[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 novembre 2005. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005]
Il velo dell'omerta' sull'uso del fosforo bianco si e' squarciato persino negli Stati Uniti, l'ultimo strappo e' stata la testimonianza di Darrin Mortenson, un giornalista americano embedded. Preceduto dalla ancor piu' importante ammissione sull'uso delle micidiali armi chimiche da parte del Pentagono. Ma per il portavoce del Pentagono, Barry Venable, non si tratta di armi chimiche e poi sono state usate contro i combattenti: bastano le terribili immagini delle vittime di Falluja - soprattutto donne e bambini - mostrati nell'inchiesta di Rainews24 a smentirli. Per gli Stati Uniti quella polvere che corrode la carne degli esseri umani
non e' nemmeno proibita visto che non hanno firmato il protocollo della Convenzione su alcune armi convenzionali. Cosi' come per gli Stati Uniti e' stato legittimo, quel 4 marzo del 2005, sparare su un'auto su cui viaggiavano due agenti del Sismi e una giornalista, uccidendo Nicola
Calipari. Sparare per uccidere come ha confermato la perizia della magistratura. E' la guerra. Una guerra che non rispetta piu' nemmeno le convenzioni internazionali. In cui sono coinvolti anche coloro che hanno mandato le proprie truppe ipocritamente sotto il nome di "missione di pace". Una guerra che Bush ha scatenato contro Saddam perche' - diceva - aveva le armi di distruzione di massa - ben sapendo che non le aveva piu' e quando le aveva usate contro i kurdi nel 1988 non aveva suscitato grande scalpore. Invece le armi di distruzione di massa - napalm e fosforo bianco - le ha portate Bush e le ha usate contro la popolazione civile. Chi resta in Iraq a fianco degli americani e' complice di chi usa queste armi, di chi ha torturato ad Abu Ghraib e ha addestrato gli iracheni a usare gli stessi metodi. E' questo il processo democratico da sostenere in Iraq oppure quello dei 170 prigionieri torturati e rinchiusi dentro il ministero degli interni iracheno? E' questo Iraq che le nostre truppe devono difendere? C'e' chi sostiene che bisogna rimanere per combattere il terrorismo, ma i terroristi, proprio come le micidiali armi, sono arrivati insieme alla guerra di Bush. Solo un ritiro delle truppe puo' spezzare la spirale guerra-terrorismo. O ancora, si dice che senza i marine scoppierebbe la guerra civile. La guerra civile purtroppo c'e' gia' in Iraq e ha gia' mietuto migliaia di vittime, ignorate come tutte le altre. E non sono certo le truppe a ostacolare i regolamenti di conti, la violenza sulle donne, i rapimenti o lo scontro sanguinoso tra sunniti e sciiti. Anzi, quest'ultimo, favorendo la spartizione dell'Iraq, gli Usa l'hanno alimentato. Non si puo' escludere che un ritiro delle truppe provochi nell'immediato un acuirsi dello scontro tra le varie componenti irachene, ma ormai e' l'unico modo per aprire la via a una soluzione vera e duratura della crisi. L'occidente se vuole aiutare l'Iraq distrutto non puo' farlo con i cannoni ma ricostruendo il paese.
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