Introduzione a "Il Pensiero Nonviolento" di Antonio Vigilante Tratto da La Nonviolenza e' in Cammino [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos@tiscali.it) per averci messo a disposizione l'introduzione del suo recente libro: Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004, pp. 238, 15 euro, con una presentazione di Mario Martini. Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Per richieste alla casa editrice: Edizioni del Rosone, tel. 0881687659, e-mail: edizionidelrosone@tiscali.it] Nel semestre estivo del 1935 Martin Heidegger tiene all'Universita' di Friburgo un corso sulla domanda metafisica fondamentale: perche', in generale, vi e' l'essente e non il nulla? Il corso, da cui nascera' la Introduzione alla metafisica, e' un confronto critico con le categorie e con il linguaggio della metafisica occidentale. Alla luce della domanda sull'essere, Heidegger osserva il mondo del suo tempo - il tempo piu' buio del Novecento. America e Russia gli appaiono simili nel testimoniare il dominio e la frenesia della tecnica e la riduzione dell'uomo a massa. L'Europa, "in preda a un inguaribile accecamento" (1), e' schiacciata tra l'una e l'altra. Ad essere schiacciato, piu' di tutti, e' il suo popolo, il popolo tedesco; il quale, pero', e' pure il "popolo metafisico per eccellenza", l'unico popolo che puo' invertire la rotta ed "esporre se stesso e insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centro del suo avvenire, nell'originario dominio della potenza dell'essere", salvando l'Europa dall'annientamento grazie al dispiegarsi di "nuove forze storiche spirituali" (2). Il popolo tedesco potra' instaurare nuove origini tornando ad interrogarsi originariamente sull'essere. * Mentre Heidegger elabora, nel centro dell'Europa, la svolta del suo pensiero, dall'altra parte del mondo, in India, Gandhi porta avanti la sua lotta nonviolenta contro il dominio degli inglesi. A meta' degli anni Trenta, in particolare, la sua attivita' si concentra nel riscatto degli intoccabili e nella valorizzazione dei villaggi. Anche Gandhi, come Heidegger, avverte il suo, il nostro tempo come un'eta' di decadenza; anche lui assegna al suo popolo un compito storico; anche lui diffida della tecnica e denuncia i pericoli della massificazione. Se Heidegger e', a giudizio di George Steiner, "un uomo della campagna" (3), Gandhi e' uomo del villaggio, fautore di una esistenza essenziale, povera ma autosufficiente, moralmente rigorosa, lontana dalla corruzione e dalla degenerazione delle citta'. Come Heidegger, Gandhi pensa che dall'esperienza diretta della verita' possa nascere una nuova, grandiosa forza storica. * Ma Heidegger e Gandhi rappresentano realta' storiche opposte. Mentre Heidegger offre il suo sostegno - variamente interpretato dai critici al nazionalsocialismo, vale a dire al piu' grande errore ed orrore politico, morale, culturale del Novecento, Gandhi porta avanti l'impresa, incredibile alla luce della tradizione politica occidentale, di liberare un popolo da un nemico potente senza far ricorso alla violenza. Le nuove forze storiche spirituali, auspicate da Heidegger, non sono venute dall'Europa, che invece ha prodotto massacri, persecuzioni, offese alla dignita' dell'uomo. Dall'oriente ci e' giunta invece, grazie a Gandhi, la nuova prospettiva della nonviolenza. * Chi consideri l'esperienza del Novecento, difficilmente potra' negare che l'unica vera nuova forza storica e spirituale del secolo e' la nonviolenza. Altre grandi forze storiche hanno dominato il secolo, declinando poi irreversibilmente. Altre forze spirituali si sono affermate, cercando di contrastare il nichilismo. Ma e' difficile individuare una realta' diversa dalla nonviolenza che abbia le caratteristiche di essere una forza (cioe' una realta' efficace), di essere spirituale (cioe' di nascere da un contatto con la verita') e di essere storica (ossia di operare nel mondo). E' possibile scorgere nell'opera di Gandhi e dei suoi continuatori la risposta all'esigenza posta da quello che appare, almeno per l'influenza delle sue idee, come il piu' grande pensatore del Novecento. Questo libro intende esplorare quella risposta. Non si tratta, e' bene precisare subito, di una risposta meramente teoretica: e' una risposta che fonde teoria, ethos e prassi. Cio' la porta lontano da certe raffinatezze intellettuali, ma vicino ai problemi concreti, al travaglio individuale e sociale di un'epoca che impone grandi scelte, coraggiose decisioni di ognuno, nuova consapevolezza e nuovo impegno. Il politico nonviolento e' impegnato attraverso l'azione nella ricerca della verita': esperimento con la verita', dice Gandhi. Questo lo differenzia da ogni altro uomo politico. Il fascista, il comunista, il liberale hanno alle spalle la loro compiuta Weltanschauung, che puo' essere totalizzante o venata di buon senso, violenta o tollerante, ma ad ogni modo e' caratterizzata dall'essere una unita' di senso, premessa per la prassi politica. V'e' una teoria, insomma, che ispira e guida l'azione. Nel caso della nonviolenza le cose stanno diversamente. E' l'azione, la prassi che tenta una verita', illustra una prospettiva, indica una direzione. L'azione e' guidata da una ipotesi, e a sua volta ne fa germogliare altre: quelle ipotesi sull'uomo e sul mondo che costituiscono una verita' in polemica con le insufficienze della realta'. "La nonviolenza non e' un dogma, ma un processo", ha scritto Thich Nhat Hanh (4), Parlare di pensiero nonviolento non vuol dire mettere in luce una corrente del pensiero contemporaneo, cercando di dimostrarne la compattezza e la coerenza. Un pensiero nonviolento, cosi' inteso, non esiste. Esistono invece dei punti di contatto tra pensatori diversi per formazione culturale, per zona geografica, per le condizioni storiche nelle quali si sono trovati ad agire ed a riflettere. Accanto ad essi, vi sono anche differenze spesso notevoli, problemi aperti, punti da approfondire. Il pensiero nonviolento e' una rete aperta di contributi, non un sistema filosofico. * Distinguo nel pensiero nonviolento tre tradizioni principali. La prima e' quella che si puo' definire orientale, comprendente in primo luogo Gandhi, e poi esponenti del buddhismo come il filosofo vietnamita Thich Nhat Hanh ed il Dalai Lama Tenzin Gyatso, personalita' che hanno dato un contributo notevolissimo alla creazione di una cultura mondiale della pace. Le radici di questa tradizione della nonviolenza affondano nel terreno fecondo dell'India religiosa, mistica e filosofica: negli insegnamenti del Buddha, con il suo messaggio di amore universale (metta) e, per quanto riguarda Gandhi, nella Bhagavad-Gita. La seconda tradizione e' la linea prettamente laica della nonviolenza, nella quale rientrano pensatori originali, la cui riflessione, pur avendo a volte una intonazione religiosa, si caratterizza per il fatto di non derivare da una fede o rivelazione. E' il caso del filosofo italiano Aldo Capitini, che ha elaborato un pensiero nonviolento al tempo stesso laico e religioso, con un discorso che, come vedremo, rimanda a Martin Buber ed Emmanuel Levinas. Ma in questa linea rientra anche l'altro grande maestro della nonviolenza italiana, Danilo Dolci, rigorosamente laico. Infine, vi e' una nonviolenza cristiana, rappresentata da personalita' appartenenti a confessioni differenti, e in qualche caso su posizioni eterodosse: da Tolstoj, in polemica con il cristianesimo istituzionalizzato, a Lanza del Vasto, a cattolici come don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, don Tonino Bello. Con questa distinzione non voglio negare che esistano possibilita' di nonviolenza anche nelle tradizioni religiose diverse da quelle orientali e da quella cristiana. Tracce della nonviolenza possono essere ricercate in tutte le tradizioni culturali, ed e' ben possibile che in futuro gli sviluppi piu' importanti vengano, ad esempio, dall'Islam. Ma fino ad ora la nonviolenza si e' concretizzata soprattutto in figure rappresentative che appartengono alle tre linee indicate. * Ho concentrato l'attenzione soprattutto su cinque maestri, nei quali a mio avviso l'idea di nonviolenza trova una piu' attenta traduzione in termini filosofici. Gandhi, naturalmente; il suo discepolo Lanza del Vasto, Aldo Capitini e Danilo Dolci, ed il monaco zen Thich Nhat Hanh. La concezione nonviolenta di questi maestri si sviluppa in contesti molto differenti. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' nato a San Vito dei Normanni nel 1901. Dopo studi a Parigi ed a Pisa, e varie esperienze culturali e di viaggio, e' diventato nel '37 discepolo di Gandhi, che gli ha dato il nome di Shantidas (servitore di pace). Tornato in Europa, ha fondato in Francia la comunita' dell'Arca, ispirata ai principi della civilta' rurale e della nonviolenza. E' morto in Spagna nel 1981. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899. Laureatosi a Pisa, e' stato segretario della Normale. Antifascista, teorico ed attivista del movimento liberalsocialista, dopo la fine del regime ha cercato di realizzare l'idea di un potere di tutti, attraverso i Centri di Orientamento Sociale. Docente nell'universita' di Cagliari e, dal '65, in quella di Perugia, ha organizzato nel '61 la prima marcia della pace da Perugia ad Assisi. Ha lavorato anche alla realizzazione in Italia di una riforma religiosa, ed e' stato il fondatore del Movimento Nonviolento. E' morto a Perugia nel 1968. Nato a Sesana (Trieste) nel 1924, Danilo Dolci nel '50 abbandona gli studi di architettura per andare a vivere a Nomadelfia, la comunita' che don Zeno Saltini ha creato nell'ex campo di concentramento di Fossoli. Insoddisfatto, decide di trasferirsi a Trappeto, poverissimo borgo siciliano. Qui attua un digiuno per attirare l'attenzione pubblica in seguito alla morte per fame di un bambino: comincia cosi' la sua opera di denuncia, sensibilizzazione, organizzazione. Nel '56 e' arrestato per aver ideato uno sciopero alla rovescia, che aveva portato centinaia di disoccupati a lavorare per riassettare una strada abbandonata; nel '65 e' processato per diffamazione per aver denunciato le collusioni con la mafia di un ministro e di altri politici locali. La sua azione in Sicilia intende valorizzare la creativita' popolare per uno sviluppo locale indipendente dal potere politico, al quale corrisponde una maturazione e presa di coscienza politica della societa' civile. Nascono cosi' il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione, la diga sul fiume Jato, il Centro educativo di Mirto. Candidato per nove volte al Nobel per la pace, ha ottenuto notevoli riconoscimenti internazionali per la sua valorizzazione delle possibilita' di progresso di un territorio con gli strumenti e le tecniche offerti dalla nonviolenza. E' scomparso nel 1997. Thich Nhat Hanh e' nato in Vietnam, nel 1926. Monaco zen, si e' attivato durante la guerra nel suo paese in soccorso della popolazione civile, e per favorire una soluzione nonviolenta del conflitto, al di la' della logica dei blocchi, attraverso la Scuola di Servizio Sociale per i Giovani (Syss). E' stato nel '73 a capo della delegazione vietnamita nelle trattative di Parigi. Costretto all'esilio dal governo comunista, si e' dedicato all'approfondimento del buddhismo alla luce delle problematiche politiche e sociali attuali, fondando l'Ordine dell'Interessere (Tiep Hien) e, nel sud della Francia, Plum Village, una comunita' monastica aperta anche ai laici. E' stato candidato da Martin Luther King jr al premio Nobel per la pace. Nel quarto capitolo mi sono soffermato su Tolstoj - il cui pensiero filosofico e' ancora troppo poco conosciuto, anche a causa della mancanza di traduzioni ed edizioni - e su altre grandi figure della nonviolenza: da Martin Luther King a Milani, da Mazzolari a Bello ed altri. Tutte figure che meriterebbero una trattazione ben piu' dettagliata, che tuttavia non e' possibile nei limiti del presente studio. * Con questo volume intendo offrire una "introduzione" al pensiero nonviolento: una presentazione dei temi e problemi fondamentali, attraverso l'opera degli autori piu' rappresentativi. Ma questo volume e' anche "una" introduzione. Vale a dire che si tratta di un percorso tra i tanti possibili, inevitabilmente condizionato dalla formazione culturale e dalla sensibilita' dell'autore. La speranza e' che questo percorso non risulti, comunque, arbitrario, e che offra al lettore indicazioni in qualche modo utili per inquadrare filosoficamente la nonviolenza, e per approfondirne le ragioni. * Note 1. Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, tr. it. a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1990, p. 48. 2. Ivi, p. 49. 3. George Steiner, Martin Heidegger, tr. it., Sansoni, Firenze 1980, p. 42. 4. Thich Nhat Hanh, L'amore e l'azione. Sul cambiamento sociale nonviolento, tr. it., Ubaldini, Roma 1995, p. 39. |
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