Goffredo Fofi Ricorda Alexander Langer
Il seguente testo di Goffredo Fofi costituisce la nota introduttiva per la settima edizione della raccolta di scritti di Alexander Langer, Il viaggiatore leggero, Sellerio, Palermo 2010.
Se si dovesse chiudere in una formula cio' che Alex Langer ci ha insegnato, essa non potrebbe che essere: piantare la carita' nella politica. Proprio piantare, non inserire, trasferire, insediare. E cioe' farle metter radici, farla crescere, difenderne la forza, la possibilita' di ridare alla politica il valore della responsabilita' di uno e di tutti verso "la cosa pubblica", il "bene comune", verso una solidarieta' tra gli umani e tra loro e le altre creature secondo il progetto o sogno di chi "tutti fra se' confederati estima/ gli uomini, e tutti abbraccia/ con vero amor, porgendo/ valida e pronta ed aspettando aita/ negli ultimi perigli e nelle angosce/ della guerra comune".
Dico carita' nel preciso senso evangelico, poiche' Alex era un cristiano, dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici che era possibile conoscere in quegli anni nel "movimento" (e oggi sono ancora di meno) e non, come tanti di noi che gli fummo contemporanei e amici, di fragilissime convinzioni "marxiste" oppure, al meglio, mossi confusamente da una visione solo etica del cristianesimo. La "diversita'" di Alex, la sua superiorita' sui suoi amici e compagni, gli veniva anche da una storia famigliare piu' ricca, a cavallo tra lingue e culture, tra Germania e Italia e tra ebraismo e cattolicesimo, ma nessuno vide mai in questo il marchio del privilegio, poiche' essa era caratterizzata in lui da una convinzione di umilta' reale e non esibita, non appariscente, dalla propensione all'ascolto degli altri, di tutti, dalla liberta' dei collegamenti e dalla scelta di "far da ponte".
Quante volte Alex Langer non ha teorizzato nei suoi testi la funzione e l'imprescindibile necessita' dei "ponti"? Ricordava tanti anni fa Piero Calamandrei fondando, a guerra appena conclusa, una rivista che si chiamava "Il ponte", il significato metaforico ma anche concreto dei ponti, da riedificare dopo le distruzioni della guerra che si era accanita a distruggerli. Ponti veri, che gli uni o gli altri avevano fatto saltare, e che dovevano mettere di nuovo in comunicazione e in "commercio" persone e citta', culture e territori. Ponti ideali, che potessero permettere ai vinti e ai vincitori, tutti infine perdenti, sopravvissuti ai conflitti e alle stragi e cioe' al dominio della morte, di ritrovare nell'incontro e nel dialogo la possibilita' di un futuro migliore. (L'attaccamento di Alex alle sue radici regionali e la sua ambizione cosmopolita gli hanno permesso una concretezza precisa, mai parolaia, e una visione ampia, internazionale, nel filone di quell'utopia che era stata per un tempo di una parte del movement americano, quella che diceva di doversi preoccupare ostinatamente di due ambiti da tenere strettamente collegati tra loro: "il mio villaggio e il mondo").
Il progetto semplicissimo e immenso di far da ponte tra le parti in lotta, che ad Alex costo' infine la vita, e' fallito e continua a fallire in un mondo dove le incomprensioni permangono e prosperano gli odi, sollecitati dai diversi poteri e dal peso dei torti ricevuti e fatti, di una memoria di gruppo che, invece che rendere aperti, rende piu' chiusi alle ragioni degli altri. Poiche' troppa memoria puo' uccidere alla pari della (nostra, italiana) assenza di memoria. E tuttavia il messaggio di Langer e' stato fino all'ultimo chiaro: se anche c'e' chi cade, chi non regge piu' il peso della storia e della solitudine (forse ci si uccide perche' ci si sente o si e' rimasti soli - ma alcuni, come i vecchi e i malati, perche' si e' tagliati via dalla vita - piu' che per l'oggettiva debolezza e insicurezza del genere umano e per la fatica di dover continuamente ricominciare), bisogna imparare dall'esperienza quel che se ne puo' ricavare, e andare avanti. Non perche' "si spera", ma perche' "si ama": e la "carita'" e' allora il centro di tutto, come voleva san Paolo - piu' della speranza e piu' della fede.
Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni prioritarie: quella di accostare popoli e fazioni, di attutirne lo scontro e di promuoverne l'incontro, e quella dell'apertura a un rapporto nuovo tra l'uomo e il suo ambiente naturale. E se nel primo caso, quello piu' determinato dalle pesanti contingenze della storia (per Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si trattava di far da ponte ma anche da intercapedine, da camera d'aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile, nel secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori all'azione politica responsabile, allargandone il significato da citta' a contesto, da polis a natura.
Se sul fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o parte politica Alex e' stato un continuatore, egli e' stato su quel secondo fronte un precursore, uno dei piu' persuasi pionieri dell'indispensabilita' di una visione ecologica dell'agire politico. Ha visto tra i primi l'arrivo della novita', come lo Zaccheo del Vangelo che si porto' nel luogo piu' avanzato del suo villaggio e nel suo punto piu' alto per poter vedere per primo l'arrivo del Messia, e cioe' della Novita', ed e' stato confortato in questo dalla sua conoscenza e vicinanza a uno dei pochi veri profeti dello scorso secolo, il prete e filosofo che si faceva chiamare Ivan Illich. Tra l'antico e l'eterno del messaggio cristiano e la verde novita' dell'ecologia, tra le esigenze della pace (gli uomini) e quelle dell'armonia (degli uomini con la natura) tra loro fittamente intrecciate, sempre piu' interdipendenti, Langer si e' mosso quotidianamente, attento al presente ma cosciente del passato e straordinariamente aperto al futuro, al possibile e al doveroso dei compiti della politica (della militanza, della persuasione). Contro il gioco chiuso del potere. E contro i ricatti paralleli di un'impazienza non meditata e di una lentezza non ipocrita: nell'avvicendarsi che appartiene alla storia delle fasi di stasi e di quelle di febbre, occorre prepararsi nella stasi per saper meglio muoversi nella furia che, prima o poi, si scatenera'. Anche se il nostro ritmo e tempo non sono quelli del potere e del capitale, della violenza che essi propongono o provocano, dobbiamo pero' conoscerli, studiarli, contrastarli. L'azione soffre di aver trascurato il pensiero, quando i suoi tempi si accelerano, e un pensiero senza azione serve a poco, cambia poco. Si tratta allora di agire su un doppio binario secondo modalita' difficili da gestire, che esigono ponderatezza e prontezza. Ma si tratta anche di saper giudicare la storia - per esempio, l'incidenza delle trasformazioni radicali, soggiacenti del sistema economico, e il peso delle "sovrastrutture" che quelle finiscono per sconvolgere o scatenare. E si tratta di sapere, nell'idealita' di una sintonia dei fini con i mezzi, cosa e' possibile proporre, cosa e' doveroso contrastare. Tutto questo Alex Langer ha, mi pare, tenuto in gran conto.
Dopo la secca sconfitta dei movimenti del dopo guerra mondiale, nel mondo di fantascienza realizzata e di nuova barbarie, di nuovi sistemi di dominio attuati (tra consumo e consenso) nei paesi ricchi, che in questo mortuario progetto sono riusciti a coinvolgere quelli poveri ma anche, a volte, a irritarli fino a provocare la loro risposta piu' tradizionale e micidiale, quella del fondamentalismo identitario e religioso, la sfida di Alex e' stata infine quella di molti, ma piu' lucida e vissuta con piu' radicale generosita', e' stata quella di non-accettare lo stato delle cose, di non darlo per scontato cercando e trovando al suo interno il proprio spazio, bensi' di metterlo in discussione fattivamente:con la rivolta, se necessario di pochi ma in funzione del tutti. Con maggiore comprensione da parte sua delle contraddizioni, della complessita' dei problemi, e si e' trattato allora per lui di viverle, le contraddizioni, secondo il filo rosso della propria coscienza e delle proprie convinzioni morali. Viverle, le contraddizioni - anche le nostre di complici e di oppressi allo stesso tempo - analizzandole senza paraocchi, e tentando di superarle nel fare, nel "ben fare". Contro le verita' provvisorie e i fumi delle ideologie, del vitalismo dimentico del sentimento dell'inquietudine e della domanda, o se vogliamo del tragico. Riconquistando alla responsabilita' verso la collettivita', verso la polis, il suo spazio centrale di azione per il cambiamento positivo, nella direzione dell'affermazione di una solidarieta' "che tutti fra se' confederati estima".
Si e' trattato insomma per Alex Langer e per pochi altri come lui, e si tratta per noi oggi, di superare la diffidenza antica e nuovissima per la politica, di continuare o ricominciare a occuparci della "cosa pubblica" con lo sguardo antico e nuovissimo di una vocazione insieme profondamente cristiana e limpidamente laica, e con la coscienza chiara dell'obbligo di superare i nostri limiti, di abbandonare le nostre acquiescenze, di abbattere i nostri luoghi comuni ridefinendo la politica a partire dagli obblighi di ciascuno, a partire dal gruppo (le minoranze eticamente determinate) e dal singolo, chiedendo a noi stessi il massimo, ma del possibile. E ricordando, come Alex Langer ha sempre avuto ben presente, che "non si lava con l'acqua sporca" (e' il rimprovero che Aldo Capitini faceva ai comunisti) ma anche - come diceva Charles Peguy parlando di coloro che criticavano chi agiva in nome di una purezza che la storia, e cioe' le necessita' dell'intervento, fanno impossibile - che le mani bisogna almeno averle, e che bisogna saperle usare.
Il sentiero di cresta su cui Alex si e' mosso (e l'immagine gli si addice, uomo di montagna e di confine) e' stato, spinto fin quasi all'estremo, il piu' esemplare ed educativo di tutti quelli percorsi dalla sua generazione, il piu' aperto al confronto con le contraddizioni della politica e anche il piu' autenticamente, coerentemente, lucidamente drammatico e vero. Di questo gli siamo grati, perche' e' anche a partire dalle riflessioni sulla sua scelta finale che si puo' ancora ricominciare, nella coscienza delle difficolta' e dei limiti delle nostre possibili scelte, della precarieta' e fragilita' della nostra condizione di uomini, dell'immane peso della storia ma anche della necessita' di reagire e di dare un senso alla brutalita' o al torpore della nostra vita con scelte degne, nobili, responsabili e chiare oggi piu' che mai.
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