Tutti abbiamo passato alcuni anni in cui l'Europa occidentale ha dovuto - non senza fatica - riscoprire la sua "altra faccia della luna", cioè i propri concittadini europei dell'Est. Caduti i muri e le cortine, una reciproca amputazione durata almeno mezzo secolo si sta lentamente ed assai contraddittoriamente rimarginando. Non si sono ammazzati vitelli grassi per il fratello ritrovato, piuttosto si è vista la penosa reazione di chi rifà i conti di un'eredità ritenuta già assegnata in esclusiva ed ora, invece, da spartire.
Oggi un'altra fratellanza affievolita o forse dimenticata è da riscoprire: quella euromediterranea. In anni passati in Italia si è assistiti ad un curioso dibattito geopolitico: chi voleva "entrare in Europa", reclamava spesso la necessità di staccarsi dal Mediterraneo, "dall'Africa", come talvolta si diceva in senso spregiativo. Anche nel resto d'Europa, l'attenzione al Mediterraneo negli ultimi anni ha subito alterne vicende, e si è ulteriormente resa precaria dalla guerra del Golfo in poi, dove si è invece consolidata una sorta di egemonia dell'asse USA-Stati petroliferi del Golfo (con l'Arabia Saudita in testa), con una forte influenza nel Mediterraneo che si è manifestata anche nella politica della spesa pubblica. Su ogni ECU investito dalla Comunità europea, se ne sono investiti dieci da parte degli USA ed altrettanti da parte dei petrolieri arabi. L'assenza di una comune politica mediterranea la si è vista non solo intorno alla guerra del Golfo: ancor più pesante la marginalità dell'Europa nel ritrovare la pace tra israeliani ed arabi, nel dialogo con i paesi "difficili" (come Libia, Siria, ecc.), in alcune ingiustizie ormai da troppo tempo sopportate (la divisione di Cipro, per esempio), nella ricerca di un nuovo ordine post-guerra-fredda anche nel Mediterraneo. La proposta, avanzata fin dai primi anni '90, di organizzare per quest'area una sorta di "Helsinki del Mediterraneo", cioè un quadro complessivo di accordi per la cooperazione e la sicurezza, è stata lasciata cadere; gli stessi governi che l'avevano caldeggiata (Spagna, Italia, poi anche Francia e Grecia), l'hanno messa nel dimenticatoio.
Oggi i governi si preoccupano di certi campanelli d'allarme, e tendono ad affrontarli, ma troppo spesso in modo solo repressivo: immigrazione incontrollata, tensioni sociali e "rivolte del pane", la crescita dell'integralismo islamico, i rischi del traffico illegale di droga e di armi... insomma, i pericoli più che le opportunità. La Conferenza inter-governativa euromediterranea, indetta dall'Unione europea per il prossimo novembre 1995 sotto presidenza spagnola, si prefigge - assai positivamente - un nuovo partenariato euromediterraneo, ma rischia di limitarsi a puntare al controllo di alcuni di questi fenomeni ritenuti minacciosi, attraverso accordi di cooperazione e di finanziamento, senza osare un disegno più ambizioso: un partenariato che porti ad una vera e propria Comunità euromediterranea, a fianco ed intrecciata con l'Unione europea.
D'altra parte forse non si può chiedere ai governi quanto dai cittadini e dalla società civile non è ancora sufficientemente sentito e condiviso.
E' questa oggi una sfida ed una possibilità di grande rilievo per i cittadini ed i gruppi europei e mediterranei. Non c'è nessun'altra area del mondo in cui in uno spazio così concentrato si trova un'eredità così comune e così diversificata insieme: al crocevia tra i tre continenti (Europa, Asia, Africa) e le tre grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo, Islam), in una cornice ambientale e monumentale con caratteristiche fortemente comuni ed oggi gravemente minacciata.
Ecco perchè riteniamo che sia tempo di affrontare anche dal basso la costruzione di una nuova fratellanza euromediterranea, e di accompagnare criticamente ed attivamente il processo che si svolge al livello delle istituzioni e dei governi. Una parte del volontariato europeo impegnato per la pace, per la cooperazione, per l'ambiente, per la giustizia tra nord e sud, per uno sviluppo umano e sociale sostenibile, già opera in questa dimensione. Ma se vogliamo davvero ravvivare e rinnovare il patrimonio comune che lega comunità, popoli, cittadini, eco-sistemi, economie e società mediterranee, ed intrecciarle con quell'altro grande processo di integrazione che oggi faticosamente avviene tra l'Occidente e l'Oriente del continente europeo, bisognerà sviluppare una nuova sensibilità, e cogliere le molte occasioni di azione ed inter-azione. Verdeuropa propone ai suoi lettori di dedicare a quest'obiettivo attenzione ed impegno.
Editoriale di VERDEUROPA, maggio 1995