Lorenzo Acquaviva Intervista Judith Malina E Hanon Reznicov Dal sito www.fucine.com riprendiamo la seguente intervista. Lorenzo Acquaviva, nato a Trieste nel 1968, si e' formato con attori e registi italiani e stranieri e studia recitazione presso l'Advanced Residential Theatre and Television Skillcentre in Inghilterra. Nel 1997 entra a far parte del Liubljana & Zagreb Actors' Studio. Approfondisce lo studio della maschera nella Commedia dell'arte, partecipa con teatri pubblici e privati a tournee in Italia e all'estero, ospite di festival internazionali. Ha collaborato come docente con servizi sociosanitari ed ha preso parte a produzioni teatrali negli istituti penitenziari; laureato con una tesi sull'impatto culturale, sociale e politico della Beat Generation in America, sviluppa e approfondisce ulteriormente lo studio della poesia beat realizzando spettacoli di cui e' regista e interprete e partecipando a readings con il poeta Jack Hirshman. Hanon Reznikov e' nato a New York nel 1950, ha iniziato a frequentare il Living Theatre mentre studiava a Yale, nel 1968; piu' tardi e' entrato nella compagnia lavorando con Judith Malina e Julian Beck sia come attore che come autore. Dopo la morte di Julian Beck, avvenuta nel 1985, Hanon Reznikov ha iniziato a dirigere la compagnia con Judith Malina, che ha sposato nel 1988; e' anche autore di vari recenti lavori messi in scena dal Living Theatre, tra i quali The Zero Method, Anarchia, Utopia e Capital Changes - Lorenzo Acquaviva: Come e' avvenuto l'incontro con Julian Beck e la conseguente formazione del Living Theatre? - Judith Malina: Nel 1947 regnava un grande entusiasmo negli Stati Uniti ma questo momento estatico, come si e' verificato in altre simili circostanze dove non c'era un sufficiente fondamento sociale, si e' presto dissolto. A quell'epoca l'arte non aveva ancora assunto una forza etica, politica, sociale, ma aveva soltanto funzione di intrattenimento. Devo dire che in tal senso si e' andati peggiorando visto che ora c'e' una vera e propria industria dell'entertainment che non lascia spazio all'inventiva e alla creativita' dell'arte. Io all'epoca mi ero laureata alla scuola di teatro di Erwin Piscator, uno dei fondatori del teatro politico moderno assieme a Bertolt Brecht. Fu proprio entrando in contatto con il teatro commerciale di Broadway che mi resi conto della distanza tra cio' che avevo studiato con Piscator e quel mondo. Nel frattempo incontrai Julian Beck, un giovane pittore della scuola espressionista astratta, che aveva esposto alcune opere alla galleria di Guggenheim. Io, che allora avevo diciotto anni, mi sono messa a discutere con lui su cosa volesse dire fare teatro in quel momento e quale senso avesse. Da allora nacque il nostro sodalizio. Eravamo molto influenzati dal teatro del dopoguerra in Europa: ci piacevano Jean Cocteau, Gertrude Stein e Pirandello. Decidemmo di mettere in scena tutti questi autori cogliendo la possibilita', tramite la poesia, di dare un senso politico al teatro anche se non in una maniera scoperta, perche' all'epoca il teatro politico era considerato propagandistico, con molto disprezzo verso qualsiasi ideologia, che rimaneva una parola sporca. Allora Julian ed io abbiamo deciso di creare un piccolo teatro, senza risorse, senza mezzi, senza nient'altro che le nostre forze, assieme ad un gruppo di amici. Quel lavoro di ricerca continua tuttora: sulla realta' dell'attore, sul rapporto spettatore-attore, sulla possibilita' per il teatro di avere un impatto culturale e sociale. * - Lorenzo Acquaviva: Puoi ora parlare del clima culturale esistente attorno ai beats? - Judith Malina: Il movimento, che non era cosi' sviluppato, era di tipo letterario, politico, culturale, e facendosi forte di varie esperienze non dava importanza al fatto se una persona fosse uno scrittore o facesse parte di un gruppo che protestava contro l'esercito: cosi' confluivano nello stesso movimento il lavoro del Living, la danza di Merce Cunningham o la pittura di Robert Rauschenberg. Eravamo tutti coinvolti in un cambiamento che naturalmente e' cominciato in tono minore ma che poi e' diventato sempre piu' forte, fino al punto che la nostra teoria non fu in grado di sostenere l'azione, cosa che ci ha indotto a nutrire la speranza che i piu' giovani, i quindicenni di oggi, sarebbero stati pronti a fare il prossimo, decisivo passo. * - Lorenzo Acquaviva: E' ancora possibile la rivoluzione anarchica nonviolenta? - Judith Malina: Non solo credo che sia possibile ma anzi che sia assolutamente necessaria, se vogliamo salvare il pianeta e l'umanita' intera dalla catastrofe sia ecologica che militare. La bella rivoluzione anarchica nonviolenta, vale a dire una vera inversione di rotta nel comportamento da parte dell'uomo, dobbiamo farla senza porci l'interrogativo se cio' sia possibile. Non possiamo continuare ad incrementare le spese per l'armamento e sostenere una politica di sfruttamento del pianeta... * - Lorenzo Acquaviva: Il teatro puo' davvero fare tutto questo e dare un contributo effettivo al cambiamento? - Judith Malina: Io penso che soprattutto internet rappresenti il medium della grande trasformazione. Ritengo comunque che il teatro possa fare la sua parte dando un'impronta umana a un qualsiasi processo intellettuale e politico proprio perche' il teatro non e' un medium puro, avvalendosi di una comunicazione diretta verso i propri spettatori. E' quanto mai urgente e necessario dar corso ad un cambiamento veramente profondo per la qual cosa internet resta uno strumento insostituibile. * - Lorenzo Acquaviva: I beat si possano considerare politici oppure sono stati solamente un'elite intellettuale? Se vogliamo, tranne Corso e Cassady, gli altri, come Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, sono di estrazione piccolo o medioborghese... - Judith Malina: II pensiero e l'azione di Ginsberg sono stati sicuramente anche politici, tanto e' vero che e' stato tenuto ossessivamente sotto controllo da parte dei servizi segreti americani; presso la Cia esiste un vasto dossier dal quale risulta che egli e' stato tenuto sotto osservazione fino alla fine dei suoi giorni, perche' considerato un elemento impegnato contro il governo americano; Burroughs da parte sua faceva un altro tipo di ricerca, e non si occupava di discorsi politici. * - Lorenzo Acquaviva: E per quanto riguarda Corso, Kerouac... - Hanon Reznicov: "Bomb" di Corso e' una delle piu' grandi poesie politiche di tutti i tempi. - Judith Malina: Julian Beck una volta ha domandato a Jackson Pollock se avesse mai dipinto qualcosa in senso specificamente politico e lui gli ha risposto che non e' possibile fare una linea senza dipingere qualcosa. Con cio' voglio dire che tutto e' politico e la sessualita' di Burroughs, per esempio, e' rivoluzionaria proprio in questo senso. La rivoluzione pero' non e' solamente ammainare una bandiera per innalzarne un'altra; la rivoluzione e' cambiare i nostri valori, e credo che Kerouac, Corso, Burroughs abbiano fatto questo, abbiano profondamente scosso i nostri valori di base: sessualmente, politicamente, visualmente, cosi' come la pittura li ha mostrati. - Hanon Reznicov: C'era poi questo sfondo, quello dell'America di Eisenhower, in cui regnava un conformismo sfumato cosi' come temo regni oggi in Italia. * - Lorenzo Acquaviva: In pratica loro hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare i filosofi e i politici. - Hanon Reznicov: Si'. Quello che in Francia hanno fatto Sartre, Gide e Camus, in America secondo me l'hanno fatto i beats. * - Lorenzo Acquaviva: A proposito della Francia, potete fare un resoconto della vostra esperienza francese? - Judith Malina: E' stato un momento storico molto vivace. Avevamo pensato che fosse veramente possibile prendere la citta' e operare tutti quei cambiamenti che si erano ipotizzati... Credo che quel momento, di grande speranza, ci abbia dato molte lezioni. In quella circostanza abbiamo partecipato all'occupazione del teatro nazionale, l'Odeon, dando vita ad una lotta fantastica attraverso l'organizzazione di un forum dove le persone, a turno, prendevano la parola, continuamente, giorno e notte; poi la scena e' cambiata quando la strada e' diventata un campo di battaglia con feriti, e J. L. Barrault, che era una persona splendida, perse il suo posto per essersi rifiutato, all'ordine del ministro della cultura Malraux, di spegnere le luci del teatro dove si trovavano duemila persone. Era, quello, un momento di grande speranza ma anche di poca chiarezza di intenti da parte nostra tanto e' vero che la situazione si e' ulteriormente deteriorata quando i katanga, un gruppo maoista molto violento, hanno preso in mano la situazione ricorrendo all'uso della forza. Il problema del '68 consisteva principalmente nel fatto che avevamo una visione chiara, derivataci anche dalla poesia, dalla musica, dalla beat generation, sul come vivere. Non sapevamo come realizzarla senza una guida sicura che ci dirigesse verso lo scopo: ad esempio eravamo consci che nel rapporto tra studente e insegnante il professore non avrebbe dovuto esser considerato mai un semidio, e che se non diceva la verita' non avrebbe meritato rispetto alcuno. Ma non sapevamo come procedere verso questa nuova visione delle cose. Questa visione e' ancora integra in ognuno di noi, ma non abbiamo, purtroppo, alcuna strategia per cambiare le cose e non ci resta che affidarci ai giovani d'oggi con la speranza che possano concretizzarla, svilupparla o raggiungerla senza avere troppa nostalgia per il passato e per la beat generation in particolare. * - Lorenzo Acquaviva: Ormai e' tutto fashion, moda... - Judith Malina: Dobbiamo preservare tutto cio', dobbiamo impedire che tutto questo background venga utilizzato solo dalla musica commerciale o dall'industria degli abiti e dalla moda, e dobbiamo ricordare che e' stata l'idea che abbiamo avuto di un altro modo di vivere. Questo e' espresso nei romanzi di Jack, nella poesia di Gregory e Allen, e' un urlo contro il sistema che avevamo nel 1950 e che continua ancora adesso. - Hanon Reznicov: Una delle figure che corrisponde ai beats, qui in Italia, e' stato Pasolini il quale, credo, condividesse una certa onesta' "beat", una certa trasgressivita', anche sessuale. * Judith Malina e Julian Beck fondarono il Living Theatre nel 1947 a New York. Compagni di lavoro e di vita, portarono nel teatro non solo le esperienze di rinnovamento del linguaggio musicale, poetico, figurativo ma soprattutto le loro istanze pacifiste, l'imperativo etico di cambiare il mondo, i rapporti di produzione e la qualita' della vita, fino a fare del teatro un reale strumento di diffusione dell'ideale anarchico di vita e di lavoro volto alla liberazione dell'uomo. Nei primi anni il Living rappresento' in posti di fortuna, se non nello stesso appartamento dei due fondatori, un ampio repertorio molto originale e caratterizzato da un'eccezionale densita' di strutturazione linguistica. Prese vita cosi' un teatro poetico, che insisteva particolarmente su temi pirandelliani di coincidenza fra vita e rappresentazione culminato nell'opera di J. Gelber "The connection". Intanto Beck e la Malina avevano conosciuto le posizioni di Antonin Artaud sul teatro della crudelta' e introdotto Brecht nel loro repertorio. In seguito alla pressioni della polizia, il gruppo si trasferi' in Europa. Qui vennero presentati "Mysteries and Smaller Pieces", una sorta di manifesto teatrale incentrato sui concetti di creazione collettiva, corporeita' come liberazione, teatro come luogo di meditazione. Seguirono "Frankenstein", "Antigone" ed infine "Paradise Now". A quest'ultima opera, che coincise con l'esplosione del Living fuori dall'istituzione teatro nelle strade del maggio francese, nel tentativo di fare dell'azione teatrale uno strumento di liberazione per tutti segui' la diaspora del Living e il costituirsi in diverse parti del mondo di piccolo nuclei di teatro-azione. Hanon Reznicov, gia' attore di lunga militanza nel Living, dopo la morte di Julian Beck, subentra alla direzione del Living Theatre affiancando Judith Malina. Hanon e Judith stanno proseguendo con coerenza un percorso iniziato da piu' di cinquant'anni senza aver smarrito le loro idee e la loro visione artistica ed esistenziale continuando nello stesso tempo a svolgere seminari e a fare spettacoli in tutte le parti del mondo senza fruire di sovvenzioni di sorta ma contando sulle proprie forze e sulla capacita' di autogestirsi. Cio' si e' rivelato in definitiva un punto di forza del gruppo che quest'anno ha rappresentato nuovamente in Italia lo spettacolo "Mysteries and smaller pieces". 5. ESPERIENZE. SAVERIO AVERSA INTERVISTA JUDITH MALINA [Riproponiamo la seguente intervista ripresa dal quotidiano "Liberazione" del 27 maggio 2006. Saverio Aversa vive a Roma dove lavora come educatore in un centro per disabili, attivista del movimento glbt e per i diritti umani, giornalista culturale, si occupa di culture delle differenze] La citta' di Chieti e il teatro Marruccino hanno ospitato nei giorni scorsi Judith Malina e Hanon Reznikov, direttori dello storico Living Teatre di New York, un gruppo teatrale anarchico e pacifista che ha lasciato un segno profondo nella cultura occidentale del secolo scorso. Il Living e' stato protagonista di grandi battaglie politiche e sociali come quella contro l'intervento americano in Vietnam. "Love and politics" e' la serata di poesia e di testi teatrali proposta ai teatini, uno spettacolo simbolo dell'impegno del gruppo, intensa espressione di una particolare estetica visionaria. Amore e politica, temi svolti attraverso brani di opere del repertorio del Living come Utopia e Metodo zero. Malina e Reznikov hanno anche tenuto un laboratorio di cinque giorni sulle tecniche e sulle pratiche di creazione teatrale che ha consentito ai partecipanti di costruire un breve spettacolo intitolato Una giornata nella vita della citta': un esperimento di vita quotidiana applicato ai vari luoghi urbani. I partecipanti, oltre al lavoro sul corpo, sulla gestualita', sulla voce e l'improvvisazione, hanno studiato la storia dei 59 anni del Living attraverso la visione di alcuni documentari. Tutto inizia nel 1947 a New York quando Julian Beck e Judith Malina, marito e moglie, entrambi ebrei tedeschi scappati negli Stati Uniti durante il nazismo, frequentano gli stage teatrali del loro connazionale Erwin Piscator, regista e teorico della ricerca di un'arte legata ai bisogni vitali. Qualche mese dopo Beck e Malina fondano il Living Theatre che gia' con i primi spettacoli suscita reazioni scandalizzate. Il Living si oppone radicalmente a Broadway e a tutto cio' che rappresenta, apre nuove possibilita' alla rappresentazione teatrale e fornisce argomenti e ispirazione ai teatranti anticonformisti di tutto il mondo. Julian Beck, morto nel 1985, e' stato attore, regista e scenografo. Inizio' come pittore legato all'espressionismo astratto e infatti firmo' le scene di quasi tutti gli spettacoli del Living, dirigendone buona parte e facendo anche l'attore. E' stato interprete cinematografico di film come l'Edipo Re di Pasolini e Cotton Club di Coppola. Dopo la sua scomparsa Reznikov affianca Malina nella vita e nella direzione del gruppo. Abbiamo incontrato la coppia proprio in un camerino del Teatro Marruccino. Judith Malina ha risposto ad alcune domande con qualche intervento di Hanon Reznikov. * - Saverio Aversa: Quali sono gli obiettivi principali del laboratorio di Chieti? - Judith Malina: Sicuramente la creazione collettiva alla quale si giunge con degli esercizi che noi insegnamo ai partecipanti che pero' discutono fra di loro sul soggetto da mettere in scena. Vogliamo che costruiscano lo spettacolo che e' per loro importante. Naturalmente noi abbiamo i nostri punti di vista ma non imponiamo la nostra ideologia: vogliamo che loro si impossessino del potere, dell'autodeterminazione e quindi della capacita' di essere decisivi. Noi mettiamo le nostre esperienze teatrali al servizio delle loro idee. Li aiutiamo materialmente a scrivere il testo e a pensare alle scene attraverso le tecniche dei surrealisti francesi. * - Saverio Aversa: Ha un valore aggiunto questo vostro impegno in una piccola citta'? - Judith Malina: Da almeno trent'anni portiamo il nostro teatro in Italia e sosteniamo il decentramento culturale perche' conosciamo il vostro paese molto bene, in tutti i suoi aspetti. Soprattutto i giovani sono molto interessati e coinvolti dal nostro modo di fare teatro e sono stimolati dalla possibilita' creativa istantanea, spontanea e di gruppo. Nello specifico di questo workshop sono stati scelti sei temi: follia-normalita', diversita'-collettivita', potere-capitalismo, comunicazione, le paure, l'integrazione spirituale. * - Saverio Aversa: I giovani quindi sono una grande risorsa per un futuro migliore? - Judith Malina: Ne siamo convinti. Dopo la "rivoluzione" del 1968 il privato ha prevalso sul pubblico, si e' perso un certo ottimismo poiche' le cose non sono andate come speravamo, la sinistra e' rimasta schiacciata da una grande delusione. I giovani oggi hanno di nuovo la volonta' di cambiare la societa' come allora. Li abbiamo visti anche al G8 di Genova dove abbiamo realizzato, insieme a molti di loro, una serie di performance di teatro di strada. I ragazzi del duemila possono essere ancora piu' radicali e rivoluzionari di quelli di quaranta anni fa. * - Saverio Aversa: Le recenti proteste degli studenti e dei giovani lavoratori francesi ne sono una dimostrazione? - Judith Malina: Sono straordinari, forse perche' sono i discendenti dei protagonisti della rivoluzione del 1789. Sono riusciti a far cambiare una legge del governo. E intanto altri governanti giocano con le armi come fossero bambini inconsapevoli, fanno le guerre piu' sanguinarie. * - Saverio Aversa: L'arte, il teatro, sono in grado di far scomparire le guerre? - Judith Malina: Attraverso un discorso educativo si puo' raggiungere questo scopo. L'unico metodo e' entrare nell'animo delle persone e cambiarne i comportamenti. Soprattutto questo puo' essere utile, meno incisiva si e' dimostrata la politica. Due settimane fa a New York abbiamo debuttato con uno spettacolo contro la guerra. Siamo sempre stati antimilitaristi e a Times Square, davanti ad un ufficio di reclutamento di soldati da mandare in Iraq, in risposta ad uno spot pubblicitario dell'esercito trasmesso da un grande schermo interagiamo con un'azione teatrale che si intitola "No, sir!". |