Enzo Bianchi Ricorda l'Abbé Pierre

Tratto da La Nonviolenza e' in Cammino

Dal supplemento librario settimanale del quotidiano "La stampa",
"Tuttolibri", del 24 febbraio 2007 (disponibile anche nel sito
www.lastampa.it), riprendiamo il seguente articolo

La morte e' "un incontro con un amico, che tarda da troppo tempo, un
incontro prodigioso, abbagliante, con l'Infinito, con l'Eterno, con
l'Amore". Non e' frequente ascoltare qualcuno che, come l'Abbe' Pierre, si
esprima cosi' nei confronti della propria morte. Ma se si percorre la vita
di queste persone e' piu' facile capire da dove possa sgorgare una simile
comprensione rappacificante dell'evento ineluttabile che attende ciascuno.
Dalla lettura del volume di Pierre Lunel, L'Abbe' Pierre. Una vita (Piemme,
pp. 320) se ne esce con una duplice impressione: la prima e' che questa
figura unica nel panorama cristiano e sociale francese del XX secolo ha in
realta' lottato tutta la vita contro la morte degli altri.
Morte fisica, certo: dal primo clamoroso appello radiofonico che porto'
centinaia di migliaia di persone a reagire in modo concreto e immediato per
impedire che i senzatetto soccombessero al rigido inverno del 1954, agli
innumerevoli esseri umani strappati dalle sabbie mobili della miseria e
della fame, alle persone distolte dalla disperazione del suicidio. Ma anche
lotta contro la morte interiore, la perdita di senso, lo smarrimento di ogni
fiducia in se stessi e negli altri: una lotta che, a differenza della prima,
si e' servita di strumenti meno eclatanti, fondandosi innanzitutto su una
rara capacita' di ascolto, sulla totale disponibilita' alla condivisione,
sulla salvaguardia di spazi e di tempo per il silenzio e il raccoglimento
davanti al mistero dell'altro.
E qui emerge la seconda impressione che attraversa le pagine di Pierre
Lunel - da oltre vent'anni prima frequentatore, poi amico e infine
autorevole biografo di questo prete "ribelle di Dio": la sensazione che
l'Abbe' Pierre abbia potuto parlare della propria morte come "incontro con
un amico che tarda da troppo tempo" perche' ha saputo fare di tutta la
propria vita un incontro con l'altro visto come "amico", ha saputo andare
incontro a chi sembrava tardare da troppo tempo, ha saputo riconoscere la
presenza del Volto che aveva cercato fin da giovane nelle sembianze
sfigurate dell'essere umano privato della propria dignita'.
Tutto il resto, tutta la sua infaticabile attivita' - l'impegno nella
resistenza alla persecuzioni razziali durante l'occupazione nazista, il
seggio al parlamento francese, la Legion d'onore, l'immensa popolarita', la
franchezza nel parlare di fronte ai potenti, il coraggio nel confessare le
proprie debolezze, il saper destare "fame in chi ha del pane" e offrire
"pane a chi ha fame"... - tutto e' riconducibile a quell'insopprimibile
desiderio di incontro con l'altro, a quella sete di vedere l'altro nella
luce anche quando ci si trova immersi nelle tenebre, a quella capacita' di
cogliere cio' che gia' arde nel cuore di un uomo e di riaccendere
nell'intimo di un suo simile un fuoco ormai sul punto di estinguersi sotto
la cenere.

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