La pace creativa
di Laura Silvia Battaglia

Milano, 18 DICEMBRE 2006
Per Cattolica News magazine on line dell’Università Cattolica

Come gestire un conflitto: la lezione del ricercatore norvegese, uno degli studiosi più noti a livello mondiale sul tema della pace e della nonviolenza
[Pubblicato: 04/01/2007]
È venuto in Cattolica per contare con gli studenti, a uno a uno, tutti i gradini della nonviolenza. E non è una novità, questa, per Johan Galtung, il norvegese professore di Ricerca sulla pace a Oslo, consigliere per le Nazioni Unite, fondatore e condirettore di Trascend, istituto che promuove mediazioni di pace per paesi in conflitto. Perché Galtung ha impiegato tutta la sua vita a codificare i processi di pace, a studiare i principi della nonviolenza di Mahatma Gandhi e a scegliere la pace come approdo di ogni conflitto, dopo avere conosciuto la deportazione del padre e il carcere per obiezione di coscienza.
Galtung è ospite del dipartimento di Sociologia. Introdotto da Michele Colasanto, direttore dell’istituto, e affiancato dai docenti Simona Beretta e Giancarlo Rovati, per questo incontro organizzato da Marco Caselli, ha scelto di affrontare il tema: La mediazione non governativa.
L’obiettivo è illustrare cos’è la pace per capire poi come farla. E Galtung fa capire subito che la pace non è una faccenda teorica, per lui, ma pratica, praticissima. "La pace non è assenza di conflitto – esordisce – perché con l’espressione “assenza di conflitto” si intende una condizione che prevede una difesa per la sicurezza dei Paesi. La verifica della pace sta invece proprio nella capacità di gestire il conflitto, piuttosto che in quella di procurarlo". Una definizione che implica tre punti: il conflitto può essere trasformato se le persone implicate in esso lo gestiscono creativamente, se trascendono le incompatibilità e se agiscono nel conflitto senza ricorrere alla violenza. Facile a dirsi, difficile a farsi. Per Johan Galtung la chiave di tutto risiede nella creatività: "Gli attori del processo di pace dovrebbero essere nonviolenti e creativi. E la trasformazione, attraverso incontri o conferenze, deve essere pacifica in se stessa, cioè a bassa violenza strutturale e culturale". In sostanza, quando un processo di trasformazione è in corso di realizzazione, le strutture verticali, elitarie, dovrebbero essere evitate. Per questo Galtung è un sostenitore del compromesso, purché sia positivo. Vale a dire purché introduca nei processi di mediazione degli elementi nuovi, che di solito la diplomazia ufficiale non tratta e che non sono stati contemplati attraverso soluzioni precedenti da parte dei governanti interessati.
Con questa filosofia l’istituto “Trascend” di Galtung è già intervenuto in alcune situazioni di conflitto: ad esempio, durante i contrasti tra Perù ed Ecuador, per un classico del contendere tra Stati: terre di confine rivendicate da entrambi i Paesi e che, grazie a “Trascend”, sono diventate una zona bi-nazionale destinata a parco naturale. Oppure nel caso delle cosiddette vignette sataniche, un episodio che stava per mettere a ferro e fuoco il mondo e che Galtung e i suoi hanno cercato di trasformare in un’occasione di confronto, piuttosto che di dibattito, tra la Danimarca e il mondo islamico. "La cosa che conta è portare il dialogo fino al consenso, piuttosto che il dibattito fino alla dittatura della maggioranza", spiega Galtung.
Ma quali sono, di solito, i principali ostacoli verso una mediazione di pace? Galtung lo sa bene e li elenca: "Il primo è l’individualismo, la cultura dell’io, che domina indisturbata in molte situazioni di conflitto irrisolto; aggiungerei la mancanza di rispetto, che viene fuori nel caso di scontri culturali, come è stato per le vignette sataniche, e la consapevolezza che ci sono ancora valori nel mondo non commerciabili, non monetizzabili: molte relazioni si basano ancora sul rapporto umano. Per fortuna". Ecco che, insieme agli ostacoli, Johann Galtung suggerisce anche gli antidoti al conflitto. Il primo, tra i più antichi del mondo, è chiedere scusa. Il secondo è entrare sempre nei dettagli, durante la negoziazione, per motivare la possibile soluzione del contendere. Il terzo: essere propositivi, trovare una soluzione per il futuro fatta non di parole ma di obiettivi concreti.
Un esempio più concreto che non si può? Quando Galtung risolse un matrimonio quasi franato facendosi promettere solennemente dai coniugi che avrebbero giocato un’ultima carta, molto pragmatica, per perdonarsi: l’apertura di un bar. Nulla di strano e tutto vero, ma "più facile – chiosa Galtung, tra gli applausi degli studenti – che convincere Bush a fare pace col mondo".


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