Rivoluzionario Nonviolento

Tratto da http://www.aldocapitini.it/

L’arrivo della guerra fredda, promossa, su iniziativa di Churchill, dalle potenze capitalistiche giustamente terrorizzate per la simpatia verso il socialismo che dilagava nel mondo, provocò anche in Italia la contrapposizione tra il blocco socialista e quello conservatore, di cui il Vaticano divenne il riferimento sociale, politico e ideologico.

La politica delle sinistre, di apertura e di collaborazione con i cattolici, subì un brusco arresto e sulle divisioni di classe furono piantate le secolari bandiere della controriforma, con le sue chiusure, i suoi dogmi, le sue idolatrie popolari, che fecero muovere e lacrimare in quegli anni decine di statue della Madonna.

Nemmeno questa esperienza provocò nella cultura della sinistra italiana se non l’interesse almeno la curiosità verso le idee di Aldo Capitini.

Pur essendo usciti dal più grande bagno di sangue della storia umana, i dirigenti e gli intellettuali della sinistra non presero minimamente in considerazione le pagine e la parole di Aldo Capitini sulla via nonviolenta alla rivoluzione socialista.

Gli anni ’50 videro la pubblicazione di testi fondamentali per la sua ricerca politica ("Italia nonviolenta" 1949, "Nuova socialità e riforma religiosa" 1950, "Rivoluzione aperta" 1956, "Aggiunta religiosa all’opposiziione" 1958), religiosa ("La realtà di tutti" 1948, "Il problema religioso attuale" 1948, "Religione aperta" 1955, alla cui messa all’Indice Capitini rispose con "Discuto la religione di Pio XII° 1957) e pedagogica (L’atto di educare" 1951, "Il fanciullo nella liberazione dell’uomo" 1953).

Nel 1949, la pubblicazione di "Italia nonviolenta", porta in primo piano la idea forza di Capitini, l’idea della "nonviolenza attiva", preparata nei libri religiosi e filosofici precedenti.

Su questa linea, dopo il 1949, ha scritto numerosi altri libri e articoli dedicati alla nonviolenza, alla pace, all’obbiezione di coscienza; ha fondato a Perugia Il Centro per la nonviolenza; ha promosso la Società Vegetariana, i convegni Oriente-Occidente, la prima Marcia della Pace italiana da Perugia ad Assisi del 24 settembre 1961, che fu ripresa nel 1978 dai suoi amici, con l’adesione della Fondazione "Aldo Capitini" e delle istituzioni umbre.

Dalla Marcia del ’61 nacque la Consulta italiana per la pace, una federazione di organizzazioni italiane per la pace, di cui Capitini fu presidente fino alla sua morte nel ’68.

Dalla Marcia del ’61 prese avvio il Movimento nonviolento per la pace, tuttore attivo e il suo organo ufficiale, "Azione nonviolenta", di cui Capitini fu direttore fino al ’68.

Dopo quella del ‘78, la Marcia Perugia-Assisi si ripete ogni due anni circa, con sempre maggiori adesioni in campo nazionale e internazionale; negli ultimi anni con il coinvolgimento diretto delle Nazioni Unite e su temi capitiniani legati a quello della pace, come il tema della giustizia economica nel mondo, della collaborazione tra i popoli, della riforma democratica dell’ONU.

Dopo le esperienze sul campo dei C.O.S. e delle Marce della Pace, Capitini prosegue per tutti gli anni sessanta, fino alla sua morte nel 1968, il lavoro di approfondimento teorico e di divulgazione della idee della nonviolenza e del potere di tutti, l’omnicrazia.

Oltre ai numerosi libri su argomenti politici, il tema della democrazia diretta, del potere di tutti è trattato anche nei testi di pedagogia e in quelli di religione, sempre mettendo in evidenza l’unicità del "centro", singola persona o gruppo, sia per la compresenza che per l’omnicrazia.

Riflessioni e proposte sull’omnicrazia sono presenti anche nelle centinaia di articoli scritti per giornali e riviste, e nelle pubblicazioni periodiche da lui promosse: in molte delle "Lettere di religione"; nel "Giornale Scuola" che uscì in quattro numeri a cavallo tra 1960 e 1961 su un’idea di Don Milani; in "Azione Nonviolenta",organo del Movimento Nonviolento sopra ricordato; nel mensile "Il Potere è di tutti", tutto dedicato al tema dell’omnicrazia, che Capitini fondò e diffuse dal 1964 al 1968.

"Ognuno deve esercitare un'attività pubblica nella sua giornata....Oggi non si è "liberi religiosi" se si resta soltanto privati e non ci si interessa attivamente a iniziative pubbliche, in unione con altri, aperte a fini coinvolgenti altri, e specialmente unendoci a chi resterebbe fuori..."


(LETTERA DI RELIGIONE, in Il potere di tutti, pag.382)

Nella autobiografia, ci offre una sintesi efficace della sua posizione religioso-politica.

Tra i vari campi della sua attività, scrive, "il campo ancor più strettamente connesso con la profezia e l’apostolato religioso è quello della trasformazione della società, per cui, rifiutando ogni carica offertami in campo politico, ho piegato la politica, e l’interesse in me fortissimo per essa, alla fondazione di un lavoro per una democrazia diretta, per il potere di tutti o omnicrazia (come lo chiamo).

Per me è intrinsicamente connesso con la religione, che, per me, è più della compresenza che di Dio; e perciò la compresenza di tutti (religiosamente dei viventi e dei morti) deve continuamente realizzarsi, come ho già detto, nell’omnicrazia, e chi è centro della compresenza, è centro anche di omnicrazia; ed è intrinsicamente connesso con la nonviolenza, di cui è l’idea politico-sociale."

(ATTRAVERSO DUE TERZI DI SECOLO, pag.13)

L’idea di Capitini è di costruire una nuova società, rifiutando e trasformando quella attuale con un nuovo tipo di rivoluzione nonviolenta che superi i vecchi schemi della politica, metta alla pari i mezzi e il fine, coinvolga tutti nella lotta, non distrugga né opprima gli avversari.

Walter Binni, che gli fu per tutta la vita amico e sodale, dettò per la lapide della tomba di Capitini al Cimitero di Perugia la definizione di "libero religioso e rivoluzionario nonviolento"

Giusta definizione che procurò a Capitini negli anni del dopoguerra l’ostilità dei conservatori e del Vaticano, l’incomprensione e spesso l’irrisione della sinistra marxista.

" Più volte fino ad oggi sono state fatte rivoluzioni, e ci sono quelli che vogliono anche ora fare una rivoluzione.

Noi non abbiamo paura di questa parola, anzi ci diciamo senz'altro rivoluzionari proprio perché non possiamo accettare che la società e la realtà restino come sono, con il male, che è anche sociale, ed è l'oppressione, lo sfruttamento, la frode, la violenza, la cattiva amministrazione, le leggi ingiuste.

Rivoluzione vuol dire cambiamento di tutte queste cose, liberazione, rinascita come persone liberate e unite."

(RIVOLUZIONE APERTA, pag.9)

" Voi avete ragione di essere insoddisfatti di questa società sbagliata e ingiusta, ma come potrete voi cambiare tutto e subito con le vostre mani? volete distruggere le persone che vedete come avversarie, e anche quelle che sospettate di non essere rivoluzionarie? volete che la rivoluzione avanzi con le stragi, le torture, il governo assoluto di un gruppo che impedisca a tanti altri di parlare, di informarsi, di fare critiche, di vivere?

Noi vogliamo una società di tutti, e cominceremo con l'ammazzare migliaia? vogliamo una società amorevole, e cominceremo col coltivare e stimolare l'odio? vogliamo una società libera, e aumenteremo la tirannia, l'assolutismo? vogliamo un fine buono e pulito, e useremo mezzi sporchi e terribili?"

(RIVOLUZIONE APERTA, pag.10)

"Una rivoluzione è una serie di atti, di solito collettivi, rivolti a cambiare il possesso del potere, a trasformare le strutture sociali e politiche, a influire sugli animi delle persone. Ma ogni rivoluzione ha un suo carattere.

E quella che noi sosteniamo ha il carattere di essere la più totale che sia stata proposta, non solo per gli animi nel profondo e per le strutture che debbono essere adeguate ad una società veramente di tutti, ma sopratutto per la convocazione di tutti ad operare il nuovo corso.

Non si tratta di formare un gruppo di convinti e di lanciarli nell'azione con tutti i mezzi, ma di far partecipare tutti.

Oggi che le armi nucleari hanno margini illimitati di distruzione, si devono creare tanti centri di potere e di controllo dal basso."

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.158)

I rapporti e la convergenza tra i mezzi e il fine quando si usa la nonviolenza diventa il punto centrale della riflessione filosofica, della persuasione religiosa, della scelta politica di Capitini.

Già nel suo primo libro, scritto e pubblicato durante la dittatura fascista, scriveva:

"Non solo l'idea, ma acquista maggior rilievo oggi anche il mezzo che viene adoperato per affermarla, il modo intero in cui essa vive.

I mezzi sono azioni vere e proprie; si avverte che chi usa certi modi nello affermarsi, fa suoi quei modi, li approva, li propugna, li diffonde.

Una idea si insinua anche in questo punto: non è vero che basti calcolare il mezzo più adatto, più politico per ottenere l'intento; si vuol prendere in esame questo mezzo in sè, vederlo se è accettabile o se è sostituibile con un altro che soddisfi di più la coscienza: si mette un ideale pur nello scegliere i mezzi."

(ELEMENTI DI UN'ESPERIENZA RELIGIOSA, pag.20)



"L'uso della violenza lascia residui gravissimi, produce conseguenze antirinnovatrici; si veda per es. la mancanza della libertà di informazione, di critica, di espressione, di associazione, che è costata la trasformazione violenta delle strutture in Russia; non vale dire che "il fine giustifica i mezzi" quando i mezzi hanno conseguenze che costano troppo rispetto al fine."

(LETTERA DI RELIGIONE, in Il potere di tutti, pag.414)

Capitini, solitario in questa parte del mondo, proponeva all’occidente, erede di una cultura millenaria della violenza, praticata anche direttamente dalle istituzioni religiose cristiane, culla del marxismo, una trasformazione in senso socialista della società, "il massimo di socialismo" scriveva, ma con l’aggiunta religiosa di promuoverla, costruirla e difenderla con le tecniche della nonviolenza.

;"...la soluzione marxista, pur essendo più vicina alla realtà di tutti, per la finalità universale - oltre ogni istituzione - di liberazione di tutti, aveva il difetto di non fornire mezzi adeguati ad una parte della società civile, quella proletaria, per realizzarsi nel modo richiesto dalla compresenza.

La violenza, la dittatura, l'eliminazione degli avversari, concepiti come mezzi dal marxismo, non sono gli strumenti adeguati per trasformare gli elementi di naturalità e violenza viventi nella società civile."

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.104)

La nonviolenza per la costruzione di uno stato libero e socialista era una novità assoluta nel campo culturale e politico italiano, tanto è vero che fu presto emarginata dal dibattito corrente e lo è tuttora.

"Ebbe sempre ben chiaro in mente che l'ideale della nonviolenza, nella tradizione realistica del pensiero politico italiano, era la novità assoluta della sua opera....Molta strada ha fatto anche in Italia l'idea che la nonviolenza non è più un sogno da visionari, un'illusione da spiriti deboli, un'evasione dalla realtà, se non addirittura una stravaganza, che gli spiriti forti non debbono prendere troppo sul serio, ma è un ideale da perseguire senza illusioni, con tenacia, con serietà, con la convinzione che la potenza degli strumenti della violenza è tale da richiedere un mutamento radicale nelle nostre riflessioni sul passato e del nostro modo di andare incontro all'avvenire."

(NORBERTO BOBBIO - Prefazione a "Elementi di un'esperienza religiosa" di A.Capitini, pag.XIX)

In occidente l'impiego più consistente e fruttuoso della nonviolenza si è avuto nel movimento dei primi cristiani, illuminato da gloriosi esempi di martirio, come quello di Massimiliano, il primo obiettore di coscienza, nel III° secolo.

" Non c'è dubbio che, sulla croce, Gesú Cristo - che aveva rifiutato la violenza - portava in sé, per il domani dell'umanità, un contenuto più pregevole di quello dei due "ladroni" o partigiani violenti, che gli furono accostati dai grossolani tutori dell'ordine, che non seppero distinguere."

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.71)

Il compromesso che intervenne tra potere politico e cristianesimo nel quarto secolo d.C., al tempo di Costantino e di Costanzo, ha condizionato, nei successivi diciassette secoli, la riflessione dei pensatori cristiani sulla nonviolenza.

"Non è valsa la sublime estensione di Gesù del precetto di "non uccidere" a quello di non desiderare la morte altrui, di non odiare, di non dire "raca" e di amare i nemici, né la conferma di S.Francesco, con un amorevole avvicinamento anche alle creature subumane, a impedire lo sviluppo delle giustificazioni di uccidere in certi casi.

(LA NONVIOLENZA OGGI, pag.135)

" La nonviolenza è stata spesso finora sacrificata dalle religioni, anche da quelle che l'avevano insegnata come un principio, e poi l'hanno perduta, sostituendola con altri principi come "legittima difesa", "punizione del cattivo", "tortura del corpo per salvare l’anima" ecc. Religiosi, perfino cristiani e buddhisti, fanno guerre e guerriglie."

(EDUCAZIONE APERTA I°, pag.162)

In questo lungo periodo, tra i cattolici, solo Francesco d'Assisi e i suoi seguaci si sono posti coerentemente davanti al problema della nonviolenza e della pace.

Il metodo di S.Francesco "fu quello di andare a parlare con i saraceni piuttosto che sterminarli nelle Crociate, nelle quali il sangue talvolta arrivava ai ginocchi."

(IN CAMMINO PER LA PACE, pag.14)


"Non possediamo più la Regola primitiva come la scrissero San Francesco e Ugolino, ma una redazione di pochi anni più tardi, che proibisce, all'articolo 3 del cap. VI, di portare armi e ordina, al cap.X, di fare la pace con i nemici"

(TECNICHE DELLA NONVIOLENZA, pag.99)

Solo piccoli gruppi fra i protestanti, i più noti dei quali sono i quaccheri, si sono caratterizzati per una scelta di nonviolenza.

Nella cultura occidentale, la violenza è stata spesso accettata come un fatto naturale, senza peraltro alcuna certezza scientifica e dimenticando l'importanza fondamentale della cooperazione pacifica tra gli individui per lo sviluppo dell'umanità.

Nei tempi moderni, molti filosofi e politici, sulla scia di Lutero, hanno distinto tra la violenza individuale, da condannare, e quella statale o collettiva, da accettare per l'interesse del gruppo.

Il movimento socialista e comunista, pur dichiarando la sua avversione alla violenza, l'ha sempre giustificata come necessaria risposta alla violenza del capitalismo, dell’imperialismo e l’ha praticata ampiamente nei rapporti sociali e politici all’interno degli stati governati.

Riflessioni teoriche come quella sullo sciopero generale rivoluzionario sono rimaste sterili, mentre la corrente riformista non ha mai sperimentato le tecniche nonviolente per la costruzione del socialismo, compromettendosi invece molto spesso con le guerre coloniali e imperialiste.

"Una prova della difficoltà o impossibilità da parte del riformismo o dell’autoritarismo di formare il "nuovo uomo" è nel fatto che l’uno o l’altro sono disposti ad usare lo strumento guerra"

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.66)

Nella scelta tra Marx e Lenin, attuale ai tempi suoi, Capitini è con Marx ma ne rileva i limiti.

" La teoria del Marx, della classe proletaria che si preparava all'esercizio del potere con la coscienza della sua situazione di contrasto con la classe borghese capitalistica, mediante l'azione politica, finché la crescente democratizzazione conquistava il potere senza violenza o con un minino di violenza (come fa talvolta l'ostetrica nel parto), appunto perché la classe era divenuta capace di operare la trasformazione di tutta la società, contava su questo lavoro aperto, politico e democratico come preliminare del potere e della nuova società.

La teoria del Lenin contò, invece, sul gruppo rivoluzionario, che coglieva l'occasione del disfacimento dell'esercito e del paese per prendere il potere, dal quale intendeva fare tutto ciò che era in programma del socialismo: un duro esercizio del potere ne fu la conseguenza con la mancanza di freni all'involuzione nell'autoritarismo e nel terrore…

Però: "…ciò che "dal basso" doveva maturare, secondo la teoria del Marx, correva sempre il rischio di incanalarsi nel riformismo, senza mirare con preminente tensione ad una società profondamente rinnovata nel suo spirito e in tutte le sue strutture e procedimenti"

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.65)

In campo sindacale, per ragioni di ovvia opportunità, le tecniche nonviolente sono state sempre la prima scelta, non sempre portata conseguentemente fino in fondo.

In politica invece la ferocia delle repressioni, l’arroganza dei potenti nei rapporti umani ha ostacolato tra gli oppositori la riflessione e la discussione sia sull'uso della violenza che sulle conseguenze di questo uso.

E’ con Gandhi, come si sa, che la nonviolenza viene introdotta nella storia come mezzo per grandi lotte politiche, lotte che coinvolgevano milioni di persone. Gandhi purtroppo muore assassinato nel 1948, e subito dopo il paese che l’aveva seguito nell'azione nonviolenta ricade nella violenza razziale, classista e politica.

L’esempio di Gandhi viene raccolto da pochissimi, tra cui Martin Luther King negli USA e Capitini in Italia.

" Col metodo di Gandhi le armi le abbiamo già, e possiamo cominciare subito la rivoluzione, le armi dell'unione con altri, della solidarietà, della protesta nonviolenta, dello sciopero a rovescio, della noncollaborazione col male, del sacrificio; e queste armi le usano con maggiore efficienza i poveri, i deboli, i sofferenti, gli ultimi; mettiamoci dunque, con loro."

(RIVOLUZIONE APERTA, pag.15)

"PROPOSTA DEL 1963 PER LA CREAZIONE DI UNA CORRENTE RIVOLUZIONARIA NONVIOLENTA:

1) La situazione politica italiana presenta un vuoto rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle moltitudini. Così si va perdendo anche l'esatta prospettiva che pone come finalità decisiva della lotta politica il superamento del capitalismo, dell'imperialismo, dell'autoritarismo.

Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono giungere ad un'azione organica nella situazione italiana, per cui, da una società dominata da pochi, si passi ad una società di tutti nel campo del potere, della economia, della libertà, della cultura.

2) La crisi dei movimenti operai e socialisti nell'attività politica e sindacale è dovuta principalmente al fatto che non si è saputo concordare dinamicamente la triplice finalità suddetta con la pratica quotidiana nella attuale democrazia.

3) Sarebbe un errore credere che la politica del neocapitalismo con le attrattive del benessere e la suggestione degli interventi paternalistici e provvidenziali riesca a cancellare dalle moltitudini la tendenza a possedere effettivamente il potere con tutte le sue responsabilità, a controllare tutte le decisioni pubbliche, a impedire realmente la guerra, a sviluppare la libertà e la cultura di tutti nel modo più fiorente.

La tenacia delle lotte sindacali, l'aumento dei voti dell'opposizione nelle ultime elezioni, lo sviluppo della lotta per la pace, la crescente energia delle pressioni studentesche per una riforma della scuola, provano che le moltitudini italiane non accettano gli equivoci offerti dalla classe dirigente.

4) Nello sviluppo del socialismo nel mondo è facile osservare che sono stati superati gli schemi dottrinari che attribuivano a una determinata ideologia, o ad un unico partito di ispirazione leninista la possibilità di intervento rivoluzionario, quando invece si vede che di tale possibilità ci si è valsi in altri luoghi con schemi, forme, forze e metodi del tutto diversi seppure orientati allo stesso fine.

E' opinione sempre più accettata che esiste una connessione stretta tra il metodo rivoluzionario adottato e il tipo di potere che segue alla conclusione vittoriosa della rivoluzione. Anche in questo campo l'insufficienza del metodo leninista, e di altri metodi similmente imposti da minoranze alla maggioranza, è rivelata dalla crisi che ha contrapposto e contrappone in maniera più o meno drammatica la società civile al potere rivoluzionario e che è diventata l'elemento costante della vita politica degli stati così detti socialisti e degli altri stati sorti nel dopoguerra da moti sottoposti all'egemonia di minoranze.

La medesima crisi tra deficienza di potere civile delle masse e reale potere politico di gruppi ristretti è chiaramente visibile anche nella crescente e insolubile necessità in cui le democrazie parlamentari si trovano nel subire la pressione egemonica di gruppi di potere economici, politici, religiosi, agenti fuori dagli istituti civili e capaci di svuotarli sempre più della rappresentatività popolare, piegandoli ai loro interessi di minoranza.

Inoltre, nel nostro paese, come del resto in tutto l'occidente, la situazione è tale che tutti i vecchi metodi dell'opposizione popolare si rivelano inutilizzabili o insufficienti a mantenere una tensione rivoluzionaria che si costruisca progressivamente, nel suo sviluppo, gli adeguati strumenti pratici della sua applicazione.

5) Per queste ragioni siamo convinti che il metodo che deve essere assunto per la lotta rivoluzionaria è il metodo dell'attiva nonviolenza, nella articolazione delle sue tecniche, già attuate in altri paesi in lotte di moltitudini.

Riteniamo che questo metodo sia da accettare e da svolgere non soltanto per la sconvenienza e l'improduttività dei metodi violenti e la loro inaccettabilità da parte delle nostre moltitudini, ma sopratutto per il suo contenuto profondamente umano, all'altezza del migliore sviluppo della società civile moderna.

6) Questo metodo, che per essere visibilmente e politicamente efficace deve essere impugnato da un largo numero di persone, mostra con ciò stesso che è in grado di dare le più ampie garanzie di democraticità, di espressione delle forze dal basso, di insostituibile e mai sospendibile libertà delle più varie opinioni, di decentramento del potere nelle sue varie forme economiche, politiche, sociali, civili.

7) Con questo metodo è possibile dare inizio alla formazione di organismi e istituzioni dal basso che concretino tali garanzie, prefigurando e preparando la complessa società socialista o società di tutti.

I rivoluzionari violenti con i loro metodi non sono capaci di realizzare tali organismi e istituzioni, e ne rimandano l'attuazione a dopo la conquista del potere, con atto autoritario che ne infirma la democraticità, o vi rinunciano, vista l'impossibilità di usare la violenza, cadendo i dirigenti nell'inerzia e le moltitudini nello scetticismo.

8) Nell'attuale momento, crediamo che come prima fase un intervento nella situazione italiana che segua questo orientamento possa prendere la forma di "corrente" con "gruppi" operanti dentro e fuori le attuali associazioni politiche, sindacali, culturali, etico-religiose.

Questi gruppi potranno operare coordinatamente secondo piani che saranno stabiliti dai gruppi stessi nei loro incontri.

9) Possiamo definire così gli obiettivi finali di tutto il lavoro: la costituzione di una società socialista la cui organizzazione economica, politica, civile e culturale sia continuamente sotto il potere e il controllo di tutti, nella libertà di informazione, di associazione e di espressione, manifestazione e promovimento costante di apertura ad una società universale socialista nonviolenta.

10) Obiettivi immediati di transizione a questa finalità sono:

a) la diffusione delle tecniche della nonviolenza da applicare a tutte le lotte politiche e sindacali;

b) l'opposizione alla preparazione e alla esecuzione della guerra;

c) la convergenza sul piano rivoluzionario nonviolento dei lavoratori, degli studenti e delle loro associazioni di qualsiasi ideologia;

d) la rapida costituzione di centri di orientamento sociale aperti, in periodiche riunioni, a tutti e alla discussione di tutti i problemi della vita pubblica;

e) la formazione di consulte rionali o di villaggio elette da tutti i cittadini per il controllo e la collaborazione nei riguardi delle amministrazioni locali;

f) favorire in tutte le aziende l'organizzazione di consigli operai e contadini, eletti da tutti indipendentemente dalle organizzazioni politiche e sindacali, con il compito di seguire i problemi delle singole aziende e di portare i lavoratori al possesso delle tecniche del controllo sulla produzione e sulla pianificazione democratica, da utilizzare nella lotta per la società socialista; sulla base di questi consigli dovrà essere ricostituita l'unità sindacale, aperta a tutte le correnti;

g) impostazione di una riforma della scuola per cui tutti gli istituti scolastici a tutti i livelli siano organizzati con spirito comunitario e controllati da consigli degli studenti e dei professori;

h) sollecitare gli enti pubblici a fondare giornali quotidiani e settimanali con assoluta obiettività di informazione;

i) promuovere la costituzione di centri cooperativi culturali dal basso per l'educazione degli adulti nel campo della divulgazione dei valori artistici, scientifici, storici ecc. sottraendoli alle manipolazioni autoritarie o di parte.

11) Noi pensiamo che una corrente rivoluzionaria nonviolenta debba richiedere ai suoi aderenti un comportamento manifestamente concorde alla finalità socialista, realizzando tra l'altro il principio che ogni eletto a qualsiasi carica, sia della corrente sia di ogni altro organismo, possa essere dispensato dal suo incarico nei periodici incontri con i suoi elettori; dedicando ad iniziative pubbliche orientate in senso socialista la massima parte del proprio bilancio privato, non partecipando al possesso di beni che comportino lo sfruttamento dei lavoratori.

12) A coloro che non scorgessero differenza tra la nostra impostazione e quella democratica parlamentare teniamo a far presente quanto limitata sia la democraticità parlamentare, lontana dalla volontà attiva e quotidiana di tutti i cittadini, e quanto invece è complessa e diretta la presenza di tutti negli organismi da noi propugnati, atti a superare continuamente i privilegi e il potere dei pochi.

13) A coloro che obiettassero che la pianificazione economica sociale di uno stato moderno non può essere che centralistica e autoritaria, rispondiamo che la pianificazione può e deve essere accompagnata dall'esistenza di organi popolari che ne rendano possibile la preparazione, il controllo della esecuzione e la revisione.

Questi organi sono l'unica garanzia che l'autoritarismo della pianificazione non si trasferisca nell'autoritarismo di tutto l'apparato statale, come ha dimostrato l'esperienza sovietica. Questi organi, infatti, continuando l'azione già svolta nella situazione di economia privatistica dai consigli dei lavoratori, dovranno svilupparsi fino a diventare i protagonisti del mondo produttivo socialista nei due settori pubblico e cooperativo di autogestione.

14) La garanzia che la società socialista nonviolenta dà alla libera funzione delle correnti ideologiche e dei partiti deve avere come unica contropartita la libera espressione, all'interno delle correnti e dei partiti stessi, dei pareri dei singoli e dei gruppi.

15) Nella politica intemazionale attuale la nostra posizione è, oltre che di lotta per la pace - primo ed urgente obiettivo, - di pieno appoggio a tutti coloro che lottano contro il capitalismo, l'imperialismo, l'autoritarismo; di aiuto incondizionato ed immediato a tutti i popoli sottosviluppati da concretarsi in grandi piani di collaborazione; e nella diffusione dei nostri metodi nonviolenti per il raggiungimento dei fini comuni.

(INEDITO)

Quando negli anni sessanta in gran parte del mondo le lotte di liberazione nazionale si incontrarono con i movimenti che chiedevano il superamento in senso socialista delle democrazie borghesi, Capitini era da decenni d’accordo sulle motivazioni ma non sui mezzi violenti teorizzati, auspicati e adoperati per raggiungere quegli obbiettivi.

Sapeva bene che nemmeno i regimi democratici sono immuni dalle tentazioni della violenza.

"Lo sviluppo della democrazia, in quanto cerca di allargare il potere al maggior numero possibile di individui, superando le difficoltà conseguenti alle diversità di razza, di classe sociale, di ricchezza, di cultura, tende al potere di tutti, ma non lo raggiunge effettivamente…

La democrazia attuale attribuisce alla maggioranza un potere che qualche volta è eccessivo rispetto ai diritti delle minoranze; fa guerre di Stato contro Stato; conferisce alle polizie il potere di torturare (come avviene in tutti i Paesi) e molte volte un soverchio intervento nell’ordine pubblico; non è sufficientemente aperta a ciò che potranno dare o vorranno essere i giovanissimi e i posteri; preferisce strumenti coercitivi e repressivi a strumenti persuasivi ed educativi; si lascia sopraffare dalle burocrazie trascurando il servizio al pubblico anonimo; concentra il potere preferendo l’efficienza al controllo, e finisce col non considerare sufficientemente i mezzi e le loro conseguenze, pur di raggiungere un fine."

(OMNICRAZIA, in Il Potere di tutti, pag.64)

Erano gli anni delle guerriglie rivoluzionarie e dei loro eroi: il solenne proposito, formulato da molti in tutto il mondo, di rifiutare per sempre la violenza dopo la carneficina della seconda guerra mondiale, dopo l’olocausto, dopo Hiroschima, era svanito davanti ai problemi che chiedevano risposte giudicate, come sempre, "indilazionabili".

In quegli anni Capitini era solo con Martin Luther King a proporre la nonviolenza come scelta politica nelle grandi lotte per il socialismo e i diritti civili: morirono entrambi nel 1968.

Oggi, alla fine del 2° millennio, forse in virtù della "pax americana" che controlla il mondo, c’è più attenzione alle soluzioni nonviolente dei conflitti politici, c’è uno schieramento più deciso contro la guerra e la violenza nella Chiesa cattolica, ci sono segnali importanti come l’appello dei Nobel per la pace.

"Abbiamo proposto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiari:

- che il primo decennio del nuovo millennio, gli anni dal 2OOO-2010, sia proclamato "Decennio per una Cultura della Nonviolenza";

- che l'inizio del decennio, l'anno 2000, sia definito "Anno per l'educazione alla Nonviolenza";

- che la nonviolenza sia recepita ad ogni livello nella nostra societa' durante questo decennio, per rendere coscienti i bambini del mondo, con la riduzione della violenza e delle conseguenti sofferenze inflitte a loro e all'umanita' in generale, del reale e pratico significato e dei benefici della nonviolenza nella loro vita quotidiana."

Appello firmato nel 1997 da tutti i Premi Nobel per la Pace:

Mairead Maguire, Nelson Mandela, Madre Teresa, Aung San Suu Kyi, Il 14° Dalai Lama (Tenzin Gyatso), Mikhail Gorbachev, Shimon Peres, Elie Wiesel, Mgr. Desmond Mpilo Tutu, Adolfo Perez Esquivel, Yasser Arafat, Carlos Felipe Ximenes Belo, José Ramos-Horta, Norman Borlaug, Oscar Arias Sanchez, UNICEF, Fredrik Willem de Klerk, Betty Williams, Lech Walesa, Joseph Rotblat.

"Mi sembra che oggi nella coscienza si venga realizzando questo parto storico, questa produzione, e se io vi dico che per un amico della nonviolenza la distruzione di migliaia e milioni di bambini di un popolo dichiarato "nemico" è da rifiutare così come l'uccisione di bambini del proprio popolo, la vostra coscienza, in questo momento stesso, sente e produce il consenso, e si orienta a far di tutto perché tante cose cambino, perché questo principio prevalga e divenga orientamento universale."

(LA NONVIOLENZA OGGI, in Scritti sulla noviolenza, pag.139)

TOP