Allora Ho Scalato Quel Muro
di David Airhart

Tratto da La Nonviolenza e’ in Cammino

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente discorso tenuto da David Airhart il 9 novembre 2005 all'Universita' dell'Illinois a Chicago. David Airhart e' un ex marine che ha prestato servizio a Guantanamo, in Iraq ed in Afghanistan; oggi e' iscritto alla Kent State University in Ohio, la stessa in cui il 4 maggio 1970 quattro ragazzi furono uccisi dai soldati mandati dal governo Usa per porre fine alla protesta studentesca; David Airhart, il 19 ottobre scorso, ha protestato contro la presenza di reclutatori militari nell'universita' scalando un muro ed appendendovi uno striscione su cui stava scritto: "Kent State University per la pace"; i reclutatori lo hanno forzato a scendere ed aggredito fisicamente e verbalmente: on sono stati accusati di nulla, mentre David Airhart e' stato multato di 105 dollari dalla locale polizia per "condotta disordinata" e rischia l'espulsione dall'universita']


Prima di tutto vorrei ringraziarvi per il sostegno che ricevo: e' una cosa molto importante per me. Cio' di cui intendo parlare sono alcune cose che accadono nell'esercito, e che sono sconosciute alla maggioranza dell'opinione pubblica americana, principalmente perche' i media non danno queste informazioni. Ho passato quattro mesi a Guantanamo, Cuba, sei mesi in Iraq, e sette mesi in Afganistan, percio' ho una prospettiva abbastanza ampia di cio' che sta succedendo in questa "guerra al terrorismo". Quando mi trovavo a Guantanamo, il lavoro della mia unita' consisteva nel trasbordare i prigionieri che vi giungevano dall'Afghanistan. Li conducevamo con un autobus scolastico a cui erano stati tolti i sedili, e i prigionieri venivano ammassati li' dentro come sardine. Se facevano il minimo movimento, o un respiro troppo profondo, venivamo incoraggiati a prenderli a calci in aree sensibili, come le costole e parti delle gambe. Ci dissero di batterli pesantemente affinche' non si muovessero. Dopo un po' questo divenne una sorta di svago, per i marine, che prendevano a calci i prigionieri per passare il tempo. Fu la' che cominciai a capire che l'esercito non era quella nobile cosa che il nostro governo tenta di descrivere. Sono stato la' quattro mesi, e non c'e' stato un giorno, neppure un giorno festivo, in cui non ci fosse una battitura di prigionieri. Da Guantanamo mi hanno mandato in Iraq. Non ero per nulla preparato a quello che ci aspettava laggiu'. Ero nel primo battaglione, secondo reggimento dei marine, compagnia Charley. Eravamo l'unita' di stanza durante tutta la faccenda di Jessica Lynch a Nasiriyah. Il nostro compito, o cosi' si supponeva, era di combattere contro ribelli e militari iracheni, ma io non ho mai visto nessuno che potessi identificare come un soldato, durante gli scontri. Quello che so, e' che per la maggior parte venivamo uccisi dal nostro sostegno aereo, dal fuoco sparato dai nostri stessi elicotteri. Il 95% dei soldati uccisi nella mia unita' sono morti di "fuoco amico", e quasi il 100% dei "nemici uccisi" che io ho visto erano civili, donne, bambini, persone che non avevano nulla a che fare con i combattimenti. Erano solo presenze innocenti. Una cosa terribile accadde dopo Nasiriyah. Dovevamo costruire una sorta di perimetro attorno alla citta', ma ci mancavano i sacchi di sabbia. Non ne avevamo abbastanza per proteggere i buchi dalle armi leggere. Sulla strada c'era un camion scoperto che trasportava sacchi di farina, fatti della stessa tela di canapa che andava bene per la sabbia. Cosi' ci ordinarono di aprire il fuoco contro il veicolo, contro l'uomo che lo guidava, un lavoratore e basta. Un bel po' di miei commilitoni obbedirono e l'uomo fu ucciso. E quelli come me, che non avevano sparato, ebbero l'ordine di rimuovere il corpo e di buttarlo in una fossa a lato della strada, e di coprirlo con un po' di terra e sporcizia. Dopo di che io non ero piu' un marine, o se lo ero, ero un marine contro la guerra. Dopo di che, la maggior parte del nostro tempo la passavamo ai check point, per controllare i mezzi sulle strade. Li si ferma a caso e si fruga l'automobile in cerca di armi. La situazione era sempre molto confusa, e spesso i guidatori non capivano cosa stavamo dicendo quando gli chiedevamo di fermarsi. La consegna era di aprire il fuoco, se le auto non si fermavano. Questo accadeva tutti i giorni. E mai, mai in nessuna delle occasione c'erano armi o altre cose pericolose nelle automobili. Erano famiglie, di solito, madri e padri e bambini. E venivano uccisi, ogni giorno. Ed eravamo noi ad ucciderli. Questo divento' abbastanza difficile da sopportare. Qualcuno dei miei commilitoni ci provava anche, a sostenere che si possa uccidere una bambina per una buona causa, ma tutti sapevamo che non era vero. Dopo l'Iraq pensavo: "ecco, sono un uomo finito, tutto quello che posso fare e' essere un idiota nei marine fino al congedo". Ma purtroppo mi mandarono in Afghanistan. I miei ultimi sette mesi di servizio li passai la', a far la guardia ai prigionieri o a sorvegliare le operazioni di sminamento: la terra afgana e' piu' zeppa di mine antiuomo che qualsiasi altro paese al mondo. Dopo di che, uscii dall'esercito, dopo quattro anni miserabili.
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Mi sono iscritto alla Kent State University, ed una delle ragioni piu' importanti per cui l'ho fatto e' che aveva una lunga storia come scuola contraria alla guerra. Ho pensato che avevo bisogno di stare dove c'era opposizione all'esercito. Ho incontrato Pat Gallagher dell'associazione degli studenti, e gli ho raccontato dell'Iraq. Egli mi disse di venire agli incontri degli studenti, perche' li' c'erano persone che avrebbero avuto piacere di ascoltarmi. Cosi' ci andai, e cominciai a sentirmi meglio, perche' c'era un movimento contro la guerra. Prima sembrava che chiunque incontrassi fosse a favore della guerra: mi ringraziavano per esserci andato, e cosi' via. Recentemente, circa una settimana e mezza fa, l'esercito e' venuto alla Kent State University, ed io mi sono sentito come se fossero venuti a pervertirla, perche' la loro intenzione era di portar via della gente da li' e di mandarla in Iraq, ad uccidere e a morire per ragioni che non hanno senso. Quando l'amministrazione universitaria ha permesso all'esercito di entrare nel campus io mi sono sentito travolto dal disgusto e dalla rabbia, perche' si permetteva che l'universita' fosse usata come magazzino di corpi freschi da mandare in Iraq. Allora ho scalato quel muro, e ci ho messo lo striscione per la pace. Immediatamente i reclutatori sono saliti a tirarmi giu'. Forse si trattava della campagna "Giu' le mani da David". Ma adesso sono nei guai con
l'universita', e potrei essere espulso. Temo che l'amministrazione universitaria non abbia capito per nulla di che si tratta, di cosa significa, di cosa sta succedendo in Iraq. Ho paura che per loro sia solo una cosa che vedono in televisione. Ma voi lo sapete, lo sapete che non e' cosi'. Spero capiranno che i reclutatori sono un danno per gli studenti, ma comunque io continuero' a fare tutto quello che posso affinche' l'esercito se ne vada dal nostro campus. Grazie ancora per il vostro sostegno.

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