Judith Malina Ricorda Dorothy Day Con Cristina Valenti


Il brano seguente, ripreso da "A. Rivista anarchica" n. 254
del maggio 1999 (in rete nel sito, eccellente, www.anarca-bolo.ch/a-rivista - ora anche: www.arivista.org -; è un estratto dal libro di Cristina Valenti,
Conversazioni con Judith Malina. L'arte, l'anarchia, il Living Theatre,
Eleuthera, Milano 1995, pp. 112-119. La rivista presenta i brani di
conversazione qui riportati con una nota introduttiva di Cristina Valenti,
che riproduciamo di seguito: "Nel 1955, l'anno a cui si riferisce il brano
che segue, Judith Malina aveva fondato da otto anni insieme a Julian Beck il
Living Theatre a New York, e da un anno aveva aperto il piccolo spazio del
Loft Theater in One Hundredth St., dove stavano provando Phedre. Nello
stesso periodo fu Jackson Mc Low (interprete di Teramene in Phedre), attore
e poeta anarchico che gia' aveva introdotto Julian Beck e Judith Malina nel
gruppo anarchico Resistance, ad avvicinarli alle iniziative pacifiste dei
War Resisters e del Catholic Worker. Fu seguendo Jackson Mc Low che Judith Malina partecipo' nel giugno 1955, presso il City Hall Park di New York, a una dimostrazione pacifista contro le esercitazioni in caso di incursione aerea, che consisteva nel rifiutare di "mettersi in salvo" al suono delle sirene. In questa occasione Judith Malina conobbe Dorothy Day, con la quale fu arrestata e incarcerata una prima volta (un piu' lungo periodo di
detenzione, sempre per un episodio di "disobbedienza civile", l'avrebbe
trascorso con Dorothy Day due anni piu' tardi). "Santa Dorothy delle Strade"
la chiama Judith in una poesia; e Julian scrive di lei che fu accusata di
tradire la causa dei poveri quando rifiuto' di ricevere finanziamenti dalla
Fondazione Ford perche' quel denaro era sporco. Con Dorothy Day e con il
Catholic Worker Julian Beck e Judith Malina strinsero un'intensa
collaborazione per iniziative pacifiste, e in particolare promossero uno
Sciopero Generale per la Pace nel 1961 che Judith continua a ricordare come
uno dei progetti piu' importanti della sua vita. Judith Malina ricorda
Dorothy Day nei suoi Diari e nel volume di Conversazioni da cui e' tratto il
brano che segue come una delle persone che maggiormente hanno contato nella sua vita".


Cristina Valenti e' docente presso il Dams dell'Universita' di Bologna;
proveniente da studi di carattere storico e filologico (il suo volume Comici
artigiani ha vinto il Premio Pirandello per la saggistica teatrale nel
1994), negli ultimi anni ha rivolto la sua attivita al teatro contemporaneo
d'innovazione, al quale si e' dedicata sia sul piano della produzione
scientifica sia sul piano dell'organizzazione. Ha diretto l'organizzazione
del Centro Teatrale La Soffitta del Dams di Bologna (1991-2001), al quale
collabora tuttora sul piano progettuale, e ha realizzato numerosi progetti e
iniziative culturali negli ambiti del teatro di ricerca e di ispirazione
sociale. I suoi interessi attuali riguardano i teatri del disagio (handicap,
carcere), il teatro di impegno sociale e civile, la ricerca delle giovani
generazioni (in particolare come direttrice artistica dell'Associazione
Scenario); collabora a varie riviste teatrali e culturali. Svolge
collaborazioni drammaturgiche e organizzative per diversi artisti, compagnie
e strutture teatrali.; ha in preparazione un volume sui Teatri delle
dis/abilita'. Fra gli ultimi volumi pubblicati: Conversazioni con Judith
Malina (1995); Living with The Living 1998); Oiseau Mouche. Personnages (con Antonio Calbi, 2000); Il teatro nelle case (2001); Katzenmacher (2004).

Dorothy Day e' stata una grande militante nonviolenta americana (nata l'8
novembre 1897, deceduta il 29 novembre 1980), fondatrice del movimento del "Catholic Worker" (e della rivista omonima); ha condotto innumerevoli lotte per la pace e la giustizia, ed ha fondato decine di case di ospitalita'
urbane e di comunita' agricole per i piu' poveri. Opere di Dorothy Day: Una
lunga solitudine. Autobiografia, Jaca Book, Milano 1984. Opere su Dorothy
Day: Jim Forest, L'anarchica di Dio, Paoline, Cinisello Balsamo 1994; W.
Miller, Dorothy Day e il Catholic Worker Movement, Jaca Book, Milano 1981.
Un sito utile: www.catholicworker.org

- Judith Malina: Al mio primo arresto ebbi il grande privilegio di essere
messa in cella con questa grande donna. Dorothy Day aveva fondato il
Catholic Worker molti anni prima e viveva una vita di poverta' volontaria
fra i piu' poveri dei poveri.
*
- Cristina Valenti: Dorothy si definiva anarchica?
- Judith Malina: Si', assolutamente anarchica, e una buona anarchica anche.
Il concetto di anarchismo cattolico ovviamente e' inconcepibile per molti,
perche' implica una contraddizione fra obbedienza e disobbedienza. Dorothy
praticava la disobbedienza civile in nome del cattolicesimo. A quei tempi a
New York c'era un arcivescovo molto rigido e intollerante e, a quanti le
chiedevano se pregasse per lui, Dorothy rispondeva: "Si', prego per lui
perche' non ha posto ostacoli al Catholic Worker, che ha l'imprimatur della
Chiesa, e prego perche' non voglia ostacolarci in futuro". I cattolici
trovarono molto di che discutere con lei circa il suo modo anarchico di
accettare l'autorita' della Chiesa. Il suo lavoro di carita' era molto
conosciuto. Una volta le ho chiesto: "Fra quelli che vivono nella casa di
accoglienza quanti sono del Catholic Worker e quanti i senzatetto?" e lei ha
risposto: "Non ho notato la differenza". Dorothy si rifiutava di fare
distinzioni fra i poveri, gli ubriaconi, i miserabili e i disoccupati che
arrivavano per un piatto di minestra e la gente che la minestra la cucinava;
d'altra parte accadeva spesso che chi arrivava facesse anche la minestra,
cosi', in effetti, non si potevano fare grandi differenze.
*
- Cristina Valenti: Com'era la vostra vita in carcere, quale fu il vostro
rapporto con le detenute?
- Judith Malina: La Women's House of Detention era una prigione che sorgeva
proprio nel mezzo del Greenwich Village, il quartiere piu' vivace e
artistico di New York (...). Era un carcere molto sovraffollato nel periodo
in cui eravamo dentro noi: poteva contenere circa 400 donne e ce n'erano
900. Io ero in una cella in cui c'era un letto e un piccolo materassino che
veniva estratto da sotto il letto, dopo di che non ci si poteva nemmeno
camminare attorno.
E delle 900 donne la' dentro credo che 800 fossero prostitute e 700
tossicodipendenti. (...) E la' ho visto Dorothy incontrare queste persone
senza speranza in un modo cosi' incredibile, semplice e diretto, che mi ha
fatto imparare moltissimo della vita, del sistema delle classi, dei nostri
obblighi gli uni verso gli altri, e di me stessa.
E questa popolazione carceraria mi ha spinto a nutrire una speranza concreta
nelle possibilita' dell'anarchismo. Quando si toccano questi argomenti ci si
sente sempre chiedere: "Cosa avresti intenzione di fare con le persone
realmente cattive?". Il fatto e' che non lo sono: non lo erano neanche
quelle che stavano scontando crimini orrendi, come la giovane donna che ci
ha sfidato una volta - eravamo nella nostra cella, durante l'ora di
attivita', quando le celle sono aperte ed e' consentito parlare con le
detenute del proprio corridoio, e tutte venivano a parlare con Dorothy
perche' era meraviglioso parlare con lei - e questa donna disse: "Senti, io
ho ucciso cinque persone, cosa vorresti fare con gente come me?". E Dorothy
seppe rispondere in un modo che le disarmo' tutte, compresa la donna che
aveva ucciso cinque persone. Dorothy disse: "Come e' stato che hai ucciso
tante persone? Cosa e' successo? Raccontaci la tua storia".
Dorothy mi rimproverava spesso. Mi diceva: "Judith, non devi pensare di
poter risolvere i problemi di tutti, puoi desiderarlo, ma e' una cosa senza
speranza". E questo era oggetto di discussioni continue fra di noi. Io
sentivo di doverci provare e lei diceva: "No, ognuno deve risolvere i propri
problemi". Ma io non mi rassegnavo: "Voglio porre le condizioni perche'
tutti risolvano i loro problemi". "Perche' credi di poterlo fare?".
"Risolvero' i problemi di tutti". Un altro motivo di discussione frequente
fra di noi riguardava l'inferno. Ho scritto una poesia su questo, credo che
tu la conosca, sul fatto che l'inferno deve essere vuoto se e' vero che Dio
e' tutto misericordia [Whose Mercy Endures Forever, poesia dedicata a Paul
Goodman e Dorothy Day, in J. Malina, Poems of a wandering Jewess, Paris,
Handshake Editions, 1982, pp. 22-23 - nota di Cristina Valenti]. Discutevamo
di queste contraddizioni, della contraddizione fra il bene e il male nel
cuore umano e nella societa', del nostro desiderio di cambiare il mondo e
noi stessi e del fatto che invece dovevamo aspettare il momento in cui
saremmo state in grado di raccogliere le forze necessarie per farlo.
*
- Cristina Valenti: Dalle pagine del tuo diario emerge un'immagine molto
bella: la giovane Judith osserva la canuta Dorothy, l'ascolta, vede come si
comporta e prende nota di tutto. Nei lunghi tempi del carcere anche
l'attenzione sembra dilatarsi, insieme alla disponibilita' a capire, ad
osservare. E l'insegnamento di Dorothy non e' mai dichiarato, ma prende
forma nel corso dell'esperienza, pian piano, di pari passo col dispiegarsi
di quella.
- Judith Malina: La cosa piu' importante che ho imparato da Dorothy in
quella situazione e' che e' possibile, per chi e' anarchico e pacifista,
occuparsi delle persone in modo completamente differente, avere con loro un
tipo di relazione umana, anche all'interno di un carcere pieno di violenza.
Nei miei Diari ci sono molte storie di violenza. C'era un enorme serbatoio
di rabbia, di collera e di odio la' dentro; e la nostra presenza era quella
di un piccolo gruppo che introduceva un altro tono e un altro livello di
dialogo in una situazione in cui tutto cio' sembrava assolutamente
incomprensibile. E voglio ricordare almeno un'altra donna, Deane Mowrer,
un'anarchica che era stata arrestata con noi e che pure esercito' su di me
un'influenza meravigliosa. Anche la nostra relazione con le guardie fu
interessante... Il carcere e' un microcosmo incredibile, dove le guardie
sono chiaramente la classe degli oppressori e il rapporto con loro e'
insieme di odio e dipendenza: le temiamo, ci arrabbiamo, e nello stesso
tempo dipendiamo da loro, in una forma che non e' altrettanto evidente nella
societa' esterna. E Dorothy mostrava alle detenute un modo diverso di
rapportarsi col potere dell'autorita': mostrando resistenza ma senza un
atteggiamento di odio, sapendo opporre il proprio "no" senza rabbia, ma con
la fermezza delle proprie posizioni nei confronti di un altro essere umano.
Questa e' stata certamente una delle lezioni anarchiche che ho appreso da
lei. Un'altra e' stata quella del mutuo appoggio fra detenuti. (...) Io
credo che le persone, quando sono costrette a subire dolorose forme di
violenza, rispondano aiutandosi reciprocamente, in quel modo che noi
anarchici consideriamo naturale. E con la guida di una persona come Dorothy,
che conosceva assai bene i principi base dell'anarchismo classico, queste
forme di reciproca solidarieta' si ampliarono, senza bisogno che noi
parlassimo di anarchismo: parlavamo di come vivere nel mondo, parlavamo
soprattutto delle loro sofferenze, perche' queste erano le cose di cui si
doveva parlare.
In quel carcere Dorothy ci ha fatto capire come sia possibile ottenere
grandi risultati, a livello pratico e a livello ideale, a partire da una
qualita' diversa dei rapporti fra le persone. (...).
*
- Cristina Valenti: E' persino paradossale che due persone che
rappresentavano modelli femminili cosi' differenti, come te e Dorothy Day,
abbiano pero' trovato, nel profondo, delle affinita' cosi' grandi. Dorothy
che, a un certo punto della sua vita, ha scelto la pratica della castita', e
tu che hai sempre lottato per la liberazione sessuale e la realizzazione
totale dell'individuo. Eppure entrambe avevate scelto di non sottomettere il
vostro progetto di vita alle condizioni poste dal vostro sesso o alle
convenzioni sociali o alle norme stabilite.
- Judith Malina: Abbiamo parlato molto di queste cose e, rispetto alla
questione della liberazione sessuale, lei diceva che il problema non e'
quello che poi si va all'inferno, ma che si soffre, perche' non funziona.
Dorothy aveva molta esperienza di amore libero. Il problema era, secondo
lei, che se si cerca il paradiso in terra si trova l'inferno; e su questo
naturalmente non ero d'accordo con lei. Noi eravamo in una casa di
detenzione con centinaia di donne che praticavano l'amore libero... non era
amore libero, in effetti, ma fatto di dolore e sofferenza. (...) E l'unica
felicita' che trovavano - erano in molte a dirlo - era quando venivano messe
in cella con una donna che amavano e con la quale avevano una relazione
omosessuale non piu' basata sulle orribili umiliazioni che vivevano fuori.
Questo era il loro piu' grande desiderio e la loro consolazione reciproca.
Dorothy si interessava alla loro sofferenza senza esprimere un giudizio
morale. Sul piano sessuale, riteneva che la castita' fosse il miglior modo
di vivere per chi non avesse un marito. Per quanto la riguardava, diceva che
sarebbe forse stata piu' felice se avesse trovato un uomo da amare e con cui
vivere una normale vita familiare. Ma anche se era a favore della castita'
non la predicava certo alle prostitute. Con loro parlava piuttosto di come
trovare la forza per opporsi al potere dei loro magnaccia, perche' era
questo il loro problema: erano nelle mani di uomini che le maltrattavano e
dei quali di solito erano innamorate. Questo amore per chi ti fa del male,
questo desiderio masochistico di protezione era la cosa di cui parlava di
piu', perche' aveva un'utilita' pratica. Se solo fossero state in grado, una
volta ritornate ciascuna alla propria vita, di guardare le cose e le persone
in modo differente, comprendendo piu' chiaramente gli aspetti terribili dei
loro rapporti, allora forse ci sarebbe stata qualche speranza che la loro
sofferenza potesse per lo meno diminuire. Quello che Dorothy cercava di dar
loro era una piccola forza morale, una forza interiore che le aiutasse a
sopportare quelle condizioni di vita. E quando mi rimproverava perche'
cercavo di risolvere i loro problemi era perche' non potevo riuscirci. Io
volevo che smettessero di fare le prostitute, ma questo non era un consiglio
pratico e probabilmente non era nemmeno alla portata della maggior parte di
loro. Certo, noi parlavamo della possibilita' di soluzioni alternative, dal
punto di vista economico, personale e domestico. Ma d'altra parte la loro
storia la conoscevamo: al momento di uscire dal carcere avrebbero ricevuto
venticinque cents, qualcosa come poche migliaia di lire, e l'Esercito della
Salvezza avrebbe dato un vestito nuovo a ciascuna. Un vestito nuovo e poche
migliaia di lire: cosi' se ne sarebbero andate a riprendere la vita che
avevano lasciato.

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