Che cos'è la nonviolenza

"Due indiani entrano in un tempio da due parti opposte e vengono a trovarsi ai due lati della statua della divinità che sono andati a pregare. Il primo di essi si rivolge alla statua chiamandola dea, il secondo invece la chiama dio. Fra i due si sviluppa una lite e solo dopo che sono rotolati da una parte all'altra della statua si accorgono che essa è per metà una figura maschile e per metà una figura femminile." La nonviolenza inizia come un sentimento non dogmatico1 basato non sul possedere la verità assoluta, ma sull'ascoltare il vero che c1è nell'altro, sul cercare di parlare con l'altro e di comprenderlo. Deve quindi essere:
*non dogmatismo;
*ascolto
*non uccisione dell'altro <dargli la possibilità di cambiare);
*ri spetto.
Il rispetto, nella concezione della nonviolenza, si sviluppa su tre livelli:
a) Rispetto della natura1 degli animali, dell'ambiente.
b) Rispetto dell'essere umano9 dei diritti umani, nonviolenza nei riguardi del sé <spesso la nonviolenza è vista solo come atteggiamento passivo, come subire, mentre non è così, essendo fondata sul concetto di assertività, che è un atteggiamento attivo).
c) Rispetto dei popoli, ricerca di pace, di forme nonviolente di risoluzione dei conflitti.
C'è una distinzione da fare tra la nonviolenza positiva e la nonviolenza negativa. La non-violenza è soltanto rifiuto delle armi, ma spesso porta con sé l'accettazione dello status quo. La nonviolenza (in cui la parola "non" è scritta attaccata a "violenza" in quanto è un
concetto positivo) dienza civile non fatto uso. Quindi violenza evidente, violenza che sta (sperimentazione di <rifiuto di quello ad una forma di
è superamento della non-violenza, in cui la disobbedienza è rifiutata, ma anzi è uno strumento di cui viene la nonviolenza cerca non solo di combattere la ma anche quella strutturale di un sistema, quella al di sopra, che domina. E' un'unione del "si"
forme alternative a quelle attuali) con il "no" che c'è). Per Capitini la nonviolenza è la terza via socialismo, come una sorta di rivoluzione che si
sviluppa dal basso, contrapposta al riformismo (che porta a forme di socialdemocrazia, con il capitalismo in campo produttivo ed attenzione al sociale: il capitalismo pero, dopo un po', modella tutto il resto) e alla rivoluzione armata (che ha in sé, tra le altre cose, lo sviluppo dell'esercito). La nonviolenza è vista come un mezzo per arrivare al potere e diminuirlo di volta in volta, in una sorta di programmazione che parte dalla periferia anziché dal centro.
Per arrivare ad una nonviolenza di principio ci sono alcuni punti importanti, quali il mettersi nei panni degli altri, vedere la nonviolenza come proposta e non solo come rifiuto, usare con gradualità i vari livelli di metodi <persuasivi; non collaborazione; intervento, come la disobbedienza civile, l'obiezione di coscienza, ecc.).

Sciogliere i dubbi

Con questa attività si cerca di sciogliere collettivamente un dubbio. Inizialmente ognuno scrive su un foglietto il proprio dubbio riguardo alla nonviolenza, firmandolo col proprio nome <3 mm.); poi si divide il gruppo in due sottogruppi (es: dando ad ognuno un numero pari o dispari) ed i componenti del sottogruppo estratto a sorte metteranno il proprio dubbio in un cappello; i componenti dell'altro gruppo estrarranno un dubbio dal cappello e formeranno così una coppia, la quale avrà 5 minuti per sciogliere i due dubbi. E' importante che il dubbio venga sciolto in maniera convincente per chi lo ha formulato. Il dubbio che resta verrà poi unito al dubbio di un'altra coppia, e così via formando gruppi sempre più grandi. Alla fine reste-ranno alcuni dubbi residui che dovranno essere sciolti dal gruppo intero.

Dubbi sciolti nelle coppie

* Perché il rifiuto della violenza non può significare anche superamento di questa?

*Riuscire ad eliminare totalmente le mie reazioni più o meno violente senza essere passiva.

*E' possibile restare nonviolenti in un momento di grande tensione generale senza una cosciente preparazione?

*Come possiamo sapere di essere nonviolenti.

*Con quale metodo è possibile trattare e confrontarsi con persone che si ritengono nonviolenti?

Rifiuto = arrivare a condannare e non accettare la violenza.
Superamento = fase attiva che prevede il rifiuto, ma vi aggiunge una fase propositiva. Quindi raggiungimento talvolta degli stessi obiettivi con metodi nonviolenti.

Quando scelgo una forma di lotta nonviolenta, faccio una scelta attiva. La mia scelta attiva rimane an-che quando di fronte a qualcuno che mi aggredisce decido di non rispondere con i suoi mezzi ma secondo i miei che sono quelli nonviolenti, e con ciò senza essere passiva.

Il tuo dubbio è molto simile al mio, provo a risponderti sottolineando una cosa che hai detto tu. Credo che solo con una cosciente preparazione, e dopo essersi allenati, dopo aver sperimentato realmente che cosa significhi non violenza o meglio dopo aver compreso che con un 'altra violenza non si riscatta assolutamente niente e dopo aver appreso tecniche alternative che si può essere coerenti.

Io credo alla nonviolenza ma di fronte a un atto violento, come mi comporto? Bisogna controllarsi, anche se si prova un grande dolore, per l'impossibilità di cambiare il gesto passato. Però credo nella possibilità di cambiare l'atteggiamento degli altri attraverso il convincimento ed il proprio comportamento.

*Fino a che punto possono essere efficaci i metodi di lotta nonviolenta?

Mediante una preparazione alle spalle, ascoltando le definizioni reciproche per un confronto.

L'efficacia dei metodi di lotta nonviolenta dipende dalla conoscenza di queste strategie, dallo studio "scientifico" delle tecniche. Attualmente forse mancano questi prerequisiti.

*Il mio maggiore dubbio sulla nonviolenza è il riuscire ad essere coerenti con questo principio in tutte le situazioni. Se uccidessero ad esempio mio figlio non so come reagirei.

*Ho paura di usare un linguaggio non compreso parlare la mia lin-gua in un paese straniero allora mi chiedo se non sia debole una lotta con mezzi non compresi/ammessi dal sistema contro il quale si lotta. Quali sono i punti forti di questa lotta?

*Fino a che punto una persona è disposta ad accettare sacrifici a volte molto duri e fino a che punto è disponibile e capace di riuscire a comprendere le motiva-zioni dell'avversario e trattarlo come una persona che va aiutata a capire.

*Credo che l1uomo non abbia la capacità di un confronto continuo, capillare, che non possa avere sempre la disponibilità nei confronti degli altri. Credo che sia difficile arrivare ad un movimento che si basa sulla disponibilità dei suoi componenti a questa ricerca continua.

*Mantenimento della propria identità pur nel necessario sacrificio di sé.

Penso che l'impossibilità di reagire in maniera nonviolenta ad un grave atto di prevaricazione o violenza nei tuoi confronti o di chi ti è molto vicino sia dovuto ad un istinto di vendetta, di voler agire e fare una giustizia immediata e con effetti evidenti che potrebbero darti la sensazione di aver eliminato il problema. La nonviolenza può sembrare non dia effetti, perché i cambiamenti sono spesso non immediati e così espliciti, ma agiscono a livel-lo più subcosciente e a lunga sca-denza, ma sono quelli che si radicano e stravolgono il mondo.

Il tuo dubbio è molto simile al mio, o comunque non molto dissimile. Il problema sta nel persuadere l'altro, nel comunicargli, nell'arrivare a lui, a trovare un punto di contatto tra la tua "lingua1', uguale e diversa da quell'altra, e la sua. Forse l'unica via per arrivare a ciò è il tentare e ritentare con tenacia insistenza e umiltà, sino ad arrivare, magari, a trovare quel punto di contatto che può essere determinante per la persuasione. Ma come? (Dubbio)

Credo che sia proprio al momento di agire da vero nonviolento che si vede quali sono le persone veramente convinte (e quindi che accettano ogni sacrificio) da quelle che si definiscono nonviolenti solo perch4 è una bella parola vaga.

E' necessario credere in quello che si fa e tramite l'immedesimazione con l'altro trovare la voglia di ascoltarlo. La disponibilità ver-so gli altri non deve annullare quella personale.

La reale disponibilità al sacrificio personale anche per i dubbi sulla autenticità della informazione trasmessa.

*La capacità o meglio disponibilità all'ascolto dell'altro in ciò che veramente è e vuole essere, dato l'attuale sistema di rapporti sociali basati sulla proprietà privata e quindi la difficoltà della nonviolenza come terza via al socialismo autogestito ciò che richiederebbe una reale presa di coscienza politica che rivoluzioni il concetto di potere

*Impossibilità di persuasione globale, cioè di tutti gli uomini, per arrivare, per esempio, alla III via al socialismo autogestito o ad altro. Pessimismo quindi di attuazione tra Nonviolenza Pragmatica e di Principio.

Autoeducazione nella assunzione della responsabilità.

Forse non dovremmo parlare di "persuasione" ma, andando per gradi, semplicemente di "presentazione" di far conoscere delle idee diverse, sia di forme politiche (III via) che di forme di vita e di lotta. Secondo me questa semplice "offer-ta", proposta di una via diversa può dare dei frutti anche senza preten-dere immediatamente una risposta o addirittura un cambiamento di tutti gli uomini. Forse accontentandoci di questo principio e stando ad os8er-vare i frutti, qualche cambiamento anche piccolo (ma siamo solo all'inizio!) si potrà vedere sul piano pragmatico.

Dubbi risolti in gruppi di 4

*La disobbedienza civile è l9arma fondamentale della nonviolenza; quindi se ho capito bene, il nonviolento è colui che combatte fuori dalle istituzioni. Il mio dubbio è questo: non è più effi-cace una lotta che pur essendo non violenta combatte da dentro?

*Ho l'impressione, anche se con-divido in pieno i metodi della nonviolenza, che essi siano trop-po fragili (purtroppo) in un mon-do dove impera tuttora e a tutti i livelli, la legge del più forte.

*La possibilità politica della nonviolenza.

*Fino a che punto la vita di una persona può essere strumento di una lotta non violenta?

Io credo che la lotta nonviolenta agisca da dentro le istituzioni estendendosi in modo capillare e sovvertendone i meccanismi dal dentro e in modo più efficace.

A questo punto diventa una questione di qualità cioè di forza interiore e di quantità cioè di estensione capillare verso più persone e gruppi possibili.

Mentre formi te stessa formi la struttura: e non viceversa. Magari la violenza-reazione non si potrà mai eliminare del tutto ma se si riesce ad assumere un'azione per livelli d'azione (dal convincimento verbale all'azione nonviolenza) la si lascerà per ultima sponda e forse la si abbandonerà per sempre. Questa coscienza di base è data da una rete interpersonale che matura te e gli altri: azioni sociali manifeste che coinvolgono, e anche piccoli confronti di tutti i giorni.

Quando entra in gioco la vita di una persona, è soltanto questa che può porre dei limiti.
e
Gli animatori hanno raggruppato i dubbi risolti, cercando di evidenziare quali sono state le motivazioni di fondo che li hanno fatti emergere. Sono stati identificati due gruppi principali:

1) RAPPORTO NONVIOLENZA-ISTITUZIONE

a) E' possibile la nonviolenza anche come risposta ad atti violenti?

b) E' possibile attuare i metodi nonviolenti anche in sistemi in cui questi non sono riconosciuti?

2) PEDAGOGIA E NONVIOLENZA

a) Rifiuto della violenza = superamento?

b) Nonviolenza = passività?

c) E' possibile la nonviolenza senza nessuna preparazione?

d) Difficoltà ad arrivare ad un coinvolgimento totale.

Quindi, da una parte come comportarsi, sia come soggetti che come gruppi, di fronte a modi istituzionalizzati di agire violento.

Dall'altra, come portare avanti, a livello di preparazione individuale e di gruppi, l'azione nonviolenta. Dopo l'illustrazione di questo raggruppamento, sono stati illustrati i dubbi residui, sui quali è stato aperto un dibattito.

Dubbi residui

*Che cosa significa: " prendere su di sé dei sacrifici e ridurre così la sofferenza dell'avversario".

*L'eliminare la violenza dal proprio comportamento non significa reprimere l'aggressività, non rischia di chiudere quegli sfoghi necessa-ri al nostro equilibrio?

*Come è possibile la compartecipazione di gruppi violenti e nonviolenti in una stessa lotta?

*Come si reagisce a una aggressione fisica diretta?

Dopo la discussione sui dubbi residui sono state fatte alcune precisazioni da parte di Alberto.

1) Il problema dell' "istinto". Recenti studi hanno dimostrato che non è pericolosa tanto l'aggressività dell'uomo, quanto la sua passività rispetto al potere. Un sondaggio, ad esempio, ha rivelato che, di fronte a un ordine, molte persone sarebbero pronte a uccidere. Quindi il problema principale diventa: perché si è passivi? Forse la risposta principale è nella paura, che può essere affrontata solo con molta preparazione.
2) Il problema del "nemico". Spesso il riconoscimento di un nemico serve a integrare il gruppo. Nel nonviolento non si crea il nemico: si ha una distinzione tra ruolo e persona; si combatte contro il ruolo, ma si cerca di far emergere nella persona il meglio di sé; non si deve distruggere l'avversario, ma gli si deve sempre lasciare la possibilità di non uscire "male" dal conflitto. Quindi il comporta-mento del nonviolento è quello di agire senza aggredire l'avversario e allo stesso tempo non subire (assertività, o aggressività positiva).
3) Problema della "prevenzione". Nella nonviolenza bisogna combattere i problemi prima che si ingigantiscano. Spesso, in una situazione di squilibrio, c'è un andamento "a esse" della maturazione del conflit-to: c'è una fase in cui un gruppo subisce, fino ad arrivare al culmine (scoppio), che comporta spesso la repressione e il ritorno ad uno stadio di subordinazione.

La nonviolenza, invece, ha un andamento diverso: non si arriva mai allo scoppio, pur aumentando costantemente il livello di partecipazione e di coinvolgimento degli appartenenti al gruppo.

4) Il problema del "sacrificio". L'azione nonviolenta comporta l'assun-zione individuale del sacrificio. Normalmente, il sacrificio maggiore si ha per i primi individui che intraprendono la lotta <ad esempio, è significativa la storia della lotta per l'obiezione di coscienza).
5) Problema del rapporto tra nonviolenza e istituzioni. La nonviolenza non lavora nè all'interno né all'esterno di un sistema, ma ai suoi margini, che sono i punti più deboli del sistema stesso. Con questo tipo di lotta si cerca infatti di inserire nel sistema elementi che prima non c'erano, e trovare sempre nuovi elementi su cui agire. Si tratta quindi di collegare l'esterno di un sistema col suo interno, i movimenti con le istituzioni.
6) Il problema dei "tempi". E' vero che la nonviolenza richiede molto tempo. Ci sono però delle lotte nonviolente che sono durate poco, e questo può essere stato negativo, perché la nonviolenza non ha avuto la possibilità di radicarsi <come nei paesi dell'Est o nelle Filippine).
7) La nonviolenza non è masochismo, ma neanche reazione. Si deve riuscire a canalizzare la propria rabbia in un mutamento reale. Le lotte violente, difficilmente allargano la cerchia dei favorevoli a quella linea.

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