Questo sapeva Erasmo: che la guerra e' sempre un male e il piu' grande dei mali: uccisione di esseri umani, che l'attivita' dei soldati e' l'assassinio, che chi giustifica la guerra e' complice degli assassini, e chi la organizza e promuove e' il primo e il principe degli assassini. E che bisogna scegliere tra omicidio e civilta', tra la morte e la vita degli esseri umani. Cosi' leggere Erasmo e' gettarsi nella lotta, nella lotta contro la violenza e per l'umanita'. Non si puo' leggere questo sorridente umanista senza sentirsi toccati nel profondo: poiche' in tutta l'opera sua incessante ti rivolge un appello a un'impresa comune: l'affermazione della dignita' umana e dell'umana solidarieta', l'opposizione alla violenza e alla menzogna.
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Dopo Auschwitz
Diciamolo subito: c'e' un passo nella Querela Pacis che e' di un razzismo ripugnante: e' un passo minuscolo, ma una caduta rovinosa; che deturpa questo per il resto splendido testo, e ci addolora e ferisce vieppiu' proprio per l'ammirazione che per Erasmo abbiamo e proprio perche' lo troviamo in flagrante contraddizione con quanto di buono e di vero Erasmo ci ha insegnato. Ma c'e', e ci rende avvertiti di quanto questa indimenticabile esortazione alla pace e alla solidarieta' tra gli esseri umani sia tuttavia un testo lontano da noi non solo nel tempo; ci rende avvertiti di come l'orizzonte culturale dell'autore del Lamento della pace e dell'Elogio della follia non sia il nostro, gli interlocutori cui esso direttamente si rivolgeva non siamo noi, e solo andando oltre i limiti storici e culturali di Erasmo si puo' ereditare e inverare il messaggio di Erasmo piu' autentico e fecondo.
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Del buon uso della Querela Pacis
La Querela Pacis puo' essere letta in molti modi diversi. Si puo' leggere come un repertorio di argomenti contro la guerra (ma non e' mai una buona lettura quella che sbrana l'altrui discorso per rivenderne le spoglie); come un classico (col rischio inerente ad ogni lettura di classici fatta per dovere di studio o di informazione: il rischio della mummificazione che ne annienta il valore dialogico); e si puo' leggere come un appello, che ci riguarda e ci convoca a una discussione franca, ed ai compiti nostri: ed e' questa la nostra lettura. Ma proprio per questo occorre che leggiamo questo testo con coscienza storica, collocandolo nel suo preciso contesto, l'Europa del primo Cinquecento. Apparso nel 1517, testo d'occasione, come pressoche' tutta l'opera in proprio di Erasmo, scritto su sollecitazione della cancelleria di quel Carlo che diverra' l'imperatore Carlo V (e per il quale Erasmo aveva gia' scritto l'Institutio principis christiani), la Querela Pacis ha un preciso destinatario immediato: si parla per essere ascoltati dai principi, dai principi cristiani, e dalla loro azione, dal loro potere ci si attende la pace, loro si cerca di convincere. Sappiamo come andra' a finire. Ma la Querela Pacis e' anche il compendio di una costante riflessione ed azione di Erasmo: il suo irenismo e' premessa ed esito del suo progetto culturale, esistenziale, politico: promuovere l'umana dignita' e fratellanza in un orizzonte di cristianesimo e cristianita' rinnovati dal ritorno all'autentico messaggio di Cristo, quello dei Vangeli; rinnovamento cristiano (rigenerazione, riforma; movimento di rivolgimento al passato in funzione di apertura al futuro) reso possibile dall'uso critico della strumentazione tecnica e morale messa a disposizione dalle "bonae litterae", il recupero filologicamente adeguato della cultura classica e delle fonti evangeliche e patristiche del cristianesimo, ed avvalendosi della stampa, la grande rivoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione della cultura senza precedenti per estensione e profondita', che permette di costruire una sempre piu' vasta comunita' di intellettuali, e che consente un condiviso agire ermeneutico che prosegue ed invera il modello di Girolamo e adotta il metodo di Valla. Sappiamo che nell'impegno per la pace, e non solo, Erasmo fu sconfitto. Ma e' dalla storia dei vinti che traiamo le nostre ragioni, non da quella dei vincitori.
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Dall'irenismo alla nonviolenza
E' facile individuare i limiti del pacifismo erasmiano e piu' in generale del pacifismo umanistico e cristiano del XVI secolo: ed e' facile dire della sua insufficienza per l'oggi, che occorre passare dal pacifismo alla nonviolenza. E' facile dirlo, eppur va detto. Ma attenzione a non semplificare e banalizzare oltre il lecito. La sua azione pacifista non e' circoscritta ad alcuni testi ma anima e si invera nella sua stupefacente attivita' filologica ed editoriale, nel suo epistolario che costruisce una comunita' di studiosi che attraverso le bonae litterae combattono il fanatismo ed affratellano i popoli. Che la pace sia stata una delle preoccupazioni centrali del pensare ed agire di Erasmo e' notissimo, e quasi non c'e' pagina di Erasmo che non sia invocazione alla pace; ha scritto giustamente Eugenio Garin che "per Erasmo la pace, l'ideale della pace come concordia umana, era lo stesso ritorno al Vangelo". Di cosa stiamo parlando quando parliamo dell'azione e dell'opera di Erasmo? Cosa ci dice l'attivita' editoriale di Erasmo? Quel restituire la parola ai defunti ed aprire con loro un dialogo nuovo; quel ritorno al semplice e all'autentico; quella lezione di metodo fondata sul non fraintendere, non deformare, non mentire: non e' una prassi di pace e di nonviolenza? Cosa ci dice l'epistolario di Erasmo? Non e' costruzione di umanita', sostituzione della comprensione e del rispetto reciproco alla sopraffazione e all'inganno? Non e' lotta incessante contro la chiusura e contro l'esclusione, contro l'ignoranza e contro l'avvilimento? Questa lotta contro il fanatismo e la repressione non e' anch'essa ipso facto prassi di pace e di nonviolenza? E il suo costante tornare al cristianesimo di Cristo, al cristianesimo il cui monumento teorico e' il discorso della montagna? Non e' forse un invito incessante a passare dall'irenismo predicato alla nonviolenza praticata? Non vi e' gia' qui, in questa persona cosi' sensibile alla vita concreta, alla felicita' terrestre e condivisa, propugnatore di un retto e nobile epicureismo che si connette e non si oppone alla lezione del cristianesimo come umanesimo, non vi e' qui il presagire e il suggerire che occorre un salto, dall'irenismo alla nonviolenza?
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Dire di no
Quest'uomo che fu il principe della cultura europea nei primi decenni del XVI secolo, che fu ascoltato e ammirato da re e papi e imperatori, che le parti in conflitto cercavano di accaparrare alla propria causa, fu e sara' sempre un tipo sospetto per gli autoritari di ogni schieramento. Un tipo sospetto perche' non si prestava alla propaganda, cui e' consustanziale l'uso del travisamento delle opinioni altrui e della menzogna come primo strumento d'offesa (e quando si comincia con l'accoppare la verita' poi si accoppano le persone); un tipo sospetto perche' detestava i fanatismi e le irragionevolezze e la mancanza di misericordia; un tipo sospetto perche' sapeva dire di no. Vi e' un luogo comune, alimentato da una propaganda accanita: che Erasmo fosse un tiepido, un pusillanime, che non sapesse prendere posizione, che si ritraesse dinanzi agli sviluppi di quanto aveva pur seminato, e cosi' via. E si dimentica che invece Erasmo non volle mai essere il servo della violenza (quali che fossero le ragioni di cui essa si ammantava: e nella sartoria presso cui la violenza si abbiglia si trovano sempre abiti di gran classe): e questo e' il nostro Erasmo: che la storia lo abbia sconfitto, ahime', che disastro per la storia, e quante sofferenze per l'umanita'.
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L'opera dimenticata
Fatta eccezione per una ristretta cerchia di studiosi, Erasmo e' oggi uno sconosciuto: della sua opera e della sua figura ci si sbarazza in fretta attraverso la ripetizione di pochi luoghi comuni. Eppure la sua opera e' immensa. Ma in cosa consiste? In primo luogo: l'opera di Erasmo e' innanzitutto quella di un grande editore e commentatore di opere fondamentali della cultura cristiana e classica. Erasmo fu il principe degli umanisti innanzitutto con la sua infaticabile attivita' di editore. Dalle sue cure usci' la prima edizione critica del Nuovo Testamento. In secondo luogo: fu un epistolografo infaticabile: e' attraverso le lettere (e la pubblicazione di raccolte di esse, con cui si allargava straordinariamente l'area degli interlocutori) che Erasmo guida e quasi crea quella vera e propria aggregazione delle persone colte che diviene la base relativamente di massa del movimento per la renovatio cristiana fondata sulla ripresa delle bonae litterae. In terzo luogo: fu autore di opere in proprio, naturalmente, ma sebbene esse nascano da istanze sovente occasionali (divulgazione, polemiche) tutte si rivelano solidamente collegate a un progetto di intervento culturale che prolunga e precisa l'attivita' editoriale: il progetto erasmiano della promozione della cultura come lotta contro il fanatismo e la violenza, di promovimento dell'umanesimo cristiano come rigorizzazione morale e benevolenza ad un tempo.
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Cosi' lontano, cosi' vicino
Erasmo e' lontano da noi. Non ingannino alcune analogie tra l'epoca che fu sua e quella che in sorte ci e' toccata. E' lontano da noi. Ed insieme e' cosi' vicino: nel suo scacco, nella sua illusione. Ma quella illusione, di istituire una societa' civile che ogni essere umano raggiunga, e fondata sul diritto e la pace, e' ancora la nostra. Ed e' nostro il suo scacco. Ed e' nostro il medesimo compito: che quello scacco diventi coscienza, che quella illusione divenga realta', che la figura di Erasmo si adempia nell'umanita' cosciente e liberata che videro Giacomo Leopardi e Franco Fortini (non solo presagirono, non solo sperarono: videro, poiche' ne furono in strazio e in isforzo prefigurazione). E dell'opera tutta di Erasmo la Querela Pacis talora ci accade di intendere come il cuore segreto: ancor piu' dell'Elogio della follia, ancor piu' dei Colloquia e degli Adagia, ancor piu' dell'opera grandiosa del filologo e
dell'editore. Il cuore segreto e pulsante. Veramente il programma e l'appello di Erasmo e' il nostro ancora: si potrebbero aggiungere infinite glosse e distinguo infiniti, ma il succo prezioso ci pare sia qui: solo la pace promuove la dignita' umana, solo la dignita' umana costruisce la pace, solo la consapevolezza che l'io nel tu si specchia, e la consapevolezza ad un tempo che il tu resta irriducibilmente altro dall'io e questa diversita' va rispettata e difesa poiche' e' la pupilla del mondo; ed in questo processo di riconoscimento e di rispetto per la vita dell'altro e' il sale della terra e l'identita' tua profonda: "esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" (Saba).