Non Avremo Pace Senza Giustizia
di Rosa Calipari

Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

[Riproduciamo la testimonianza di Rosa Calipari pubblicata nel volume di AA. VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005, in questi giorni in edicola in supplemento al quotidiano "L'Unita'". Rosa Calipari e' la moglie di Nicola Calipari. Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza, con una straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena, come gia' prima alle due Simone; e' stato ucciso il 4 marzo a Baghdad]

3 Marzo 1983 - 4 marzo 2005: due date che segnano l'inizio e la fine di un progetto di vita condiviso. Ventidue anni sono pochi per chi ha programmi, ideali e valori comuni; sono pochi per chi rimane ed e' travolto in poche decine di secondi da un incubo senza fine. Non e' possibile dimenticare la sera del 4 marzo quando al rientro a casa ho trovato ad attendermi alcun colleghi ed amici di Nicola. Una scena che si affaccia spesso alla mente di chi ha vissuto con un funzionario di polizia "operativo" ma che si tende a rimuovere per difesa e per non farsi sopraffare da un'angoscia paralizzante. Con orrore ho urlato il mio "No!" di fronte a cio' che intuivo essere la verita' ma che nessuno dei presenti era in grado di confermarmi. E poi: "Ucciso dagli americani, un incidente... Non si sa cosa e' successo". Attonita da quella sera continuo a pormi sempre la stessa domanda: "Perche'?", ancor piu' dopo gli esiti contrastanti raggiunti dal Gruppo investigativo congiunto italo-statunitense, incaricato di esaminare la dinamica dei fatti accaduti il 4 marzo. Un'indagine che se negli intenti doveva svolgersi congiuntamente di fatto ha portato alla pubblicazione di due relazioni. Molti i limiti e le restrizioni incontrati dai rappresentanti italiani. Vincoli allo svolgimento delle indagini sono, innanzitutto, derivati dall'esclusiva applicazione della normativa statunitense, Army Regulation 15-6, che disciplina le procedure e le modalita' per le inchieste nell'ambito dell'esercito Usa, e che, come risulta dal rapporto italiano, ha posto dei limiti non trascurabili rispetto a quanto previsto dall'ordinamento italiano per analoghe attivita'. Per quanto attiene, ad esempio, alle modalita' di acquisizione delle testimonianze, non potevano essere reiterate le domande ai testimoni gia' sentiti e non sono stati possibili confronti diretti, per non voler sottolineare che le domande dei rappresentanti italiani potevano essere poste ai testimoni solo tramite il generale Vangjel, l'ufficiale statunitense incaricato, gia' prima dell'arrivo della delegazione italiana, di svolgere indagini. Ulteriore elemento di rilevante limitazione per l'indagine congiunta e' stato il mancato "congelamento" del luogo nell'immediatezza della sparatoria che, come dichiarato dagli stessi militari Usa, e' stato completamente ripulito ed alterato mentre non si consentiva agli italiani, presenti a Baghdad quella sera del 4 marzo, di arrivare sul posto. Ma neanche successivamente, durante i lavori della Commissione congiunta, e' stato possibile ricostruire la scena del "crimine", poiche' le autorita' militari Usa hanno ritenuto inopportuno, in ragione del segnalato costante e grave pericolo che incombe in prossimita'del luogo dell'"evento", anche il sopralluogo notturno. Pertanto, manca la certezza sulla ricostruzione della dinamica dei fatti. Tutto cio' non ha, inoltre, consentito di svolgere un'analisi approfondita sul posto, per cui quanto risultato dalla perizia effettuata in Iraq sulla vettura - come emerge dal Rapporto italiano – non sembra avere quella decisiva rilevanza probatoria. E ancora: la rimozione ed eliminazione dei bossoli, la non preservazione delle armi e delle munizioni del reparto coinvolto nel fatto... e, ancora il rientro dell'autovettura, ormai di proprieta' dello Stato italiano, solo dopo due mesi...
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E' un percorso difficile, doloroso e straziante per chiunque dover affrontare la tragica perdita del proprio compagno, ma diventa ancor piu' arduo se questa avviene in tale contesto e con questa modalita'. Nicola era un dirigente del Sismi, un Servizio alleato degli americani, ed ha agito in nome e per conto dello Stato italiano. Non era un Rambo ne' uno 007 con licenza di uccidere, ma un uomo che in altre delicate operazioni aveva dimostrato di possedere le qualita' per negoziare anche con gli elementi piu' integralisti del contesto mediorientale. Dotato di notevole intuito, riflessivo ed osservatore affrontava le situazioni con lucida razionalita', con notevole self-control e con forte determinazione. Consapevole dei rischi insiti nei diversi incarichi ricoperti consigliava la prudenza ai suoi collaboratori e vagliava i costi ed i benefici di ogni opzione. Nicola, anche nella sua precedente carriera in Polizia, ha sempre improntato il suo stile al confronto con gli altri e non allo scontro, "a prevenire, e non a reprimere", diceva. Anche nel rapporto con i suoi collaboratori prediligeva la politica del consenso piuttosto che dell'ordine impartito, dell'affermazione pacata ma autorevole della sua opinione e non autoritaria anche se si assumeva sempre la piena responsabilita' delle proprie decisioni. Uno stile che, spesso, spiazzava gli avversari ma che creava coesione e rafforzava l'identita' di gruppo in coloro che lavoravano al suo fianco. Un particolare pensiero va con affetto alla "squadra di Nicola", ai "calipariani", come qualcuno li definisce all'interno del Servizio forse proprio a voler differenziarne lo stile umano e di lavoro.
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Era certamente nota agli americani la sua partecipazione e collaborazione anche ad altre vicende di sequestri avvenute sul territorio iracheno; ed anche in questo caso della giornalista italiana rapita, pur in assenza di una espressa comunicazione formale ai comandi militari Usa del motivo della missione, Nicola e la sua squadra, come molte altre volte, hanno richiesto l'autorizzazione per atterrare all'aeroporto di Baghdad, per poter alloggiare a Camp Victory e, muniti di tesserini identificativi e di armi, per i loro successivi spostamenti nella capitale irachena. Nicola ha non solo condotto a termine la sua missione, la liberazione di Giuliana Sgrena, ma ha anche sacrificato la sua vita per proteggerla dal "fuoco amico" e, proprio per rispettare quella bandiera nella quale e' tornato avvolto da Baghdad, continuo a chiedere con forza e determinazione la verita' su quanto e' realmente successo e di far luce sulle responsabilita' di coloro che direttamente o indirettamente ne hanno causato la morte.
Non e' possibile avere pace se non c'e' giustizia.

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