Fernanda Pivano Ricorda Keith Haring (2005)
Questo testo di Fernanda Pivano e' comparso in "The Keith Haring Show", catalogo della mostra (Fondazione La Triennale di Milano, 27 settembre 2005 - 29 gennaio 2006) a cura di Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni, Skira, Milano 2005, pp. 115-118, ed e' stato poi riprodotto in Keith Haring, L'ultima intervista, Abscondita, Milano 2010, pp. 85-96 (da cui lo riprendiamo).
Fernanda Pivano, intellettuale italiana (Genova 1917 - Milano 2009) impegnata nei movimenti per i diritti civili, studiosa della cultura americana e personalmente intensamente partecipe delle piu' rilevanti esperienze di impegno civile, artistiche, letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e particolarmente di quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica e radicale, pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed agli stili di vita alternativi), generosa maestra, amica della nonviolenza. Tra le opere di Fernanda Pivano: oltre a numerose e giustamente celebri traduzioni (tra cui la classica versione dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters; la stupenda raccolta di poesie di Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno; la fondamentale antologia Poesia degli ultimi americani), ha pubblicato tra altri volumi: La balena bianca e altri miti, 1961; America rosso e nera, 1964; Le belle ragazze, 1965; L'altra America negli anni Sessanta, 1971; "Pianeta Fresco", 1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri degli anni Venti, 1976, C'era una volta il beat, 1976, Hemingway, 1985. Dal sito di "Rai news 24" riprendiamo la seguente scheda: "Ferdinanda Pivano e' una figura di rilievo nella scena culturale italiana soprattutto per il suo contributo alla divulgazione della letteratura americana in Italia. Ha iniziato l'attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese nel 1943 con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters. Da allora ha tradotto molti romanzieri americani (fra gli altri Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein) e a quasi tutte le traduzioni ha preposto lunghi saggi bio-socio-critici. Come talent scout editoriale ha suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero (come Richard Wright) ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni Sessanta (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso) agli autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis (per il quale ha scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni letterari. Opere di Fernanda Pivano: La balena bianca e altri miti, Mondadori, 1961, Il Saggiatore, 1995; America rossa e nera, Vallecchi, 1964; Beat hippie yippie, Arcana, 1972, Bompiani, 2004; Mostri degli anni Venti, Formichiere, 1976, Rizzoli, 1976; C'era una volta un Beat, Arcana 1976, Frassinelli, 2003; L'altra America negli anni Sessanta, Officina-Formichiere, 1971, 1993; Intervista a Bukowski, Sugar, 1982; Biografia di Hemingway, Rusconi, 1985; Cos'e' piu' la virtu', Rusconi, 1986; La mia kasbah, Rusconi, 1988, Marsilio, 1998; La balena bianca e altri miti, Il Saggiatore, 1995; Altri amici, Mondadori, 1996; Amici scrittori, Mondadori, 1996; Hemingway, Rusconi, 1996, Bompiani 2001; Dov'e' piu' la virtu', Marsilio, 1997; Viaggio americano, Bompiani, 1997; Album americano. Dalla generazione perduta agli scrittori della realta' virtuale, Frassinelli, 1997; I miei quadrifogli, Frassinelli, 2000; Dopo Hemingway. Libri, arte ed emozioni d'America, Pironti, 2000; Una favola, Pagine d'arte, 2001; Un po' di emozioni, Fandango, 2002; Mostri degli anni Venti, La Tartaruga, 2002; De Andre' il corsaro, con C. G. Romana e M. Serra, Interlinea, 2002; The beat goes on, Mondadori, 2004". Tra le piu' recenti pubblicazioni: Pagine americane. Narrativa e poesia 1943-2005, Frassinelli, 2005; I miei amici cantautori, Mondadori, 2005; (con William Willinghton), Spoon River, ciao, Dreams Creek, 2006; Ho fatto una pace separata, Dreams Creek, 2006; Lo scrittore americano e la ragazza per bene. Storia di un amore: Nelson Algren e Simone de Beauvoir, Pironti, 2007; Complice la musica. 30+1 cantautori italiani si raccontano a Fernanda Pivano, Rizzoli, 2008; Diari 1917-1973, Bompiani, 2008.
Keith Haring nasce il 4 maggio 1958 a Reading in Pennsylvania; primo ed unico maschio di quattro figli. Il padre e' il caporeparto di una societa' elettrica mentre la madre e' casalinga. In occasione della visita all’Hirshhorn Museum a Washington ammira le opere di Andy Warhol, che lasciano in lui una profonda traccia. Nel 1976 si iscrive all’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh scegliendo l’indirizzo di grafica pubblicitaria, ma dopo i primi due semestri abbandona la scuola dedicandosi solo ed esclusivamente all’arte. Nel 1978 si trasferisce a New York, citta' che gli avrebbe offerto maggiori possibilita'. Qui si iscrive alla School of Visual Arts (Sva). Cerca il contatto con il pubblico esponendo i suoi disegni in locali pubblici e per le strade. Stringe rapporti di amicizia con artisti come Kenny Scharf e Jean-Michel Basquiat. Dal 1980 attira l’attenzione con i subway drawings, ovvero decorando gli spazi pubblicitari liberi all’interno della metropolitana di New York. Decide in seguito di lasciare la Sva e comincia ad organizzare diverse mostre collettive al Club 57 e al Mudd Club. Nel 1982 Tony Shafrazi diventa il gallerista di Haring. Per la sua prima personale l’artista fa uso per la prima volta di quadri di grande formato. I contatti con il panorama della pittura murale lo avvicinano a LA II, un giovane graffitista con il quale collabora. In poco tampo la sua fama cresce e viene conosciuto nei Paesi Bassi, in Belgio, in Giappone. In Italia espone alla galleria Lucio Amelio di Napoli. L’artista tiene lezioni di disegno presso le scuole di New York, Amsterdam, Londra, Tokyo e Bordeaux. Nel 1985 espone per la prima volta le proprie sculture in acciaio e alluminio alla Galleria di Leo Castelli di New York. In questo periodo cresce il suo impegno politico e si schiera contro l’apartheid. Nel 1986 apre il primo Pop Shop a Soho con l’obiettivo del contatto con il pubblico. Dopo aver contratto l’infezione da Hiv realizza dipinti sempre piu' duri e taglienti affiancati da un impegno legato alla ricerca contro l’Aids. Durante gli ultimi anni di vita esegue pitture murali a Barcellona, Chicago e Pisa, dove dipinge una facciata della Chiesa di Sant’Antonio con il murale intitolato “Tuttomondo”. In questi anni crea una fondazione che ha il compito di promuovere progetti per l’infanzia e sostenere le organizzazioni impegnate nella lotta contro l’Aids. Haring muore di Aids il 16 febbraio 1990. Tra gli scritti e le interviste di Keith Haring: Diari, Mondadori, Milano 2001, 2007; L'ultima intervista, Abscondita, Milano 2010; tra le opere su Keith Haring: Renato Barilli, Haring, "Art dossier" Giunti, Firenze 2000; Alexandra Kolossa, Keith Haring, Taschen, Koln 2005; Christina Clausen, The universe of Keith Haring, Feltrinelli, Milano 2010 (libro + dvd); un sito di riferimento: Keith Haring Foundation, www.haring.com <http://www.haring.com>
Ah, Keith Haring. Come si fa a parlare di lui senza ricordare che e' morto a trentun anni. Quando l'ho conosciuto era amico di Bret Easton Ellis e per tutta la sera abbiamo parlato di Bret, del suo libro Meno di zero, che amavamo tantissimo, e di William Burroughs, col quale stava lavorando, e dei lavori che tutti e due avevamo fatto per lui e per Andy Warhol, che adoravamo come l'icona che era per tutti e due.
Sembra ieri che Salvatore Ala ha fatto una sua mostra qui a Milano, una folla incredibile, il viso di Keith pallidissimo, immobile nel sorriso, lo sguardo accorto senza felicita', T-shirt, jeans e scarpe da ginnastica, fiero di essere gay.
Keith Haring era venuto a Milano per fare una mostra che era stata uno dei successi ai quali ormai Keith era gia' abituato; uno di quei successi da stella hollywoodiana. Poi c'era stata una cena con molti suoi ammiratori, e a questa cena c'ero anch'io, e Keith Haring aveva voluto che io mi sedessi vicino a lui. Io, figurarsi, ero stata (come si diceva una volta di qualcuno che ci credeva ancora) come invitata a nozze, perche' pensavo che voleva parlare dei miei e suoi amici poeti americani. Ma Keth Haring era un po' piu' imprevedibile di cosi' e voleva parlarmi dei suoi occhiali.
Caro Keith, naturalmente alcune signore con le superstiti, per poco, perle finte al collo lo avevano interrotto e li', almeno una volta, si era vista la sua straordinaria umanita'. Per non farmi punire da quelle gentili signore lo avevo condotto a parlare della sua mostra.
Keith distribuiva, a manciate, clips che teneva sempre in tasca per queste occasioni e firmava dediche con i suoi pupazzi inimitabili e illustri sui cataloghi, e a me raccontava sottovoce la loro storia.
Cosi' avevo sentito, dalla sua bella voce, le favole che aveva inventato per i suoi pupazzi, tutte storie dolcissime di poesia pura, tutte dedicate a un futuro che sicuramente non avrebbe tradito ne' loro ne' lui.
Invece il futuro lo ha tradito, e a trentun anni e' stato rapito dal male piu' crudele, piu' inappellabile, piu' nemico dei giovani del nostro tempo. Quando glielo avevano annunciato non lo aveva creduto, poi era andato a piedi fino alla riva del fiume di New York, si era coperto il viso con le mani e aveva pianto, per ore, coi singhiozzi sempre piu' inesorabili e le lacrime che lo inondavano dalla testa ai piedi, senza che ne' Dio ne' il diavolo riuscissero a fermarle.
Non so se mentre tornava a casa piangeva ancora. So una cosa piu' dolce per il suo dolcissimo genio, che dopo quel momento era riuscito a lavorare, ancora piu' pazzo di prima, per preparare il mondo alla sua arte e per riempirlo in ogni spazio raggiungibile dei suoi pupazzi, i suoi baby festosi, i suoi intrecci di linee e di colori inimitabili, le pagine del suo diario che raccontavano per sempre la sua bellissima, tragica storia.
Ah, gli anni, gli anni. Sembra incredibile, ma ormai le biografie li elencano tutti, gli anni, e tutti gli amanti e tutte le mostre, anche quella che ha fatto il 22 settembre 1989, ultima data del diario, su un muro della chiesa di Sant'Antonio a Pisa o quel suo famoso arabesco di peni che ha ideato per un amico nel 1979. Gia' famoso come una rock-star era raggiunto a Tokyo e in Belgio e a New York da folle di ammiratori o di aspiranti allievi, o comunque da persone che lo amavano e lo hanno aiutato col loro amore ad aspettare la morte.
I suoi diari raccontano tutto, sono lo specchio di una vita straordinaria: la creativita', il pensiero e il linguaggio di tutti i giorni (l'unico nel quale credeva e che aveva tradotto nelle sue opere), incubi e sogni, note di storia dell'arte sempre connesse con problemi pratici, citazioni colte, sempre con la stessa passione che ogni tanto e' insidiata dalla tristezza. Dice: "Mi chiedo se il mondo dei musei mi accogliera' mai o se scompariro' con la mia generazione" e per non lasciarsi sconfiggere Keith Haring, mortalmente malato, lavorava sempre di piu'.
Haring non e' stato indifferente alla sua fine. E' riuscito a personificare il virus in una serie realizzata su carta con inchiostro sumi rosso e nero. E il suo famoso Sperma Demonio nasce da un uovo come un enorme insetto cornuto che si nasconde nelle siringhe dei drogati o nei peni e nelle vagine non protetti. A questa patetica denuncia Keith Haring ha fatto seguire un dittico, Untitled (for James Ensor), un acrilico su tela in due pannello terminato il 5 maggio 1989. Nel primo mostra uno scheletro che eiacula su un letto di fiori, nel secondo lo sperma dell'uomo morto ha fatto sbocciare i fiori che si allungano verso il sole mentre lo scheletro sorride.
Ma il sesso non e' l'unico altare di Keith Haring, forse il suo vero altare e' l'innocenza. La sincerita' dei bambini e' per lui un rifugio che lo protegge dal cinismo che lo circonda; e sempre piu' ha creduto nella purezza dei bambini. Nel diario scrive: "Non realizzavo mai temi erotici nei miei disegni della metropolitana, per via dei bambini: i bambini per me rappresentano il futuro, l'immagine della perfezione. Non c'e' nulla di negativo in un neonato, nulla".
Un'amica lo ricorda felice mentre nel novembre 1989 dipingeva a Knokke, davanti a sua madre, appena arrivata, che lo stava a guardare. Uno dei suoi ultimi viaggi e' stato a Pisa, dove ha dipinto un muro sull'esterno della chiesa di Sant'Antonio, ma la sua ultima opera e' stata un altare nella chiesa di St. John the Divine. E' un'opera di tre pannelli di bronzo coperti da un foglio di oro bianco con incise scene della vita di Cristo: un bambino tenuto tra due mani, mani rivolte verso il cielo e Cristo sulla croce. Eseguito nel suo stile classico, volutamente infantile, ha la forma di una grande icona russa.
Il giorno fatale per ammiratori e amici e' stato il 16 febbraio 1990. Forse questa data la dimenticheremo, ma chi ha parlato un po' con Keith Haring non dimentichera' mai lui: elegante da star, gentile da poeta, ambizioso da artista. Chi lo sa se negli enormi spazi profumati dell'eternita' il suo genio e' stato riconosciuto e gli e' stato accordato l'amore che ha ispirato tutta la sua vita.
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