Albino Bizzotto, un Prete Contro Tutte le Bombe
di Ernesto Milanesi
Tratto da La Nonviolenza e in Cammino
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 agosto 2005. Ernesto Milanesi, giornalista, scrive sul quotidiano "Il manifesto". Albino Bizzotto, impegnato in molte iniziative di pace e di solidarieta', promotore e presidente del movimento nonviolento "Beati i costruttori di pace", e' una delle figure piu' vive della nonviolenza in Italia]
Un prete strano, fuori dal comune. Un uomo mite che, con coraggio, offre un contraltare all'indifferenza. Un pacifista radicalmente nonviolento: da sempre. Un testimone di frontiera. Una vita spesa, da un quarto di secolo, per gli ultimi. Un simbolo, perfino suo malgrado. Don Albino Bizzotto e' la figura che coincide ed incarna "Beati i costruttori di pace", il movimento di base esploso dentro la Chiesa del Triveneto nel 1985 e ancora in prima fila contro ogni guerra. Don Albino in questi giorni, frenetici come sempre, sta preparando le manifestazioni per i 60 anni dell'esplosione dell'atomica ad Hiroshima e Nagasaki. "Facciamo tutto con lo stesso spirito di condivisione e volontariato, che ci aveva spinto a marciare da Vicenza a Longare contro le testate nucleari e poi fino al 'campo' di Comiso. Ci ostiniamo a difendere la speranza, a denunciare gli squilibri del mondo, a costruire ponti al posto delle trincee", spiega concitato fra una telefonata, una riunione, una pedalata e una preghiera. Don Albino lo conoscono tutti come l'animatore instancabile dei "Beati", ma nessuno lo ha mai piegato a tradire la sua missione. E' fatto a modo suo. E non cambia piu'. "Predicava" le ragioni della pace dai microfoni di Radio Gamma5 senza concessioni alle nostalgie staliniste dei seguaci del generale Pasti. E' saltato sui binari ferroviari, quand'e' scoppiata la guerra globale, anche se continua a preferire don Milani ai Disobbedienti. Adesso rilancia la battaglia contro il nucleare militare, nonostante la sua Chiesa abbia espunto la teologia della liberazione. Un prete scomodo. Un uomo convertito. Racconta don Albino com'e' cominciato tutto: "Nel 1980 mi e' stato regalato un viaggio in America Latina: 40 giorni in Brasile e Ecuador. Ho visto la situazione nella baixada fluminense, vicino a Rio de Janeiro, con le case in un fiume di scolo e un tasso di violenza indescrivibile. Ma anche Riobamba con la piu' bella scuola del mondo, fatta per radio insieme agli indios. In Ecuador ho conosciuto la storia di monsignor Romero, che era stato assassinato in Salvador cinque mesi prima. In Italia si sapeva ben poco di lui. Quando e' morto credo ci sia stato un piccolo lancio di agenzia: niente altro. Quel viaggio, di fatto, ha cambiato la mia vita. Non sono piu' riuscito ad andare in vacanza e la croce di cuoio che porto al collo viene
da Quito. E' diventata il mio habitus".
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Nel "covo anarchico"
Don Albino nasce a Cassola (Vicenza) nel 1939 da una famiglia contadina. Fin da bambino sente la vocazione, tant'e' che a soli 23 anni e' gia' prete diocesano. A Padova, insegna religione alle superiori: al liceo artistico di via Canal, scuola senza nome e con la fama di "covo anarchico", diventa l'interlocutore preferito di una generazione di ragazzi che al talento abbinano la rabbia. Don Albino tiene sempre la porta aperta nel piccolo appartamento che si affaccia su piazza dei Frutti. Casa di tutti nella stagione degli anni di piombo. Un via vai infinito di gente che aggiunge una sedia spaiata o discute stappando l'ultima bottiglia in comune. In Curia, quel prete troppo disponibile con i ragazzi e che si espone pubblicamente perfino sul referendum sull'aborto proprio non piace. E dal vescovo partira' un provvedimento disciplinare dopo l'altro: addio insegnamento, stipendio e pensione; la pecora nera sconta l'emarginazione della Chiesa ufficiale; in compenso, don Albino viene adottato dalle comunita' di base, cattoliche e non. Gli anni Ottanta, in Veneto, sono ancora segnati dalle trincee ideologiche: il processo 7 aprile, il Pci impermeabile al rinnovamento, l'Autonomia Operaia ancora organizzata. Don Albino "pacifica" con pazienza questo scenario paralizzante. "Abbiamo cominciato con un'azione di solidarieta' con il popolo del Salvador, che in quel momento si trovava nell'occhio del ciclone, fino alla manifestazione in piazza, a Padova, il 23 marzo 1981. E' stata l'iniziativa che ha spezzato il clima degli anni di piombo. Mi ricordo, quella sera c'erano Raniero La Valle, Alberto Tridente e Marianella Garcia. Alcune persone sono venute in lacrime a ringraziarmi: era la prima volta che si manifestava insieme. In piazza tornava, finalmente, la gente comune: vecchi, giovani, donne, bambini". E' un successo per il Comitato popolare veneto per la pace, l'intuizione che don Albino aveva condiviso (fra gli altri) con Michele Di Martino, Alberto Trevisan, Flavio Lotti e Gianna Benucci. Si spalanca piu' di un varco alle bandiere dell'arcobaleno: in marcia lungo la riviera berica, a fianco degli obiettori di coscienza e dei pionieri dell'obiezione alle spese militari, nelle prime manifestazioni contro i missili Cruise e Ss20. Il "nuovo pacifismo" prende sostanza nel cuore del Veneto ancora democristiano. "E' partita una scintilla che ha portato alla prima grande manifestazione, dalla caserma Ederle di Vicenza alla base Usa di Longare. Era il 30 agosto 1981. Subito dopo e' stata la volta della Perugia-Assisi e il 24 ottobre la grandissima manifestazione nazionale", spiega don Albino. L'anticipazione della stagione di Comiso: "Nel 1982 il primo campo pacifista a Vittoria per preparare le azioni nonviolente davanti ai cancelli dell'aeroporto di Comiso l'estate successiva. Il 6 agosto 1983, di nuovo nell'anniversario di Hiroshima, contro l'installazione dei Cruise. E' stata la prima volta che, insieme a noi pacifisti, hanno manifestato fianco a fianco i ragazzi della Fgci e gli autonomi. Tutti insieme abbiamo preso le cariche della polizia. Il 25 settembre c'e' stata un'altra azione formidabile a Comiso: invece di passare per le entrate centrali, siamo arrivati da un'altra parte. La polizia ci ha inseguito con gli idranti. Pioveva, era un giorno freddo: abbiamo preso acqua da sopra e anche da sotto. Saremo stati un migliaio, avevamo bloccato tutti gli accessi e con la polizia e' iniziato uno scontro diretto: noi bloccati li' per terra sotto i teloni di nylon, loro con gli idranti. Se il getto ti arrivava sulle orecchie, te le faceva saltare". Due anni dopo, don Albino si lancia in una nuova avventura. Con il comboniano Alex Zanotelli (il direttore di "Nigrizia" che aveva puntato l'indice su Craxi e Spadolini) e con il saveriano Eugenio Melandri lancia l'idea di "Beati i costruttori di pace". Riprendono il messaggio del Concilio, vent'anni dopo. Dal confine del Triveneto scrivono l'appello contro "l'aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame". Sono trascorsi vent'anni. Era davvero un altro mondo. Il pacifismo radicale dentro la Chiesa rappresentava una vera rivoluzione. Don Albino riavvolge il nastro della storia dei "Beati" e rivela qualche retroscena: "Servivano promotori autorevoli per un simile appello. Il primo da cui sono andato e' stato padre Germano Pattaro, il teologo veneziano dell'ecumenismo, molto amato, che era ammalato gravemente. Lui ha mostrato il testo a monsignor Luigi Sartori, presidente dei teologi italiani. E si sono aperte le porte. E' stato molto bello l'incontro con monsignor Alfredo Battisti, vescovo di Udine, che era stato il mio vicario generale a Padova e che conosceva bene la mia vita e le mie vicende ai margini della Chiesa. Mi ha detto: 'Questi contenuti sono evangelici'. Aderiva. Era fatta. Ma il nostro vero interlocutore era l'incaricato per la Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale del Triveneto: il vescovo di Trieste, Lorenzo Bellomi. E lui aveva bisogno del placet del patriarca Marco Ce'. Nel 1985, mi guadagnavo da vivere come manovale. Mi mandarono a chiamare in cantiere: Bellomi aveva telefonato e mi voleva parlare. Sono corso a casa e dall'altra parte del filo la voce: 'Ti do l'adesione come commissione episcopale Giustizia e Pace del Triveneto'. Cosi' l'appello puo' cominciare a venir diffuso. Adesioni a valanga: cinquemila firme di preti, frati, suore. Si
sono aggregati anche i laici. Alla fine, siamo arrivati a quindicimila adesioni".
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Nel tempio della lirica.
Il 4 ottobre 1986 i "Beati" organizzano il primo meeting all'Arena di Verona dal titolo "Pace: diritto ed urgenza dei popoli" con migliaia di partecipanti uniti dai colori dell'arcobaleno. Nel tempio della lirica scaligera, l'appuntamento si ripetera': sfilano Rigoberta Menchu', Susan George, David Maria Turoldo a sostenere le campagne sul disarmo, contro l'apartheid. Con i "Beati" don Albino attraversa gli anni Novanta: in Bosnia e Kosovo, ma anche in Palestina, si concretizzano le "azioni di diplomazia popolare". Fra l'altro, le carovane de volontari dei "Beati" hanno garantito il servizio postale da e per Sarajevo dall'estate 1993 fino al gennaio 1996 consegnando complessivamente ottocentomila lettere e pacchi. Si chiude il Novecento e i "Beati" (nel frattempo costituiti in vera e propria associazione) lasciano il segno in Africa. Febbraio 2001, l'azione di "Anch'io a Bukavu": a Butembo, in Congo, oltre duecentomila persone hanno accolto i partecipanti ad un altro piccolo grande "miracolo". Poi esplode la guerra globale: don Albino ritorna a sventolare la bandiera dell'arcobaleno. E' in buona compagnia: il "popolo della pace" invade piazze e balconi. E come ogni 6 agosto, l'anima dei "Beati" che non va piu' in vacanza si prepara ad ammonire: "Mai piu' Hiroshima".
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