Dell'Uccidere e del Vivere
di Giulio Vittorangeli

Tratto da La Nonviolenza è in cammino

Le grandi manifestazioni di massa per la pace che si sono tenute in tutto il mondo il 15 febbraio 2003 ci hanno restituito il senso dell'umano. Rompendo, finalmente, un quotidiano ogni giorno piu' tragico, e connotato dai concetti di morte e guerra. Si veda, in questo senso, il terrorismo e la guerra "infinita" contro il terrorismo, la guerra che insanguina i territori israeliani e quelli palestinesi; la tragedia del popolo ceceno come di quello curdo; le barriere innalzate contro coloro che vengono bollati come clandestini e le retoriche sullo scontro fra Occidente ed Oriente e sulla presunta superiorita' dell'Occidente; ma anche le cronache nazionali di omicidi fra familiari, di vicini, di uomini che uccidono donne, di piccoli uomini che uccidono piccole donne.

"Perche' se qualcosa e' stato straordinario a Roma, oltre alla quantita' della folla, era il senso di festa con il quale si ritrovava una collettivita' mossa da una preoccupazione drammatica come la guerra. Veniva credo dalla percezione di non essere solo succubi, ascoltatori, massa destinata a subire" (Rossana Rossanda). Certo, restiamo ancora col fiato sospeso temendo le bombe su Baghdad, ma con ancora un filo di speranza (da oggi piu' forte) che alla fine prevalga il lume della ragione. L'altra cosa straordinaria, e' che il divieto delle telecamere del servizio pubblico di trasmettere in diretta la manifestazione pacifista di Roma, non ha tolto nulla all'effettiva partecipazione di milioni di persone contro la guerra. "Siamo cosi' sicuri di aver bisogno di essere visti per esistere? Credo che sia come scendere sul terreno dell'avversario e rimanere in qualche modo imbrigliati, come succede nella politica italiana. Ognuno deve fare i conti con se stesso e prendere le sue decisioni" (Marco Bechis, regista cinematografico). La realta' e' che i grandi mezzi d'informazione (le tv in particolare), al di la' della censura, hanno trasformato la guerra in una semplice operazione di logoramento della capacita' aggressiva del nemico, cancellando la morte propria e altrui dall'immaginario bellico; cancellando violenze, incendi, stupri, come ogni volta che l'uomo e' caino al fratello. Finendo con il rappresentare un mondo che non c'e', inventando un "Truman-show" per il quale e' gia' stato scritto il copione della guerra giusta.

Cosi' non si racconta piu' l'orrore e l'oscenita' della morte, dei cadaveri, perche' una realta' di questo tipo non e' "adatta" ai telegiornali e alla fine nessuno sarebbe piu' disposto ad appoggiare una guerra. Cose che non possono essere mostrate alle opinioni pubbliche, italiane e europee, gia' in maggioranza contrarie alla guerra di Bush. Per essere mostrate in tv le vittime devono essere morte in un bel modo, "romanticamente" riverse, magari con una mano sul volto sfigurato. Una morte pietosa, senza ferite evidenti, senza nulla di sporco, senza tracce di muco o di sangue rappreso, di membra straziate e di sofferenza. La causa della morte deve essere cancellata in omaggio al buon gusto. Solo cosi' riusciamo a sopportare la prospettiva di una guerra. Per Gorge W. Bush e Tony Blair, e tutti gli altri piccoli guerrieri nostrani che ci vogliono trascinare verso la guerra, ci sono solo attacchi chirurgici, danni collaterali e tutti gli altri artifici linguistici della menzogna bellica. Davvero il nostro e' un mondo di giganti atomici e infanti etici. Sappiamo piu' della guerra che della pace, sappiamo piu' riguardo all'uccidere che non riguardo al vivere.

Cosi' continua la corsa agli armamenti, conven-zionali e nucleari, le merci oscene che assorbono denaro, lavoro, materiali sottratti ai bisogni vera-mente umani. Cosi', anche noi, ignoriamo giornalmente le guerre senza nome, a partire dall'Africa. Sudan, Grandi Laghi, Costa d'Avorio, Liberia, ecc. Nomi che ogni tanto, non molto in verita', leggiamo magari sui giornali. Dietro ad ognuno di questi nomi un numero senza fine di vittime innocenti che hanno come unica colpa quella di essere nati in questi paesi e non altrove.

E' davvero lungo e difficile il cammino della pace e della giustizia ottenuta con la pace.

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