Maria Dolores Pesce Intervista Judith Malina Dal sito di "Parol - quaderni d'arte e di epistemologia" www3.unibo.it/parol (che ne detiene i diritti) riprendiamo la seguente intervista. Maria Dolores Pesce e' drammaturga, saggista, giornalista culturale - Maria Dolores Pesce: Judith, nel settembre del 1994, in occasione del trentesimo compleanno dell'Odin Teatret, sei stata invitata a Holstebro quale figura tra le piu' importanti del teatro del secondo Novecento, insieme a Jerzy Grotowski, Kazuo Ohno, Sanjukta Panigrahi. Questo e' stato l'ultimo, in ordine di tempo, segno di una vita dedicata al teatro. Mi vuoi raccontare come hai iniziato e, soprattutto, quali sono stati i tuoi maestri? - Judith Malina: Il mio primo maestro, quello con cui invero ho iniziato, mi ha iniziato al teatro, e' stato Piscator (1). Ho lavorato con lui, nella sua scuola negli anni 1945-'47, e dopo questa ho collaborato in varie attivita' drammaturgiche. Adesso sto scrivendo un libro sulla sua vita. Lui era, insieme a Bertolt Brecht, l'inventore del teatro politico moderno. Io ho appreso e ho preso molto sul serio le sue idee e le sue lezioni e spero di essere tra quelli che seguono le strade che lui ha aperto. * - Maria Dolores Pesce: Nella tua biografia racconti di avere incontrato Julian Beck a 16 o 17 anni. Cosa faceva Julian all'epoca e quando si e' manifestata tra voi la volonta' di fare teatro assieme? - Judith Malina: Julian Beck allora faceva pittura e, ancora adesso, i suoi quadri sono considerati una delle principali voci dell'espressionismo astratto della scuola di New York. Ha fatto mostre, in quel tempo, al "Peggy Guggenheim" insieme a quelli che sono ora reputati i maestri di quel movimento artistico (2). Solo dopo anni le mie idee, le idee sue, le idee su cos'e' il teatro, cosa e' l'arte, a cosa possono entrambi servire, ci hanno condotto tra lunghe discussioni al punto in cui abbiamo deciso di fare il nostro teatro, perche' l'altro teatro non serve per gli scopi che ci volevamo porre. Il teatro di Broadway, pensavamo, e' eminentemente una operazione commerciale e non aveva in se' uno spirito, una forza di sperimentazione. Uno sperimentalismo interessante c'era gia' nel teatro di Provincetown (3) e in alcuni teatri regionali, ma noi eravamo piu' legati ed ispirati dalla sperimentazione drammaturgica europea, quella dell'immediato dopoguerra. In particolare ci sentivamo di ispirarci al lavoro di Cocteau, di Camus, di Pirandello anche, insomma alle sperimentazioni di forme che venivano tentate e sviluppate in Europa. Abbiamo dunque cominciato da questo punto di vista, da un teatro che fa ricerca intorno alla forma del teatro e, anche, del soggetto. Un teatro tematico e di significazione. * - Maria Dolores Pesce: Da subito, dunque, mi sembra abbiate pensato ad una forma di teatro di avanguardia, sperimentale, di rottura della tradizione. Durante questi primi anni quali testi drammaturgici avete scelto, per quale ispirazione e, soprattutto, in quali luoghi li avete rappresentati e perche', se c'e' un perche', avete scelto proprio quei luoghi? - Judith Malina: Per quanto riguarda i testi preferisco rimandarti alla lista che gia' hai potuto leggere nei testi sul Living che esistono. Lo stesso per i luoghi, certo non erano luoghi usuali del teatro, ma era sempre il teatro. Erano piccoli luoghi che noi sceglievamo per fare il teatro e cosi' diventavano il teatro. Invece per quanto riguarda il perche', e' una domanda interessante cui voglio provare a rispondere anche se non so se c'e' una risposta. Eravamo cosi' entusiasti, nei nostri 18 anni, di fare "La macchina infernale" o di fare spettacoli di Paul Witmann, era un desiderio cosi' bruciante, non una discussione razionale. Dovevamo trovare il modo e il luogo per realizzare quello spettacolo. * - Maria Dolores Pesce: Proprio perche' venute sulla spinta di un desiderio cosi' bruciante e necessario, credo che le vostre scelte non siano state casuali ma siano state consapevoli e motivate. Da cosa? - Judith Malina: La domanda non e', credo, posta correttamente perche' forse ha un vizio di razionalita'. Noi non discutevamo per poi scegliere tra le diverse opportunita'. Noi eravamo costretti a fare quella scelta, la scelta di quel testo e di quel luogo, costretti da motivazioni interiori ma anche esteriori quali il colore dei capelli di una persona, dalla sua faccia, dalla posizione e dal movimento delle cose. Noi facciamo quello che dobbiamo fare. Noi siamo costretti da certe idee e certi posti a fare quello che facciamo, se non lo facciamo moriamo e muoiono le idee. E' la vita che ci indica la via, e questo non e' cambiato. * - Maria Dolores Pesce: Siamo ad un punto importante per capire il vostro teatro e voi stessi. La passione e la necessita' che guida la vostra attivita'. Affinche' io e chi leggera' nei sia consapevole, vuoi approfondire questo aspetto? - Judith Malina: Eravamo posseduti da certi testi e da certe idee. Attraverso quei testi particolari potevamo esprimere in maniera adeguate le nostre idee fondamentali per il nostro lavoro e questo non e' cambiato, e' cosi' anche oggi. L'idea che e' possibile creare una societa' anarchica, pacifista, umanistica, vegetariana, femminista, e' possibile perche' nella realta' non ci sono ostacoli effettivi, naturali, alla creazione di questa societa'. Generalmente, invece, la gente ha il dubbio, ha interiorizzato il dubbio che questa nuova societa' sia effettivamente irrealizzabile, e questo dubbio rappresenta il vero ostacolo verso il cambiamento. L'ostacolo e' il cinismo, il finto realismo che fa pensare sia impossibile cambiare verso una societa' piu' giusta. E cosi' ogni testo che puo' aiutare a capire, mostrandolo, che questo mondo puo' in effetti essere, che queste idee non sono utopistiche, che puo' dunque aprire nel pubblico e nella gente la speranza che un cambiamento e' possibile, anzi e' necessario, questi testi ci fanno bruciare. E' questa la storia da cinquant'anni, e' la storia di oggi, e' la storia del Living Theatre. * - Maria Dolores Pesce: In America, durante quegli anni, avete avuto difficolta' - anche gravi - con la societa', che vi hanno portato anche in carcere e che, alla fine, vi hanno indotto alla scelta dell'esilio. In quel periodo quali artisti, se vi sono stati, vi hanno appoggiato ed aiutato? - Judith Malina: Forse piu' di oggi l'ambiente degli artisti di New York era una comunita' e tutti, ricordo, condivisero e ci aiutarono. Danzatori, pittori, musicisti si ritrovavano due, tre volte la settimana tutti in una stanza per vedere l'ultimo lavoro, l'ultima creazione, uno dell'altro. Per dire Jackson Mac Low, John Cage, Pollock o Rocco Parilli e Paul Goodman; oppure attivisti come Dorothy Day (4), o tanti altri che non posso qui elencare. Eravamo un gruppo numeroso di persone che hanno creato una visione del futuro che e' ancora valida, ma che e' ancora nel futuro, per cui, dunque, continuiamo a lottare. * - Maria Dolores Pesce: Ho avuto l'impressione, studiando la documentazione riguardante il vostro teatro che tu, oltre naturalmente a recitare, ti sia occupata in particolare della regia, mentre Julian Beck ha curato in prevalenza la scenografia. Esisteva veramente una strutturata divisione dei compiti o, nella realta', le cose erano piu' sfumate? E dall'ensamble del Living, quale contributo veniva a tutto questo? - Judith Malina: In effetti Julian, visto che era pittore, ha fatto molto per la scenografia, ma ha dato anche un grande contributo alle scelte di regia e nella selezione dei lavori e degli indirizzi generali. Non erano cosi' rigidamente strutturate le funzioni, abbiamo sempre cercato di rendere collettiva la nostra creazione, attraverso il contributo della creativita' di tutti. Questo, ora che abbiamo una sede proprio qui dove ti trovi, continua con piu' facilita' e tranquillita'. Continua qui la ricerca e la sperimentazione per rispondere alle domande che dall'inizio ci siamo posti e continuiamo a porci: come possiamo creare un teatro veramente rivoluzionario? come possiamo fare un teatro con un impatto sociale? come possiamo creare un teatro in cui gli spettatori abbiano veramente uno spazio creativo non solo di partecipazione? come possiamo creare un teatro in cui noi siamo non solo e sempre una finzione ma possiamo anche essere noi stessi? Tutti questi quesiti problematici che abbiamo affrontato per cinquant'anni, continuiamo ad affrontarli ancora oggi per cercare di vederli piu' approfonditamente. * - Maria Dolores Pesce: Per esprimere queste idee, per approfondire questa ricerca e ricercare la comunicazione migliore per i vostri obiettivi penso abbiate utilizzato e voi stessi elaborato delle tecniche teatrali. Me ne vuoi parlare? Mi vuoi dire se e come si sono modificate od evolute nel tempo? - Judith Malina: Ogni nostro spettacolo e' pensato come comunicazione verso il pubblico, la nostra visione e' verso il pubblico. Quando abbiamo deciso cosa vogliamo dire al pubblico, quale e' la cosa piu' importante che abbiamo da trasmettere, quali sono gli impegni che vogliamo assumere, le idee che vogliamo esprimere, le proposizioni che vogliamo rappresentare, allora noi cerchiamo oppure creiamo i testi e le forme migliori per farlo. Allo stesso tempo, prima, proprio per ottenere le modalita' migliori della nostra espressione, elaboriamo esercizi che ci insegnino a farlo nel modo piu' appropriato. Esercizi che rispondano a questa esigenza, alla domanda "come possiamo spiegarlo, come possiamo mostrare le nostre idee?". Tutti i nostri esercizi sono specificamente finalizzati a trovare l'occhio teatrale per spiegare le idee che vogliamo esprimere. * - Maria Dolores Pesce: Dunque il vostro e' un lavoro di continua ricerca, di sperimentazione legata alle diverse circostanze, con l'unico scopo di rappresentare correttamente le idee che si vogliono esprimere. Se il fine di liberazione e' la continuita' nella storia del vostro teatro, c'e' stata, per tornare alla domanda precedente, una evoluzione nel vostro operare? - Judith Malina: E' difficile da spiegare: e' sempre diverso perche' e' sempre diverso, non e' la stessa cosa come sono diversi Edda Gabler e Max Ernst, come sono diversi uno spettacolo del Living da un altro. Perche' se, come e' ovvio, abbiamo sempre qualcosa di comune, di nostro, nell'operare, ogni spettacolo e' sempre un'altra esperienza, una nuova ricerca. Quando il nostro scopo e' la ricerca del modo piu' appropriato per esprimere, per far capire l'oppressione culturale che c'e', che crea mostri alla Frankenstein nelle nostre teste, nel nostro ambiente, dobbiamo usare modalita' diverse rispetto a quando vogliamo esprimere l'opposizione di Antigone alla forza smisurata dello stato militare facendo capire anche come puo' ogni individuo farlo. E' sempre un'altra cosa, io non so dire cosi' semplicemente quale sia la differenza nelle modalita' tecniche tra l'una esperienza e l'altra. Forse questa differenza c'e' ma e' una cosa accademica che in fondo non mi interessa. Io faccio cio' che nel momento mi interessa, mi sembra importante, e non dico mai "questo si puo' storicamente inserire o definire"; no, dico cosa vuole esprimere quello che sto facendo, cosa voglio dire ora e, in tutto cio', non ha significato per me una domanda su come si e' evoluto, come si e' modificato il mio modo di operare, io vivo nel lavoro, nel significato del momento, che e' gia', di per se stesso, inclusivo di tutto quello che e' passato. Sono, credo, piu' esistenziale che accademica. * - Maria Dolores Pesce: Voi avete portato i vostri spettacoli nei luoghi piu' inusuali, le strade, le fabbriche, gli ospedali psichiatrici, le favelas brasiliane. Ovunque avete ritenuto di trovare un luogo da sperimentare avete portato il vostro contributo, la vostra parola. In particolare vorrei chiederti quale e' stata l'esperienza, il lavoro all'interno degli ospedali psichiatrici, sia per te che per il vostro gruppo? - Judith Malina: E' stata una esperienza molto emozionante, molto importante per noi, e forse abbiamo piu' imparato che insegnato. Abbiamo avuto un buon rapporto con i cosiddetti "pazzi", termine insultante e non politicamente corretto perche' anche noi siamo pazzi come loro, o loro sono sani come noi, abbiamo e usiamo solo un linguaggio diverso. La prima cosa che generalmente facciamo tra di noi, quando entriamo in un ospedale psichiatrico, e' di sperimentare quei comportamenti estremi caratteristici degli attori, comportamenti che sono pazzi perche' fuori dalla razionalita', perche' espressione degli impulsi immediati. Impulsi non pensati. Facciamo piccole azioni teatrali insieme a loro, movimenti non "normali" ma pazzi in un senso leggero, in un senso gioioso, accessibili ad ognuno di noi ma che in ognuno di noi "normali" sono generalmente nascosti, cancellati, come tende ad essere soppresso ogni nostro impulso fisico spontaneo. E' un problema che non hanno quelli che sono rinchiusi, che non controllano i modi di espressione quando vogliono esprimere interamente quello che sentono, che preme sulla loro coscienza, perche' essendo rinchiusi non trovano senso, non danno senso alle loro azioni. Noi rompiamo questo tabu' e cominciamo una comunicazione in termini di azione teatrale, di suono, di attivita', di corpo, voce e tatto non tradizionale. E poi cominciamo a comunicare con l'esterno portandoli fuori, con l'onore di qualche "guardiano", e poi, certamente, riportandoli all'interno dell'ospedale. Facciamo cosi' varie azioni teatrali con loro, generalmente con un buono spirito ma sempre con una certa tristezza a causa della situazione, perche' non abbiamo saputo curare la nostra civilta', non sappiamo dare un qualche giusto benvenuto a coloro che sono usciti, per cosi' dire, dalla strada normale, quotidiana. Dobbiamo trovarlo ancora un modo di accettare questa sofferenza, questa alienazione evitando di trattarla esclusivamente con le diverse prigionie. * - Maria Dolores Pesce: Certamente sai che in Italia sono stati chiusi gli ospedali psichiatrici... - Judith Malina: Si', si', in un certo senso abbiamo partecipato e siamo stati partecipi di quel periodo e di quel movimento. Ma non tutta la societa' ha partecipato a questo movimento e non ha saputo creare una forma diversa e adeguata di ospitalita' per queste persone che hanno bisogno di un particolare aiuto e di un certo ambiente. Ho visto anche molta sofferenza in relazione a cio'. Sono d'accordo sul punto di chiudere questi ospedali psichiatrici e che fosse una cosa da fare, ma era anche necessario creare socialmente un nido di possibilita' per quelli che hanno bisogno di un nido, di un ambiente sociale in grado di accoglierli. Hanno bisogno di vari posti, perche' alcuni sono in grado di vivere in famiglia, altri sono troppo in difficolta'. Abbiamo bisogno di trovare, e' un nostro obbligo di trovare alternative. Anche se reinserirli in questa societa' e' difficile se si considera che anche noi che siamo i cosiddetti "sani" facciamo fatica a sopravvivere in una societa' che ci schiaccia. E' difficile per chi ha tutte le sue forze non essere coinvolto e travolto dalla rivalita', dalla concorrenza, non essere nauseato dalla situazione complessiva. Siamo tutti schiacciati e possiamo sopravvivere perche' siamo forti, perche' siamo artisti o perche' abbiamo avuto dei buoni genitori. Ma chi e' rinchiuso ha perso le sue forze e cerca di ritrovarle. Alcuni le ritrovano, ma altri non le ritrovano mai piu'. Come possono dunque loro vivere in questa societa' in cui anche per i piu' forti e' quasi impossibile. Dobbiamo percio' fare qualcosa per dare ospitalita' anche a loro nella nostra societa'. Sono necessari dunque molti meno pregiudizi riguardo ai loro comportamenti. Il fare teatro in quei luoghi e con loro voleva insegnare che la differenza e' minore di quanto i pregiudizi lasciano credere. Ad esempio ho appena finito di recitare in una rappresentazione tratta da un romanzo di Doris Lessing (5), non prodotta dal Living Theatre, nella quale interpreto il ruolo di una barbona che incontra una giornalista di moda, elegante, ricca e affermata. Nonostante le apparenze emerge infatti che le distanze non sono cosi' grandi perche', alla fine, l'una ha bisogno dell'altra. Nella societa' dunque il ricco ha bisogno del povero. * - Maria Dolores Pesce: Proprio con quanto mi hai detto confermi la volonta', il tentativo da parte vostra di cercare il coinvolgimento del pubblico. In proposito, secondo te, che differenza c'e' tra attori in scena e pubblico? - Judith Malina: La differenza, semplice ma per questo feconda, e' che noi attori siamo preparati, studiamo, mentre il pubblico improvvisa, e' spontaneo. Come dicevo prima il lavoro dell'attore e' preparato, perfezionato attraverso mesi di training, esercizi con i quali cerca il modo migliore di esprimere cio' che vuole comunicare, ma nell'incontro con il pubblico questo lavoro si apre ad esiti sempre diversi. L'incontro con il pubblico ci aiuta a creare, anzi a rendere lo spazio creativo, con risultati spesso unici. * - Maria Dolores Pesce: Dunque avete anche cambiato delle azioni sceniche dopo e a causa dell'incontro con il pubblico? - Judith Malina: Sempre noi cambiamo, continuamente il nostro lavoro si evolve e si modifica e cambia la sua struttura nella relazione con i luoghi e il pubblico. * - Maria Dolores Pesce: E adesso cosa state rappresentando con il Living Theatre? - Judith Malina: Stiamo portando in giro lo spettacolo "1460-1470 Il complesso capitale", che ormai e' in tournee dal 1994. Inoltre il Living e' impegnato in uno spettacolo di protesta contro la pena di morte, intitolato "Noth in My Name". A New York, per esempio, scende per Time Square nei giorni in cui vengono eseguite condanne capitali. * - Maria Dolores Pesce: In queste occasioni come vengono accolte dai newyorchesi le vostre performance? - Judith Malina: Oh, molto male, si arrabbiano molto e ci insultano, gridandoci anche molte oscenita'. Pero' io sono sicura che, la sera, quando il capofamiglia si riunisce con la moglie, il figlio e la figlia e racconta di quegli stupidi del Living, forse suscita una reazione inattesa e positiva, forse la figlia si alza e gli dice "aspetta, parliamone", e cosi' anche lui comincia a ragionare. Questo e' quello che in fondo vogliamo. Gli americani, infatti, vogliono la pena di morte perche' hanno paura, paura ad esempio dei serial killer, e pensano che cosi' lo stato li difenda. Forse se cominceranno a pensare e a capire, cominceranno anche ad avere meno paura. Voi italiani su questo avete capito prima, siete stati piu' intelligenti, e avete da tempo abolito la pena capitale. * - Maria Dolores Pesce: Nonostante queste e le difficolta' degli anni passati, come riuscite a lavorare in America? - Judith Malina: In America lavoriamo grazie al lavoro che facciamo in Europa e in particolare in Italia, attraverso il quale ci finanziamo (6). In America, infatti, non ci sono finanziamenti per teatri come il nostro. Per rappresentare dovremmo vendere i biglietti a prezzi molto alti e noi non vogliamo, e neanche il nostro pubblico lo vuole o lo capirebbe. La' continuiamo a lavorare per l'entourage che da anni ci segue e ci conosce. In Italia invece abbiamo trovato spazi e possibilita' maggiori, e soprattutto piu' interesse. Qui a Rocchetta Ligure abbiamo potuto aprire il nostro laboratorio, dove possiamo preparare i nostri lavori per poi portarli in tournee in tutto il mondo. * - Maria Dolores Pesce: Nel 1985 e' scomparso Julian Beck. Cosa e' cambiato da allora per il Living Theatre e come avete proseguito il lavoro? - Judith Malina: Julian era un grande spirito e naturalmente ha lasciato un vuoto, insomma ci manca molto. Da allora pero' abbiamo voluto e cercato di portare, comunque, avanti i suoi, anzi i nostri ideali. Con Hanon Reznicov, che e' poi diventato mio marito, abbiamo proseguito. Lui si e' assunto con me il compito di proseguire il lavoro con il gruppo, senza di lui e senza sostituirlo. * - Maria Dolores Pesce: Vorrei ora parlare delle tue piu' recenti performance. Hai interpretato una parte nel Macbeth Remix di Sanguineti e Liberovici. Stai conducendo o hai in mente altre collaborazioni con Andrea Liberovici? - Judith Malina: Si', nella prima settimana di aprile (7) esordira' a Parigi un lavoro sul Living Theatre ispirato alle musiche, in parte inedite, di Cage e preparato da Andrea. Andrea ha raccolto, registrato e montato, su quel filo rosso musicale, brani di quasi tutti gli spettacoli del Living. Ne e' risultato un lavoro molto interessante. * Con queste ultime parole, l'intervista si chiude materialmente, ma solo materialmente, perche' idealmente il dialogo con Judith e, tramite lei, con il Living non ha conclusione, e' un cammino intrapreso, aperto sul futuro come aperto sul futuro, teso a rappresentare il futuro per renderlo realizzabile e' il teatro del Living. Questo inatteso miscuglio di razionalita' e spontaneita' che, testardamente Judith continua ad alimentare e a giustificare. La razionalita' di identificare e avere chiaro un mondo tout court giusto e la fede che attraverso la liberazione qui e ora delle forze spontanee dello spirito, attraverso certamente esercizi e lavoro creativo, puo' indicare la strada per rappresentarlo, mostrarlo possibile ed esistente inizialmente nel teatro perche' possa essere poi realizzato anche nella societa' e nella storia. Certo ho sentito in Judith Malina, nel corso del nostro incontro, una forza interiore non comune. Durante gli oltre cinquant'anni di vita del Living, e' in effetti passata attraverso esperienze spesso molto difficili, come carcere ed esilio. La sua convinzione e' stata piu' forte. Il teatro dell'utopia ha continuato a vivere e proprio per la convinzione che quella utopia e' piu' reale del mondo quale ce lo rappresentiamo. Si doveva cercare in tutti i modi di svelare l'inganno che ci circonda e rende ciechi, opprimendoci. Cosi' Judith, Julian ed il Living Theatre, sono passati attraverso alti e bassi, ostacoli e successi, perche' hanno cercato di essere presenti laddove pensavano, sentivano di essere spesso necessari, nei modi e con i gesti che sentivano ineludibili... Nei tempi attuali puo' far sorridere, come puo' far sorridere l'idea di un'arte al servizio di un'idea e non di un portafogli, ma la coerenza di un'opera di cinquant'anni credo non possa che affascinare. Coerenza peraltro sostenuta dalla fiducia che il lavoro sotterraneo di smascheramento del presente e di rappresentazione di un possibile mondo giusto, prosegue al di la' anche della consapevolezza dei singoli e dovra' avere uno sbocco. In effetti le ultime parole pronunciate da Judith nel corso del nostro incontro sono state: "Le cose adesso in America non vanno bene, loro hanno bisogno del nostro teatro. Io vorrei lavorare sei mesi in Italia e sei mesi in America. Sono convinta che le cose in futuro cambieranno e voglio essere presente quando iniziera' questo cambiamento". * Note 1. Erwin Piscator, 1893-1966, regista e teorico del teatro tedesco considerato con Bertolt Brecht il fondatore del teatro politico. 2. I suoi lavori sono stati esposti alla Art of This Century Gallery dove nel 1945 aveva partecipato ad una importante mostra collettiva insieme a Jackson Pollock e ad altri tra i piu' importanti artisti della Action Painting. 3. Teatro di Provincetown, dove negli anni Venti avevano lavorato Eugene O'Neill, Robert Edmund Jones, James Ligth, Edna St.Vincent Millay. 4. Fondatrice del "Catholic Worker", con lei fu incarcerata dopo una manifestazione pacifista. 5. Maudie e Jane, prodotto dalla Societa' teatrale Alfieri di Asti, diretto da Luciano Nattino, che ha debuttato al festival di Santarcangelo l'8 luglio 1994, testo tratto da Il diario di Jane Somers di Doris Lessing. 6. Per finanziare gli spettacoli ed il teatro della Terza strada, che poi comunque ha dovuto chiudere, Judith Malina ha accettato ruoli nei film: Dog Day Afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani, 1965) di Sidney Lumet, China Girl di Abel Ferrara, Radio Days di Woody Allen, Enemies, a Love Story (Nemici, una storia d'amore, 1989) di Paul Mazursky, Awakeniengs (Risvegli, 1990) di Penny Marshall, The Addams Family (La famiglia Addams, 1991) di Barry Sonnenfeld, Household Saints (1993) di Nancy Savoca. 7. 64, concerto per attori in 64 movimenti, attori, canto e suoni fissi. Ha debuttato a Parigi, alla sala Olivier Messiaen della Maison de Radio France il 5 aprile 2000. Lo spettacolo e' tratto da un inedito di John Cage, un nastro che il compositore americano aveva creato nel 1959 per uno spettacolo del Living Theatre dal titolo The Marring Maiden. |