Caro Bertinotti,
abbiamo letto, nel "Corriere della Sera" dell11 dicembre scorso, una sua lettera al direttore sulle "
due questioni che sono al centro del nostro impegno politico: il comunismo e la non violenza
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Siamo amici vecchi e nuovi di Aldo Capitini e le sue argomentazioni ci hanno profondamente interessato.
Lei scrive che:
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Nel tempo della guerra e del terrorismo non è possibile parlare di comunismo se non si sradica da esso ogni riferimento alla violenza.
E non si può parlare, in un mondo così organicamente ingiusto, di non violenza se non all'interno della rinascita di un'ipotesi di trasformazione della società. Oggi la guerra e il terrorismo ci stanno conducendo in una crisi di civiltà che può avere conseguente devastanti per l'umanità
All'origine di questa crisi c'è la modernizzazione capitalistica che non si è rivelata portatrice di progresso e di benessere, ma per la prima volta nella storia dell'umanità ha separato l'innovazione dal progresso sociale e civile e dal miglioramento della condizione di vita degli uomini, delle donne e della natura.
Questa crisi ha una ratio.
Essa deriva da uno sfruttamento che si è dilatato oltre i confini del '900 e che non coinvolge solo il proletariato classicamente inteso, ma le persone, la natura, l'ambiente. Il fattore ordinatore del mondo, quello con cui si impone questo sfruttamento dilatato, è la guerra. E' attraverso la guerra che la modernizzazione capitalistica pensa d'imporre le sue regole, le regole del mercato, dell'impresa. La questione del comunismo del nostro tempo nasce da qui, ma per essere affrontata richiede delle significative rotture con la sua storia.
Oggi parlare di comunismo significa, infatti, rompere con almeno tre idee-forza del'900.
E' diverso il soggetto rivoluzionario che non si definisce solo nella sua collocazione nel processo produttivo, ma piuttosto nell'antagonismo a questa globalizzazione, in una soggettività critica e vigile nei confronti dello sfruttamento dilatato che investe il pianeta.
Il movimento no global ha annunciato questa nuova soggettività e ha riaperto un cammino.
Nella nostra idea di comunismo - è questa la seconda rottura con il passato - non c'è alcuna attesa deterministica, quella attesa su cui si è fondata una parte importante della strategia dei partiti e degli Stati post-rivoluzionari.
Noi all'opposto pensiamo al comunismo come processo aperto. Parliamo di processualità non di ineluttabilità. Parliamo di un movimento che dovrebbe abbattere lo stato di cose esistente, puntiamo sulla lotta di classe più che sulla definizione di ciò che dovrebbe essere la società comunista.
Credo anche - ed è questa la terza e più importante rottura col passato - che qui ed ora la non violenza sia la condizione essenziale per far vivere fino in fondo tutta la radicalità di quel processo di trasformazione sociale che chiamiamo comunismo. Non cè alcuno spazio fra guerra e terrorismo se non nel rifiuto di entrambi. E nel rifiuto di quella separazione fra mezzi e fini che ha caratterizzato tanta parte della storia del '900. So bene che nel passato gli errori e persino gli orrori che si potevano perpetrare in nome del comunismo potevano apparire secondari di fronte al grande cambiamento promesso. Si è pensato, fin da lontano, che si potesse giustificare anche Kronstadt di fronte alla prospettiva che la cuoca assumesse la direzione dello Stato..
Sappiamo che stato un errore, tragico.
Ma come ho scritto recentemente a Marco Revelli e come Paolo Mieli nella sua rubrica ha ricordato, il mio rifiuto totale e incondizionato dei mezzi violenti ha anche un altro motivo. Oggi quei mezzi sono del tutto inefficaci. Non riescono a produrre neppure nell'immaginario di chi vuole un cambiamento un'idea di alternativa di società perché riconducono inevitabilmente alla guerra e al terrorismo e alle due idee regressive di società che esse sottendono. Oggi non possiamo più dire con Brecht "noi che volevamo la gentilezza, non potemmo essere gentili".
La sfida è unaltra, forse persino più ambiziosa, per chi non rinuncia alla costruzione di una società alternativa al capitalismo. Perché questo rimane il punto dell'oggi che nessun passato per quanto terribile può seppellire. Anche perché la storia grande del movimento operaio e del marxismo non si è esaurita nella tragedia del "comunismo reale" e rende possibile, oltreché necessario, discernere in essa ciò che è vivo e ciò che è morto. Questo spiega, insieme al crescere di una critica radicale e di massa alla globalizzazione neoliberista, quel che a Galli della Loggia appare come un paradosso e cioè che "a sinistra il comunismo conserva il suo prestigio.... mentre il socialismo riformista è ancora al palo di partenza"
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Sono idee e proposte che anche Aldo Capitini aveva in gran parte pensato e scritto nel contesto e nel lungo arco della sua vita di rivoluzionario, di riformatore religioso, di liberalsocialista, dagli anni 30 fino alla morte nel 1968.
Nel suo libro intervista "La pace infinita" lei lo ricorda più volte.
Ci dispiace che, in dibattiti come il vostro su temi a lui cari, il contributo di una figura, così importante e singolare della vita culturale italiana sia vivo soltanto saltuariamente e marginalmente. Pensiamo che sia una mancanza più voluta che involontaria da parte di un mondo culturale, religioso e politico ancora indeciso a fare i conti con il suo pensiero.
Speriamo che interventi come il suo possano servire a rompere quel silenzio. Anche di questo vogliamo ringraziarla.
La salutiamo cordialmente