Lettera dal Carcere di Birmingham del 16 Aprile 1963
di Martin Luther King

[Riproponendo il seguente testo, nuovamente ringraziamo Fulvio Cesare Manara per averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002.
Il testo seguente e' quello della celebre lettera del 16 aprile 1963 indirizzata dal carcere di Birmingham ad alcuni "cari colleghi nel sacerdozio", i vescovi Carpenter, Durick, Hardin e Harmon, il rabbino Grafman, i reverendi Murray, Ramage e Stallings]


16 aprile 1963
Miei cari confratelli,
mentre mi trovo relegato qui, nella prigione della citta' di Birmingham, mi
e' accaduto di leggere la vostra recente dichiarazione in cui le mie attuali
iniziative sono definite "imprudenti e intempestive". E' raro che mi
soffermi a rispondere alle critiche rivolte al mio lavoro e alle mie idee.
Se volessi mandare una risposta a tutti i messaggi di critica che capitano
sulla mia scrivania, i miei segretari dovrebbero dedicare quasi per intero
la giornata a questa corrispondenza, e a me non resterebbe il tempo per il
lavoro costruttivo. Ma poiche' mi sembrate autenticamente animati da buone
intenzioni, e proponete con sincerita' le vostre critiche, voglio cercare di
rispondere alla vostra dichiarazione in termini che mi auguro siano pacati e
ragionevoli.
*
Penso di dover dire perche' mi trovo qui a Birmingham, dato che a quanto
pare siete rimasti influenzati dal pregiudizio contro "gli estranei che si
intromettono". Ho l'onore di prestare servizio come presidente del Congresso
dei dirigenti cristiani del Sud (Sclc), un organismo operante in tutti gli
stati del Sud, con sede ad Atlanta in Georgia. Abbiamo circa ottantacinque
affiliate in tutto il territorio meridionale degli Stati Uniti, una delle
quali e' il Movimento cristiano dell'Alabama per i diritti umani. Spesso
mettiamo in comune con le nostre affiliate il personale e le risorse
finanziarie e formative. Diversi mesi orsono la nostra filiale di Birmingham
ci ha chiesto di tenerci pronti per impegnarci in un programma nonviolento
di azione diretta, se ne fosse stata riconosciuta la necessita'. Abbiamo
acconsentito subito, e quando e' stato il momento abbiamo tenuto fede alla
nostra promessa. Percio' io, insieme a diversi miei collaboratori
dell'associazione, sono qui perche' sono stato invitato a venire qui. Sono
qui perche' qui mi lega la mia organizzazione.
Ma in senso piu' fondamentale, sono a Birmingham perche' qui c'e'
l'ingiustizia. Cosi' come i profeti dell'VIII secolo a. C. lasciavano i loro
villaggi e portavano il loro "cosi' dice il Signore" ben oltre i confini
delle citta' in cui erano nati, e cosi' come l'apostolo Paolo lascio' il suo
villaggio di Tarso per portare il vangelo di Gesu' Cristo negli angoli
remoti del mondo grecoromano, allo stesso modo anch'io sono spinto a portare il vangelo della liberta' oltre la mia citta' natale. Come Paolo, devo
rispondere di continuo alla richiesta di aiuto che viene dalla Macedonia.
Inoltre, sono consapevole del fatto che tutte le comunita' e gli stati sono
in reciproca correlazione. Non posso starmene con le mani in mano ad
Atlanta, senza curarmi di quel che succede a Birmingham. L'ingiustizia che
si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque. Siamo presi in una
rete di reciprocita' alla quale non si puo' sfuggire, avvolti da un'unica
trama del destino. Qualunque cosa riguardi direttamente uno, riguarda in
modo indiretto tutti. Non potremo mai piu' permetterci di vivere con l'idea
ristretta e provinciale dell'"agitatore che viene da fuori". Chiunque viva
negli Stati Uniti, in qualunque localita' compresa nei suoi confini, non
potra' mai essere considerato uno di fuori.
*
Voi deplorate le manifestazioni che hanno luogo a Birmingham. Ma mi duole
dire che la vostra dichiarazione non esprime analoga preoccupazione per le
situazioni che hanno provocato le manifestazioni. Sono sicuro che nessuno di
voi vorrebbe accontentarsi delle analisi sociali piu' superficiali, che si
occupano soltanto degli effetti e non affrontano le cause. E' deplorevole
che a Birmingham abbiano luogo le manifestazioni, ma e' ancor piu'
deplorevole che in questa citta' la struttura di potere dei bianchi non
abbia lasciato alla comunita' nera nessun'altra scelta.
In una campagna nonviolenta ci sono quattro fasi fondamentali: la raccolta
dei fatti per determinare se le ingiustizie ci sono; la trattativa; la
purificazione di se stessi; l'azione diretta. A Birmingham siamo passati
attraverso tutte queste fasi. Un fatto non si puo' negare: questa comunita'
e' sprofondata nell'ingiustizia razziale. Birmingham e' forse la citta'
degli Stati Uniti dove il segregazionismo e' applicato nel modo piu' totale.
E' noto a tutti che si sono registrati numerosi casi di atroci brutalita'.
Nei tribunali i neri hanno subito gravi e vistose ingiustizie. A Birmingham
si sono avuti piu' attentati dinamitardi contro case e chiese di neri
rimasti impuniti che in qualsiasi altra citta' americana. Ecco i fatti della
dura e brutale realta'. A causa di questa situazione, i leader neri hanno
cercato di trattare con le autorita' locali. Ma queste ultime si sono sempre
rifiutate di iniziare un negoziato in buona fede.
Poi, lo scorso settembre si e' presentata l'occasione di trattare con i capi
del mondo economico di Birmingham. Durante questi colloqui, i commercianti avevano fatto alcune promesse: per esempio, di eliminare dagli esercizi pubblici le umilianti affissioni di carattere razziale. Basandosi su queste promesse, il reverendo Fred Shuttlesworth e i dirigenti del Movimento
cristiano dell'Alabama per i diritti umani avevano accettato una moratoria
di tutte le manifestazioni. Con il trascorrere delle settimane e dei mesi,
ci siamo resi conto di essere vittime di un impegno non mantenuto: i pochi
cartelli rimossi in seguito agli accordi presi venivano ripristinati; gli
altri erano sempre rimasti al loro posto.
Come era gia' accaduto tante volte in passato, le nostre speranze erano
state abbattute, e su di noi pesava l'ombra di una profonda delusione. Non
ci restava altra scelta che predisporci all'azione diretta, in cui avremmo
offerto il nostro stesso corpo come mezzo per presentare la nostra causa
davanti alla coscienza della comunita' locale e nazionale. Consapevoli delle
difficolta' del nostro compito, decidemmo di sottoporci a un processo di
purificazione. Organizzammo una serie di gruppi di lavoro sulla nonviolenza,
per chiedere piu' volte a noi stessi: "Sei in grado di ricevere colpi senza
restituirli?", "Sei in grado di sopportare la prova del carcere?".
*
Decidemmo di attuare il nostro programma di azione diretta nell'epoca della
Pasqua, sapendo che, dopo quello natalizio, si tratta del periodo dell'anno
in cui gli acquisti sono piu' numerosi. Sapevamo inoltre che l'azione
diretta sarebbe stata affiancata da un forte programma di astensione dai
consumi e ci sembrava che questo potesse essere il momento migliore per fare
pressione sui commercianti in modo da provocare i cambiamenti richiesti.
Poi pensammo che in marzo a Birmingham si sarebbe dovuto votare per eleggere il sindaco, e ci affrettammo a decidere di ritardare i nostri interventi
fino al giorno dopo le elezioni. Quando si seppe che l'assessore alla
pubblica sicurezza, Eugene "Bull" Connor, aveva accumulato abbastanza voti
da partecipare al ballottaggio, ancora una volta rimandammo l'inizio delle
attivita' al giorno dopo il ballottaggio stesso, per evitare che le nostre
manifestazioni potessero essere strumentalizzate. Come molti altri,
aspettavamo di assistere alla sconfitta di Connor, e per questo sopportavamo
un rinvio dietro l'altro. Ma dopo aver dato il nostro contributo a questa
necessita' della cittadinanza di Birmingham, pensavamo che il nostro
programma di azione diretta non potesse piu' essere rinviato.
*
Potreste chiedere: "Perche' optare per l'azione diretta? Perche' i sit?in, i
cortei e cosi' via? Non e' forse meglio percorrere la via del negoziato?".
Avete ragione di invocare la necessita' della trattativa; anzi, e' proprio
questo il fine che si prefigge l'azione diretta. L'azione diretta
nonviolenta cerca di creare una crisi cosi' acuta, di suscitare una tensione
cosi' insopportabile, da costringere una comunita', che si e' sempre
rifiutata di trattare, ad affrontare la situazione. L'azione diretta
nonviolenta cerca di accentuare gli aspetti drammatici del problema in modo
tale che non si possa piu' ignorarlo.
Potra' suonare piuttosto scandaloso che io consideri la creazione di uno
stato di tensione un aspetto dell'attivita' di chi aderisce alla resistenza
nonviolenta: ma devo confessare che la parola "tensione" non mi fa paura. Mi
oppongo sempre con fermezza alla tensione violenta, ma esiste un genere di
tensione costruttiva e nonviolenta che e' necessaria per crescere. Come
Socrate stimava necessario creare una tensione nella mente, cosi' che gli
individui si liberassero dalla servitu' dei miti e delle mezze verita',
elevandosi fino al regno dell'analisi creativa e della disamina oggettiva,
allo stesso modo dobbiamo comprendere la necessita' che questi pungoli della
nonviolenza riescano a creare nella societa' la tensione capace di aiutare
gli uomini a sollevarsi dagli abissi tenebrosi del pregiudizio e del
razzismo fino alle maestose altezze della comprensione e della fratellanza.
Il nostro programma di azione diretta si propone di creare una situazione
cosi' satura di crisi da aprire inevitabilmente la strada al negoziato.
Percio' nel vostro appello alla trattativa io concordo con voi. La nostra
amata terra del Sud e' rimasta troppo a lungo sprofondata in una palude, nel
tragico tentativo di vivere nel monologo invece che nel dialogo.
Nel vostro documento, un punto essenziale e' che l'azione intrapresa a
Birmingham da me e dai miei compagni e' intempestiva. Alcuni chiedono:
"Perche' non avete lasciato alla nuova amministrazione cittadina il tempo di
agire?". L'unica risposta che possa dare a questo interrogativo e' che la
nuova amministrazione di Birmingham dovra' essere pungolata quanto la
precedente, prima che agisca. Sbaglia di grosso chi pensa che l'elezione a
sindaco di Albert Boutwell portera' a Birmingham l'avvento dell'eta'
messianica. Boutwell e' una persona assai piu' garbata di Connor, ma
entrambi sono fautori del regime segregazionista, volti alla conservazione
dell'esistente. Io ho speranza che Boutwell possa essere cosi' ragionevole
da capire quanto sia futile contrastare con una resistenza massiccia
l'abolizione del segregazionismo. Ma non potra' capirlo senza la pressione
esercitata dai difensori dei diritti civili.
*
Amici miei, devo dirvi che noi non abbiamo ottenuto un solo progresso in
materia di diritti civili senza una decisa pressione esercitata con mezzi
legali e nonviolenti.
E' deplorevole, ma e' una realta' storica: e' raro che i gruppi privilegiati
rinuncino volontariamente ai loro privilegi. I singoli individui possono
ricevere una illuminazione morale e rinunciare per propria iniziativa a una
posizione ingiusta: ma, come ci ricorda Reinhold Niebuhr, i gruppi hanno la
tendenza a essere piu' immorali dei singoli.
Sappiamo per dolorosa esperienza che l'oppressore non concede mai la
liberta' per decisione spontanea: sono gli oppressi che devono esigere di
ottenerla. Francamente, non mi e' ancora accaduto di intraprendere una
campagna di azione diretta che apparisse "tempestiva" agli occhi di quanti
non hanno subito indebite sofferenze a causa del morbo segregazionista. Da
anni sento dire la parola "Aspettate!", che risuona all'orecchio di ogni
nero con stridente familiarita'. Questo "Aspettate" significa quasi sempre
"Mai". Noi dobbiamo arrivare a comprendere, insieme a uno dei nostri massimi giuristi, che "la giustizia ottenuta troppo tardi e' giustizia negata".
Noi aspettiamo da oltre 340 anni di ottenere i nostri diritti sanciti dalla
Costituzione e donati da Dio. Le nazioni asiatiche e africane si muovono con
velocita' supersonica verso l'indipendenza politica, mentre noi ancora ci
trasciniamo, al passo di un calessino all'antica, per cercare di ottenere
una tazza di caffe' al banco delle tavole calde. Forse dire "Aspettate" e'
facile per chi non e' mai stato ferito dalle frecce aguzze della
segregazione. Ma se uno vede plebaglie inferocite lasciate libere di
linciare vostra madre, vostro padre, di annegare i vostri fratelli e sorelle
a piacimento; se vede poliziotti pieni d'odio insultare, prendere a calci e
perfino uccidere i vostri fratelli e sorelle neri; se uno vede la stragrande
maggioranza dei venti milioni di suoi fratelli neri che soffocano, in una
gabbia di poverta' a tenuta stagna, nel bel mezzo di una societa' opulenta;
se uno sente che la lingua s'inceppa e le parole escono in un balbettio
perche' bisogna cercare di spiegare alla figlia di sei anni come mai non
puo' andare al parco pubblico di divertimenti che la televisione ha appena
finito di pubblicizzare, e si accorge che le vengono le lacrime agli occhi
appena sente che la Citta' dei divertimenti e' vietata ai bambini di colore,
e vede minacciose nubi di inferiorita' cominciare a formarsi nel suo piccolo
cielo mentale, e la sua personalita' cominciare a distorcersi nello sforzo
di maturare un inconscio rancore verso i bianchi; se uno deve cercare di
rispondere a un figlio di cinque anni che chiede: "Papa', ma perche' i
bianchi trattano cosi' male la gente di colore?"; se uno, quando fa un
viaggio in macchina, si trova costretto una notte dopo l'altra a dormire in
posizione disagiata, in un angolo dell'automobile, perche' non lo accettano
in nessun motel; se tutti i giorni, immancabilmente, uno vive incalzato da
umilianti cartelli su cui sta scritto "bianchi" e "di colore"; se il suo
nome di battesimo diventa "negraccio", il secondo nome "ragazzo" (qualunque sia la sua eta') e il cognome diventa "John", e se per sua moglie o sua madre nessuno usa mai il titolo di cortesia di "signora Taldeitali"; se il
fatto di essere un nero lo tormenta di giorno e l'ossessiona di notte, lo
costringe a vivere sempre in punta di piedi, senza sapere che cosa puo'
capitare da un momento all'altro, se lo fa sentire angustiato da ogni sorta
di paure interiori e da ogni sorta di risentimento verso l'esterno; se uno
non puo' mai smettere di lottare contro la corrosiva sensazione di "non
essere nessuno"... se tutte queste cose accadessero a voi, capireste perche'
per noi e' difficile aspettare.
Arriva il momento in cui la coppa della sopportazione trabocca, e gli uomini
non accettano piu' di sprofondare nell'abisso della disperazione. Spero,
signori, che possiate comprendere la nostra legittima e inevitabile
impazienza.
*
Sembrate molto in ansia per la nostra dichiarazione di disponibilita' a
violare la legge. Si tratta senza dubbio di una preoccupazione legittima.
Dal momento che con tanta diligenza noi insistiamo perche' sia osservata la
sentenza emanata nel 1954 dalla Corte suprema, in base alla quale il regime
segregazionista e' bandito dalle scuole pubbliche, potrebbe in effetti
apparire un paradosso che noi stessi, consapevolmente, ci disponiamo a
violare le leggi. Si potrebbe chiedere: "Come potete propugnare la
violazione di alcune leggi e l'osservanza di altre?". La risposta sta nel
fatto che ci sono due tipi di leggi: giuste e ingiuste. Sarei il primo a
invocare l'osservanza delle leggi giuste: abbiamo una responsabilita' non
soltanto legale, ma anche morale, che ci impone di obbedire alle leggi
giuste. Di converso, abbiamo anche la responsabilita' morale di disobbedire
alle leggi ingiuste: io concordo con sant'Agostino nel ritenere che "una
legge ingiusta non e' legge".
Ora, qual e' la differenza fra le une e le altre? Come si fa a stabilire se
una legge sia giusta o ingiusta? Una legge giusta e' un codice composto
dall'uomo che corrisponde alla legge morale o alla legge di Dio. Una legge
ingiusta e' un codice in disarmonia con la legge morale. Per usare il
linguaggio di san Tommaso d'Aquino: una legge ingiusta e' una legge umana
che non e' radicata nella legge eterna e naturale. Una legge che eleva la
personalita' umana e' giusta; una legge che degrada la personalita' umana e'
ingiusta.
Tutti gli statuti del segregazionismo sono ingiusti perche' il regime
segregazionista distorce l'anima e danneggia la personalita': al
segregazionista conferisce un falso senso di superiorita', a chi e' vittima
della segregazione un falso senso di inferiorita'. Per usare la terminologia
del filosofo ebreo Martin Buber, il segregazionismo sostituisce al rapporto
"Io?Tu" un rapporto "Io?Oggetto" (1), ossia finisce con il considerare le
persone come cose. Quindi il segregazionismo non e' soltanto privo di
fondamento politico, economico, sociologico: e' contrario alla morale e
peccaminoso. Paul Tillich dice che il peccato e' separazione. Il
segregazionismo non e' forse un'espressione esistenziale della tragica
separazione dell'uomo, della sua orribile alienazione, della sua atroce
peccaminosita'? Percio' io posso insistere perche' si osservi la sentenza
emanata dalla Corte suprema nel 1954, in quanto moralmente giusta; e posso
insistere perche' non si obbedisca alle ordinanze del regime
segregazionista, in quanto moralmente ingiuste.
Consideriamo un esempio piu' concreto di leggi giuste e ingiuste. E'
ingiusta la legge di cui un gruppo maggioritario per numero o per potenza
impone l'osservanza a un gruppo minoritario, mentre esenta se stesso dalla
stessa osservanza. Questa e' la differenza fatta legge. Allo stesso modo, la
legge giusta e' quella che una maggioranza impone alla minoranza di
osservare, essendo comunque disposta a osservarla a sua volta. Questa e
l'uguaglianza fatta legge.
Permettetemi di fornire un'altra spiegazione. Una legge e' ingiusta se viene
inflitta a una minoranza che, vedendosi negato il diritto di voto, non ha
contribuito affatto alla formulazione o all'approvazione della legge. Chi
puo' dire che il governo dell'Alabama, autore delle leggi segregazioniste
vigenti sul suo territorio, sia stato eletto democraticamente? In tutto
l'Alabama si adotta ogni sorta di espediente surrettizio per impedire ai
neri di essere registrati nelle liste elettorali, e in certe contee, dove
pure i neri costituiscono la maggioranza della popolazione, neppure uno solo
di loro e' presente nelle liste. E' possibile considerare conforme ai
richiesti criteri democratici una legge promulgata in simili circostanze?
Talvolta una legge e' giusta in apparenza e ingiusta nell'applicazione. Per
esempio, io sono stato arrestato con l'accusa di avere sfilato durante una
manifestazione non autorizzata. Ebbene, non c'e' niente di ingiusto in
un'ordinanza che richiede un'autorizzazione per poter sfilare in un corteo:
ma la stessa ordinanza diventa ingiusta quando e' usata per conservare il
regime segregazionista e per negare ai cittadini l'esercizio di un diritto
sancito dal Primo Emendamento, quello di riunirsi e protestare in forma
pacifica.
*
Spero che riusciate a comprendere la distinzione che cerco di far notare.
Non sono in nessun senso favorevole a chi elude o sfida la legge, come
vorrebbe il segregazionista violento. Il risultato sarebbe l'anarchia. Chi
infrange una legge ingiusta lo deve fare in modo aperto, con amore ed
essendo quindi disposto ad accettare la pena corrispondente. La mia opinione
e' che l'individuo che infrange una legge perche' la sua coscienza la
ritiene ingiusta, ed e' disposto ad accettare la pena del carcere per
risvegliare la coscienza della comunita' circa la sua ingiustizia, manifesta
in realta' il massimo rispetto per la legge.
S'intende che una simile forma di disobbedienza civile non e' affatto una
novita'. Ne esiste un esempio sublime nel rifiuto di Sidrac, Mesac e
Abdenago di obbedire al comando di Nabucodonosor [cfr. Dn, 3], in nome di
una legge morale piu' alta. E stata praticata in modo superbo dai primi
cristiani, che erano disposti ad affrontare leoni famelici e lasciarsi fare
a pezzi dal carnefice piuttosto che sottomettersi ad alcune leggi ingiuste
dell'impero romano. Fino a un certo punto, la liberta' di insegnamento di
oggi e' diventata una realta' grazie a Socrate, che pratico' la
disobbedienza civile. Nel nostro stesso paese, il "te' di Boston" (2) ha
rappresentato un gesto di disobbedienza civile su vasta scala.
Non dovremmo mai dimenticare che tutto quel che ha fatto Adolf Hitler in
Germania era "legale", e tutto quel che hanno fatto in Ungheria i
combattenti per la liberta' era "illegale". Nella Germania di Hitler aiutare
e confortare un ebreo era "illegale". Eppure sono sicuro che, se fossi
vissuto nella Germania di allora, avrei aiutato e confortato i miei fratelli
ebrei. Se oggi vivessi in un paese comunista, dove certi principi cari alla
fede cristiana sono banditi, propugnerei apertamente la disobbedienza alle
leggi antireligiose di quel paese.
*
Per onesta' devo confessare due cose a voi, miei fratelli cristiani ed
ebrei. In primo luogo, devo confessare che negli ultimi anni i bianchi di
opinioni moderate mi hanno dato una grave delusione. Starei quasi per
arrivare alla spiacevole conclusione che nel cammino dei neri verso la
liberta' l'ostacolo maggiore non e' l'aderente al "White Citizens Council"
[Consiglio dei cittadini bianchi], o l'affiliato del Ku Klux Klan, bensi' il
bianco moderato, che ha a cuore l'"ordine" piu' della giustizia; che
preferisce la pace negativa, ossia l'assenza di tensioni, a una pace
positiva, ossia la presenza della giustizia; che dice sempre: "Sono
d'accordo con voi per quanto riguarda gli obiettivi che vi prefiggete, ma
non posso essere d'accordo con i vostri metodi di azione diretta"; che
crede, nel suo paternalismo, di poter essere lui a determinare le scadenze
della liberta' di un altro; che vive secondo un concetto mitico del tempo e
continua a consigliare ai neri di attendere "un momento piu' propizio". La
scarsa comprensione da parte di persone bendisposte e' ben piu' frustrante
dell'assoluta incomprensione mostrata da chi e' maldisposto. L'accettazione
tiepida sconcerta assai piu' del rifiuto secco.
Io avevo sperato che i bianchi moderati comprendessero che la legge e
l'ordine esistono allo scopo di fondare la giustizia, e quando falliscono
questo obiettivo diventano dighe pericolosamente strutturate, ostruzioni
lungo il flusso del progresso sociale. Avevo sperato che i bianchi moderati
potessero comprendere come la tensione oggi presente negli stati del Sud sia
un passaggio necessario nella transizione da una perniciosa pace negativa,
in cui i neri accettavano passivamente il loro ingiusto destino, a una pace
sostanziale e positiva, in cui tutti gli uomini rispettino la dignita' e il
valore della persona umana. In effetti, noi che siamo impegnati nell'azione
diretta non siamo i creatori della tensione: ci limitiamo a portare in
superficie la tensione nascosta che gia' esiste; la portiamo alla luce, dove
puo' essere vista e affrontata. Come un foruncolo che non potrebbe mai
guarire se continua a rimanere coperto, e invece dev'essere esposto in tutta
la sua bruttura all'azione di aria e luce, i medicamenti naturali: cosi', se
vogliamo guarire l'ingiustizia, dobbiamo metterla a nudo, con tutte le
tensioni che un simile svelamento crea, esponendola alla luce della
coscienza umana, all'aria dell'opinione pubblica del paese.
*
Nel vostro documento dichiarate che le nostre azioni sono da condannare
perche', sebbene pacifiche, determinano lo scoppio della violenza. Ma una
simile asserzione e' davvero logica? Non e' un po' come condannare l'uomo
rapinato perche' il fatto di possedere del denaro ha determinato l'azione
malvagia della rapina? Non e' un po' come condannare Socrate perche' la sua
indefettibile dedizione alla verita' e le sue indagini filosofiche hanno
determinato l'azione di una plebaglia mal consigliata, che ha finito con
l'obbligarlo a bere la cicuta? Non e' un po' come condannare Gesu' perche'
l'unicita' della sua coscienza di Dio e la sua incessante devozione a Dio
hanno determinato l'azione malvagia della crocefissione? Dobbiamo deciderci
a capire che, secondo quanto affermato dalle coerenti sentenze dei tribunali
federali, non e' giusto insistere perche' un individuo smetta di adoperarsi
per vedere rispettati i propri diritti costituzionali fondamentali, con la
scusa che tale tentativo potrebbe provocare atti violenti. La societa' deve
proteggere il rapinato e punire il rapinatore.
Avevo sperato inoltre che i bianchi moderati respingessero la visione mitica
del tempo per quanto riguarda la lotta per la liberta'. Ho appena ricevuto
una lettera da un fratello bianco che vive in Texas. Mi scrive: "Tutti i
cristiani sanno che prima o poi ai popoli di colore sara' data la parita' di
diritti, ma puo' darsi che lei esageri nella sua ansia religiosa di
accelerare i tempi. Il cristianesimo ha impiegato quasi duemila anni per
arrivare dov'e' oggi. La dottrina di Cristo richiede tempo per scendere
sulla terra". Questo atteggiamento nasce da una concezione tragicamente
errata del tempo, dall'idea curiosa e irrazionale che lo scorrere del tempo
abbia in se stesso l'immancabile dote di guarire ogni male. In realta', il
tempo e' neutro: puo' essere usato in modo distruttivo oppure costruttivo.
Io ho la sensazione sempre piu' forte che le persone malintenzionate abbiano
saputo usare il tempo in modo assai piu' efficace, rispetto alle persone
benintenzionate. Nella nostra generazione dovremo pentirci non soltanto per
le parole e gli atti odiosi di cui sono responsabili i cattivi, ma anche per
lo spaventoso silenzio dei buoni. Il progresso umano non viaggia sui binari
dell'inevitabile: si produce grazie agli sforzi instancabili di uomini
disposti a collaborare con Dio, e senza il loro duro lavoro il tempo stesso
diventa un alleato delle forze della stagnazione sociale. Dobbiamo usare il
tempo in modo creativo, sapendo che i tempi sono sempre maturi per fare quel che e' giusto. E' adesso il momento giusto per attuare nella realta' la
promessa della democrazia, per trasformare la nostra elegia nazionale
sospesa in un salmo creativo di fraternita'. E' adesso il momento giusto per
sollevare la nostra politica nazionale dalle sabbie mobili dell'ingiustizia
razziale, fondandola sulla solida roccia della dignita' umana.
*
Voi definite estremiste le nostre iniziative a Birmingham. Sul momento sono
rimasto piuttosto deluso che dei confratelli vedessero le mie azioni
nonviolente come espressione di estremismo. Ho cominciato a riflettere sul
fatto che all'interno della comunita' nera mi trovo preso fra due forze
opposte. Una e' la forza dell'acquiescenza costituita in parte da neri che
dopo lunghi anni di oppressione hanno perduto a tal punto il rispetto di se'
e il sentimento di essere persone da arrivare a adattarsi al regime
segregazionista; e in parte, da un ristretto numero di neri appartenenti
alla classe media i quali, poiche' posseggono una certa misura di sicurezza
accademica ed economica e in certo modo traggono vantaggio dal
segregazionismo, sono diventati insensibili ai problemi delle masse. L'altra
forza e' costituita dal rancore e dall'odio, e si avvicina pericolosamente
all'idea di propugnare la violenza: si esprime nei diversi gruppi dei
nazionalisti neri che stanno nascendo in tutto il paese, fra i quali il piu'
vasto e celebre e' il movimento musulmano di Elijah Muhammad. Si tratta di
una formazione alimentata dal senso di frustrazione che coglie i neri di
fronte alla persistenza della discriminazione razziale, costituita da
persone che hanno perduto la fede nell'America, hanno ripudiato del tutto il
cristianesimo, e si sono persuase che l'uomo bianco e' un "demonio"
irrecuperabile.
Io ho cercato una posizione a meta' strada fra queste due forze: ho detto
che non dobbiamo imitare ne' il "non far niente" di chi si crogiola
nell'autocompiacimento ne' l'astio e la disperazione dei nazionalisti neri.
Infatti esiste la via eccellente, quella dell'amore e della protesta
nonviolenta. Sono grato a Dio per il fatto che grazie all'influenza della
chiesa nera, la via della nonviolenza sia diventata parte integrante della
nostra lotta.
Se non fosse emersa questa filosofia, oggi, ne sono convinto, in molte
strade del Sud il sangue scorrerebbe a fiumi. E inoltre sono convinto che se
i nostri fratelli bianchi liquidano con gli epiteti di "mestatori" e
"fomentatori di disordine" quanti di noi si dedicano all'azione diretta
nonviolenta, e se rifiutano di appoggiare i nostri tentativi nonviolenti,
milioni di neri saranno colti da frustrazione e disperazione, e cercheranno
sollievo e sicurezza nelle ideologie dei nazionalisti neri: un esito che non
mancherebbe di provocare uno spaventoso incubo razziale.
I popoli oppressi non possono rimanere oppressi per sempre. Prima o poi
l'anelito alla liberta' si manifesta, e questo e' accaduto ai neri
americani. Qualcosa nel loro intimo ha ricordato loro che per nascita hanno
diritto alla liberta', e qualcosa all'esterno ha ricordato loro che la
liberta' puo' essere ottenuta. Per vie consapevoli o inconsce, lo "spirito
dell'epoca" ha toccato anche loro, e insieme ai fratelli neri dell'Africa e
ai fratelli di pelle scura o gialla in Asia, in Sudamerica e nei Caraibi, i
neri degli Stati Uniti si muovono con un senso di grande urgenza verso la
terra promessa della giustizia razziale.
Se riconosciamo questa spinta vitale che coinvolge l'intera comunita' nera,
capiremo subito perche' si verificano le manifestazioni pubbliche. I neri
hanno molti risentimenti repressi e frustrazioni latenti, ai quali devono
dare libero sfogo. Percio' lasciateli sfilare in corteo; lasciateli andare
in pellegrinaggi di preghiera fin sotto il municipio; lasciateli partire per
i "viaggi della liberta'": e cercate di capire come mai devono fare queste
cose. Se le loro emozioni represse non potranno esprimersi in forme
nonviolente, cercheranno un'espressione violenta: e questa non e' una
minaccia, e' una realta' storica. Percio' io non ho detto al mio popolo:
"Sbarazzatevi della vostra insoddisfazione". Ho cercato piuttosto di dire
che questa insoddisfazione, normale e sana, puo' trovare modo di esprimersi
in forme creative, con l'azione diretta nonviolenta.
Ora una simile posizione viene definita estremista. Ma sebbene sul momento
mi disturbasse essere messo nel novero degli estremisti, continuando a
riflettere sull'argomento sono arrivato pian piano a ricavare una certa
soddisfazione da questa etichetta. Gesu' non era forse un estremista
dell'amore? "Amate i vostri nemici, fate bene a coloro che vi odiano,
benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi calunniano e vi
perseguitano" [Lc, 6, 27?28]. Amos non era forse un estremista della
giustizia? "Il diritto abbia il suo corso come l'acqua, e la giustizia come
un fiume perenne" [Am, 5, 24]. Paolo non era forse un estremista del vangelo
cristiano? "Io porto nel mio corpo le impronte di Gesu'" [Gal, 6, 171].
Martin Lutero non era forse un estremista? "Qui sto e non posso altrimenti,
che Dio mi aiuti". E John Bunyan: "Preferisco restare in prigione fino alla
fine dei miei giorni piuttosto che fare scempio della mia coscienza". E
Abraham Lincoln: "Questa nazione non puo' sopravvivere schiava per meta' e
libera per meta'". E Thomas Jefferson: "Noi riteniamo queste verita' essere
evidenti di per se': che tutti gli uomini sono creati uguali...".
Percio' non si tratta tanto di sapere se siamo estremisti o no, ma piuttosto
quale tipo di estremisti siamo. Siamo estremisti dell'odio o dell'amore?
Siamo estremisti nel difendere l'ingiustizia o nell'estendere l'ambito della
giustizia? Nella drammatica scena del calvario ci sono tre uomini
crocefissi. Non dobbiamo mai dimenticare che tutti e tre sono stati
crocefissi per lo stesso delitto, un delitto di estremismo: due erano
estremisti dell'immoralita', e quindi sono caduti al di sotto del loro
ambiente; il terzo, Gesu' Cristo, era un estremista dell'amore, della
verita', della bonta', e in virtu' di questo si e' innalzato al di sopra del
suo ambiente. Forse gli stati del Sud, la nazione e il mondo hanno un
estremo bisogno di estremisti creativi.
*
Avevo sperato che i bianchi moderati comprendessero questo bisogno. Forse ho peccato per eccessivo ottimismo; forse pretendevo troppo. Forse mi sarei
dovuto rendere conto che ben pochi appartenenti alla razza degli oppressori
possono comprendere i gemiti profondi e gli aneliti appassionati di chi
appartiene alla razza oppressa; e sono ancor piu' rari gli uomini dotati di
un'ampiezza di vedute tale da capire che occorre sradicare l'ingiustizia con
un'azione forte, persistente e determinata. Tuttavia provo gratitudine al
pensiero che alcuni dei nostri fratelli bianchi del Sud hanno colto il senso
di questa rivoluzione sociale e si sono impegnati per realizzarla. Sono
ancora troppo pochi per numero, ma la loro qualita' e' grande. Alcuni - come
Ralph McGill, Lillian Smith, Harry Golden, James McBride Dabbs, Ann Braden e Sarah Patton Boyle - hanno scritto sulla nostra lotta in modi eloquenti e profetici. Altri hanno marciato con noi in corteo lungo strade senza nome del Sud; si sono lasciati relegare in prigioni sudicie e infestate di
scarafaggi, a patire gli insulti e la brutalita' dei poliziotti che li
considerano "sporchi amici dei musi neri". A differenza di molti loro
fratelli e sorelle di vedute moderate, hanno compreso la spinta impellente
di questo momento storico, hanno sentito la necessita' del potente antidoto
dell' azione per combattere il male del segregazionismo.
*
Diro' adesso della seconda grossa delusione che ho provato. Sono rimasto
gravemente deluso dalla chiesa bianca e dalle sue gerarchie. Ci sono,
s'intende, alcune eccezioni degne di nota. Non dimentico che ci sono state
importanti occasioni in cui ognuno di voi ha preso posizione su questo
problema. La elogio, reverendo Stallings, per l'atteggiamento cristiano che
ha assunto la scorsa domenica, accogliendo i neri al culto da lei presieduto
e quindi rifiutando il segregazionismo. Elogio le autorita' cattoliche di
questo stato per aver introdotto l'integrazione razziale nello Spring Hill
College diversi anni orsono.
Ma nonostante queste eccezioni degne di nota, devo in tutta onesta' ripetere
che la chiesa mi ha deluso. Non lo dico come certi critici distruttivi, che
trovano sempre qualcosa da rimproverare alla chiesa. Lo dico come ministro
del vangelo che ama la chiesa, che e' stato allevato nel suo seno, sostenuto
dalle sue benedizioni spirituali e che le restera' fedele per quanto si
prolunghera' il filo della vita.
Alcuni anni fa, quando mi sono trovato scaraventato all'improvviso alla
guida della protesta degli autobus a Montgomery, nell'Alabama, pensavo che
la chiesa dei bianchi ci avrebbe sostenuto. Pensavo che i ministri del culto
protestante, i sacerdoti cattolici, i rabbini del Sud sarebbero stati i
nostri piu' forti alleati. Invece, alcuni si sono opposti a noi in modo
diretto, rifiutando di comprendere il movimento per la liberta' e
descrivendo i suoi dirigenti sotto una luce inesatta; e fra gli altri, fin
troppi si sono mostrati cauti piuttosto che coraggiosi, restando in silenzio
dietro la sicurezza anestetizzante delle vetrate istoriate.
A dispetto della disillusione subita, sono arrivato a Birmingham sperando
che i capi religiosi bianchi di questa comunita' avrebbero compreso la
giustezza della nostra causa, e per una profonda esigenza morale si
sarebbero posti come il canale attraverso il quale far giungere le nostre
giuste lagnanze alla struttura del potere. Avevo sperato che tutti voi
sapeste comprendere; ma sono stato ancora una volta deluso.
Ho udito numerosi capi religiosi del Sud esortare i loro fedeli a
conformarsi a una sentenza che abolisce il segregazionismo perche' questa e'
la legge, ma avrei tanto desiderato sentire i ministri del culto bianchi
dichiarare: "Obbedite a questo decreto perche' l'integrazione e' moralmente
giusta, e perche' i neri sono vostri fratelli".
Mentre ai neri venivano inflitte le piu' eclatanti ingiustizie, ho visto
ecclesiastici bianchi restare in disparte a mormorare commenti devoti del
tutto fuori tema, oppure banalita' da bigotti.
Mentre imperversava una battaglia poderosa per liberare la nostra nazione
dall'ingiustizia economica e razziale, ho sentito molti ministri dire: "Sono
problemi sociali, che non riguardano davvero il vangelo". E ho visto molte
chiese dedicarsi a una religione del tutto ultramondana, che traccia una
strana distinzione, estranea alla Bibbia, tra corpo e anima, tra sacro e
laico.
Ho viaggiato in lungo e in largo in Alabama, nel Mississippi e in tutti gli
altri stati del Sud. Nelle afose giornate estive e nelle frizzanti mattinate
autunnali ho guardato le bellissime chiese del Sud, con le loro alte guglie
puntate verso il cielo. Ho osservato il profilo imponente degli edifici dove
si attua l'educazione religiosa. Mi sono sorpreso piu' e piu' volte a
pensare: "Di che genere sono le persone che pregano qui? Chi e' il loro Dio?
Dov'era la loro voce quando dalle labbra del governatore Barnett scaturivano
parole di compromesso interlocutorio e di nullification (3)? Dov'erano,
quando il governatore Wallace faceva risuonare una fanfara di sfida e di
odio? Dov'erano le loro voci a sostegno quando uomini e donne neri, feriti e
stanchi, hanno deciso di sollevarsi dalle buie segrete dell'autocompiacimento fino ai monti luminosi della protesta creativa?".
Si', questi interrogativi sono ancora nella mia mente. Profondamente deluso,
ho pianto per la negligenza della chiesa. Ma siate certi che le mie lacrime
erano lacrime d'amore. Non puo' esserci una profonda delusione se non dove
c'e' un profondo amore. Si', io amo la chiesa. Come potrei non amarla? Mi
trovo in una situazione unica: sono il figlio, il nipote e il pronipote di
pastori. Si', vedo la chiesa come il corpo di Cristo. Ma, ahime', di quanti
sfregi e cicatrici abbiamo coperto questo corpo, per negligenza verso la
societa' e per la paura di apparire non conformisti!
C'e' stato un tempo in cui la chiesa era molto potente: il tempo in cui i
primi cristiani si rallegravano per essere considerati degni di soffrire per
quello in cui credevano. Allora la chiesa non era un semplice termometro che
misurava le idee e i principi dell'opinione pubblica: era un termostato, che
trasformava il costume della societa'. Quando i primi cristiani entravano in
una citta', le autorita' si allarmavano e subito cercavano di imprigionare i
cristiani perche' "disturbavano l'ordine pubblico" ed erano "agitatori
venuti da fuori". Ma i cristiani non cedettero, convinti di essere "una
colonia del cielo", chiamati a obbedire a Dio e non agli uomini. Erano un
piccolo numero, ma la loro dedizione era grande. Erano troppo inebriati di
Dio per cedere a "intimidazioni spaventose". Con il loro impegno e il loro
esempio misero fine a mali antichi, come l'infanticidio e le lotte fra i
gladiatori.
Oggi la situazione e' diversa. Troppo spesso la chiesa di oggi e' una voce
inefficace, debole, dal suono incerto. Troppo spesso e' la prima a difendere
lo status quo. Per lo piu', la struttura di potere di una comunita' non e'
affatto allarmata dalla presenza della chiesa, anzi e' confortata dalla
silenziosa - e spesso perfino stentorea - approvazione dello status quo da
parte della chiesa stessa.
Ma sulla chiesa incombe il giudizio di Dio, come non era mai accaduto prima.
Se la chiesa di oggi non recupera lo spirito di sacrificio della comunita'
ecclesiale dei primi tempi, perdera' la sua autenticita', rendera' vana la
fedelta' di milioni di aderenti, e sara' messa da parte come una
associazione qualunque, priva di qualsiasi senso per il XX. secolo. Tutti i
giorni incontro dei giovani in cui la delusione nei confronti della chiesa
si e' trasformata in vera e propria avversione.
*
Forse sono ancora una volta troppo ottimista. Forse la religione organizzata
e' legata allo status quo da nodi talmente inestricabili da non essere in
grado di salvare la nazione e il mondo intero? Forse devo rivolgere la mia
fede alla chiesa interiore e spirituale, la chiesa all'interno della chiesa,
come vera ecclesia e speranza del mondo. Ma anche qui, sono grato a Dio che
nelle file della religione organizzata alcune anime nobili si siano liberate
dalle catene paralizzanti del conformismo e si siano unite a noi per
prendere parte attiva alla lotta per la liberta'. Hanno lasciato la
sicurezza delle loro congregazioni e insieme a noi hanno percorso le strade
di Albany in Georgia. Hanno viaggiato per le autostrade del Sud nei tortuosi
percorsi dei "viaggi della liberta'". Si', sono andati in prigione con noi.
Alcuni sono stati espulsi dalle loro chiese, hanno perduto il sostegno dei
loro vescovi e confratelli ecclesiastici. Ma hanno agito sostenuti da una
fede assoluta: che la giusta ragione, anche quando viene sconfitta, e' piu'
forte del male trionfante. La loro testimonianza e' stata il sale dello
spirito che in questi tempi tumultuosi ha preservato intatto il significato
autentico del vangelo. Sono riusciti a scavare una galleria di speranza
nella montagna tenebrosa della delusione.
Io spero che la chiesa nel suo insieme raccogliera' la sfida di quest'ora
decisiva. Ma anche se la chiesa non dovesse venire in aiuto della giustizia,
non dispero del futuro. Non ho timore circa l'esito della nostra lotta a
Birmingham, anche se per ora le nostre motivazioni rimangono incomprese.
Raggiungeremo il traguardo della liberta', a Birmingham e in tutta la
nazione, perche' la liberta' e' l'obiettivo dell'America. Per quanto
maltrattati e vilipesi, il nostro destino e' legato a quello dell'America.
Prima che i pellegrini sbarcassero a Plymouth, noi eravamo qui. Prima che la
penna di Jefferson vergasse le solenni parole della Dichiarazione
d'indipendenza sulle pagine della storia, noi eravamo qui. Per oltre due
secoli i nostri antenati hanno lavorato in questo paese senza ricevere
compenso; hanno fatto del cotone una ricchezza; hanno costruito le case dei
loro padroni mentre pativano macroscopiche ingiustizie e vergognose
umiliazioni: e tuttavia, grazie a una inesauribile vitalita', hanno
continuato a crescere e a svilupparsi. Se le crudelta' inaudite della
schiavitu' non sono riuscite a fermarci, l'opposizione con cui oggi abbiamo
a che fare dovra' senza dubbio fallire. Noi conquisteremo la nostra
liberta', perche' nelle nostre reiterate richieste si incarnano il sacro
retaggio della nostra nazione e l'eterna volonta' di Dio.
*
Prima di concludere mi sento in dovere di citare ancora un punto della
vostra dichiarazione che ha suscitato in me un profondo turbamento: il
caloroso elogio che rivolgete alla polizia di Birmingham per aver mantenuto
"l'ordine" e "impedito atti di violenza". Dubito che la vostra lode sarebbe
stata altrettanto calorosa se aveste visto i cani della polizia affondare i
denti nella carne di neri disarmati e nonviolenti. Dubito che avreste avuto
tanta fretta nell'elogiare i poliziotti se aveste potuto osservare il modo
sgradevole e disumano in cui trattano i neri qui nella prigione cittadina;
se li aveste visti mentre prendevano a spintoni e insultavano anziane donne
e ragazze nere; se li aveste visti prendere a schiaffi e a calci neri vecchi
e giovani; se li aveste visti, com'e' accaduto in due occasioni, mentre si
rifiutavano di darci da mangiare perche' volevamo cantare insieme la
preghiera di ringraziamento per il nostro cibo. Nell'elogio della polizia di
Birmingham non posso unirmi a voi.
E' vero che gli agenti hanno mostrato una certa disciplina nell'affrontare i
manifestanti; in questo senso, in pubblico si sono comportati in modo
abbastanza "nonviolento". Ma a quale scopo? Per continuare a proteggere il
malvagio regime segregazionista. Negli ultimi anni ho sempre predicato che
la nonviolenza esige di usare mezzi puri quanto gli obiettivi che ci si
prefigge. Ho cercato di spiegare con chiarezza come sia sbagliato usare
mezzi immorali per ottenere fini morali. Ma ora devo affermare che e'
altrettanto sbagliato, o forse e' ancor piu' sbagliato, usare mezzi morali
per difendere fini immorali. Forse Connor e i suoi poliziotti sono stati
abbastanza "nonviolenti" in pubblico, come lo e' stato ad Albany il capo
Pritchett: ma gli uni e gli altri si sono serviti di un mezzo ineccepibile
dal punto di vista morale, la non violenza, per difendere il fine immorale
dell'ingiustizia razziale. Ricordo T. S. Eliot: "L'ultima tentazione e' il
piu' grande tradimento: compiere la retta azione per uno scopo sbagliato".
*
Avrei voluto vedervi lodare i neri che hanno partecipato ai sit-in e alle
manifestazioni di Birmingham: per il loro sublime coraggio, per la
disponibilita' a soffrire, per la stupefacente disciplina dimostrata
nonostante le forti provocazioni. Un giorno il Sud sapra' riconoscere i suoi
veri eroi. Saranno i James Meredith, dotati di quella nobile risolutezza che
li rende capaci di affrontare lo scherno e l'ostilita' di folle rabbiose e
caratterizzati dalla dolorosa solitudine tipica della vita del pioniere.
Saranno le vecchie donne nere, oppresse, maltrattate, personificate da
quella settantaduenne di Montgomery, che facendo appello al senso della
dignita', insieme al suo popolo decise di non salire piu' sugli autobus
sottoposti al regime segregazionista, e a chi le domandava se fosse stanca
dette una risposta tanto sgrammaticata quanto profonda: "Ho i piedi che non
me li sento piu', ma ho l'anima in pace". Saranno gli studenti del liceo e
del college, i giovani predicatori del vangelo e uno stuolo di loro
confratelli piu' anziani: tutti, con coraggio e senza usare la violenza,
pronti a sedersi al banco delle tavole calde, e disposti ad andare in
prigione per il rispetto della propria coscienza. Un giorno il Sud sapra'
che quando questi figli di Dio diseredati si sono seduti al banco di una
tavola calda, in realta' si stavano schierando a favore della parte migliore
del sogno americano, a favore dei valori piu' sacri del nostro retaggio
giudaico-cristiano, e cosi' facendo riportavano la nostra nazione ad
attingere ai grandi pozzi della democrazia, scavati dai padri fondatori
degli Stati Uniti quando avevano formulato la Costituzione e la
Dichiarazione di indipendenza.
*
Non avevo mai scritto una lettera tanto lunga. Temo che sia davvero troppo
lunga per il vostro tempo prezioso. Posso assicurarvi che sarebbe stata
assai piu' breve se avessi potuto scriverla seduto a una comoda scrivania,
ma che cosa resta da fare, a chi si trova nell'angusta cella di una
prigione, se non scrivere lunghe lettere, dedicarsi a lunghe riflessioni e
pregare a lungo?
Se in questa lettera ho detto qualcosa che dipinge la verita' in colori
troppo accesi e indica impazienza irragionevole, vi prego di perdonarmi. Se
ho detto qualcosa che dipinge la verita' in colori troppo smorti e indica
che la mia capacita' di pazientare mi permette di accettare qualcosa di meno
della fraternita', prego Dio di perdonarmi.
Spero che la mia lettera vi trovi forti nella fede. Spero inoltre che presto
le circostanze mi permettano di incontrarvi , non come fautore
dell'integrazione o dirigente del movimento per i diritti civili, ma come
collega nel ministero religioso e fratello in Cristo. E tutti insieme
speriamo che le nere nubi del pregiudizio razziale si diradino presto, e la
fitta nebbia del malinteso si allontani dalle nostre comunita' sommerse
dalla paura, e che in un domani non troppo lontano le stelle luminose
dell'amore e della fraternita' risplendano sulla nostra grande nazione in
tutta la loro sfavillante bellezza.
Vostro per la causa della pace e della fraternita',
Martin Luther King junior
*
Note [del curatore dell'opuscolo da cui e' tratta questa traduzione]
1. La nozione del principio dialogico e' essenziale nel pensiero di Martin
Buber (1878-1965): se l'ambito dell'esperienza e della casualita' e'
espressione di un uso manipolatorio dell'oggetto (Esso) da parte del se'
(Io), l'essere umano autentico si fonda invece sulla presa di coscienza del
singolo individuo in quanto soggettivita'. L'Io che si coglie quale
soggettivita' vive la propria esistenza come dialogo Io?Tu, ovvero come il
dispiegarsi di una relazione totale con tutti gli enti naturali, umani e
spirituali che e', nello stesso tempo, fonte di liberta'.
2. "Boston Tea Party": nella notte del 16 dicembre 1773, un gruppo di coloni
americani, travestiti da indiani, gettarono in mare l'intero carico di te'
(bene di consumo diffusissimo su cui gravava un'odiosa tassa a favore della
corona inglese) di una nave della Compagnia inglese delle Indie orientali
ormeggiata nel porto di Boston.
3. Politica di uno stato tendente a impedire l'applicazione di una legge
federale nel proprio territorio.



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