopertamente classicistici che caratterizzavano la sua impostazione iniziale. Del resto, essi suonavano all'apparenza simili a quelli contenuti nel progetto di studio, divergente quanto all'impostazione, dello studioso tedesco Max Pohlenz, di cui nel 1962 era stato pubblicato L'uomo greco (traduzione italiana, 1986, La Nuova Italia) e nel quale cosi' esordiva: "Al di la' di tutte le differenze c'e' un unico uomo greco ed e' lui che noi vogliamo cogliere nella sua vera essenza: compito, questo, che non ha un significato esclusivamente storico. Infatti, solo qualora riusciamo a comprendere realmente l'uomo greco, potremo rispondere alla domanda se la grecita' ha ancora un valore attuale per i popoli civili della nostra epoca"; e concludeva: "Gli Elleni sono il popolo che nel periodo del suo massimo splendore, proprio attraverso lo sviluppo della sua natura, ha portato le piu' nobili energie del genere umano a dispiegarsi cosi' armoniosamente come, nella storia, non avvenne mai piu'. Per questo ancora oggi gli Elleni possono indicarci una via e valere come un modello di vita". A parziale rettifica di quanto aveva affermato all'inizio degli anni Sessanta, nel volume collettivo da lui curato e che porta lo stesso titolo del libro di Pohlenz, L'uomo greco (Laterza, 1991) Vernant scriveva: "Tralascio i risultati - certamente parziali e provvisori, come sempre per qualsiasi studio storico - della ricerca da me condotta in merito ai mutamenti che nell'uomo greco, tra l'VIII e il IV secolo a. C. hanno investito l'intero quadro delle attivita' e delle funzioni psicologiche: rappresentazioni dello spazio, forme della temporalita', memoria, immaginazione, volonta', persona, pratiche simboliche e utilizzazione dei segni, modi di ragionamento, strumenti intellettuali. Vorrei collocare invece il profilo di cui tento di definire i lineamenti sotto il segno non dell'uomo greco, ma dell'uomo greco in noi. Non il greco qual e' stato in se', impresa impossibile perche' l'idea stessa e' priva di significato, ma il greco quale a noi oggi appare al termine di un percorso che, in mancanza di un dialogo diretto, procede secondo un incessante andare e venire, da noi a lui, da lui a noi, coniugando assieme analisi obiettiva e volonta' di simpatia; giocando sulla distanza e sulla vicinanza; allontanandoci per farci piu' vicini senza il rischio della confusione e accostandoci per meglio cogliere le distanze e insieme le affinita'". In queste parole, che vogliono anche segnare il bilancio di un'attivita' di studio e di metodo, si percepisce l'intensificarsi della problematicita', nel passare degli anni, con la quale l'umanesimo di Vernant si metteva in relazione al mondo antico. E si legge, tra quelle righe, anche la conferma dell'orientamento comparativo e la volonta' di ritrovare la vicinanza di noi moderni con la cultura greca soltanto dopo aver tenuto presenti tutte le diversita' che nessun salto ideologico ha il diritto di colmare idealmente. Un orientamento, questo, che suona piu' che mai importante ricordare in questo momento storico nel quale i processi di appropriazione, ad uso politico, dei fattori identitari di civilta' diverse dalla nostra prescindono completamente dal rilievo delle loro specificita'. Una parte della cultura che propaganda la difesa dell'occidente sembra infatti assumere da un lato la custodia della civilta' greca antica e la riattualizzazione forzata di alcuni suoi portati che si pretenderebbero senza cesure; e d'altro canto non risparmia alcun facile sincretismo a fronte di diversita' troppo pronunciate per essere trascurate, per esempio per quel che riguarda il rapporto con il cristianesimo. * Per parte sua, proprio a proposito della cesura del nostro mondo occidentale con le sue origini, Vernant era intervenuto, osservando quanto fosse illegittima una tendenza alla attualizzazione della cultura greca. E cosi' scriveva: "Nella nostra epoca l'uomo espresso dalla tragedia greca ha piu' che mai rilievo: voglio dire l'uomo enigmatico, l'uomo preso in un flusso che lo supera, l'uomo che calcola, decide e giudica, che esita tra due vie, posto nei bivi dell'azione, che sceglie consapevolmente - e che poi alla fine si accorge di aver scelto in realta' il contrario di quel che lui credeva fosse il bene. Questo sentimento 'tragico' e' oggi piu' forte perche' molte cose che sembravano certe sono oggi in crisi... Ci si e' infatti accorti che lo sforzo per programmare il futuro, lo sforzo per inscrivere in anticipo nella storia i fini ultimi dell'uomo, e' qualcosa di incredibilmente incerto. In questo caso l'uomo - proprio come gli eroi tragici antichi - volendo costruire un mondo veramente ideale puu' fare il contrario di quel che credeva di fare". |