Aldo Capitini I Fini E I Mezzi
Da Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967 (e' il testo del paragrafo "I fini e i mezzi"), poi ristampato da Linea d'ombra, Milano 1989; e successivamente anche in Idem, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, pp. 256-257.
Questo richiamo al primato della pratica diretta - comune a tutti coloro che vedono il mondo come qualcosa da cambiare - assume un valore particolare per il metodo nonviolento, a causa della coincidenza che in esso c'e' dei mezzi e dei fini. Nella grossa questione dei rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell'amore non puo' realizzarsi che attraverso l'amore, il fine dell'onesta' con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile "Se vuoi la pace, prepara la guerra", ma attraverso un'altra legge: "Durante la pace, prepara la pace".
Non si insistera' mai abbastanza, specialmente in presenza di mentalita' superficialmente legalistiche, farisaiche, intimamente indifferenti, che la nonviolenza e' affidata al continuo impegno pratico, alla creativita', al fare qualche cosa, se non si puo' far tutto, purche' ogni giorno si faccia qualche passo in avanti. La nonviolenza e' affidata ad un metodo che e' aperto in quanto accoglie e perfeziona sempre i suoi modi, ed e' sperimentale perche' saggia le circostanze determinate di una situazione. E siccome la nonviolenza nella sua espressione positiva e' “apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo, di ogni essere", e nella sua espressione negativa e' "proposito di non distruggere gli esseri, di non offenderli, non torturarli ne' sopprimerli", e' chiaro che un metodo cosi' ispirato dia il massimo rilievo ai mezzi.
Dice Gandhi:
"Si dice 'i mezzi in fin dei conti sono mezzi'. lo vorrei dire 'i mezzi in fin dei conti sono tutto'. Quali i mezzi, tale il fine. Il Creatore infatti ci ha dato autorita' (e anche questa molto limitata) sui mezzi, non sul fine (...) La vostra convinzione che non vi sia rapporto tra mezzi e fine, e' un grande errore. Per via di questo errore, anche persone che sono state considerate religiose hanno commesso crudeli delitti. Il vostro ragionamento equivale a dire che si puo' ottenere una rosa piantando un'erba nociva (...) Il mezzo puo' essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi e' appunto la stessa inviolabile relazione che vi e' tra il seme e l'albero".
L'attenzione che Gandhi spinge cosi' a portare sui mezzi che si usano, si connette evidentemente con le ricerche indirizzate, nel campo morale, a considerare gli esseri razionali come fini e non come mezzi. Si connette anche con illuminanti osservazioni del Dewey sul fatto che, prima di dire che ogni mezzo e' usabile, bisogna pur considerare il costo dei mezzi, le conseguenze del loro uso:
"Noi dobbiamo includervi con imparzialita' tutte le conseguenze. Anche ammettendo che una certa menzogna salvera' un'anima umana, qualunque cosa cio' possa significare, sara' ancora vero che la menzogna avra' altre conseguenze, cioe' le solite conseguenze che derivano dal corrompere la buona fede e che portano alla condanna della menzogna. E’ un'ostinata follia il volersi fissare sopra un qualche singolo fine o conseguenza che piaccia e permettere che cio' ci faccia perdere di vista la percezione di tutte le altre conseguenze non desiderate e non desiderabili".
Ma la concezione gandhiana va ancora piu' in la' del richiamo del Dewey alla considerazione della gravita', nell'uso di certi mezzi, che puo' essere sproporzionata all'acquisto di un fine: per Gandhi i mezzi sono piu' che strumentali, sono creativi, costruttivi gia' per se stessi.
E si potrebbe svolgere questa idea mostrando l'importanza che ha oggi il persuaderci del valore sommo che sta acquistando il principio di apertura all'esistenza, liberta', sviluppo di ogni essere. Se un tempo lo schiavo acquisto' valore di persona, tale da non essere piu' possibile di considerarlo giuridicamente come cosa, come mezzo; si puo' ben dire che oggi un ulteriore sviluppo storico puo' acquistare il principio che mai una esistenza, - umana per lo meno -, possa essere considerata piu' come mezzo. Il fatto che la violenza, cioe' il metodo della distruzione degli avversari, potrebbe oggi arrivare alla distruzione atomica della vita sulla terra; il fatto anche del continuo allargarsi degli orizzonti attuali a comprendere la "realta' di tutti", sono indubbiamente sollecitazioni alla tensione nonviolenta considerata come primaria e universale.