http://www.nena-news.com Rachel Corrie, La Deposizione del “Milite Ignoto” Nei giorni scorsi, nascosto dietro un pannello di legno, ha risposto alle domande dei giudici di Haifa il soldato che, alla guida di un bulldozer, travolse e uccise a Rafah la giovane attivista statunitense SERVIZIO DI ELENA ARANTES Haifa, 28 ottobre 2010, Nena News Continuano le udienze, a porte chiuse, del processo civile intentato dai cittadini statunitensi Cindy e Craig Corrie contro lo Stato d’Israele per l’uccisione della loro figlia, Rachel, sette anni fa a Rafah mentre provata ad impedire la demolizione di una abitazione civile palestinese da parte di una riuspa militare israeliana. «Sì», ha giurato una settimana fa, nascosto dietro un pannello, di fronte ai giudici del tribunale distrettuale di Haifa, il soldato Y. P., più noto come il «milite ignoto». Y.P. conosceva il regolamento dell’esercito israeliano che proibisce l’utilizzo del bulldozer Caterpillar D9R entro una distanza dieci metri da civili. «Sì», ha confermato, sapeva che erano presenti civili mentre operava la ruspa il 16 marzo 2003 per spianare le case palestinesi di Rafah vicine alla frontiera meridionale della Striscia di Gaza. «No», ha aggiunto, non ha smesso di «lavorare», perché aveva ricevuto l’ordin di continuare: «Io sono solo un soldato», si è difeso, «non ero io a dare gli ordini». Il soldato Y.P., al volante del D9R, la mattina del 16 marzo 2003 ha trovato ad ostacolare il suo «lavoro», l’americana Rachel Corrie, pacifista 23enne con adosso una giacca arancione fosforescente, che non si è spostata dalla traiettoria della massiccia ruspa armata, ma che ha continuato a gridare in un altoparlante a Y.P. e al suo comandante di ritirarsi. Y.P. ha continuato diritto, però, e l’ha investita in pieno. Corrie, assieme a sei altri attivisti dell’ISM (International Solidarity Movement), erano presenti e attivi sul posto da più ore. Tentavano di proteggere le case di due famiglie palestinesi dalla demolizione tramite l’azione diretta non violenta, posizionandosi come scudi umani fra le ruspe e queste case. L’autista ha sempre dichiarato di non aver visto Rachel, ma la causa intentata dalla famiglia Correi nel 2005 è di omicidio intenzionale. La famiglia accusa inoltre il governo israeliano di negligenza, in quanto ha permesso al suo personale militare di adoperare una ruspa blindata in modo rischioso senza tenere sufficientemente in conto della presenza di civili. Y.P. ha testimoniato per 4 ore, ricordandosi a malapena della data dell’uccisione di Rachel e dell’ora in cui era accaduta. La sua testimonianza è sembrata confusa e le sue affermazioni sotto giuramento spesso ha contraddetto la deposizione che fornì agli investigatori militari nel 2003. Pareva avere difficoltà a leggere e a capire il verbale che lui stesso firmò nell’aprile 2003. Y.P. ha confermato che dopo essere passato sopra Corrie una volta e poi una seconda in retromarcia, lei si trovava per terra fra il suo bulldozer e il mucchio di terra che aveva spostato, un’asserzione che contraddice quella della sua comandante (di cui si attende la deposizione in tribunale), anche lei nel bulldozer, che posizionò il corpo di Rachel altrove. Quando è stato chiesto a Y.P. se voleva cambiare la sua deposizione a causa di questa discrepanza, ha replicato «no» con fermezza. «Purtroppo», ha commentato Cindy Corrie riferendosi alla mancanza di rimorso espresso dal soldato, «l’indifferenza è quanto ho avvertito dall’altro lato dello schermo». La madre di Rachel ha sottolineato la delusione della famiglia per il rifiuto della richiesta di poter vedere in faccia l’uomo che aveva ucciso la figlia. Gli avvocati dello Stato lo scorso 7 ottobre avevano ottenuto la possibilità di lasciar testimoniare i soldati coinvolti nel processo da dietro uno schermo. La famiglia Corrie si era subito appellata alla Corte Suprema israeliana per far annullare la decisione sostenendo che permettere ai soldati di testimoniare in modo anonimo impedisce lo svolgimento di un processo aperto, giusto e trasparente. L’appello è ancora in corso. Sino ad oggi lo Stato di Israele ha avuto diverse testimonianze a suo favore, fra cui quella dell’ufficiale che ha diretto l’indagine sulla morte di Rachel Corrie e il colonnello ingegnere «Yossi», che ha lasciato la sua deposizione come esperto per lo Stato all’inizio del mese scorso. Quando gli hanno chiesto della presenza di civili durante le operazioni di demolizione di case palestinesi a Rafah, il colonnello «Yossi» ha ripetuto più volte dal banco dei testimoni: «non ci sono civili in una zona di guerra». L’affermazione annulla in modo categorico un principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, vale a dire la distinzione fra combattenti e non combattenti in zone di conflitto armato, comprese le «zone di guerra». Inoltre, la disparità enorme di potere fra le parti in conflitto da un lato Israele, l’occupante e, probabilmente, la quarta potenza militare nel mondo; e dall’altro i palestinesi, un popolo occupato, privo di uno Stato, un esercito, un’economia autonoma e con un controllo minimo sulle sue risorse naturali, sulle sue frontiere, e sul suo diritto di movimento interno, scuote fortemente la definizione del colonnello israeliano «Yossi» di cosa costituisce una «zona di guerra». Fra il 2000 e il 2005, l’esercito israeliano ha distrutto 1.600 edifici a Rafah, una fra le zone più povere e isolate della Striscia di Gaza, per creare una «zona cuscinetto» lungo la frontiera sud, lasciando senza tetto circa il 10% dei civili palestinesi della terza città di Gaza (l’82,5% dei quali sono profughi). A giugno del 2004, le demolizioni delle case a Rafah raggiunsero la media scioccante di 100 abitazioni distrutte al mese, e un comunicato dalle agenzie dell’Onu, Unrwa e Ocha, manifestò «grave preoccupazione» per le distruzioni delle case denunciando una aperta violazione del diritto internazionale. A gennaio 2003, quando Rachel Corrie arrivò a Rafah, gli israeliani distruggevano in media12 case palestinesi la settimana. Questa città densamente popolata, quindi, si sarebbe sicuramente potuta definire un’enorme «zona di demolizione» israeliana, qualcosa di troppo diverso da una zona di guerra. Il 16 marzo 2003, l’unica forma di resistenza che l’esercito ha incontrato, è stato un gruppo di sette pacifisti britannici e americani fermi in piedi nella traiettoria delle ruspe blindate. Il risultato, qualche giorno dopo, è stata la morte di Rachel Corrie. In una email a sua madre del 28 febbraio, 2003, Rachel scrisse della gente di Rafah: “…Sto anche scoprendo una quantità di forza e di capacità delle persone di restare umani nelle circostanze più disperate…Penso che la parola sia: dignità. Magari potessi fare la conoscenza di queste persone. Forse un giorno la farò”. Più di 15.000 civili palestinesi hanno perso le loro case, i loro pochi averi e, in alcuni casi, le loro vite a causa dei bulldozer D9R israeliani a Rafah. A Haifa intanto, i «militi ignoti» di Israele testimoniano apparentemente senza rimorso da dietro uno schermo in una aula di tribunale chiusa, mentre i loro colonnelli negano apertamente la presenza, e l’esistenza stessa, di civili come Rachel Corrie ed i molti altri ignoti di Gaza. Nena News
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