Tratto da La nonviolenza e' in cammino


"L'Antibarbarie"
di Giuliano Pontara

L'Escalation della Barbarie. Un Estratto dal Primo Capitolo
 
1.1. L'escalation della barbarie
Il XX secolo e' stato profondamente segnato dall'acuirsi di due processi strettamente congiunti: l'escalation della brutalizzazione e la globalizzazione della violenza. Agli inizi del XXI secolo non vi sono segni di arresto e inversione.
Tutti e due questi processi vengono da lontano: dai massacri imperialisti e razzisti perpetrati dagli spagnoli e dai portoghesi in America Latina e da altri europei nell'America del Nord; da quelli perpetrati dagli inglesi, dai francesi, dai belgi, dai tedeschi e, in ritardo su questi, dagli italiani in Africa; dalla "missione civilizzatrice" degli inglesi in India, i quali alternarono l'uso della violenza armata e delle carestie per tenere l'intero subcontinente sotto il loro dispotico dominio.
I massacri colonialisti sono perpetrati da eserciti dotati di armi nettamente superiori e molto piu' distruttive di quelle di cui dispongono le popolazioni che cercano di resistere. Verso la fine dell'Ottocento sono inventate e adottate le prime mitragliatrici, prima semiautomatiche, poi automatiche. Nel 1885 l'esercito dell'impero britannico viene dotato della mitragliatrice automatica portabile Hiram Maxim, fornita di una capacita' di fuoco tra i 500 e i 600 colpi al minuto. Nel 1898 l'uso di questa mitragliatrice fu decisivo nella battaglia di Ondurman, in Sudan, nella quale le truppe inglesi affogarono nel sangue i guerriglieri del movimento indipendentista che si era sviluppato nel Paese sotto la guida di Muhammad ibn Abd Allah (normalmente noto come Abdullahi). Nella battaglia furono massacrati 22.000 sudanesi, altri 20.000 furono feriti. I morti tra le file dell'esercito coloniale inglese furono 48. II giovane Winston Churchill, futuro primo ministro inglese, presente alla battaglia come corrispondente di guerra, descrive il fuoco "fermo e insistente" dei soldati che, "interessati al loro lavoro" e "minuziosi nell'espletamento di esso", sparavano "senza fretta e senza eccitazione", con la nuova mitragliatrice Hiram Maxim su un "nemico lontano" che non poteva colpirli. Churchill chiama la nuova arma automatica di distruzione un'"arma di civilizzazione" (1).
Sono omicidi di massa di questo tipo a preparare quella che un noto storico contemporaneo ha chiamato "l'eta' dei massacri" (2), tuttora in corso, iniziata con la prima guerra mondiale, durante la quale centinaia di migliaia di soldati dei "Paesi civili" si massacrarono reciprocamente su scala industriale per quasi cinque anni: solo nella battaglia di Verdun, nel 1915, i tedeschi uccisero 315.000 francesi e i francesi a loro volta trucidarono 280.000 tedeschi (3). Con la prima guerra mondiale si rinforza un militarismo profondamente legato a grandi e potenti interessi economici e di classe. Di pari passo, e favorito dagli sviluppi sempre piu' rapidi della scienza e della tecnologia, si intensifica un processo sempre piu' serrato di corsa ad armamenti sempre piu' distruttivi che inghiotte somme sempre piu' astronomiche: tra le nuove mitragliatrici usate nella prima guerra mondiale (dopo che prototipi erano stati provati contro i "barbari incivili" nei massacri coloniali) e lo sganciamento delle due bombe nucleari sul Giappone intercorrono solo una trentina d'anni. Molti meno ce ne vorranno per sviluppare e costruire su scala industriale sistemi di armi termonucleari, chimiche e biologiche con le quali e' possibile distruggere l'intero genere umano, o gran parte di esso.
Contemporaneamente, causa ed effetto dell'escalation della violenza, con la prima guerra mondiale si innesca un rapido processo di vasta brutalizzazione, di crescente e sempre piu' largamente condivisa accettazione di forme di violenza precedentemente di regola non accettate e giudicate inaccettabili. Attraverso il blocco economico della Germania, efficacemente realizzato dalla flotta britannica per l'intera durata della guerra, lo sforzo bellico viene per la prima volta direttamente rivolto contro la popolazione civile allo scopo di abbatterne il morale. Le stime dei civili che morirono a causa della penuria di risorse essenziali causata dal blocco navale britannico variano da una cifra massima di 800.000 a una minima di 424.000 (4). Esso costituisce l'inizio della guerra come carneficina indiscriminata di combattenti e civili, perpetrata su scala industriale. L'invenzione e costruzione su larga scala dell'aereo rende possibile i bombardamenti terroristici diretti contro la popolazione civile, i primi dei quali si verificarono gia' verso la fine della prima guerra mondiale. Fatti inizialmente oggetto di un'ondata di proteste, questi bombardamenti vennero in seguito sempre piu' accettati e sanzionati come parte integrante della guerra, diventando fatto giornaliero durante la seconda.
Nel XX secolo la guerra, compresa quella "civile", e' dunque diventata totale. La percentuale dei civili uccisi in guerra non ha fatto che crescere: alla fine dell'Ottocento e' il 5%; nelle guerre di fine Novecento e' il 90% (5). Molte delle vittime sono bambini: soltanto nel corso dei vari conflitti violenti che hanno infestato varie regioni del pianeta negli ultimi quindici anni i bambini uccisi, resi invalidi, orfani, profondamente traumatizzati si contano a milioni. Alla fine degli anni Novanta esistevano oltre 110 milioni di mine attive disseminate in una settantina di Paesi martoriati da conflitti violenti (6); e' stato calcolato che in media ogni mese 2.000 persone pestano una di queste mine e vengono uccise o rese invalide per il resto della vita. Aveva ragione il militarista Karl von Clausewitz quando scriveva che "gli spiriti umani potrebbero pensare che esistano metodi tecnici per disarmare o abbattere l'avversario senza infliggergli troppe ferite e che sia questa la finalita' autentica dell'arte militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza occorre distruggere tale errore. La guerra e' un atto di forza, all'impiego del quale non esistono limiti: i belligeranti si impongono legge mutuamente; ne risulta un'azione reciproca che logicamente deve condurre all'estremo" (7). A massacri avvenuti, e suggellati dalle carneficine di civili causate dai bombardamenti atomici con cui gli Stati Uniti rasero al suolo le citta' di Hiroshima e Nagasaki e da quello "tradizionale" con cui gli alleati, a guerra praticamente conclusa e vinta, distrussero nel fuoco la citt" di Dresda, "i popoli della terra", nauseati dal sangue che arriva fino alle ginocchia, si dichiarano solennemente "decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra" (8). Ma il flagello continua attraverso una serie di guerre locali, alcune delle quali assumono dimensioni mondiali in quanto coinvolgono, direttamente o indirettamente, le maggiori potenze militari del pianeta: guerra di Corea, guerra di Indocina, guerra del Vietnam, guerra di Algeria, guerre in Africa, guerre balcaniche, guerre in Aghanistan, guerre in Iraq, guerre in Libano. Appare cosi' un nuovo fenomeno: la crescente globalizzazione e internazionalizzazione del terrorismo non statale (quello di Stato e' ben piu' antico e massiccio) favorito dalla globalizzazione del mercato, legale e nero, delle armi, dai nuovi fondamentalismi religiosi, ma anche da geopolitiche neo-imperialiste e dall'enorme iniquita' nella distribuzione delle risorse nel mondo.
A suo tempo, Karl Marx, con una metafora divenuta celebre, poteva parlare della violenza come ostetrica della storia, come lo strumento attraverso il quale lo sviluppo storico si apre la strada, abbattendo vecchie e pietrificate strutture, verso forme sempre piu' aperte, meno violente e piu' umane di societa'. Oggi c'e' il rischio che la metafora piu' calzante sia un'altra: quella della violenza come becchino della storia.
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1.2. La barbarie nazista
I vasti processi di brutalizzazione e globalizzazione della violenza, innescati dai massacri imperialisti nel mondo extraeuropeo, e ulteriormente sviluppati nel corso della prima guerra mondiale, favoriscono l'affermarsi del nazismo, una sistematica (anche se incoerente) ideologia della violenza e prassi metodica di essa come fine e come mezzo, che, a sua volta, fornisce combustibile a un ulteriore imbarbarimento.
Inteso come ideologia - Weltanschauung la chiamavano i suoi fautori - il nazismo e' un misto di nazionalismo tribale, di darwinismo sociale e di elitismo conditi con idee sul superuomo e la volonta' di potenza provenienti da Nietzsche (dai lati piu' oscuri del suo pensiero) e con la tendenza, di provenienza hegeliana, a concepire un popolo, una nazione come un'entita' metafisica. Cosi' inteso, il nazismo si articola in una costellazione di interconnesse componenti che si manifestano sia a livello verbale (a questo livello la bibbia del nazismo rimane pur sempre il Mein Kampf di Hitler), sia a livello comportamentale, attraverso atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi estremamente violenti e brutali, sia a livello strutturale in istituzioni e strutture che promuovono distribuzioni inique di potere e autorita' nel sistema sociale e di risorse e ricchezza a livello economico.
Molto fa ritenere che le componenti che assieme costituiscono la Weltanschauung nazista siano l'espressione estrema di strutture mentali, assunti, norme, valori a lungo presenti e coltivati non solo nella cultura tedesca, bensi' piu' in generale nella cultura occidentale (9). Ne' si tratta di un fenomeno circoscritto allo specifico contesto dei dodici anni di dittatura hitleriana in Germania. A determinate condizioni le componenti che congiuntamente costituiscono il nocciolo duro dell'ideologia nazista si possono realizzare, singolarmente o tutte assieme, in altri contesti. "E' avvenuto, quindi puo' accadere di nuovo... e dappertutto" (10).
In effetti molte sono le situazioni che portano a pensare che diverse delle componenti essenziali del nazismo siano ancora oggi largamente presenti nel mondo, a Nord come a Sud, in Occidente come in Oriente. Non penso qui tanto ai vari gruppi neonazisti attivi in diversi Paesi e che si ispirano direttamente agli insegnamenti di Hitler, richiamandosi piu' o meno apertamente al suo nome. Penso piuttosto alla diffusione di modi di pensare, di concepire l'uomo e il mondo per vari versi simili a quelli propri del nazismo, alle strutture autoritarie e oppressive non molto dissimili da quelle naziste tuttora imperanti nel mondo, alle forme sempre piu' brutali e distruttive assunte dalla violenza armata dopo la caduta del nazismo in Germania e che, come gia' aveva rilevato Primo Levi, sembrano in parte diramarsi proprio dalla violenza dominante nella Germania di Hitler (11).
Nelle pagine che seguono cerchero' di mettere brevemente e sinteticamente in luce ciascuna delle componenti che costituisce il nocciolo della Weltanschauung nazista (12), indicando di volta in volta come ciascuna di esse sia ancora ben presente nel mondo in tendenze naziste che costituiscono una grande minaccia per il futuro dell'umanita'.
Ostacolare lo sviluppo di queste tendenze costituisce una delle maggiori sfide del secolo XXI.
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1.3. La nuova barbarie: tendenze naziste oggi
Elenco riassuntivamente le componenti essenziali dell'ideologia nazista sulle quali nel resto di questo capitolo intendo incentrare il discorso. Esse sono otto:
a. la visione del mondo come teatro di una spietata lotta per la supremazia;
b. il diritto assoluto del piu' forte;
c. lo svincolamento della politica da ogni limite morale;
d. l'elitismo;
e. il disprezzo per il debole;
f. la glorificazione della violenza;
g. il culto dell'obbedienza assoluta;
h. il dogmatismo fanatico.
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Note
1. W. Churchill, The River War: An Historical Account of the Reconquest of the Sudan, Green Longmans, London 1899 (tr. it. Riconquistare Khartoum, Piemme, Casale Monferrato 1999).
2. E. Hobsbawm, The Age of Extremes, Abacus, London 1995, p. 24 (tr. it. Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1997).
3. S. Robson, La prima guerra mondiale, il Mulino, Bologna 2002, p. 89 (ed. orig. The First World War, Longman, London-New York 1998).
4. J. Glover, Humanity. Una storia morale del ventesimo secolo, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 90-91 (ed. orig. Humanity. A Moral History of the Twentieth Century, Pimlico, London 2001).
5. Undp, Human Development Report, Oxford University Press, Oxford 1998, p. 35.
6. Ivi.
7. K. von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano 1970, pp. 21-22.
8. Preambolo della Carta delle Nazioni Unite.
9. Lo storico Enzo Traverso argomenta bene questa tesi nel suo lavoro La violenza nazista. Una genealogia, il Mulino, Bologna 2002.
10. P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, p. 164.
11. Ivi, p. 165.
12. Per una dettagliata analisi delle molteplici componenti che costituiscono la Weltanschauung nazista cfr. la meticolosa ricostruzione dell'intera ideologia fatta da H. Ofstad in Our Contempt for Weakness: Nazi Norms and Values - and Our Own, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1989 (ed. orig. in norvegese, Var forakt for svakhet, Pax Forlag, Oslo 1971). Debbo molto a questa analisi. Cfr. anche l'intera parte VI del lavoro di Glover, op. cit.
 
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Il Mondo Come Teatro delle Forze Costruttive. Un Estratto dall'Ultimo Capitolo de "L'Antibarbarie"

 
Alla Weltanschauung nazista che vede il mondo come teatro di una perenne lotta violenta e brutale per la supremazia, la mentalita' nonviolenta oppone una visione del mondo al centro della quale sta quella "forza costruttiva" che nella storia dell'umanita' si esprime concretamente in atteggiamenti, comportamenti, pratiche, istituzioni, strutture - a livello morale, giuridico, sociale, economico, politico - volti ad arginare la violenza in tutte le sue forme; quella forza costruttiva che nella storia ha permesso agli esseri umani di convivere pacificamente, di condurre e risolvere i conflitti senza distruggersi a vicenda, di istituire relazioni cooperative, fiduciose, e costruire societa' fiorenti. La pace non e' vista come situazione di tregua tra guerre, bensi' come un continuo e dinamico processo costruttivo interrotto da esse. A una visione della storia umana, per cui il "progresso" si fa faticosamente strada con e grazie alla violenza, viene opposta una visione per cui le maggiori conquiste dell'umanita' sono avvenute non grazie alla violenza, ma nonostante essa.
Questa concezione costruttiva non nega la centralita' del conflitto nel mondo delle relazioni umane e l'importanza del potere nella conduzione dei conflitti. Ma potere non equivale a violenza; se la violenza e' sempre potere, non sempre il potere e' violenza. Non e' contraddittorio a livello teorico, ne' controfattuale a livello empirico, parlare di potere della nonviolenza, potere che nella storia si e' manifestato in una miriade di modi diversi, sia prima sia dopo Gandhi, e al quale Gandhi ha aggiunto, con la dottrina e la pratica del satyagraha, una nuova e originale dimensione.
 

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Una Via Difficile. Le Parole Conclusive de "L'Antibarbarie"

"Sento nel piu' profondo del mio cuore - scriveva Gandhi verso la fine della sua vita - che il mondo e' mortalmente nauseato dai versamenti di sangue. Il mondo sta cercando una via d'uscita". Uscita dalla barbarie.
Combattere la barbarie senza diventare barbari, questo e' il problema; opporsi, con mezzi immuni dal contagio, alla logica della volonta' di potenza, quella logica gia' enunciata, e forse anche denunciata, da Tucidide per cui "i forti fanno cio' che hanno la potenza per fare, mentre i deboli accettano quello che sono costretti ad accettare", e in base alla quale gli ateniesi, dopo che Melos si era arresa a discrezione, fecero massacro tra gli abitanti maschi in eta' militare e deportarono in schiavitu' donne e bambini; la stessa logica che domina tuttora nel mondo fra quanti vedono nel terrorismo della guerra e nella guerra del terrorismo la continuazione della politica con altri mezzi. E' difficile vedere come si possa uscire da questa logica con nuove e ulteriori violenze. Non c'e' una guerra che ponga fine a tutte le guerre, un terrorismo che ponga fine a ogni terrorismo, una barbarie che ponga fine a ogni barbarie, tranne la barbarie ultima dell'olocausto dell'umanita'. Non si tratta di abbandonarsi a discorsi apocalittici, ma non si puo' e non si deve assuefarsi alla convivenza con armi di distruzione di massa, e rimuovere la consapevolezza che la minaccia e il pericolo di una Auschwitz e di una Hiroshima sempre piu' globali sono pur sempre incombenti.
Se, da una parte, guardando all'immane corsa storica ad armamenti sempre piu' distruttivi, ai massacri, alle carneficine, alle guerre, ai genocidi perpetrati nel "mattatoio della storia" e alle minacciose tendenze naziste nel mondo d'oggi, si puo' ragionevolmente e pessimisticamente disperare di poter uscire dalla barbarie ed evitare la barbarie ultima; dall'altra, rivolgendo l'attenzione alle forze morali, costruttive e nonviolente che in ogni epoca della storia gli umani sono riusciti a mobilitare contro la violenza e la barbarie, si possono trovare ragioni per non disperare, appigli per un'intelligente speranza, quell'intelligente speranza di cui era "prigioniero" Gandhi e che l'accompagno' nel suo cammino sulla via della politica e della lotta nonviolenta. La via e' difficile, e Gandhi e' il primo a riconoscerlo: "Enunciare la nobile dottrina dell'ahimsa e' facile; osservarla in un mondo pieno di conflitti, di sconvolgimenti e di passioni e' un compito della cui difficolta' mi rendo conto ogni giorno di piu'". Ma esistono forse vie facili?

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