Il Metodo del Consenso
Un metodo decisionale morbido per gruppi forti

Una definizione e qualche considerazione per iniziare.

Il metodo consensuale è un procedimento che si svolge in varie fasi e in cui si usano diverse tecniche di discussione, analisi e confronto mediante cui un gruppo arriva a prendere le sue decisioni senza ricorrere alle votazioni.
Consenso indica che si è d’accordo su qualcosa ma non significa necessariamente accordo pieno su tutto, cioè unanimità. L’unanimità può anche arrivare ma non è certo un obiettivo. Il consenso punta a far convivere le differenze, non ad eliminarle; perciò in una decisione consensuale vi possono essere diversi gradi di accordo e molte sfumature riguardo agli impegni che i diversi membri si assumono rispetto ad una determinata posizione, però il tutto avviene in modo esplicito e globalmente accettato.
L’adozione di un metodo consensuale da parte di un gruppo può avvenire solo su base consensuale. Il metodo consensuale, una volta adottato, non esclude il ricorso ad altri metodi decisionali basati o meno sulla votazione, purché tale ricorso avvenga in base ad una decisione consensuale.

1) le basi del consenso tra etica, pragmatica ed estetica.
Il fine non giustifica i mezzi, i mezzi contengono il fine.
Il metodo consensuale nasce dalla convinzione che il rapporto tra mezzi e fini deve essere coerente. Per es. se si anno fini equi e solidali i modi per realizzare tali fini dovranno esprimere qui ed ora, concretamente, equità e solidarietà. In pratica ciò si esprime nel modo di gestire il POTERE e in particolare nel modo con cui si prendono le decisioni.

2) l’uso del potere
Il singolo non viene schiacciato dal gruppo, il gruppo non viene bloccato dal singolo.
Il metodo consensuale ad uno sguardo superficiale sembra dare un potere eccessivo al singolo o alla piccola minoranza rispetto al gruppo. Così sembra che chiunque, magari dopo una lunga discussione, se gli gira male, può bloccare un grande gruppo negando il suo consenso alla decisione, ma questo non è altro che esercitare il cosiddetto potere di veto che non ha niente a che vedere con il metodo consensuale. Il MC dà effettivamente un grosso potere al singolo, ad ogni singolo indistintamente, perché ne riconosce il valore, l’unicità e la dignità, ma il singolo può bloccare il gruppo solo se riesce a dimostrare la validità delle sue posizioni, cioè che la decisione che si sta per prendere e veramente dannosa per il gruppo e/o in contrasto con i suoi principi fondamentali.
Se il gruppo riconosce la validità dell’opposizione allora la decisione può essere bloccata altrimenti alla parte avversa viene rimandata la responsabilità di decidere cosa intende fare, possibilmente dichiarandolo in termini chiari ed espliciti.
Dunque perché il MC funzioni bene il singolo deve riconoscere ed accettare il potere del gruppo nel determinare quali problemi possono essere risolti, quali necessitano di più attenzione e quali bloccano la decisione: la trappola del veto sta nell’essere incapaci di riconoscere i limiti del potere individuale. Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare i problemi e il gruppo ha il potere e la responsabilità di riconoscerli e risolverli.
Attenti al compito e ai rapporti umani.
Gli incontri servono per affrontare e risolvere problemi umani. Le buone soluzioni tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi sia delle relazioni tra i soggetti. Se non c’è un buon rapporto, sufficientemente disteso e fiducioso anche semplici problemi possono complicarsi e diventare un grave peso. E’ necessario ricordare che nel lavoro di gruppo entrambi gli obiettivi, di contenuto e di relazione devono essere sempre opportunamente curati: l’una influisce sull’altro.
Distinguere le persone dai problemi e concentrarsi sui problemi.
Quando si affrontano i problemi un aspetto che si tende a dimenticare è che dall’altra parte ci sono esseri umani che hanno sentimenti, valori e convinzioni profondamente radicati, differenti storie e punti di vista, esattamente come noi. Ognuno ha un “io” che è sensibile e che facilmente può sentirsi minacciato e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi; ogni giudizio sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle risorse di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti, risorse senza le quali non è possibile trovare buone soluzioni ai problemi. Perciò è fondamentale rimanere aderenti ai fatti, ai termini concreti dei problemi attaccando le idee e le proposte anche molto fermamente, se necessario, ma rimanendo al contempo interiormente rispettosi verso le persone: duri con i problemi, morbidi con le persone. Qui aiuta moltissimo il non identificarsi con le proprie idee, ricordandosi che le mie idee non sono mie.
Distinguere i bisogni dalle soluzioni e concentrarsi sui fondamenti.
Nell’affrontare i problemi si dimentica che il cuore delle questioni non si trova nelle posizioni di partenza, a volte solo apparentemente contrapposte, ma nei bisogni, preoccupazioni e convinzioni delle parti coinvolte, cioè in quelli che alcuni chiamano i ‘fondamenti’ dei problemi. Per es. spesso si discute e si litiga sulle proposte di soluzione senza avere adeguatamente scandagliato quali sono i bisogni in gioco. Le soluzioni rappresentano la risposta a dei bisogni e lo stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi diversi, cioè ci possono essere tante soluzioni per uno stesso problema. Se ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente. Non si tratta di rinunciare ai propri principi né di nascondere le differenze al momento incompatibili ma solo orientandosi alla ricerca dei bisogni condivisi si creano le condizioni per trovare soluzioni cooperative realizzabili che aprono verso il comune cammino.
Inventare soluzioni: generare opzioni e definire obiettivi fattibili.
Una volta individuato i fondamenti dei problemi è necessario dedicare un tempo adeguato alla ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti. Qui la fantasia, l’intelligenza e l’esperienza sono le risorse primarie. Spesso si tratta letteralmente di inventare nuove soluzioni. Questo passaggio può sembrare banale ma dal punto di vista pratico la fase dell’ideazione è spesso trascurata o comunque mal gestita (per es. è frequente che il breinstoin sia pieno di giudizi sulle idee espresse). Non identificarsi, né identificare l’altro, con le idee facilita moltissimo nella ricerca di soluzioni diverse e forse migliori. Rimanere attaccati alle proprie soluzioni è un’abitudine frequente che rappresenta un ostacolo non solo al consenso ma soprattutto al raggiungimento di soluzioni di buona qualità.
Abbandonare una proposta di soluzione non significa rinunciare ai propri principi o bisogni ma semplicemente ricercare nuove soluzioni.
Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti e trasparenti.
I criteri che sottendono ogni scelta devono essere esplicitati e riferiti quanto più possibile ad elementi verificabili o ai principi comunemente accettati. I criteri non devono dipendere dalla volontà delle parti in gioco. E’ qui che in genere si esercita, più o meno consapevolmente, un uso scorretto e manipolatorio del potere per orientare le scelte verso interessi di parte (per es. con minacce velate, ripicche, attacchi personali che spostano l’attenzione dai termini concreti del problema, etc…)
Saper stare costruttivamente nel disagio: frustrazione, irritazione, preoccupazione
Il MC è in sostanza un processo di gestione nonviolenta e costruttiva dei conflitti. Il conflitto qui è visto come fenomeno assolutamente naturale, di per sé né giusto né sbagliato. Quando un gruppo crea un’atmosfera che facilita l’espressione del disaccordo e delle emozioni che ad esso si accompagnano (paura, irritazione, frustrazione etc…), costruisce le basi per decisioni più funzionali e soddisfacenti. Perciò facilitare una buona comunicazione è il fattore chiave: comunicare è “gestire la relazione ai conflitti”
Pur con un uso perfetto del metodo e un’ ottima comunicazione i problemi, che non di rado sono complessi e complicati, possono rimanere, sul momento, irrisolti. E allora? Se si procede con cura e si alimenta la fiducia il paesaggio entro cui si prenderanno le decisioni, perché comunque e sempre si decide qualcosa, sarà come minimo più chiaro e comprensibile e ciò costituisce un buon terreno per arrivare a decisioni che cercano, per quanto è possibile, di rispettare i bisogni essenziali in gioco. A volte per es. bisogna accettare il fatto di non poter decidere su una determinata questione, allora saper gestire costruttivamente il disagio personale e collettivo che ne deriva, è indispensabile nel processo consensuale: pazienza e fiducia sono le qualità fondamentali.
Un metodo morbido per persone/gruppi forti.
In definitiva questo processo tende a costruire ‘accordo nel disaccordo’ , dove cioè il particolare disaccordo è dentro una cornice di accordo generale fondato sul rispetto e la fiducia reciproci. Il consenso riguarda in sostanza la volontà di continuare a camminare insieme e sperimentare insieme. Questo consenso di fondo deve però essere basato sulla fiducia e sulla libertà, altrimenti non funziona, anzi, nemmeno si potrebbe chiamare consenso. Infatti non è consenso quello che si fonda sulla paura dell’altro o sulla dipendenza dagli altri. Il MC è un metodo che richiede quindi una certa maturità e forza interiore nei soggetti che lo usano e che, usandolo, si rafforzano: come la nonviolenza è l’arma del forte così il metodo consensuale è il metodo decisionale dei forti.

3) Passaggio chiave della procedura
Richiesta e verifica del consenso
Qualunque sia la procedura attuata arriverà il momento in cui qualcuno, in genere il facilitatore, chiederà al gruppo: la formulazione della decisione è soddisfacente? Ci sono dei problemi?
E’ importante notare che la prima domanda implica che ci sia una formulazione della decisione che tutti hanno ben chiara davanti e ciò deriva dal lavoro fatto in precedenza. In mancanza di questa chiara formulazione i rischi di confusione, con successive complicanze e conflitto sono alte.
Nella seconda domanda va notato che non si chiede ‘c’è il consenso?’ o ‘siete tutti d’accordo?’ Queste domande infatti non incoraggiano l’espressione di dubbi o di perplessità. Se ci sono persone che ne hanno ma sono intimidite dal forte supporto del gruppo alla proposta, la domanda ‘ci sono ancora dei problemi?’ si rivolge più direttamente a loro e gli offre la possibilità di esprimersi. In questa fase è molto importante rilevare la qualità delle risposte, soprattutto quelle non verbali e quelle del silenzio. Se nessun ulteriore problema viene rilevato il facilitatore dichiara il consenso raggiunto e la decisione viene messa agli atti.
Problemi, blocchi decisionali e veto.
Durante il procedimento ci si trova di fronte diversi tipi di problemi che può essere utile inquadrare allo scopo di riconoscerli e gestire adeguatamente. Riguardo ad una proposta oggetto di decisione ci possono essere per es. osservazioni che puntano a dei miglioramenti: si è sostanzialmente d’accordo con la proposta ma si ha un’idea per migliorarla; perplessità: più che un disaccordo vero e proprio si tratta di dubbi o di riserve che si possono affrontare con una discussione più approfondita, magari facilitata con una tecnica adeguata, e in genere alla fine è probabile che si trovi un accordo consensuale a meno che i miglioramenti o le perplessità non siano trasformati in disaccordo. Infine possiamo trovarci di fronte a un disaccordo più o meno forte verso la proposta ma comunque esplicito e chiaro. Qui il problema sollevato è tale per cui la parte avversa, una persona o una minoranza, è contraria alla proposta, parzialmente o totalmente. In questo caso bisogna consentire alla parte avversa di provare la validità o legittimità del disaccordo.
Problema legittimato/non legittimato.
Quando il disaccordo è tale da portare ad un blocco della decisione tale blocco, per poter avvenire all’interno di una cornice consensuale, deve essere in qualche misura riconosciuto dal gruppo nel suo insieme. Tale riconoscimento è definito da alcuni autori come legittimazione. La legittimazione avviene quando la parte avversa convince che la decisione che si sta per prendere è veramente dannosa per il gruppo o in contrasto con i suoi principi fondamentali.
In assenza di ciò abbiamo un problema non legittimo dove la parte avversa non può mai bloccare una decisione del gruppo (potere di veto) a meno che il gruppo non abbia altre ragioni per farsi bloccare.
Di fronte a posizioni di disaccordo si aprono quindi due possibilità:
A) il gruppo alla fine riconosce la validità del problema sollevato per cui, qui e ora, i si trova di fronte ad un potere legittimato che blocca la decisione.
B) Il gruppo alla fine non è convinto, né a sua volta riesce a convincere la parte avversa, per cui il problema sollevato non è legittimato e il gruppo può procedere nella decisione che intendeva prendere inizialmente e che, dopo la discussione, potrebbe anche risultare in parte modificata, lasciando alla parte avversa la decisione di cosa fare (ad es. lo stare da parte).
Stare da parte
Accettare che una decisione presa dal gruppo nonostante vi sia un convinto disaccordo.
Ciò implica, oltre all’esplicitazione delle ragioni del disaccordo, anche l’esplicitazione della posizione che la parte avversa prenderà rispetto alla decisione e al suo impegno nel sostenerla. Quindi la parte avversa potrebbe legittimamente dichiarare di non supportare, parzialmente o totalmente, la particolare decisione che il gruppo sta per prendere e comunque senza mai arrivare a boicottare la decisione del gruppo, di cui, consensualmente, continua a far parte.

Come si esce da una situazione di blocco di blocco decisionale
Con molta, molta fantasia, pazienza e fiducia.
Gli esperti ci ricordano, provocatoriamente ma saggiamente, che di fronte a un problema che al momento appare senza soluzione ‘esistono almeno altre sette possibilità’ che non sono state esplorate dal gruppo.
Ci vogliono dunque fantasia, creatività, intelligenza, ma non solo, anche la capacità di stare nel disagio, nella stanchezza, nella frustrazione.
La fantasia ha bisogno della fiducia e della pazienza, perché in un clima di forte risentimento, di reciproche accuse e di paure, il tempo e le energie sono investiti per distruggere e non per creare: la paura è il vero grande blocco.

Per finire uno strumento per sperimentare il metodo consensuale
Spesso i gruppi arrivano a prendere le loro decisioni senza rendersi conto delle regole che, sempre e comunque, sono implicitamente presenti nel processo stesso del decidere: è impossibile non prendere decisioni e ogni decisione implica un metodo decisionale.
Esplicitare alcune di queste regole, richiamandosi per es. a principi condivisi, attiva un importante processo di crescita all’interno del gruppo, aumenta il potere e la responsabilità e può aiutare a rendere le riunioni più soddisfacenti ed efficaci; lo strumento qui proposto serve a questo.
Anche in gruppi di lavoro estemporanei questo strumento può aiutare a creare un clima di maggiore fiducia e chiarezza.
In pratica il punto A andrebbe letto e ‘rapidamente’ approvato all’inizio della riunione (se ci sono troppi intoppi è meglio lasciar perdere il mc: mancano le basi!)
I punti B e C, che hanno più valore di orientamento che di vere e proprie regole, possono essere semplicemente letti e non abbisognano di un’approvazione formale, tuttavia è molto utile verificare la tendenza dei partecipanti riguardo tali orientamenti, perché nella misura in cui sono condivisi possono essere richiamati e usati durante la riunione

Tavola dei diritti

A) Dichiarazione dei diritti di ogni partecipante

1) Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così per gli altri.
2) Io ho il diritto di avere e di esprimere opinioni e sentimenti. Così per gli altri.
3) Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente. Così per gli altri.
4) Io ho il diritto di dire ‘no’ senza sentirmi in colpa. Così per gli altri.
5) Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno. Così per gli altri.
6) Io ho il diritto di cambiare opinione. Così per gli altri.


B) Orientamenti per una comunicazione costruttiva

1) Usare messaggi ‘io’ di contenuto costruttivo.
Ascoltare attivamente e verificare se abbiamo capito veramente quello che gli altri volevano dire e viceversa.
2) Fare attenzione non solo ai contenuti ma anche ai sentimenti espressi.
3) Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni: evitare di attribuire intenzioni agli altri e giudicarli, attenersi ai fatti e ai comportamenti.
4) Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.

C) Orientamenti per cooperare nel conflitto

1) Passare dalla visione ‘me contro te’ al ‘NOI’
2) Passare dalla ‘presa di posizione’ agli interessi e ai bisogni in gioco.
3) Concentrarsi invece che sul passato, sul presente e sul futuro.
4) Passare dall’Impossibile al Possibile
5) Passare dalla Colpevolizzazione all’assunzione di Responsabilità.

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