Religione e Nonviolenza in Aldo Capitini
di Antonio Vigilante

Riproponiamo il testo della relazione di Antonio Vigilante su "Religione e
nonviolenza in Aldo Capitini" alla tavola rotonda su "Nonviolenza e
religione" svoltasi a Perugia il 23 settembre 2000, nell'ambito delle
iniziative di approfondimento collegate alla marcia Perugia-Assisi per la
nonviolenza del 24 settembre di quell'anno. Ringraziamo nuovamente Lanfranco Mencaroni per averci messo a disposizione il testo della relazione scritta da Vigilante, relazione che lo stesso Mencaroni lesse alla tavola rotonda.
Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos@tiscali.it) e' studioso e amico
della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971,
dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di
scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e
nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato
scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse
riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le
opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza
in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del
Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del
Rosone, Foggia 2004.


Emancipatore di coscienze
Il mio intervento intende approfondire il rapporto tra religione e
nonviolenza in Aldo Capitini, che e' stato il primo a proporre in Europa il
problema filosofico della nonviolenza, e la cui opera resta ancora oggi
fondamentale per approfondirne rigorosamente il significato, per sviluppare
una intera teoria nonviolenta legata alla piu' avanzata cultura
contemporanea. Capitini e' stato anche un critico della religione
istituzionalizzata, ed un teorico della religione aperta. Cerchero' di
mostrare questi due aspetti dell'opera capitiniana, ed il loro legame, il
loro reciproco fecondarsi.
Credo che sia pero' necessario, anzitutto, precisare l'ispirazione generale
del lavoro del filosofo perugino: cio' che orienta la sua ricerca teorica e
la sua prassi nel corso di trent'anni. Mi pare di poter individuare lo scopo
fondamentale di tutta la sua opera nella emancipazione delle coscienze. Uso
questa espressione pensando a quanto noto' Carlo Rosselli in Socialismo
liberale, a proposito della mancanza, in Italia, di coscienze emancipate:
"... in Italia - scriveva Rosselli - l'educazione dell'uomo, la formazione
della cellula morale base - l'individuo-, e' ancora da fare" (1). E ancora:
"Gli italiani sono pigri moralmente, c'e' in loro un fondo di scetticismo e
di machiavellismo di basso rango che li induce a contaminare, irridendoli,
tutti i valori, e a trasformare in commedia le piu' cupe tragedie" (2). Le
cause di questo indifferentismo morale erano da Rosselli ricondotte
all'influenza negativa della educazione cattolica, "pagana nel culto e
dogmatica nella sostanza" (3), che ha impedito la nascita negli italiani
d'un pensare autonomo, libero, responsabile; e il fascismo non era che il
risultato ovvio della storia di un popolo abituato da secoli all'obbedienza,
al lasciar fare.
Questa impietosa analisi della situazione italiana ci introduce alla
problematica capitiniana. Come Rosselli, Capitini scorgeva sulla realta'
civile, religiosa e politica italiana il peso di una tradizione che non e'
piu' possibile accettare passivamente, e bisognava invece negare,
condannare, combattere, insieme ai poteri che di essa si avvantaggiavano: la
Chiesa cattolica, il fascismo, i partiti, le istituzioni chiuse.
Se questo e' lo scopo principale dell'opera capitiniana, allora essa, di cui
non si puo' non rivendicare il significato europeo e mondiale, rivela pure
un legame particolarissimo con la realta' italiana. Capitini parla all'uomo
contemporaneo, ma rivolgendosi anzitutto all'italiano, additandogli i suoi
mali storici, chiamandolo alla responsabilita', alla riflessione, alla
autonomia, alla serieta' morale. Ad un certo punto si presenta in lui anche
l'idea di un'Italia che, uscendo dall'esperienza decisiva del fascismo,
diventa ancora una volta, attraverso la nonviolenza, guida di civilta' per
l'intera Europa.
La critica religiosa intendeva corrodere quel tanto di Controriforma che
ancora dominava la vita religiosa italiana; la teoria nonviolenta, che nella
sua essenza era rivoluzionaria (come ha ben chiarito Rocco Altieri) (4), era
reazione al malinteso realismo politico della patria di Machiavelli, che nel
fascismo giungeva alla massima espressione storica, e che era anch'esso una
dimostrazione della mancanza di formazione spirituale degli italiani.
*
La "cellula morale" e la compresenza
Molte sono le realta' incontrate, scoperte da Aldo Capitini nel corso della
sua ricerca appassionata e coerente: la realta' liberata, la compresenza, la
libera religione, la nonviolenza, l'omnicrazia. Ma cosa cercava il giovane
filosofo, segretario alla normale di Pisa, quando inizio', prima con l'amico
Claudio Baglietto e poi da solo, il suo percorso intellettuale? Da dove
parte Capitini? Cosa lo preoccupa?
C'era nei due giovani, come in tutti i migliori della loro generazione, una
forte preoccupazione per la decadenza spirituale del tempo, per la crisi
morale ed intellettuale, sulla quale gia' si contava una ricca letteratura,
da Spengler a Julien Benda. E' alla soluzione di questa crisi che Capitini
vuole contribuire: la sua si caratterizza fin dall'inizio come una
riflessione sulla civilta' occidentale attraversata dalla crisi. Cercare la
soluzione alla crisi, e' il problema di Capitini.
C'e' in lui anche una visione disincantata della realta', che e' bene
sottolineare. Osservando il mondo naturale, vi scopre la violenza e
l'assurdo di una universale reciproca distruzione: il pesce grande che
mangia il pesce piccolo. Volgendosi alla storia, trova gli errori della
volonta' di potenza e della guerra. La realta' sociale gli appare segnata
dall'ingiustizia, dallo sfruttamento, dalla sopraffazione. La vita
individuale e' esposta alla malattia, al limite, all'handicap, alla morte.
Ovunque, insomma, c'e' violenza e male. Senza questo primo sguardo
sconsolato, Capitini non avrebbe conquistato la visione positiva della
libera religione e della nonviolenza.
La violenza ed il male non possono essere accettati. Capitini si rifiuta sin
dal principio di considerare la realta' come un tutto immutabile, un blocco
impenetrabile alle nostre aspirazioni: e' consapevole della importanza
dell'immanenza, del piano storico, ma non e' disposto a divinizzarlo,
accettando come mali inevitabili i suoi limiti e le sue assurdita'. Ne', del
resto, questa consapevolezza lo spinge verso la Trascendenza. A cio' si
oppone non solo la sua formazione filosofica, ma anche, come meglio vedremo
tra un po', la considerazione che una Trascendenza autoritaria non fa che
confermare gli aspetti violenti della natura e della storia.
Ne' divinizzazione dell'immanenza, ne' accettazione della Trascendenza,
dunque. Capitini segue la via di un radicale ripensamento dell'immanenza.
Rifiutare il Dio della tradizione non vuol dire accettare il mondo cosi'
com'e'. E' possibile ripensare la realta' che ci circonda, chiedendosi se
davvero in essa vi sia soltanto violenza.
Da dove partire per ripensare la realta'? Dall'uomo: non dall'uomo in
generale -dall'umanita'- ne' dall'uomo appartenente ad una classe sociale,
ma dall'uomo singolo, dall'uomo comune. Per cogliere le caratteristiche del
singolo, Capitini parte da se stesso, ascolta la propria coscienza. Non
inizia sviluppando una teoria, ma esplorando una realta' -la realta' umana.
Parte dai dati elementari che gli sono forniti dalla propria esperienza
interiore e dalla propria vita etica; dati non filtrati ed elaborati alla
luce di un sicuro metodo analitico, ma sottoposti comunque ad un esame
filosoficamente tutt'altro che ingenuo.
Si e' visto un anticipo di esistenzialismo, in questo ritorno al singolo; ed
e' vero: ma con qualche non trascurabile differenza. Capitini e' mosso fin
dall'inizio -lo abbiamo appena visto- dalla preoccupazione pratica di
cercare una via d'uscita alla crisi della civilta'. Nell'uomo intende
riscoprire la leva per rovesciare un mondo in decadenza. Non si tratta di
mera analisi esistenziale, ma di una verifica delle possibilita' positive
dell'uomo. Di qui la seconda importante differenza: pur considerando l'uomo
comune, Capitini vi scopre possibilita', potenzialita', risorse
eccezionali; non nella direzione del superomismo nietzscheano-dannunziano,
ma in direzione etica.
Fin dalla prima opera -gli Elementi di un'esperienza religiosa del 1937 -
Capitini cerca di comprendere e consolidare quella che, ricorrendo ancora a
Rosselli, possiamo chiamare cellula morale: e sara' questa cellula il
fondamento della nuova realta'.
L'uomo puo' tenersi nel limite: chiudersi nella propria singolarita', come
essere separato ed in lotta con le altre singolarita'. Ma c'e' per lui
un'altra possibilita'. Ognuno puo' aprirsi all'altro, annullare il proprio
limite, dire tu agli altri uomini, agli animali, alla natura. E' quello che
Capitini chiama "atto di unita'-amore" (5). E' un atto semplice ma
meraviglioso: con esso si sospendono le leggi della realta'. E' un atto che
attesta la possibilita' di una diversa interpretazione della natura-storia:
se posso amare l'altro, se posso vivere la sua vita come la mia stessa vita,
allora la realta' non e' solo violenza. Questa possibilita' insensata di
amore dovra' trovare un posto nel mondo. Individuata questa prima cellula
morale, non si potra' ripensare il tessuto dell'immanenza? Oltre la natura e
la storia, Capitini pensa una diversa realta', la cui essenza non e'
separazione e conflitto, ma l'unita' di tutti nel valore; una unita' che non
e' Totalita', non annulla trascendendole le singole individualita', ma le
abbraccia e le salva, portandole verso la piena realizzazione del bene. Una
realta' nella quale i morti stanno accanto ai vivi, impegnati in un'unica,
corale impresa di superamento della logica vitale-violenta della natura e
della storia. Capitini parla di realta' liberata, di realta' di tutti, di
Uno-Tutti e, infine, di compresenza. E' importante tener presente che non si
tratta di una categoria conoscitiva, ma di una categoria pratica. La
compresenza, cioe', non e' una realta' da pensare, da cercare tra gli altri
enti. E', invece, una realta' da attuare, e' una aggiunta alla nostra
esperienza del mondo. La grandiosa realta' di una comunione sovratemporale
di tutti gli esseri viventi, unificati dalla creazione dei valori, non e'
oggetto di contemplazione, ma impegno, compito da attuare qui ed ora, con la
certezza che la realta' violenta del mondo non potra' essere per sempre
indifferente ed impermeabile ai valori, e che, come essa si lascia
trasformare dalla tecnica umana, cosi' dovra' lasciarsi spiritualizzare,
abbandonare il limite, la contrapposizione, il male per farsi realta' libera
e liberata.
*
La religione aperta
Quel primo atto fondamentale, con il quale l'io si apre all'altro, e'
l'essenza della religione come la intende Capitini. Religione e', per il
filosofo perugino, l'atto con il quale io, sporgendomi oltre il limite della
mia individualita', deponendo ogni violenza ed ogni diffidenza, vivo una
piena passione per il tu ed annuncio, in questo modo, una nuova realta'. "La
religione -scrive in Vita religiosa - e' farsi vicino infinitamente ai
drammi delle persone, interiorizzare. Essa e' spontanea aggiunta, e' un
darsi dal di dentro e percio' libero incremento e pura offerta, non
sostituzione violenta che io voglia fare all'infinita capacita' di decidere
delle coscienze" (6). Significativi gli aggettivi: spontaneo, libero, puro.
L'atto religioso ha in se' qualcosa di inspiegabile. Come puo' accadere che
io, messo in un mondo conflittuale, sospenda la lotta e mi metta in ascolto,
mi appassioni per l'altro? E' un atto libero, gratuito -in un certo senso
una sorta di lusso della realta', e percio' un momento particolarmente
solenne non solo per la vita del singolo, ma per il destino del mondo. Per
questo Capitini afferma che con questo atto di apertura si passa dalla
teologia - descrizione di Dio come Ente trascendente - alla "teogonia in
atto" (7). Nell'incontro dell'io con il tu Dio nasce come vicinanza,
intimita' assoluta. E' la luce dell'infinito che si accende nella oscurita'
dei limiti e delle insufficienze degli esseri e delle cose. Infinita' che
non e' altro che l'infinita' dell'amore con il quale possiamo accogliere
ogni creatura, superando la nostra stessa finitezza, il dolore, lo
sconforto.
Bisogna ora notare la distanza di questo atto religioso capitiniano dalla
religione istituzionalizzata. Dio, come Ente, non esiste: per evitare ogni
equivoco e marcare la distanza della sua concezione religiosa da quella
corrente, Capitini preferira' parlare di compresenza piuttosto che di Dio;
per la stessa ragione, per indicare la vita religiosa cosi' intesa non
parla di fede, ma riprende da Michelstaedter il termine persuasione.
Non esistono, in Capitini, esseri od oggetti sacri distinti dagli altri.
Ogni essere e' sacro, ogni essere merita quell'amore, quel rispetto assoluto
che il credente ha per Dio, per i santi, per le cose sacre. Non ha senso,
nella prospettiva della religione aperta, la distinzione tra sacerdoti e
semplici credenti, perche' il Dio-compresenza si apre nella vita di ognuno,
vi si giunge attraverso una esperienza esistenziale, e non attraverso la
rivelazione affidata ad una casta sacerdotale. Ogni uomo, in Capitini, e'
sacerdote della compresenza. Di piu': ogni uomo, amando gli esseri d'un
amore infinito, e' profeta di una diversa realta'.
La religione profetica di Capitini e' il rovesciamento della religione
sacerdotale. Quest'ultima e' fatta di elementi dogmatici, alimenta la
superstizione, si circonda di riti e cerimoniali, giustifica l'esistenza di
chiese autoritarie, il cui potere agisce nella societa' in senso
conservatore, ha paura del pensiero libero e dell'autonomia delle coscienze.
La religione aperta e profetica e' invece essenzialmente annuncio di una
nuova realta' attraverso la prassi. A rappresentarla, specifica Capitini,
non sono le Chiese, ma individui isolati che "la testimoniano col martirio
personale, anche perche' sono, di solito, rivoluzionari e in contrasto coi
potenti, e annunciano il tema escatologico della fine e di una nuova realta'
e societa'" (8). La vita di Capitini, la sua attivita' politica, la sua
costante, coraggiosa opposizione alla Chiesa cattolica sono il risultato di
questa concezione rivoluzionaria della religione: individuo isolato, non si
stanca di ripetere che l'autoritarismo cattolico, il dogmatismo, la
connivenza col potere sono errori che offendono una matura coscienza
religiosa. La religione aperta e' avvicinarsi infinitamente alle creature, e
cosi' facendo distaccarsi dal mondo cosi' com'e', iniziare un movimento di
liberazione e di riscatto.
Critico del cattolicesimo (e non solo di quello pre-conciliare: le stesse
aperture del Concilio gli sembrano parziali ed insufficienti), Capitini e'
anche non cristiano. E' questa una precisazione assolutamente fondamentale.
E' forte la tentazione di mostrare il carattere tutto sommato ancora
cristiano della religione capitiniana: siamo abituati a legare in qualche
modo al cristianesimo tutte le esperienze spiritualmente significative della
nostra cultura. Contro questi tentativi c'e' la chiarissima affermazione di
Capitini di essere "post-cristiano". Post-cristiano e' qualcosa di piu' di
non-cristiano: nega molti punti essenziali del cristianesimo, ma non tutto.
Nega con decisione che Gesu' sia il Cristo, il Figlio di Dio: convinzione
senza la quale non si puo' essere cristiani. Nega tutti gli aspetti
leggendari e non dimostrabili dei Vangeli. Cio' che non nega e' il meglio
dei Vangeli: le beatitudini, il modello di una spiritualita', di un agire
che si approssima agli ultimi. Gesu' ha insegnato dove puo' giungere una
coscienza religiosa, ma e' stato altro che un uomo: "fu anche lui, come
tutti, un essere con certi limiti; ma d'altra parte fu in lui, come in ogni
altro essere, la qualita' della coscienza che va oltre i limiti, che e' in
lui come in un mendicante" (9). Ognuno puo' partecipare della grandezza di
Gesu': l'imitazione di Cristo, cosi' intesa, non e' altro che la
realizzazione piena della propria realta' umana. Si potrebbe ugualmente
parlare di una imitazione del Buddha, di Francesco d'Assisi, di Gandhi, di
Tolstoj. Molti sono gli uomini che nel tempo hanno raggiunto la vetta d'una
compiuta religiosita', vale a dire di una piena umanita'.
Enrico Peyretti si e' chiesto se in Capitini non vi sia il rischio di una
religiosita' soltanto soggettiva, che, eliminando Dio come Altro, "esalta al
massimo grado di valore alcuni nostri valori umani, troppo umani".
L'accentuazione degli aspetti soggettivi dell'esperienza religiosa e la
conseguente riduzione di quelli oggettivi, condizionata secondo Peyretti
dalla critica del cattolicesimo del suo tempo, non consente comunque di
parlare di una religione solo soggettiva, perche' l'alterita' si presenta in
lui nella forma del tu, dell'altro uomo. "Se Dio c'e', vivente e altro da
noi, l'apertura al tu e' apertura a lui, anche quando non lo conosciamo e
non lo possiamo affermare" (10). E certo non si puo' accusare di
soggettivismo un pensatore che fin dall'inizio ha messa al centro il tu, ed
ha individuato nell'apertura all'alterita' il fatto fondamentale
dell'esistenza.
Capitini parla di libera religione e religione aperta, ma sottolinea anche
piu' volte che la sua concezione puo' essere vissuta in una prospettiva
ateistica, e che si puo' fare a meno di parlare di Dio a proposito della
compresenza. Se la religione e' trascendenza, e l'ateismo e' immanenza, il
pensiero capitiniano non e' ne' religioso ne' ateistico: cerca piuttosto una
terza via. L'immanenza e' il punto di partenza di un movimento di
trascendimento, che porta la natura e la storia verso una realta' liberata.
Una realta' che non e' al di la' di questo mondo: e' questo stesso mondo,
riscattato dai suoi limiti. Questa realta' liberata dal limite e' per
Capitini realta' di tutti: la salvezza, cioe', non e' solo di alcuni uomini,
degli uomini giusti o di coloro che hanno fede. La salvezza capitiniana non
prevede dannazioni ed Inferni. L'assassino ed il santo sono l'uno accanto
all'altro nella compresenza. E' una concezione che apparira' sconcertante, e
certamente inaccettabile per il cristiano. Ma si tratta anche
dell'approfondimento della logica dell'amore, che colma gli errori, e li
purifica accogliendoli nel suo movimento verso la perfezione. Tutti e' una
parola che risuona in Capitini come un impegno per l'uomo persuaso: ed e'
una parola che comprende giusti ed empi, dittatori e martiri, uomini ed
animali. Riconoscere i limiti, gli errori, le cadute dei giusti (per
Capitini presenti anche in Gesu') ed al tempo stesso il travaglio, la
drammatica scissione interiore sempre presente nei malvagi, aiuta a
comprendere l'impossibilita' di operare distinzioni. Ogni essere e' in lotta
con i proprio limiti: ogni essere pertanto partecipa della compresenza, che
e' in lotta con i limiti della natura e della storia.
*
Religione e politica
La libera religione di Capitini e' naturalmente politica. Essa non e' solo
aperta perche' non dogmatica: e' anche aperta a tutte le dimensioni
dell'attivita' umana. Per Capitini e' irrilevante il problema della
sopravvivenza individuale. Se religione e' andare oltre la propria
finitezza, aprirsi agli altri, allora il vero problema non e' quello della
mia salvezza, ma della salvezza di tutti; non mi ribellero' alla mia
mortalita', ma alla mortalita' dell'altro, di tutte le creature che amo. Se
poi non esiste la Trascendenza, questa salvezza di tutti non puo' avvenire
che in questo mondo: dev'essere la perfezione della storia e della natura.
Una perfezione che non scende dall'alto, ma e' messa in moto, anticipata dal
nostro agire, dalle nostre scelte.
Il libero religioso non e' legato al Tu trascendente ed impegnato a
conquistarsi un Paradiso privato: e' invece legato a tutti, fedele alla
terra, attivo per la liberazione di tutti. "La patria del religioso e' la
socialita'" (11), scrive ne La realta' di tutti. La religione e' per
Capitini libera aggiunta. Aggiunta vuol dire che la religione si accompagna
ad altro: si aggiunge alla politica, all'economia, all'educazione, alla
morale, alla conoscenza, all'arte. Aggiungendosi ad esse, le trasforma, le
purifica, le ricongiunge alla verita' dell'essere umano. Ma l'aggiunta e'
anche libera. Il religioso da', ma non impone. E' un contributo spontaneo,
che non chiede sottomissioni, non perseguita chi la pensa diversamente, non
crea istituzioni al di fuori delle quali ci si perde. Libera aggiunta
significa testimonianza: io credo che questo sia il bene, e percio' lo
seguo; se voi credete altrimenti, seguite pure la vostra via: io non vi
giudico, non vi condanno, non vi impongo nulla. In questo atteggiamento la
preoccupazione per gli altri si accompagna all'assoluto rispetto per la loro
coscienza, perche' la vita religiosa e' spontaneo aprirsi, ed il meglio che
si puo' fare per favorirla e' offrire l'esempio della propria persuasione.
Come ha osservato Mario Martini, per Capitini le religioni valgono in quanto
"hanno dato vita ed hanno perfezionato il senso della liberazione dell'uomo"
(12). Il meglio delle religioni e' la consapevolezza dei limiti, degli
errori, del male, e l'aspirazione al meglio, alla pienezza. Capitini e' in
Italia colui che ha saputo cogliere e riproporre la dimensione sovversiva
della religione: quella dimensione studiata da Ernst Bloch in Thomas Munzer
come teologo della rivoluzione. Religione e' al tempo stesso fare guerra e
fare pace con il mondo. Essa, sostiene in Religione aperta, "e' separazione,
e' lotta, e' guerra", in quanto contrasta i limiti del mondo; "in quanto
essa parla di Dio, o di una realta' liberata, indica un'unita' piu'
profonda, la possibilita' di una vera pace" (13). L'uomo religioso dovra'
essere dunque un rivoluzionario, uno che e' teso con tutto se stesso alla
trasformazione, qui ed ora, del mondo.
*
La nonviolenza
Ecco dunque il significato, in Capitini, della nonviolenza: essa e' la
rivoluzione, purificata dalla aggiunta religiosa. E' il tipo di rivoluzione
adatta al persuaso religioso, a colui, cioe', che si solleva contro i
limiti, ma che ha anche coscienza del valore infinito delle persone e della
unita' di tutti. La nonviolenza e' rivoluzione per tutti, che, come ogni
rivoluzione, deve combattere contro alcuni, ma lo fa avendo costantemente
presente il loro stesso bene. La premura per l'avversario e' l'essenza della
prassi rivoluzionaria nonviolenta, che la distingue da ogni altra concezione
rivoluzionaria. Un'altra importante distinzione riguarda la concezione della
prassi che e' al fondo di questo tipo di rivoluzione. La rivoluzione
religiosa e nonviolenta non discende da una conoscenza sicura delle leggi
che governano la storia, non ha alle spalle una grandiosa dialettica. Questo
potrebbe sembrare un limite, ed e' invece per Capitini un pregio della
prassi nonviolenta. Non essendo legata a schemi dialettici, tanto grandiosi
quanto dogmatici, la prassi nonviolenta e' prassi pura: non ha bisogno,
cioe', di conoscere il mondo per modificarlo, e' fin dall'inizio impegnata
nella trasformazione del mondo; essa, scrive, "essendo prassi fin
dall'inizio, puo' portarla fino al massimo, investendo la realta' con
trasformazioni delle stesse categorie che alla conoscenza parrebbero
immodificabili" (14). Una prassi rivoluzionaria legata ad una concezione
della realta' storico-naturale (quale, ad esempio, il materialismo
dialettico) deve misurare le proprie ambizioni, adeguarsi alla realta'
esteriore: e rischia presto di perdere slancio, dar vita a semplici riforme,
realizzare innovazioni solo apparenti.
La prassi religiosa, partendo dal piano pre-politico della coscienza e della
relazione con l'altro, puo' raggiungere la massima estensione e richiedere
le trasformazioni piu' radicali. Il "dire tu", che e' l'inizio di tutto il
pensiero di Capitini, e' per lui anche la prima tecnica della nonviolenza.
Nel momento in cui scopro l'altro come realta' dotata di un valore infinito,
ho gia' superato la logica della violenza e del conflitto: ho gia'
conquistato, cioe', l'essenziale della nonviolenza. Capitini sa bene,
naturalmente, che questa visione fondamentale non e' raggiunta una volta per
tutte, ma va riconquistata di volta in volta, e difesa contro le cadute
sempre possibili. Il nonviolento dovra' cominciare il suo lavoro proprio da
se stesso: la nonviolenza, scrive il filosofo perugino, ha anzitutto "un
carattere di edificazione interiore" (15). La realta' storica non e' piu'
vista come svolgimento meccanico dominato da forze sopraindividuali. La
nonviolenza, a differenza di altre teorie politiche, ha bisogno di uomini
consapevoli, autonomi, sani; essa dovra' promuovere quindi anzitutto la
formazione spirituale dell'uomo - e qui si torna alla osservazione di
Rosselli sulla necessita' di formare l'individuo.
Il contributo piu' profondo di Capitini alla riflessione sulle tecniche
della nonviolenza va ricercato, a mio avviso, proprio in questa dimensione
della formazione spirituale. Penso, ad esempio, alle pagine di Religione
aperta nelle quali parla di quattro "modi di vita che trasformano
intimamente la realta'-societa'-umanita' com'e' ora" (16): il silenzio, che
serve ad ascoltare con maggiore attenzione le altre creature; la
meditazione, che sospende l'attivismo; l'ascolto della musica, che con la
sua pura bellezza anticipa la realta' liberata; la gentilezza verso tutti,
che porta in ogni incontro il senso dell'unita' di tutti.
Dalla ispirazione liberamente religiosa discendono altre due positive
caratteristiche delle nonviolenza di Capitini. La prima e' il rilievo dato
al vegetarismo. "L'ispirazione della nonviolenza e' l'amore religioso, e
questo non puo' arrestarsi all'umanita'"(17), scrive negli Elementi di
un'esperienza religiosa. La nonviolenza e' in Capitini rispetto ed amore che
dall'umanita' si estende agli animali, alle piante, alle cose stesse: essa
intende diminuire la quantita' totale di violenza presente nel mondo, e
percio' non si arresta alla violenza appariscente dell'uomo contro l'uomo,
ma si sofferma anche sulla violenza naturale, legata alla necessita' di
nutrirsi. C'e' inoltre, anche se non sufficientemente sviluppato, un accenno
a quella particolare violenza che consiste nel non rispettare le cose,
nell'usarle male, nello sciuparle, nello "studiarle malamente o soltanto per
l'utile" (18). E' il problema ecologico, oggi cosi' importante. Questa idea
di una riduzione della violenza totale -nei rapporti umani, nei confronti
degli animali, nell'uso delle cose e delle risorse naturali- ha sullo sfondo
il sogno della religione profetica: il sogno di una realta' nella quale il
lupo possa abitare con l'agnello.
La seconda caratteristica e' il legame tra la nonviolenza e l'omnicrazia. La
societa' nonviolenta dev'essere caratterizzata per Capitini da un potere
diffuso, da una partecipazione politica che va ben oltre le forme della
democrazia rappresentativa. I luoghi del potere diffuso sono libere
assemblee popolari (i Centri di Orientamento Sociale) dove si discutono i
diversi problemi della vita comune, si propone, si controlla il potere. Mi
pare che si possa scorgere in questo richiamo di tutti all'impegno una
traduzione politica del rifiuto capitiniano dell'idea del sacerdozio. La
religione e la politica sono le due dimensioni fondamentali dell'esistenza
umana: di esse deve fare esperienza diretta, senza intermediari. Non e' piu'
possibile abbandonarsi fiduciosamente ad istituzioni che hanno dimostrato
pienamente i loro limiti. L'idea di una societa' nella quale il potere si
apre e si diffonde e' inoltre una conseguenza della concezione della
compresenza. L'assemblea e' per Capitini anche il luogo nel quale ognuno
scopre la vicinanza dell'altro, e si avverte -certo in modo ancora
parziale - l'unita' di tutti nella prospettiva della compresenza. Ancora una
volta la formazione politica coincide con il sorgere di una nuova vita
religiosa, lontana dalla sterilita' dei riti e delle cerimonie tradizionali.
*
Importanza dell'aggiunta religiosa
L'approccio liberamente religioso alla nonviolenza si espone ad una duplice
critica. I credenti nella Trascendenza (siano essi cattolici o critici del
cattolicesimo) accuseranno Capitini di aver fondato troppo debolmente la
prassi nonviolenta sull'idea filosofica di compresenza; sosterranno che una
prassi cosi' rischiosa, che si spinge fino al sacrificio di se', ha bisogno
di un fondamento religioso forte, di un Dio che guida e sostiene piu'
concretamente della evanescente compresenza capitiniana, di una legge divina
che rende possibile la critica e l'opposizione ai poteri umani - e
riproporranno piuttosto la figura d'un Tolstoj. I laici invece accuseranno
il pensatore perugino di aver messo troppa religione nella sua teoria della
nonviolenza; di non aver dunque elaborato una teoria politica pura,
universalmente condivisibile, autosufficiente. Pietro Pinna, ad esempio, si
e' preoccupato di assicurare che la teoria nonviolenta di Capitini e'
autosufficiente, puo' stare senza la sua concezione religiosa, da Pinna
definita "sconcertante" e "paradossale" (19). Matteo Soccio ha osservato che
la nonviolenza di Capitini e' "profondamente pervasa di spiritualita' e
fortemente caratterizzata da una metafisica (la realta' di tutti, la
compresenza) bisognosa continuamente di decifrazione perche' il linguaggio
e' difficile per chi 'non crede'" (20). Piu' recentemente, Enzo Marzo
scrive: "Un'eccessiva esaltazione dell''uomo religioso' rispetto al
'cittadino', il far passare concetti che sono e devono essere politici
attraverso la cruna della religiosita', per quanto venata di laicita' e
distinta dalla fede, hanno opacizzato la forza dirompente di valori sempre
piu' necessari per una pacifica convivenza" (21).
Si tratta, in sostanza, del riproporsi di quei recinti ideologici che
Capitini ha combattuto per tutta la vita. Capitini e' stato un pensatore di
frontiera: la sua grande capacita' e' stata quella di cogliere con uno
sguardo generoso le grandi correnti ideologiche del nostro tempo, e di
comprendere che la salvezza e' nell'incontro di pensiero laico ed anelito
religioso, di passione per l'assoluto e di azione nel contingente.
Che la filosofia di Capitini debba essere "continuamente decifrata" e'
osservazione poco condivisibile. Sicuramente la piu' piena comprensione del
significato della compresenza capitiniana, del suo valore, del suo posto nel
pensiero contemporaneo e' una impresa non semplice anche per gli studiosi.
Ma Capitini sa anche semplificarsi, ridurre le sue idee ai termini
essenziali, sa trovare il giusto tono colloquiale per avvicinare anche il
lettore piu' distratto: in nessun caso chiede di "credere" in un corpo di
verita' gia' costituito; mostra piuttosto costantemente il percorso
attraverso il quale e' giunto alle sue convinzioni, ed aiuta il lettore a
compiere un medesimo percorso, lo guida alla riscoperta della propria
interiorita' e della propria esperienza intersoggettiva. La bellezza delle
pagine capitiniane e' anche qui, in questo tono fraterno, cosi' raro nella
filosofia contemporanea.
Quella di Capitini non e' una metafisica astratta, ma una metafisica
pratica: la sua "decifrazione" e' possibile a chiunque, attraverso la prassi
della nonviolenza. Non si tratta, quindi, di far dipendere la nonviolenza da
dogmi, da idee avulse dall'esperienza, da tradizioni non criticate, da una
fede gia' costituita. Si tratta invece di comprendere fino in fondo il
significato del "non uccidere". Da dove viene questa scelta? E dove va?
Quale realta' condanno scegliendo di non uccidere? E verso quale realta' mi
muovo? Questi interrogativi vogliono approfondire la logica della
nonviolenza, e la risposta che Capitini da' ad essi e' un tentativo di
decifrazione della stessa nonviolenza.
Senza questi interrogativi la nonviolenza rischia di ridursi a poca, misera
cosa. Condivido la preoccupazione di Rocco Altieri: la preoccupazione,
cioe', che senza riferimento religioso la stessa politica nonviolenta possa
diventare "senz'anima e senza scrupoli" (22). Si possono, si devono
discutere le risposte che Capitini ha dato a quegli interrogativi, ma
sarebbe un grave errore metterli da parte come superflui e fuorvianti.
Se la nonviolenza e' la forza della verita' (satyagraha), il nonviolento
dev'essere un cercatore di verita'. Aldo Capitini ha cercato la verita'
nella sua interiorita' e nella relazione con gli altri. Ha scoperto alcune
cose molto interessanti, e poiche' gli sembrava che queste cose potessero
dare senso ad una intera vita, ha parlato di religione. Avrebbe potuto
parlare di spiritualita', non sarebbe cambiato nulla. Per trent'anni ha
seguito il suo discorso di verita': ed e' un discorso limpido, lineare, che
ognuno puo' verificare da se', ripercorrendo il suo percorso, ponendosi le
stesse domande, cercando se necessario soluzioni diverse.
*
Note
1. Carlo Rosselli, Socialismo liberale, a cura di Norberto Bobbio, Einaudi,
Torino 1997, p. 111.
2. Ivi, p. 112.
3. Ibidem.
4. Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia
intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998.
5. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, in Scritti filosofici
e religiosi, a cura di Mario Martini, Protagon, Perugia 1994, p. 30.
6. Aldo Capitini, Vita religiosa, in Scritti filosofici e religiosi, cit.,
p. 96.
7. Ivi, p. 21.
8. Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, in Scritti
filosofici e religiosi, cit., p. 426.
9. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, cit., p. 23.
10. Enrico Peyretti, "Aldo Capitini: l'idea di una religione aperta",
relazione letta al Convegno di Studi "Aldo Capitini filosofo della
nonviolenza nel centenario della nascita", Torino 15-16 dicembre 1999.
Ringrazio Peyretti per avermi fornito il testo inedito della sua relazione.
11. Aldo Capitini, La realta' di tutti, in Scritti filosofici e religiosi,
cit., p. 204.
12. Mario Martini, Introduzione a Aldo Capitini, Scritti filosofici e
religiosi, cit., p. XIX.
13. Aldo Capitini, Religione aperta, in Scritti filosofici e religiosi,
cit., p. 473.
14. Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, cit., p. 385.
15. Aldo Capitini, Il problema religioso attuale, in Scritti filosofici e
religiosi, cit., p. 36.
16. Aldo Capitini, Religione aperta, cit., p. 541.
17. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, cit., p. 35.
18. Ivi, p. 36.
19. Pietro Pinna, La proposta della nonviolenza, in AA.VV., Il messaggio di
Aldo Capitini, a cura di Giovanni Cacioppo, Lacaita, Manduria 1977, p. 211.
20. Matteo Soccio, Introduzione a Jean-Marie Muller, Significato della
nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980, p. 5.
21. Enzo Marzo, Capitini, il futuro della nonviolenza, in "Corriere della
Sera", 14 dicembre 1999.
22. Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia
intellettuale di Aldo Capitini, cit., p. 135.

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