La Forza e il Rispetto di Davide Melodia Da "La nonviolenza e' in cammino" n. 191 La forza, di per se', e' un elemento neutro, e non avendo ovviamente una personalita', ne' una volonta' propria, dipende da chi la usa e da come la usa. Ed usare la forza per una attivita' normale, lecita, come il lavoro, o lo sport, non crea problemi. I guai sorgono quando la forza, che e' come un oggetto, viene usata per fare violenza a qualcuno, a un gruppo sociale, ad un popolo. Allora la forza diviene in un certo senso la longa manus dell'intento violento, quasi una complice involontaria. La violenza ha la capacita' di fare del male, di aggredire, anche senza l'uso della forza, e questo e' un motivo ulteriore per non confondere forza e violenza. Ogni valutazione va fatta, insomma, tenendo ben presente il grado di responsabilita' di tutto e di tutti. Il nonviolento non rinuncia alla lotta violenta perche' teme di battersi, ma perche' vuole liberare la lotta dalla violenza, cosi' da fare della lotta uno strumento di crescita e di ricerca della verita', della giustizia e della liberta' senza portare dolore e distruzione, come accade a tutto cio' che passa per la violenza. Il nonviolento non rinuncia alla lotta quindi, ma si adopera a separare i due elementi-momenti di forza e violenza, tenendoli ciascuno al proprio posto, accuratamente. Usando la forza in modo serio, consapevole, responsabile, costruttivo, il nonviolento lascia agli esseri umani il piacere di usufruire della forza, laddove e quando essa serva quale strumento positivo, riconoscendo in essa un dono della natura, degno di essere, non di scomparire. Ma anche qui, come in tutti gli aspetti della nonviolenza, la forza, essendo uno strumento, per quanto prezioso, deve venire usato senza esaltazione. Ogni strumento deve servire per raggiungere un fine. E' quindi il fine che va tenuto costantemente in vista, nella considerazione che merita. E il fine che il nonviolento si prefigge, a sua volta, non va raggiunto con qualsiasi mezzo, bensi' con i mezzi che gli sono omogenei. I mezzi a disposizione del nonviolento, nella occasione di una lotta per ottenere giustizia, o altro obiettivo degno di una lotta, sono molteplici. Devono pero' avere radici nel profondo della coscienza di chi si accinge alla lotta. Ad esempio, il rispetto. Questo elemento, che ovviamente fa parte del bagaglio culturale del nonviolento (usiamo il termine ben sapendo che nessuno lo e' perfettamente, ma aspira e tende ad esserlo), non e' fondato semplicemente sul vecchio adagio "rispetta per essere rispettato", ma parte dalla profonda convinzione che l'Altro e' un essere umano come te, che l'Altro ha dei valori come li hai tu, che l'Altro e' figlio dello stesso Creatore, che l'Altro ha gli stessi diritti che hai tu. E se il rispettare non e' una formalita', bensi' una esigenza della tua anima, quella di "trarre dall'Altro il meglio di se'", e per il nonviolento quacchero "trarre dall'Altro l'eterno che e' in lui", non puo' non trovare una risposta positiva nell'Altro. E' difficile resistere ad una mano tesa. E infine : l'Altro non e' il nemico. E' diverso, certo. E' educato alla violenza, forse. Ma e' un essere umano. Sta a te fargli scoprire la sua umanita', se qualcuno gliel'ha fatta perdere di vista. Il "nemico", per il nonviolento, non esiste. Gandhi, ad un Lord inglese che gli disse: "Cristo ci ha insegnato: ama i tuoi nemici", rispose: "io non ho nemici". |