La Nonviolenza, una Scelta Difficile
di Davide Melodia


Tratto da "La nonviolenza e' in cammino" n. 460-462


Per me la nonviolenza e', prima di tutto, la proiezione sociale dell'amore
per il prossimo.
Il giorno in cui si sceglie la nonviolenza quale elemento portante della
nostra vita, bisogna prima di tutto rendersi conto dell'abisso che
intercorre tra il nostro modo di essere sin qui e cio' che dobbiamo essere
da quel momento. Detto questo non bisogna scoraggiarsi. Gandhi, da ragazzo,
aveva paura della propria ombra.
Non basta assolutamente averla accettata mentalmente. Occorre una fusione
perfetta e coerente fra mente e volonta'. L'attivista che per attuarla si
attiene esclusivamente alle tecniche della nonviolenza ed ai suoi risvolti
sociali e politici, senza fare un personale percorso interiore di analisi
prima, e di elaborazione poi, alla luce dei suoi valori, e degli esempi
storici, rischia di restare alla superficie di quel mondo nuovo ed "altro"
che la nonviolenza comporta.
La nonviolenza va vista come una presenza vivente che ti chiama, ti
interroga, ti sfida, ti penetra nel profondo, e mette davanti agli occhi
della tua coscienza cio' che veramente sei, cio' che veramente vuoi, e non
ti nasconde alcuna delle difficolta' che andrai ad incontrare. E ti dice, a
chiare note, che se vuoi raggiungere la meta, puoi farlo, anzi devi farlo,
perche' hai a disposizione la forza e le ali della verita'.
E' una signora esigente, una "magistra" invisibile che parla da una cattedra
invisibile ma terribilmente attuale, ad una folla di gente smarrita che ha
alle spalle il cratere vulcanico della violenza, e di fronte la montagna
della pace, da scalare.
Tu sei tra quella folla. E senti che parla per te.
E a poco a poco la signora espone i valori, i principi, i modi, i tempi e
gli strumenti che ti accompagneranno nella irenica avventura.
Arriva sempre, nella vita, il momento di fare una scelta fondamentale. A
volte c'e' il tempo di riflettere con calma e profondamente di fronte al
bivio che separa la via della violenza e la via della nonviolenza. A volte
il tempo non c'e', ma la scelta va fatta ugualmente. C'e' anche una terza
via, quella dell'indifferenza, che percorrono coloro che amano solo se
stessi, e non desiderano correre i rischi che le altre due scelte
comportano.
*
Vediamo, per amore di chiarezza, cosa le due scelte fondamentali comportano.
1) La scelta comune della violenza
Gli ostacoli vanno superati, ad ogni costo. Di fronte all'ambiente che, a
motivo delle sue leggi economiche, di mercato, scientifiche, tecniche, il
produttore, il magnate, il gruppo finanziario, il governo che non ha
sensibilita' ecologica ne' rispetto della vita del prossimo, opera
indiscriminatamente. L'importante e' produrre, vendere, dominare,
egemonizzare la produzione, il mercato locale e internazionale, senza tener
conto dei guasti irreparabili al terreno, all'aria, all'acqua, alla salute
della gente: "Apres moi le deluge".
Nei conflitti interni e internazionali, di fronte alle proteste, alle
rivolte, alle rivendicazioni territoriali, alla richiesta di giustizia verso
i piu' deboli, verso gli immigrati, il forte usa il pugno di ferro, la
repressione, il carcere, il confino, la morte civile, la guerra. Il tutto
usando mezzi sempre piu' potenti, di distruzione degli umani, delle
strutture, del territorio, coinvolgendo senza pieta' popolazioni civili
inermi.
Il dopoguerra e' una vasta opera decennale di ricostruzione, svolta a fatica
dai figli dei caduti, delle vedove, dei morti nelle camere di tortura, nei
campi di concentramento. Pronti, questi, a riprendere le armi contro il
"nemico" di domani.
E' una via che non vale la pena di intraprendere.
Il cammino della civilta' non puo' permettersi di ricominciare sempre da
zero, con la barbarie psicologica del troglodita e la gelida superbia
tecnica del generale moderno.
E' l'ora di contemplare un percorso diverso.
2) La scelta della nonviolenza
Mettiamo da parte al momento una serie di concetti e di principi
tradizionali, quali gloria, onore, vittoria, potenza, per riprenderli in un
altro momento, e solo dopo avere fatto una breve disamina degli obiettivi
che vogliamo raggiungere. Lo stesso dicasi per scienza, tecnologia,
armamenti sofisticati.
Ripartiamo dalla coscienza, e da alcuni valori che e' giusto coltivare e, se
e' possibile, realizzare. Diciamo: vita, armonia, collaborazione, giustia,
rispetto.
Cosa ci impedisce, di fronte alla decisione di una autorita' X, di dire no,
laddove seguire tale decisione comporti gravi danni all'ambiente e alle
persone?
Perche' non osiamo dire no alla volonta' del nostro governo di muovere
guerra contro un altro stato?
Se non si tiene conto delle terribili conseguenze della guerra, anche per
noi, se si cede alle magniloquenti parole della propaganda bellica, se non
si cerca la verita' che e' sottesa alla voglia di guerreggiare, se temiamo
di esporci pericolosamente rifiutando il coinvolgimento nel progetto
bellico, allora c'e' da dubitare della nostra ragione, della civilta'
raggiunta, del proclamato rispetto della vita.
Se invece abbiamo il coraggio di ponderare su tutti i pro e i contro della
pace e della guerra, e sul nostro dovere di persone civili di preservare la
vita di ogni essere vivente, con ogni mezzo possibile, e decidiamo
consapevolmente di rischiare personalmente pur di impedire danni a questo
punto epocali, allora abbiamo finalmente imboccato la via della nonviolenza.
Ma forse siamo ancora al primo miglio di essa. Il resto del cammino lo
valuteremo nella prossima sessione.
3) Quanto alla non-scelta dell'indifferente, che si ritira in se stesso, e
lascia che il mondo viva o muoia lontano da lui, o lei, vi risparmiamo ogni
commento.
*
Per passare dall'utopia alla realizzazione - totale o parziale - della pace,
che fare?
Per lottare efficacemente e consapevolmente contro la violenza, o contro un
avversario violento e possente, bisogna tener conto delle sue ragioni,
dell'educazione, dei principi, valori, non valori, mezzi, metodi ed altro
per cui agisce in un dato modo.
E poiche' alcune caratteristiche dell'avversario violento sono anche dentro
di noi, dobbiamo, se ne abbiamo il tempo e la volonta', porci
psicologicamente come sul divano dello psicoanalista e analizzare in primis
le radici della violenza: la societa' violenta in cui si vive causa
violenza; la cultura, la letteratura maggioritaria causa violenza; la
televisione, la radio, tutti i mass media maggioritari, gli spettacoli
causano violenza; l'educazione tradizionale causa violenza; la violenza
causa violenza; la violenza subita causa violenza; l'ingiustizia causa
violenza; la fame causa violenza; la menzogna causa violenza; la paura causa
violenza; la vendetta causa violenza; la vendetta della vendetta causa
violenza; la schiavitu' causa violenza; l'odio causa violenza; l'odio
razziale causa violenza; l'odio religioso, il fanatismo causa violenza;
l'invidia causa violenza; la brama di potere causa violenza; l'imperialismo
causa violenza; l'egemonismo causa violenza; il militarismo causa violenza;
la non conoscenza dello straniero causa violenza.
E in coscienza non possiamo affermare che, in una o piu' delle suddette
condizioni noi, personalmente, non abbiamo adottato una forma o l'altra di
violenza.
*
Ma l'idea e il messaggio umanitario e sociale della nonviolenza, e l'esempio
di Gesu', di Gandhi, di Martin Luther King, ci ha ad un certo momento
affascinati, e l'abbiamo - intellettualmente almeno - abbracciata.
Ed a questo punto, se non teniamo conto delle difficolta' da un lato, e
delle grandi potenzialita' della nonviolenza dall'altro, per mettere in
pratica queste, siamo e restiamo soltanto dei dicitori, non dei facitori.
Per brevita', tracciamo un breve elenco delle risposte della nonviolenza:
non accettare il concetto di nemico; cercare i valori dell'altro; cercare
l'umanita' nell'altro; non accettare che diversita' significhi avversita';
cercare i punti di convergenza e non di divergenza fra i valori propri e
quelli dell'altro; sollecitare le aspirazioni alla pace in se' e nell'altro;
intervenire come mediatori fra gli uni e gli altri in conflitto; offrirsi
quali ambasciatori di pace fra i contendenti; cercare di fugare le paure
dell'altro, dopo avere fatto un percorso di autoliberazione dalle cause
della paura.
*
Siccome, in generale, chi non conosce direttamente la nonviolenza tende a
sottovalutare lo spirito di pace di chi la sceglie, e pensa che lui o lei
abbia rinunciato per paura o debolezza ad usare la forza, e il coraggio,
che, sempre in generale, si crede necessario opporre al "nemico", vediamo di
fare chiarezza tra forza, violenza e nemico.
La forza, di per se', e' un elemento neutro, e non avendo ovviamente una
personalita', ne' una volonta' propria, dipende da chi la usa e da come la
usa. E, a questo punto, usare la forza per una attivita' normale, lecita,
come il lavoro, o lo sport, non crea problemi.
I guai sorgono quando la forza, che e' come un oggetto, viene usata per fare
violenza a qualcuno, a un gruppo sociale, ad un popolo. Allora la forza
diviene in un certo senso la longa manus dell'intento violento, quasi una
complice involontaria.
La violenza ha la capacita' di fare del male, di aggredire anche senza l'uso
della forza, e questo e' un motivo ulteriore per non confondere forza e
violenza.
Ogni valutazione va fatta, insomma, tenendo ben presente il grado di
responsabilita' di tutto e di tutti.
*
Il nonviolento non rinuncia alla lotta violenta perche' teme di battersi, ma
perche' vuole liberare la lotta dalla violenza, cosi' da fare della lotta
uno strumento di crescita e di ricerca della verita', della giustizia e
della liberta' senza portare dolore e distruzione, come accade a tutto cio'
che passa per la violenza.
Il nonviolento non rinuncia alla lotta quindi, ma si adopera a separare i
due elementi-momenti di forza e violenza, tenendoli ciascuno al proprio
posto, accuratamente.
Usando la forza in modo serio, consapevole, responsabile, costruttivo, il
nonviolento lascia agli esseri umani il piacere di usufruire della forza,
laddove e quando essa serva quale strumento positivo, riconoscendo in essa
un dono della natura, degno di essere, non di scomparire.
Ma anche qui, come in tutti gli aspetti della nonviolenza, la forza, essendo
uno strumento, per quanto prezioso, deve venire usato senza esaltazione.
Ogni strumento deve servire per raggiungere un fine. E' quindi il fine che
va tenuto costantemente in vista, nella considerzione che merita.
E il fine che il nonviolento si prefigge, a sua volta, non va raggiunto con
qualsiasi mezzo, bensi' con i mezzi che gli sono omogenei.
I mezzi a disposizione del nonviolento, nella occasione di una lotta per
ottenere giustizia, o altro obiettivo degno di una lotta, sono molteplici.
Devono pero' avere radici nel profondo della coscienza di chi si accinge
alla lotta.
Ad esempio, il rispetto.
Questo elemento, che ovviamente fa parte del bagaglio culturale del
nonviolento (usiamo il termine ben sapendo che nessuno lo e' perfettamente,
ma aspira e tende ad esserlo), non e' fondato semplicemente sul vecchio
adagio "rispetta per essere rispettato", ma parte dalla profonda convinzione
che l'altro e' un essere umano come te, che l'altro ha dei valori come li
hai tu, che l'altro e' figlio dello stesso creatore, che l'altro ha gli
stessi diritti che hai tu.
Se il principio di rispettare non e' una formalita', bensi' e' una esigenza
dell'anima, finalizzata a "trarre dall'altro il meglio di ss'", corrisponde
esattamente ad un principio quacchero, quello di "trarre dall'altro l'Eterno
che e' in lui".
Come il dantesco "amor che a nullo amato amar perdona", cosi' questo
atteggiamento non puo' non trovare una risposta positiva nell'altro. E'
difficile resistere ad una mano tesa.
E infine : l'altro non e' il nemico. E' diverso, certo. E' educato alla
violenza, forse. Ma e' un essere umano.
Sta a te fargli scoprire la sua umanita', se qualcuno gliel'ha tolta.
Il "nemico", per il nonviolento, non deve esistere.
Gandhi, ad un Lord inglese che gli disse: "Cristo ci ha insegnato: 'ama i
tuoi nemici'", rispose: "io non ho nemici".
Ed io, ho dei "nemici"?

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