Una Postilla Al Saggio Di George Lakey
A cura della redazione di La Nonviolenza e’ in Cammino

L'articolo di George Lakey costituisce un utile contributo alla riflessione sulla nonviolenza, ma nella nostra presente situazione potrebbe forse dar luogo a un equivoco. E l'equivoco e' il seguente: che si possa ancora condurre un dibattito sulla liceita' o addirittura preferibilita' della scelta della violenza, piuttosto che della nonviolenza, nell'azione politica di trasformazione della societa' in una prospettiva di solidarieta' e di liberazione, di resistenza all'oppressione, di costruzione di rapporti di giustizia. Questo dibattito da lunga data non ha piu' ragione di esistere. Dopo i gulag e dopo i lager, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, chiunque voglia coerentemente effettualmente concretamente impegnarsi per la difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, cosi' come per la liberazione dell'umanita' dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalla guerra, cosi' come per la salvaguardia della biosfera, cosi' come per costruire relazioni di giustizia, eque e solidali, ebbene, deve fare la scelta della nonviolenza. Chi ancora propugna la tesi della liceita' dell'uso della violenza con cio' stesso si fa servo e complice dei signori della guerra e del terrore, riproduce la logica che presiede alle stragi, denega ipso facto la dignita' e i diritti umani di ogni essere umano, riproduce e sostiene il sistema di potere che sta recando l'umanita' alla catastrofe. Che anche nel movimento per la pace trovino ancora spazio e ascolto lugubri figuri dai comportamenti e dalle ideologie militariste, patriarcali, totalitarie e razziste, e' uno scandalo da denunciare e contro cui lottare in modo limpido e intransigente. Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Non si da' impegno per la pace, la solidarieta' e la giustizia se non si esce dalla confusione e dall'ambiguita'. la scelta della nonviolenza e' il passo indispensabile da compiere. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

Il successo dell'azione nonviolenta dipende dalla violenza che gli altri compiono o minacciano di compiere in una data situazione? Ward sostiene che i successi della nonviolenza nella lotta indiana contro la Gran Bretagna e del movimento per i diritti civili degli Stati Uniti erano dovuti in realta' alla violenza. Sostiene che la Gran Bretagna aveva esaurito le sue risorse militari nella seconda guerra mondiale e che quindi non sarebbe riuscita a mantenere il proprio predominio sull'India con l'uso delle armi e per questo si arrese. La guerra rese possibile l'indipendenza. Il problema di questa affermazione e' che la Gran Bretagna continuo' a mantenere il dominio su altre colonie anche molto dopo l'indipendenza indiana nel 1948. Un drammatico esempio e' la spietata repressione della ribellione Mao Mao in Kenya negli anni Cinquanta con il bombardamento dei villaggi. La Gran Bretagna aveva ancora la forza di predisporre una risposta militare su vasta scala per reprimere una lotta armata per l'indipendenza, ma non riusci' a mantenere il suo predominio contro una lotta nonviolenta. Non e' la guerra che rese possibile l'indipendenza indiana: e' stata la non-cooperazione della popolazione indiana a rendere possibile l'indipendenza indiana. A rischio di una eccessiva semplificazione, nel caso della lotta statunitense per i diritti civili valuterei l'efficacia nel raggiungere obiettivi tangibili e concreti utilizzando la curva di un grafico immaginario, in questo modo: 1955-1965, la curva aumenta di anno in anno. Alcuni obiettivi di quel periodo erano: la desegregazione nei trasporti urbani, in particolare sugli autobus (la protesta di Montgomery e le Freedom rides, "i viaggi della liberta'"); desegregazione negli sportelli per la distribuzione dei pasti e di altre strutture pubbliche (sit-in, manifestazioni di piazza di vario genere, la campagna di protesta di Birmingham e il Civil Rights Act, legge per i diritti civili, del 1964); il diritto di voto ai neri nel profondo sud (la Mississippi Summer, la marcia di Selma, il Voting Rights Act, legge per il diritto di voto, del 1965). Se si considerano le grandi conquiste del movimento di massa, la curva comincia a precipitare dal 1965, sebbene negli anni successivi vi furono miglioramenti rispetto a quello che era stato ottenuto precedentemente, come l'elezione di funzionari di colore anche nel profondo sud. In particolare, dal 1965 vi furono numerosi scontri in citta' del nord come Newark, Filadelfia, Detroit e Watts, e la nascita dei partiti come Deacons of Defence e le Black Panthers. Nel 1968 perfino una legge che non prospettava alcuna minaccia, come quella intesa a stanziare fondi per la derattizzazione delle zone urbane, venne accolta con derisione dalla Camera dei Rappresentanti. Il movimento di massa per i diritti civili perse gran parte del suo potere proprio nel momento in cui venne a mancare il consenso sulla lotta nonviolenta come base per l'azione di massa.
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Ma i governi non sono forse in grado di annientare militarmente qualsiasi movimento nonviolento? No, stando al comportamento delle dittature militari che sono state rovesciate dall'azione nonviolenta. Nel 2000 il dittatore serbo Slobodan Milosevic disponeva di un enorme potere militare, e venne spodestato da un movimento nonviolento. Lo stesso per il dittatore delle Filippine Marcos nel 1986. Lo stesso per la dittatura della Germania dell'est, per quella ungherese, quella ceca e quella polacca nel 1989. Lo scia' dell'Iran disponeva di un esercito che era tra i dieci piu' potenti del mondo e di servizi segreti la cui ferocia non aveva pari. Venne destituito nel 1977-'79, in modo nonviolento. Potrei continuare la lista citando ancora molti casi (6). Le considerazioni di Ward in questo libro privano di ogni forza gli attivisti perche' non danno alcun credito al potere delle persone, che e' lo strumento principale di cui disponiamo! Gli attivisti che partono da basi popolari non potranno mai disporre di una ricchezza pari a quella del governo, come noi non potremmo mai disporre di una violenza in grado di competere con quella governativa. Potenzialmente siamo invece in grado di accedere all'azione di molti, e non dare credito a tale forza e' un invito ad abbandonarsi alla disperazione. L'affermazione di fondo del libro di Ward e' che la violenza e' la forza politica piu' potente del mondo. Questo e' un giudizio convenzionale, condiviso dalla maggior parte delle persone di destra, di sinistra e di centro; e' popolare quanto l'antica convinzione comune che la terra sia piatta. E altrettanto sbagliata. Spesso gli attivisti scoprono la debolezza della violenza proprio tramite la nostra esperienza. Ricordo quando, durante un corso tenuto per la United Mine Workers Union, il sindacato dei minatori, uno dei capi mi parlo' della sua adolescenza nelle miniere. "Devo dirti che preferivo i bei vecchi tempi, quando uno sciopero significava ancora che potevamo fare tutto a pezzi, picchiare i crumiri, sparare contro i camion della societa'. Sai, avevamo molte pistole e sapevamo come usarle. Ma - sospiro' - questo genere di roba non funziona piu'. Avanti, insegnaci questa lotta nonviolenta!". La definisco "nonviolenza come ultima risorsa". Un caso classico fu quello del Salvador nel 1944, quando una rivolta armata falli' nel tentativo di destituire il dittatore Hernandez Martinez. Il governo era abbastanza forte per opporsi con successo all'attacco armato. Allora gli studenti diedero inizio a un'insurrezione nonviolenta, sostenendo senza limitazioni la nonviolenza, vista la sconfitta della violenza. Riuscirono a destituire Martinez in modo nonviolento: "il potere della gente" riusci' dove la violenza aveva fallito. Gli studenti nel vicino Guatemala ne furono cosi' colpiti che iniziarono un'insurrezione nonviolenta contro il "dittatore di ferro dei Caraibi", Jorge Ubico, e anche Ubico venne destituito (7). Diversi movimenti di liberazione nel Terzo Mondo hanno ormai rinunciato allo scontro armato per ricorrere ad altri mezzi. Gli zapatisti del Chiapas sono forse l'esempio piu' conosciuto di questo fenomeno. Agli inizi degli anni Ottanta l'African National Congress si rese conto che la sua strategia di lotta armata stava fallendo; si era rivelata del tutto incapace di sconfiggere l'apartheid. Non riusciva nemmeno a coinvolgere le masse cittadine che non vedevano l'ora di agire per difendere la liberta'. E cosi', senza rinunciare formalmente alla loro attivita' di guerriglia, si rivolsero alla lotta nonviolenta: boicottaggi, scioperi, manifestazioni di ogni genere. Il risultato fu la sconfitta dell'apartheid, nonostante lo stato disponesse di potenti forze armate e di una polizia terroristica (8). Quando i movimenti sono tanto pragmatici da imparare dalle loro stesse esperienze, spesso abbandonano la violenza e perfino la distruzione della proprieta'. Il movimento operaio di Solidarnosc in Polonia, per esempio, era in gran parte un movimento giovanile che voleva la liberta' dalla dittatura militare del partito comunista. Nelle loro prime manifestazioni di azione diretta, organizzarono, insieme a scioperi e occupazioni, anche qualche atto di distruzione della proprieta'. Secondo la loro stessa valutazione, compresero che la distruzione della proprieta' forniva solo una giustificazione per il duro intervento militare del dittatore e riduceva il numero di possibili alleati. Cosi' decisero di interrompere quella pratica, ampliarono il loro movimento e finirono per vincere. Naturalmente lo stato militare voleva annientarli, ma non gli fu possibile semplicemente perche' l'azione di molti e' piu' forte del potere militare. Poiche' questo e' in aperta contraddizione con il giudizio convenzionale, non riuscivo a capire come potesse verificarsi una cosa simile. Bernard Lafayette, originario del profondo sud, componente dello Student Nonviolent Coordinating Committee, comitato coordinatore studentesco di nonviolenza, me lo spiego' con una metafora. Bernard disse che la societa' e' come una casa.
Le fondamenta sono la cooperazione o l'acquiescenza della gente. Il tetto e' lo stato e il suo apparato repressivo. Mi chiese cosa succederebbe alla casa se le fondamenta cedessero. Mi chiese ancora: "Cosa cambierebbe se venissero aggiunte armi sul tetto, carri armati piu' grandi, armi tecnologiche all'avanguardia? Cosa succederebbe allora alla casa, se le fondamenta cedessero?". Non mi resto' che ammettere: se le fondamenta cedessero, il tetto crollerebbe in ogni caso, per quanto grande sia la somma di denaro investita nelle armi. Un modo appropriato per testare questo fatto e' riferirsi alla caduta dello scia' dell'Iran. Non disponeva solo dell'esercito piu' numeroso del mondo e di una polizia segreta di estrema ferocia, ma anche del sostegno degli Stati Uniti. I capi dell'opposizione scelsero di usare una strategia del tutto nonviolenta, e funziono'. Come e' potuto succedere? Non vi e' nulla nel libro di Ward in grado di spiegarlo. Non poteva funzionare, secondo Ward, perche' gli stati militarmente potenti distruggono i movimenti nonviolenti. Le fondamenta della casa dello scia' erano costituite dall'acquiescenza della gente. Quando le fondamenta hanno ceduto, la casa e' crollata. Non c'e' cosa piu' importante di questa, che gli attivisti di oggi debbano sapere: le fondamenta del governo politico e' l'acquiescenza della gente, non la violenza. Il consenso dei cittadini e' piu' forte della violenza. Prima agiremo sulla base di questa conoscenza, e prima sara' possibile sconfiggere l'Impero Statunitense.
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La violenza e' consigliabile per autodifesa, in combinazione con altre tattiche?
Sembra puro buonsenso pensare che, con lo stato alle calcagna, si decida di integrare l'organizzazione comunitaria e tattiche di azione nonviolenta con un'autodifesa armata. So di casi in cui l'autodifesa violenta individuale ha avuto successo a livello pragmatico ma, per quanto riguarda le organizzazioni che hanno provato ad attuare questa politica, i risultati sono ben piu' modesti. Il caso piu' conosciuto negli Stati Uniti e' il Black Panther Party, che mise in atto un sistema di organizzazione comunitaria, gesti' programmi educativi, creo' dei progetti per la distribuzione di cibo ai bambini poveri, e adotto' una politica di autodifesa armata. Le Pantere non volevano intraprendere la lotta armata per ottenere il cambiamento sociale. Questa scelta consenti' loro di rimanere vicini alle persone con cui stavano sviluppando quel tipo di organizzazione sociale, al contrario dell'esperimento portato avanti dal Weather Underground, il cui tentativo di creare una rivoluzione armata lo condusse all'isolamento dalla gente e alla sua irrilevanza politica. Sebbene le Pantere proclamavano il diritto di autodifesa, che molti cittadini statunitensi imparziali considerano parte della nostra tradizione, vennero comunque eliminati. Il tentativo di creare l'autodifesa armata diede al governo federale razzista lo spiraglio di cui aveva bisogno per distruggere almeno uno dei suoi nemici. Al governo sarebbe piaciuto poter distruggere anche le organizzazioni nonviolente per la liberta' dei neri, e il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover tento' davvero di distruggere l'influenza del dottor King, ma l'unica cosa che il governo si pote' permettere di fare fu di agire in modo esplicito contro le organizzazioni nonviolente. Ecco perche' e' pratica ricorrente dei governi pagare degli infiltrati perche' si uniscano ai movimenti nonviolenti, e avere cosi' la possibilita' di reprimerli in modo efficace. Per uno strano ribaltamento delle aspettative, vi sono momenti in cui le forze violente hanno in realta' bisogno di essere protette dall'azione nonviolenta. Quando il Black Panther Party voleva tenere una convention nazionale a Filadelfia, gli fu difficile trovare un luogo in cui organizzarla. I quaccheri permisero loro di utilizzare la loro sala riunioni piu' grande. Il capo della polizia Frank Rizzo vide questa come un'opportunita' per mostrare la propria spavalderia, e nessuno sapeva a cosa avrebbe condotto una tale provocazione. Quindi i quaccheri circondarono il luogo di ritrovo e rimasero spalla contro spalla per creare uno schermo protettivo tra la polizia e le Pantere. Su piu' ampia scala questa situazione si ripete' nelle Filippine durante la destituzione del dittatore Ferdinando Marcos nel 1986. Verso la fine della lotta una parte dell'esercito, guidato dal generale Ramos, passo' dalla parte della gente. Marcos controllava ancora gran parte dell'esercito, al quale ordino' di attaccare l'accampamento di Ramos e soffocare la ribellione. Le stazioni radio cattoliche che lavoravano per il movimento fecero risuonare l'allarme. Molte migliaia di filippini corsero sul posto, si frapposero tra i fedeli a Marcos e i ribelli, e in modo nonviolento immobilizzarono le truppe dei fedeli, salvando cosi' i soldati ribelli, numericamente inferiori.
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L'azione nonviolenta e' una "cosa dei bianchi"?
Sarebbe un gran sorpresa per le centinaia di migliaia di persone di colore che negli Stati Uniti hanno fatto uso dell'azione diretta nonviolenta per oltre un secolo. (Nel 1876 a St. Louis gli afroamericani protestavano contro la segregazione dei mezzi di trasporto con le "freedom rides", salendo sui tram e sedendosi in posti riservati ai bianchi, per citare uno tra migliaia di esempi). Ogni settimana, in tutti gli Stati Uniti, vi sono organizzazioni a base comunitaria di gente di colore impegnate nell'azione nonviolenta: marce, sit-in, blocchi stradali, boicottaggi, disobbedienza civile e simili. Si potrebbero scrivere libri sulle associazioni delle persone di colore, come quella degli impiegati ospedalieri, dei dipendenti di alberghi e custodi, che oltre a scioperare usano anche altre tattiche. Negli Stati Uniti la percentuale di persone di colore impegnata nell'azione nonviolenta e' assai maggiore rispetto a quella dei bianchi, e cresce nel suo impegno di anno in anno. Per non parlare del ruolo della nonviolenza nelle lotte anti-coloniali in Africa e Asia. Quando pensiamo alla nonviolenza, perche' si pensa subito ai nomi di Gandhi, King, Aung San Suu Kyi, Cesar Chavez? Essi sono solo la punta dell'iceberg. Ne' i mass media ne' tantomeno le scuole hanno contribuito a farci sapere cosa sta davvero succedendo. Queste due istituzioni valorizzano la violenza. Sta a noi attivisti il compito di diffondere informazioni sull'efficacia reale dell'azione collettiva. Quanti attivisti sanno che Kwame Nkrumah condusse una vittoriosa campagna nonviolenta per l'indipendenza del Ghana negli anni Cinquanta? O che Kenneth Kaunda ne guido' un'altra nello Zambia negli anni Sessanta? Quanti sanno della lotta vittoriosa organizzata dagli studenti nepalesi per una democrazia migliore solo qualche anno fa? O della lunga campagna nonviolenta per la democrazia a Taiwan che dovette resistere a torture, assassinii e sofferenze di ogni genere prima di uscirne vittoriosa negli anni Novanta? Il cambiamento strategico dell'Anc che si affido' all'azione nonviolenta all'inizio degli anni Ottanta, decisione che porto' alla fine del regime dell'apartheid? L'eroica lotta dei Mohawks in Quebec che salvarono la terra dei loro avi dal pericolo di diventare un campo da golf per bianchi? (9) Non parlero' del mito secondo cui l'azione nonviolenta appartenga intrinsecamente alla classe borghese - credenza priva di fondamenta, ancor
piu' di quella che la vorrebbe di origine bianca. Il numero di lavoratori e operai che hanno usato l'azione nonviolenta e' di gran lunga maggiore di quello della classe borghese. E poiche' i sindacati hanno costituito le "truppe d'assalto" nella lotta di classe, leggere la loro storia significa leggere gran parte della storia dell'azione nonviolenta negli Stati Uniti.
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Esiste una divisione razziale dei compiti tra i bianchi, impegnati nel creare istituzioni alternative, e la gente di colore, impegnata nelle azioni di strada?
Ward sembra non dar valore a quello che viene tradizionalmente definito il "lavoro prefigurativo": costruire alternative in modo che una nuova societa' inizi a prendere forma in seno a quella vecchia. Inoltre afferma che i bianchi, prendendosi cura della creazione delle alternative, evitano di
assumersi rischi, i quali ricadono tutti sulle persone di colore che manifestano per le strade. Mi sembra che Ward sottovaluti l'enorme peso dell'impegno culturale e delle alternative concrete all'interno delle comunita' di colore. Molto prima che la Nation of Islam diventasse famosa per il suo impegno nel creare nuove alternative, gli afroamericani avevano gia' cominciato a reinventarsi una propria cultura e un proprio orgoglio, ad esempio. Per alcuni leader di colore, le alternative hanno rappresentato un imperativo pragmatico e strategico. Prendiamo, ad esempio, l'analisi di Gandhi sulla condizione del popolo indiano in seguito all'oppressione del potere britannico bianco. Abbiamo potuto vedere innumerevoli segni di oppressione interna: dipendenza, oppressione delle donne, uso di droghe, alcolismo, preferenza per le merci di fattura britannica, bassa autostima. Gandhi detestava l'autoritarismo e non aveva intenzione di dedicare la vita a una lotta che sarebbe risultata nella sostituzione della dittatura dei bianchi con una dittatura indiana. Quindi, lancio' quello che defini' "Programma Costruttivo", che aveva lo scopo di rafforzare il potere degli indiani migliorando le loro condizioni di salute e creando istituzioni alternative. Il suo programma costruttivo fungeva anche da programma anti-razzismo. Questo impegno tolse del tempo da dedicare all'azione diretta? Certamente. L'Indian National Congress metteva in atto una campagna di protesta incondizionata che interessava tutto il paese piu' o meno una volta ogni dieci anni. Nel frattempo, organizzavano molte azioni dirette locali e, cosa altrettanto importante, facevano un "lavoro prefigurativo". La loro strategia impegnava il nemico su molti fronti, non solo sul fronte dello scontro di piazza. Quando poi lanciavano la lotta incondizionata, avevano a disposizione un potere assai maggiore rispetto a quello che avrebbero avuto usando solo la rabbia allo stato puro. Cesar Chavez, rendendosi conto del fallimento dei precedenti sforzi unidimensionali per organizzare i contadini della California, ideo' una strategia che partiva dalla costituzione di cooperative e altre istituzioni alternative. Pensava, e i fatti gli diedero ragione, che i contadini, abituati a uno stato di gravissima oppressione, avessero bisogno di acquisire le competenze e la sicurezza in se stessi riorganizzando il loro operato prima di essere pronti a combattere. La lotta nonviolenta che condussero in seguito ottenne un enorme successo e tuttora rimane un modello soprattutto per gli organizzatori che lavorano con le persone di colore povere. Le azioni di Gandhi e Chavez hanno qualcosa in comune con le lotte di guerriglia vietnamita e dei sandinisti in Nicaragua: l'intenzione di creare la nuova societa' nello stesso momento in cui si demolisce quella vecchia. E' un fattore da prendere seriamente in considerazione per gli attivisti statunitensi che vogliano creare una strategia pragmatica per la liberazione. In quanto persona bianca, direi che i bianchi hanno un enorme bisogno di crearsi un modo di essere sano che protegga dall'arroganza e dal razzismo. In quanto gay, ho assistito a casi in cui la discriminazione contro gli omosessuali ha danneggiato la mia comunita' e ridotto l'energia disponibile per il rinnovamento sociale, e questo e' valido sia tra le persone di colore che tra i bianchi. In quanto uomo cresciuto nella classe operaia invito gli attivisti appartenenti alla borghesia e alla classe abbiente a lavorare per superare il loro classismo, poiche' cio' consentirebbe la creazione di un movimento piu' solidale, compatto ed efficace (10). Quindi sono in totale disaccordo con Ward su questo punto. A meno che non vogliamo solo riciclare il metodo oppressivo inserendo persone diverse negli stessi ruoli, e' necessario creare delle alternative sia da parte delle persone di colore che da parte dei bianchi.
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Un attivista pragmatico e' aperto a ogni tattica in qualsiasi momento?
Quello che preoccupa soprattutto Ward Churchill e' l'esclusione dogmatica di certe tattiche. Dice che, se vogliamo davvero raggiungere uno scopo, come la rivoluzione, non ci verrebbe in mente di escludere in anticipo nessun mezzo per realizzarlo, quale che esso sia. Dobbiamo essere aperti a ogni tipo di tattica: dalle petizioni alla disobbedienza civile, alla lotta di strada, al lo stato di guerra dichiarato, qualsiasi cosa possa servire allo scopo. Quando penso in termini tattici, il consiglio di Ward mi sembra sensato. Dopotutto, se sto costruendo una casa, perche' non assemblare il maggior numero possibile di attrezzi e accessori? Ma quando comincio a pensare in termini di strategia, il suo consiglio non fa presa. Ecco un esempio. Nella seconda guerra mondiale i danesi non si aspettavano di essere invasi dai nazisti. Improvvisarono come meglio poterono e, in un combattimento in cui la posta in gioco era davvero molto alta, misero in atto una "diversificazione di tattiche". Nella prima fase le loro tattiche andavano dalla collaborazione alle petizioni e al sabotaggio. La diversificazione non funzionava: alcune tattiche andavano a discapito di altre. I danesi idearono un altro sistema di tattiche diverse: sabotaggio, dimostrazioni nonviolente, scioperi dei lavoratori. Ma ancora una volta le tattiche si ostacolavano tra loro; ogni singolo atto di sabotaggio dava ai tedeschi una buona scusa per scagliarsi con violenza contro i lavoratori e i dimostranti. Quello che porto' i danesi a conservare la loro integrita' e che ostacolo' invece la guerra nazista fu la strategia che ne emerse: essa includeva mezzi di informazione clandestini, scioperi di grande entita' (a un certo punto perfino uno sciopero generale), dimostrazioni nonviolente e il trasferimento clandestino degli ebrei in un luogo sicuro in Svezia (11). La strategia era coerente nel suo interno, e quindi le tattiche si sostenevano l'un l'altra invece di intralciarsi. Ecco un esempio piu' vicino a noi. Un piccolo gruppo di attivisti del Movement for a New Society tiro' un brutto scherzo a un programma di politica estera dello stato americano mettendo in atto una strategia di protesta internamente coerente e ben concepita. Gli Stati Uniti sostenevano, come spesso fanno, una dittatura militare che stava uccidendo migliaia di persone. In effetti, il dittatore pakistano Yayah Khan stava assassinando centinaia di migliaia di persone del Bengala orientale che volevano l'indipendenza. Il governo statunitense menti' negando il suo sostegno, ma gli attivisti vennero a sapere che le navi pakistane si stavano recando nei porti statunitensi per rifornirsi di armamenti con cui proseguire il massacro. Il gruppo si rese conto, inoltre, che se gli scaricatori di porto si fossero rifiutati di caricare le navi, il governo statunitense avrebbe subito un grosso smacco. Il problema era che gli scaricatori della East Coast erano quantomeno inclini politicamente a sostenere il governo e inoltre avevano da sfamare le loro famiglie. Gli attivisti tentarono ripetutamente di persuadere gli scaricatori ad agire in solidarieta' con la popolazione del Bengala orientale, ma non ebbero alcun successo. Era tempo di usare l'azione diretta. Il gruppo annuncio' il blocco del porto che stava aspettando la fregata pakistana e inizio' ad effettuare "manovre navali" con delle barche a vela, barche a remi e il resto della sua eterogenea flotta. I mezzi di informazione furono sempre presenti e gli scaricatori di porto rilasciarono testimonianze sia in televisione che di persona in cui esponevano le stravaganti e bizzarre tecniche dei manifestanti che sembravano convinti di poter fermare una enorme fregata con le loro minuscole barchette. La tattica riscosse successo tra gli scaricatori di porto che si aprirono alla discussione e alla fine si dichiararono disposti, in caso gli attivisti fossero riusciti a creare un cordone di picchetto, a rifiutarsi di oltrepassarlo. Quando la campagna di protesta ebbe successo in quella citta', gli attivisti la misero in atto anche nelle altre citta' portuali, e alla fine l'associazione interstatale degli scaricatori di porto dichiaro' che i lavoratori di tutti gli Stati Uniti si sarebbero rifiutati di caricare le armi destinate al Pakistan. Il blocco, iniziato da un piccolo gruppo, ebbe successo perche' il gruppo dimostro' una grande abilita' nell'impiegare le tattiche di azione diretta indirizzandole a quella parte di pubblico su cui era piu' importante che facessero presa (12). La campagna di protesta non sarebbe riuscita se qualche attivista avesse deciso di mettere in atto la distruzione di proprieta' della zona portuale: una simile azione avrebbe allontanato gli scaricatori che erano invece gli alleati piu' influenti e in grado di portare a buon fine la protesta. Inoltre, i manifestanti che avessero tollerato una "diversita' di tattiche" in cui fosse prevista anche la distruzione di proprieta' avrebbero agito da irresponsabili, perche' avrebbero danneggiato i bengalesi che stavano subendo l'attacco. Nel clima attuale tra gli attivisti anti-globalizzazione, alcuni attivisti potrebbero voler rinunciare all'efficacia del loro operato per salvaguardare i rapporti con i loro amici all'interno del movimento, ma questa e' una scelta assai difficile se si ha davvero intenzione di salvare le tartarughe marine e le persone che vivono nei paesi del terzo mondo. Restare aperti nei confronti di tutte le possibili tattiche e' come tentare di costruire una casa senza una strategia, una casa che includa pannelli solari, una stufa a legna, un forno a olio combustibile, un impianto di riscaldamento a battiscopa elettrico, enormi finestre esposte a nord, un rivestimento isolante in amianto, una jacuzzi in ogni camera da letto, una stanza di meditazione all'insegna della semplicita', e cosi' via. Quando costruiamo una casa noi operiamo delle scelte guidate da un'idea di base. E' questo che rende sensata la costruzione di una casa o di un movimento rivoluzionario.
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La "rivoluzione nonviolenta" e' una contraddizione in termini?
Ward Churchill mette in discussione l'idea che si possa essere sia rivoluzionari che nonviolenti allo stesso tempo. La nonviolenza e' essenzialmente riformista, sostiene, e la rivoluzione implica la violenza. Apprezzo che Ward metta in discussione tale aspetto perche' ogni giorno in tutti i giornali piu' importanti leggiamo di un'azione nonviolenta messa in atto per costringere al rinnovamento di politiche e altre riforme; a chi ci possiamo rivolgere per avere informazioni sulle possibilita' dell'azione nonviolenta per i cambiamenti rivoluzionari? Nell'aprile del 1968 la Francia e' stata testimone di una insurrezione rivoluzionaria di massa che fu sul punto di rovesciare il governo. E' l'evento recente piu' simile a quello di cui stiamo parlando, perche' avvenne in quella che noi chiamiamo una "democrazia liberale industriale avanzata". E' un esempio molto popolare nei dibattiti tra gli attivisti che seguo. In maggio, gli studenti di Parigi diedero inizio a una lotta per ottenere una riforma dell'istruzione occupando le universita' e manifestando per le strade. La polizia reagi' brutalmente e ben presto si diffuse la notizia delle sofferenze inferte agli studenti. Anche le associazioni dei lavoratori francesi avevano validi motivi per protestare e decisero di entrare in sciopero. In un batter d'occhio undici milioni di lavoratori erano in sciopero e molti avevano occupato le loro sedi di lavoro. L'occupazione divenne la tattica del movimento: gli operai occuparono gigantesche fabbriche di automobili, i becchini occuparono i cimiteri, le ballerine occuparono le Folies Bergeres. La lotta si intensifico'. Le richieste, sia tra i lavoratori che tra gli studenti, si radicalizzarono, trasformandosi da riforma in rivoluzione. Alcune cittadine tagliarono tutti i contatti con il governo centrale e iniziarono a emettere una valuta propria. Il presidente De Gaulle fu costretto a consultare i generali delle truppe francesi stanziate in Germania per assicurarsi che fossero pronti a tornare in patria e a mettere in atto una repressione su vasta scala, poiche' non aveva fiducia nelle truppe stanziate sul suolo francese. La stragrande maggioranza degli studenti e dei lavoratori stava da una parte della polarizzazione e i ricchi stavano dall'altra. Il punto interrogativo era rappresentato dalla borghesia: da che parte sarebbe andata? Questa classe sociale era composta soprattutto da genitori e amici degli studenti ed erano rimasti esterrefatti dalla brutalita' della polizia, e inizialmente erano favorevoli al movimento studentesco. La televisione, organo del potere statale, entro' nella mischia mostrando ripetutamente scene di distruzione di proprieta' da parte degli studenti, ad esempio mentre trascinavano automobili sugli incroci stradali e le incendiavano per creare delle barricate - un messaggio piuttosto eloquente non solo nei confronti del senso di proprieta' della borghesia, ma anche di quegli operai che avevano risparmiato anni per essere in grado di comprarsi una macchina. Inoltre i rappresentanti della classe borghese si trovavano davanti a una lacuna dove invece avrebbe dovuto esserci una proposta chiara: se il governo fosse stato rovesciato, ci sarebbe stato posto per loro nella nuova societa'? Nessuno poteva rispondere a questa domanda, perche' i nuovi rivoluzionari non avevano un manifesto che potesse rassicurare alcuno. Tutto quello che poteva fare la borghesia era restarsene con le sue paure, seduta davanti allo schermo televisivo a guardare le fiamme che avvampavano. Sappiamo il risultato: il movimento perse e i grandi capitalisti e lo stato vinsero, sebbene lo scossone porto' ad alcune riforme. La domanda che potremmo fare noi attivisti statunitensi e': perche' gli studenti allontanarono i loro alleati, la cui partecipazione sarebbe stata decisiva per determinare la loro vittoria? Le ragioni sono molte e i lettori interessati possono trovarle nel mio libro (13). Le ragioni principali in questo caso sono:
- gli studenti stavano operando in una tradizione secondo cui "rivoluzione e' uguale a violenza" o quantomeno "distruzione" e poiche' avevano abbracciato una istanza rivoluzionaria, accettarono tutto quello che essa implicava. Non erano in grado di effettuare delle innovazioni sui metodi della rivoluzione;
- gli studenti non compresero che le fondamenta della "casa" francese, il suo ordine politico, erano l'acquiescenza della sua popolazione, e che quindi potevano vincere aumentando la non-cooperazione nonviolenta della gente. Nel 1968 non disponevano di esempi quali la caduta dello scia' dell'Iran, di Marcos, delle dittature dell'Europa dell'est, e cosi' via, e non poterono rendersi conto che ben piu' potente della lotta armata e' l'azione partecipata di larghi strati della societa'. La sofferenza degli studenti e degli operai francesi non sara' vana se gli attivisti impareranno dalla loro esperienza. L'azione nonviolenta e' tanto coercitiva, o ancor piu' coercitiva, della violenza quando si affrontano gli oppressori, ma la base della coercizione e' totalmente diversa. Il potere coercitivo della violenza scaturisce principalmente dalla distruzione: soluzione classica e' la distruzione dell'esercito avversario, ma in questi giorni vi sono anche altri tipi di distruzione. Gli attivisti che usano la violenza devono necessariamente distruggere e continuare a distruggere fino alla resa del loro avversario o all'esaurimento della sua capacita' di resistere. Al contrario, il potere coercitivo dell'azione nonviolenta deriva dalla non-cooperazione. L'acquiescenza, da cui dipende la forza dell'avversario, gli si rivolta contro quando la gente rifiuta di "seguire il programma". In questo caso perfino lo scia' deve affrettarsi a fare le valigie; perfino Hernandez Martinez e' costretto ad abbandonare il paese. In alcuni casi la dittatura si arrende e in altri e' il suo intero apparato a dissolversi, come nella Germania dell'est. Se gli studenti francesi avessero saputo che la loro unica speranza si basava sul potere della non-cooperazione, non avrebbero avuto bisogno delle barricate e della distruzione della proprieta' - tattiche che si accordano molto meglio a una strategia che intende svilupparsi in lotta armata.
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Come puo' un rivoluzionario pragmatico, privo di una strategia, decidere tra la violenza e l'azione nonviolenta?
A rigor di logica, lui/lei non e' in grado di deciderlo. Senza un paio di strategie da mettere a paragone, un attivista che insista su una praticita' rigorosa si trovera' nei guai. Pensiamo alla confusione tra violenza "radicale" e "rivoluzionaria". Molte volte la violenza e' usata per ottenere
delle riforme, e non per un cambiamento rivoluzionario. Ricordiamo, ad esempio, i Teamsters che sparano contro gli autobus Greyhound nel corso di uno sciopero. Stanno usando la violenza per sostituire la proprieta' capitalistica dell'azienda con il potere dei lavoratori? Non credo. O i bianchi che linciano i neri. Stanno dimostrando la loro volonta' di rimandare i neri in Africa (un cambiamento rivoluzionario), o di "farli rimanere al posto loro" (una riforma, da loro punto di vista)? La violenza non e' il marchio della radicalita' o del fervore rivoluzionario perche' e' usata costantemente per gli scopi piu' disparati, tra i quali la semplice volonta' di esprimere se stessi. La violenza diventa rivoluzionaria quando rientra in una strategia per un cambiamento sociale sostanziale, e quella strategia per gli Stati Uniti del XXI secolo e' cio' che stiamo ancora aspettando. Il rivoluzionario rigorosamente pragmatico, pertinace e non moralista ha bisogno di fare un paragone tra le strategie che si servono dello scontro armato e le strategie che mirano alla persuasione di molti, cioe' di sapere quale strategia abbia piu' probabilita' di condurci alla nostra concezione di una nuova societa'. Solo a quel punto gli attivisti saranno in grado di discutere sulle diverse prospettive delle strategie armate e delle strategie nonviolente.
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Come possiamo scegliere mentre le strategie sono ancora in via di progettazione?
Poiche' perfino il piu' pragmatico tra di noi non puo' fare una scelta pragmatica informata senza strategie, nel frattempo siamo tutti nella stessa posizione non-pragmatica. Dovremo fare delle scelte personali basate su altre considerazioni. Ecco come io scelgo personalmente. Dentro di me cova una rabbia spaventosa a causa di cio' che ho dovuto subire in quanto persona appartenente alla classe operaia e in quanto gay. Mi sarebbe impossibile contare le innumerevoli occasioni in cui mi sono stati rivolti insulti stereotipati come "balordo", "violento", "rozzo", "pigro", "fanatico del sesso", "molestatore di bambini", "sudicio", "femminuccia", "immorale", "anormale". Nonostante anni di duro lavoro su me stesso, nel tentativo di curare le mie ferite in tanti modi diversi, devo ancora fare i conti con le incertezze che pesano ancora sulle mie spalle. Ho subito discriminazioni, sebbene non sia mai stato attaccato fisicamente in modo grave. Ho visto amici infliggersi autolesioni a causa dell'oppressione che hanno accumulato negli anni; ho partecipato a gruppi di movimento finiti nel nulla perche' l'oppressione subita li porto' a rivoltarsi contro i propri leader; ho sofferto insieme agli amici che si umiliavano nascondendo la loro natura quando non era affatto necessario, e con amici che non credevano nella capacita' di sostenere le loro idee a causa del background e della classe sociale da cui provenivano. Queste continue esperienze dolorose mi predispongono in favore della violenza come mezzo per esprimere se stessi. Sebbene a volte sfoghi la mia rabbia in compagnia dei miei amici fidati, mi piacerebbe "fare casino" pubblicamente. In vista di tutto cio', la mia scelta per l'azione nonviolenta strategica e' un'ancora, un terreno solido che mi sostiene e mi fa essere il maturo proletario che in realta' sono, che mi consente di essere il gay equilibrato che in realta' sono, e' un sostegno alla mia creativita'. Ogni volta che mi perdo tra i fumi della mia insofferenza, ricorro al principio secondo cui posso aspirare a un obiettivo maggiore, che devo aspettare, e che posso iniziare a formulare alternative valide. E spesso funziona. Sono stato circondato da un gruppo ostile in mezzo a una strada isolata della citta' in piena notte e la mia creativita' si e' data da fare per inventare una soluzione come se fossi Einstein. Ho trovato un modo nonviolento per cavarmela. Un adolescente mi minacciava con il coltello e sono riuscito a evitare la scelta della distruzione sia a me che a lui. Sono riuscito a convincere la polizia a non picchiarmi piu', e i sostenitori della destra a non assalirmi - potrei continuare, ma penso di aver reso l'idea. Quando mi offrii volontario per andare in Sri Lanka come guardia del corpo nonviolenta in aiuto degli attivisti che lottavano per i diritti umani e che erano minacciati di morte, un amico mi prego' di accettare in dono una pistola e un giubbetto anti-proiettili. Rifiutai, poiche' ero sicuro ormai, in quel momento di confronto diretto, che avrei trovato un modo migliore e meno pericoloso di affrontare la situazione. Un modo di scegliere e' seguire le mie inclinazioni, e compensarle accettando un principio saldo che mi trattiene da reazioni avventate (14). Un altro metodo di scelta e' prendere in considerazione le inclinazioni culturali, e assumersi la responsabilita' per il modo in cui veniamo condizionati dalla cultura. Sono un uomo e il condizionamento che deriva dall'essere uomo e' piuttosto evidente. In cosa si trovano d'accordo John Wayne, George W. Bush, il presidente Mao e, mediamente, tutti gli appartenenti alla classe dirigente? Il potere politico scaturisce direttamente dalla canna della pistola. Tale convincimento circa il potere e' un paradigma culturale incontrastato, ma gli uomini hanno la responsabilita' di rafforzare questo paradigma perche', educati in tal modo, siamo predisposti all'idea di uccidere e di essere uccisi. Ovunque sia il patriarcato a regnare, la violenza e' la benvenuta quando "la necessita' lo richiede". Ma quando si parla di potere le idee dell'attivista Starhawk sono molto piu' interessanti della semplificazione patriarcale. La Starhawk descrive tre tipi di potere: "potere esercitato su" (dominazione, la cui piu' drammatica espressione e' l'omicidio), "potere esercitato con" (cooperazione con altri, lavoro di gruppo), e "potere dall'interno" (forza psicologica e spirituale) (15). Come uomo sono stato educato a credere implicitamente che il "potere esercitato su" sia quello piu' potente; quando si ha bisogno della forza piu' potente, siamo programmati a non mettere nemmeno in discussione il primato della violenza. La cosa straordinaria di noi esseri umani e' che a volte riusciamo a uscire dagli schemi dei nostri recinti culturali, e perfino gli uomini possono essere piu' creativi di quanto non preveda la formazione. Abdul Gaffar Khan della Frontiera Nordoccidentale dell'India coloniale e' cresciuto in una cultura nomade, dove la versione violenta dell'onore maschile e' ancor piu' forte. Riusci' a liberarsi da questi condizionamenti e organizzo' un movimento della sua gente, i fieri Pathan, per lottare in modo nonviolento contro gli inglesi. Gli inglesi risposero accanendosi contro i Pathan in modo ancor piu' feroce che rispetto agli altri manifestanti, ma i Pathan si dimostrarono risoluti e disciplinati. La mia cultura dice: "Per essere un vero uomo, devo essere disposto a usare la violenza". Io scelgo di non cooperare con tale concezione. Il potere patriarcale ha perso, ai miei occhi, ogni credibilita'. Mi impegno nella nonviolenza strategica e sfido il potere patriarcale a colpire la mia identita' con le sue tattiche di molestia psicologica. Mi piace essere pragmatico, ed e' per questo che ho passato cinque anni a scrivere il libro Strategy for a living revolution, uno schema pragmatico per iniziare a creare una strategia rivoluzionaria precisa qui negli Stati Uniti (16). Spero che ben presto avremo a disposizione strategie diverse da valutare e discutere. Nel frattempo, e' importante per me prendere parte alla creazione della storia della lotta nonviolenta e unirmi ai miei compagni per imparare e formulare nuove alternative.

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