La Marcia della Pace del 1961 di Aldo Capitini Il testo seguente estratto dall'antologia capitiniana curata da Piergiorgio Giacche': Aldo Capitini, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, pp. 150-162; nuovamente ringraziamo Lanfranco Mencaroni per avercelo a suo tempo inviato. Ad una marcia della pace pensavo da anni e una volta ne detti anche l'annuncio, d'accordo con Emma Thomas, tanto che l'"Essor" ginevrino pubblico' la notizia. Ma l'idea non si concreto' per varie difficolta'. Quando, nella primavera del '60, feci a Perugia insieme con amici un bilancio delle iniziative prese e di quelle possibili, vidi che l'idea della marcia, soprattutto popolare e regionale, piacque. Ma solo nell'estate essa prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla formazione di un comitato d'iniziativa. La mia intenzione era che il gruppo di iniziativa non fosse prevalentemente di persone di partito. Sono un sostenitore del lavoro di aggiunta a quello dei partiti, che ritengo certamente utili in una societa' democratica, ma non sufficienti. E sono sempre "indipendente" (un indipendente disciplinato) appunto per promuovere iniziative di aggiunta. Cosi', seguendo questo principio, pensai che il gruppo di iniziativa, formato intorno a me che rappresentavo il Centro di Perugia per la nonviolenza, fosse alquanto autonomo dai partiti politici, con i quali sarebbero stati presi contatti diretti soltanto dopo. Lanfranco Mencaroni, Lia e Giovanni Piergallini, Maria Comberti, Eugenia Bersotti, Aldo Stella, erano persone estranee ai partiti; e le altre da me convocate, anche se piu' vicine o addirittura iscritte a partiti, valevano soltanto o per la loro esperienza pacifista (come Pietro A. Buttitta e Andrea Gaggero), o come umbri capaci di cogliere il valore dell'iniziativa e di dare utili consigli (come Pio Baldelli e Luigi Corradi). Le prime circolari di annuncio della Marcia sono dell'estate del 1960. Mi valsi degli indirizzi personali e del Centro; ebbi pronte adesioni come quella del maestro Gianandrea Gavazzeni; passarono mesi di spedizione di circolari e di lettere personali; dall'on. Pietro Nenni ebbi nel novembre 1960 una lettera molto favorevole. Ma debbo dire che oltre quel primo carattere, di iniziativa non dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una piu' facile adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia per la pace, io tenevo sommamente ad un secondo carattere, che anzi era stato il movente originario del progetto: la marcia doveva essere popolare e, in prevalenza, regionale. Avevo visto, nei dopoguerra della mia vita, le domeniche nella campagna frotte di donne vestite a lutto per causa delle guerre, sapevo di tanti giovani ignoti ed ignari mandati ad uccidere e a morire da un immediato comando dall'alto, e volevo fare in modo che questo piu' non avvenisse, almeno per la gente della terra a me piu' vicina. Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace e' in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente piu' periferica, se non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come e' una marcia? Coloro che discorrono senza aver mai affrontato problemi di propaganda e di contatto con le moltitudini, hanno detto che bisognava fare una marcia tutta di pacifisti ben provati, senza toccare i partiti. Rispondo che dalla Liberazione ho organizzato molte riunioni e convegni per la pace e la nonviolenza, e anche viaggi ad Assisi e una volta, dopo un convegno sulla nonviolenza, fin sul prato della Rocca; ma eravamo sempre pochissimi, e quelli stessi che mi hanno fatto la critica suddetta non c'erano e non lo sapevano. Quindici anni di propaganda fatta in quel modo non avevano certo procurato le persone e i mezzi per poter aprire una campagna di convocazione popolare ad una marcia nella mia regione. Quando si parla di forze pacifiste in Italia, non si sa bene che si tratta di societa' o nuclei molto esigui, e alcune volte non di quella intensita' di lavoro che dovrebbe compensare l'essere in pochissimi. Ne ho avuto una prova anche nel mancato aiuto da qualche parte per la Marcia. Fermo nell'idea di raggiungere la popolazione piu' periferica della regione, dovevo chiedere l'aiuto di altri per l'annuncio e per il trasporto stesso delle persone dai luoghi lontani. Sapevo bene che gli aiutanti (anche se d'accordo su certe condizioni) e i partecipanti non sarebbero stati in gran parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo ma, e questo e' il terzo carattere dell'iniziativa che voglio mettere in rilievo, si presentava un'occasione di parlare di "nonviolenza" a "violenti", di mostrare che la nonviolenza e' attiva e in avanti, e' critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe, solidarieta' e decise noncollaborazioni, e' chiara e razionale nel disegnare le linee di cio' che si deve fare nell'attuale difficile momento. Che mi si venga a rimproverare di aver mancato alla purezza della nonviolenza da parte di persone che non ho incontrato ne' nei quindici anni prima della Liberazione dal fascismo, quando per fedelta' alla nonviolenza non presi la tessera del fascismo, fui cacciato dal posto (a trentatre anni), andai in prigione, scrissi libri di contrasto al fascismo e alla Chiesa alleata; ne' nei quindici anni dopo la Liberazione, in tanti convegni e riunioni e campagne, e' ben curioso! Forse quella gente, che molto probabilmente non pensa come me giorno e notte ai duri problemi della nonviolenza, ne ha un'idea generica, e non tiene presente il metodo di San Francesco che fu quello di andare a parlar con i saraceni piuttosto che sterminarli nelle Crociate, nelle quali il sangue talvolta arrivava ai ginocchi; ne' il metodo di Gesu' Cristo, che parlava e stava con i peccatori come gli rimproveravano i farisei. Il fatto e' anche che davanti a persone del popolo che non hanno avuto sufficiente istruzione, con donne, uomini, ragazzi, che non hanno letto sui nostri problemi ne' partecipato ai nostri convegni, mi pare irreligioso escluderli perche' non sono addentro alla nonviolenza: meglio convocarli e parlar chiaro. Forse da secoli in Italia non era stato parlato cosi' apertamente della "nonviolenza" in modo popolare, dopo che i supremi insegnamenti di Gesi', dei primi cristiani, di San Francesco, sono stati avvolti, temperati o sottoposti a altri insegnamenti di legittima difesa, di grandezza della patria, di sottomissione all'autorita' e perfino di guerra coloniale, enunciati dall'altare. Nel 1221, in piazza dell'Arengo a Rimini, i terziari (laici) francescani opposero all'invito del podesta' di prestare il giuramento di fedelta', che implicava l'impegno d'impugnare le armi al comando degli organi dello Stato, "di non potere ne' combattere ne' portare le armi, sia di offesa che di difesa; perche' essi volevano la pace con gli uomini e con Dio, conquistandola con opere di bonta', trasformando il male che e' nel mondo in bene". Cinque anni prima che morisse Francesco d'Assisi, ecco apparire modi di obiezione di coscienza. Potrei connettere con questo fatto (che prosegui' nel Duecento, tanto che i papi Onorio III e Gregorio IX difesero l'obiezione dei terziari laici francescani dall'autorita' civile) il quarto carattere dell'iniziativa: la scelta di Assisi come meta della Marcia che non poteva che muovere da Perugia, per ragioni organizzative. Se la Marcia doveva essere regionale e popolare, dato anche che nell'Umbria non vi sono basi o fabbriche di guerra, quale meta migliore di Assisi, ad una distanza sopportabile da Perugia, in una zona popolatissima con un luogo elevato di eccezionale bellezza di paesaggio (lo stesso veduto da San Francesco), e di accesso indipendente dalla chiesa del Santo? Assisi e' cara al cuore degli umbri, e lo resta anche se essi non sono credenti cattolici, per la centralita', la bellezza rara, il carattere entusiasta, amorevole, sereno, popolare, del santo, per quella celebrazione della "familiarita'" a cui tanto tiene la gente di questa regione. Per questo mi parve bene che la meta fosse Assisi, ripetendo cio' che noi del Centro per la nonviolenza avevamo fatto altre volte, ma questa volta movendo quanto piu' popolo fosse possibile. Ci sono state critiche e rifiuti perche' la meta era Assisi, come se noi facessimo concessioni al potere cattolico o compromessi con la religione tradizionale. Collegare San Francesco e Gandhi (avvicinamento che in Oriente si fa molto spesso) voleva dire sceverare l'orientamento nonviolento e popolare dei due dalle circostanze e dagli atteggiamenti particolari; ed era anche uno stimolo a far penetrare nella religione tradizionale italiana, come e' sentita dal popolo e soprattutto dalle donne, l'idea che la "santita'" e' anche fuori del crisma dell'autorita' confessionale: la Marcia doveva anche servire a questa "apertura" (e difatti il nostro Centro ha diffuso il giorno della Marcia tremila copie di un numero unico su Gandhi); quando tra il popolo piu' umile, e tanto importante, dell'Italia si arrivasse a mettere il ritratto di Gandhi in chiesa tra i santi, avremmo quella riforma religiosa che l'Italia aspetta dal Millecento, da Gioacchino da Fiore. Questi quattro caratteri della Marcia mi sono stati chiarissimi fin dal 1960: 1)che l'iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale (Centro di Perugia per la nonviolenza); 2) che la Marcia dovesse destare la consapevolezza della pace in pericolo nelle persone piu' periferiche e lontane dall'informazione e dalla politica; 3) che la Marcia fosse l'occasione per la presentazione e il "lancio" dell'idea del metodo nonviolento al cospetto di persone ignare o riluttanti o avverse; 4) che si richiamasse il santo italiano della nonviolenza (e riformatore senza successo). Una notevole pesantezza ideologica caratterizza gl'italiani, derivante dall'uniformita' dottrinaria cattolica e dal breve periodo di democrazia diffusa: gl'italiani pensano che nell'assoluto, nelle cose serie (religione, politica, scuola) debba esserci uniformita', e la diversita' sia cosa degl'individui contingenti e del folclore. Per questo accusano di eretico, di sovversivo, di diseducatore, chi e' "diverso". Non sono abituati a collaborare nelle cose serie con i "diversi". Andare ad Assisi non era per noi accettare i dogmi della fede di Francesco, in numero minore di quelli cattolici di oggi: egli non conosceva al suo tempo ne' la critica neotestamentaria, ne' il liberalismo etico-filosofico, ne' il socialismo; ma si puo' ben richiamarlo anche se "diverso". Fare una Marcia con filoccidentalisti e filosovietici non e', certamente, accettare il Patto della Nato oppure il Patto di Varsavia, ma e' parlare a loro francamente della nostra posizione di neutralisti, in nome del rapporto intimo con tutti e dal basso. Sono il primo io ad aver cara la "qualita'" piu' che la "quantita'", e tanti fatti e parole lo provano. Ho dovuto fare uno sforzo verso me stesso per perseverare nell'idea di muovere molta gente, di chiedere a cio' l'aiuto di persone che all'inizio sorridevano sulla cosa e che, lungo il corso, non avrebbero certamente condiviso gli ideali a cui tengo sommamente (e tra queste persone metto quelle dell'una e dell'altra parte); ma era come una tentazione che dovevo vincere - quella di fare una cosa in pochi, molto pochi -, in nome di quello sforzo da fare per arrivare al maggior numero di lontani e periferici in un periodo di crescente guerra fredda, forse nell'imminenza di un conflitto immane. Consumare tante energie e tanto tempo, quando ho molto da studiare per l'insegnamento e libri da terminare, impostare una marcia che non avrei potuto fare a piedi per intero per ragioni di salute, mettere la "qualita'" al rischio di essere fraintesa, esporre me stesso a calunnie e accuse (c'e' stato anche chi ha stampato in un giornale che sono un "figlio degenere"), e soprattutto al fraintendimento che io volessi farmi con la Marcia un nome, quando ho cercato e cerco instancabilmente altri che faccia al posto mio: questo ho ben sentito che "dovevo", pronto, nella Marcia, ad affermare le mie idee (come ho fatto nel saluto e nella Mozione), e pronto, dopo la Marcia, a lavorare, indipendentemente da filoccidentalisti e filosovietici, ad un Movimento nonviolento per la pace; ma disposto a riaccordarmi con gli uni e con gli altri, a precise condizioni, in manifestazioni ed iniziative di carattere plurimo, come fu, del resto, nell'opposizione e nella resistenza al fascismo. Messici al lavoro cercando di avvertire e stimolare quante piu' persone si potesse, si vide che quanto alla data della Marcia, si doveva rinunciare al proposito di far presto, e cosi', dopo aver fissato varie scadenze, si arrivo' quella del 24 settembre 1961, che il risultato ha dimostrato molto felice. Nei mesi fino a tutto il giugno 1961 non si puo' dire che le adesioni e gl'impegni di partecipazione (nelle cedolette aggiunte alla circolare d'invito) fossero molti. Cari amici avevano promesso e qualche sconosciuto; alcuni avevano annunciato che sarebbero venuti molto tempo prima per aiutare, ed io ci contavo molto, perche' avevo un piano per una certa propaganda del tutto nostra - di pacifisti integrali e di nonviolenti -, nei paesi circostanti, propaganda che sarebbe stata perlomeno ascoltata perche' le circolari dei partiti di sinistra, delle cooperative e dei sindacati, annunciando la Marcia, non avevano suscitato la diffidenza verso di noi, anche se avessimo parlato un linguaggio di nonviolenza. Ma debbo dire che questi aiuti non vennero e il piano, anche modesto, non si pote' attuare per nulla. Cosi' dal luglio, terminati i miei impegni di insegnamento mi accinsi ad un lavoro intensissimo - ormai il "parto" era prossimo, e non si poteva tornare indietro - perche' la notizia si diffondesse. Chi e' stato alla Marcia ed ha visto quale varieta' di persone vi fosse, delle minoranze religiose e pacifiste (forze per la prima volta insieme), non pensa che io speravo in un numero maggiore, e in una quantita' nostri cartelli molto piu' rilevante. Anche questo indica che la Marcia Perugia-Assisi e' stata il suscitamento di un pacifismo integrale e nonviolento molta maggiore e piu' dinamico di quello che c'era prima: oggi si puo' contare su piu' persone, su migliore volonta', su notevole prontezza di attivita'; e' segno che la Marcia l'ha fatta emergere, l'ha polarizzata; il pacifismo di prima era frammentario, talvolta sedentario e lontano da un contatto con moltitudini che possono diventare pacifiste integrali (c'erano donne che avevano le lacrime agli occhi per la commozione al passare della nostra Marcia; ho visto contadini levarsi il cappello). Nessuno puo' conoscere il disagio che ho provato nei mesi precedenti la Marcia nel vedere che non avevo, da pacifisti e indipendenti, l'appoggio intenso che speravo, io che li sollecitavo a passare le "ferie" nell'Umbria nel fare propaganda! Dall'altra parte i comunisti. Ne parlo francamente. Nel principio non si saranno resi ben conto della cosa; avranno pensato che sarebbe stata una cosa di "nonviolenti" in un mondo cosi' ferreo: qualcuno, a Perugia e a Roma, avra' sorriso. Ma poi per la mia aperta sollecitazione a collaborare e per il presentarsi di grossi avvenimenti internazionali, e specialmente il teso riarmo tedesco occidentale e la questione di Berlino, i comunisti aiutarono la diffusione della notizia in tutta la regione. Oratori da Roma, del Movimento per la pace, non erano venuti, eccettuata Joyce Lussu per due conferenze a Perugia e a Foligno; e pochissimo aveva potuto fare Andrea Gaggero, che nei giorni precedenti la Marcia ci fu, invece, di ottimo aiuto e per tutta la Marcia. Negli ultimi mesi potei contare per il lavoro di segretaria sull'aiuto del comunista Romeo Sisani. Con i dirigenti le condizioni erano chiare: la Marcia non avrebbe avuto nessun segno di partito, avrei stabilito io gli oratori alla conclusione della Marcia, il partito doveva curare la diffusione della notizia presso i non iscritti, avrei esaminato io l'elenco delle scritte dei cartelli consigliate dal partito. Ho detto in una discussione al Circolo Turati di Milano che affermerei volentieri con Giovanni Boine: "Ho il vanto che ognuno mi possa ingannare". Ma qui non mi ha ingannato nessuno. I comunisti sono stati ai patti; hanno fatto molto, e forse non potevano far di piu', anche per la coincidenza con le feste dell'"Unita'"; certo che ne' noi ne' loro ne' altri hanno portato l'annuncio in tutte le parrocchie, in tutti i casolari, come speravo; tuttavia per l'insieme della propaganda molta gente si mosse, e i piu' erano di nessun partito: un mio amico mi ha detto di aver trovato alla Marcia certi parenti delle montagne di Gubbio che non rivedeva da anni. I comunisti contribuirono largamente alla stampa di manifesti, il cui testo era scritto da me. Dei socialisti ho detto che l'on. Nenni, primo fra gli uomini politici di grande rilievo, fin dal novembre 1961 aveva mandato una lettera di adesione. Cosi' fecero altri socialisti. Un intervento decisivo fu quello di Parri, Binni ed Enriques Agnoletti, con la circolare che e' riportata tra le adesioni. Nella citta' venne anche l'aiuto della Federazione provinciale, in modo che si pote' arrivare alla formazione di un Comitato organizzativo della Marcia composto da me, come presidente, e da Lanfranco Mencaroni indipendente, Vittorio Menesini per l'UGI (sostituito poi da Franco Bozzi), Mirella Roscini per l'UDI, Romeo Sisani per il PCI, Mario Valentini per il PSI, Alarico Mariani Marini per il Partito radicale, Claudio Spinelli per il Partito repubblicano: un Comitato serio e pieno di buon senso molto amichevole tra tutti. Da apprezzare sono gli atti di adesione dei radicali e dei repubblicani umbri, indipendentemente dalla decisione centrale dei due partiti che non presero una decisione ufficiale. E i democristiani? Io avevo invitato le amministrazioni comunali e provinciali della regione (ed anche altre, specialmente quelle decorate per la Resistenza), e le associazioni culturali. sindacali, cooperative, religiose e morali (tra le quali l'arcivescovo per il clero cattolico, gli ordini religiosi cattolici, la Chiesa evangelica, i teosofi, la Loggia massonica) e i partiti politici, escludendo i monarchici e i fascisti che di guerre ne hanno fatte certamente troppe. Il Partito liberale e il Partito socialdemocratico non risposero. E nemmeno per un po' di tempo il Partito democristiano. E' avvenuto poi, che, pur nel rifiuto ufficiale degli organi dirigenti, un buon numero di democristiani e' venuto alla Marcia; i consiglieri comunali di minoranza democristiana di Foligno approvarono l'adesione dell'amministrazione comunale, che fu, cosi', unanime; e il sindaco democristiano di Assisi, pur non aderendo, ci appresto' gratuitamente il palco per gli oratori sul prato della Rocca ed era li' presente alla conclusione della manifestazione. Quanto alle gerarchie ecclesiastiche esse, con evidente sproporzione, avevano stabilito che mentre arrivava la nostra Marcia ad Assisi, nelle chiese si pregasse per le difficolta' che alcuni cattolici trovano in paesi dell'Europa orientale (forse minori di quelle che noi liberi religiosi troveremmo nei cattolicissimi Stati della Spagna e del Portogallo). Ma non era una esagerazione tendenziosa? e che noi eravamo truppe sovietiche, cinesi, saracene? Sicche' le accuse, prima della Marcia, erano alquanto varie: chi disse che io ero "manovrato" dai comunisti, chi mi accuso' di fare la marcia dei "vegetariani": "Il Borghese" del 14 settembre 1961 terminava l'articolo sulla Marcia scrivendo che: "Ripensandoci, a conti fatti, tra vegetariani e baluba preferiamo i secondi". Il prefetto di Perugia aveva mandato alle amministrazioni comunali e provinciali una circolare proibendo di portare alla "Marcia della pace" i gonfaloni della citta'. Come le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare; e tuttavia quando i marciatori incontrarono ecclesiastici, non un'offesa, non un fischio si levo'; cosi', mentre il prefetto aveva preso quell'iniziativa contro la volonta' dei consigli comunali e provinciali ed aveva mobilitato un numero ingente di forze di polizia all'inizio, lungo la Marcia e sul prato nulla, proprio nulla accadde, e non certamente perche' c'erano quelle "forze", ma per autodisciplina dei partecipanti, per fiducia negli organizzatori e perche' un entusiasmo e una fede potevano esprimersi in un modo cosi' semplice e chiaro, senza la soggezione e l'inferiorita' che il popolo sente nei congressi. I giovani stessi, e la Marcia era piena di giovani, seppero frenarsi. I frati di Santa Maria degli Angeli erano impressionati la mattina (cosi' dissero ad una signora) dall'arrivo di tanta gente "rossa": quando videro quei popolani visitare i luoghi, interni al convento, dove visse San Francesco, e alcuni anche ascoltare la messa, si tranquillizzarono. Non vi fu un ubriaco. C'erano canti: un cantatore barbuto, il musicista Fausto Amodei, insieme con altri cantava canzoni della serie di "Cantacronache", tra cui il canto di pace di Italo Calvino Dove vola l'avvoltoio, e strofette suggerite li' per li' da Franco Fortini. La Marcia ebbe i due momenti piu' alti quando, in quel luogo cosi' ampio sotto la cupola di un cielo che impallidiva lentamente, Arturo Carlo Jemolo parlo' della benedizione divina che certamente scendeva su quell'assemblea di pace, e quando io chiesi due minuti di silenzio per ricordare i morti nelle guerre o per causa delle guerre, e tutti si levarono in piedi, qualcuno si inginocchio', e mi e' stato detto che tutti gli appartenenti alla polizia si misero sull'attenti. Avevo scritto nel periodico mensile "Umbria d'oggi", prima della Marcia (nel numero. distribuito alla Marcia, con la data 30 settembre 1961): "... La Marcia e' decisione pratica, che si prende dopo aver pensato e parlato, come al sommo di un momento importante, e' celebrazione di solidarieta' impegnata. Proprio settecento anni orsono da Perugia partirono quelle processioni religiose dei "Laudesi" che, al sommo di una tensione religiosa, manifestavano un sentimento "dal basso" che era maturato in decenni di alta spiritualita' dalla predicazione francescana. Ma la nostra Marcia ha qualche cosa di festoso e non di contrito, e di aperto perche' unisce persone di idee diverse, accomunate da un unico orizzonte universale. Non dimentichiamo che questa Marcia non e' per la pace "nell'Umbria", ma nel mondo intero, per le trattative tra i blocchi, per il superamento dell'ostilita' fredda e calda. Con questa Marcia gli umbri si pongono su un piano universale, si affratellano ai popoli di tutti i continenti, alzano la loro voce di amicizia, e tutti coloro che conoscano anche di sfuggita la nostra regione, sentiranno accresciuta la loro simpatia per questa terra che, manifestando tali esigenze universali, dimostra di avere abitanti all'altezza di un compito importante". Realmente la Marcia e' stata un'altra prova (e non sara' la sola) di quell'insieme di apertura religiosa umana e di esigenza di trasformazione sociale che fu cosi' vivo in Umbria nel Duecento e Trecento, in grandi movimenti e grandi lotte. C'e' stato chi ha scritto che si e' sentito "qualche cosa di nuovo" nella Marcia. Io credo sia soprattutto questo insieme sociale religioso che ritorna per allargarsi nella nostra storia attuale. Ecco che, a fatto avvenuto, si possono vedere le ragioni profonde della Marcia. Essa e' stata un atto importante, forse una svolta, nel nostro paese. Alcuni giornalisti hanno paragonato il fatto a quello del luglio 1960, quando "dal basso" una manifestazione antifascista arresto' l'orientamento del governo a destra. La Marcia e' stata una manifestazione "dal basso", che ne ha cominciate tante altre, per isolare i nuclei militaristici e reazionari. Con l'unione stabilita tra i pacifisti e le moltitudini popolari, si e' presentato un metodo di lavoro non piu' minaccioso di violenza, e nello stesso tempo si e' avviata un'unita' che e' la massima che si puo' stabilire in Italia: quella nel nome della pace. Si e' avviato un moto degli strati piu' profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano, un moto che non e' senz'altro politico o di classe, ma e' la premessa e l'addentellato per ogni lotta ed ogni educazione che voglia svolgersi in Italia per contrastare il patriottismo scolastico diffuso dai nuclei nazional-militari, e, insieme il borghesismo edonistico che si ritrae da ogni lotta civile e sociale per la fruizione dei benessere promesso dal neocapitalismo. La lotta per la difesa e lo sviluppo della pace porta preziosi elementi di coesione dal basso contro l'individualismo e il conformismo e per di piu' associa di colpo le donne, le famiglie, prima delle lotte politiche. E con l'accento posto sul superamento dei metodi violenti, sull'apertura e sul dialogo, non solo sollecita la nostra democrazia, e qualsiasi altra, ma preme sulle religioni esistenti, e particolarmente su quella tradizionale, perche' sia messo in primo piano il rapporto nonviolento con tutti gli esseri. Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarieta' che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, e' un grande risultato della Marcia, durante la quale abbiamo distribuito tremila copie di un pieghevole di quattro pagine sulle idee e il lavoro del Centro per la nonviolenza. Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma e' certo che ora ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza ha una sua parola da dire. Con l'aggiunta della nonviolenza all'opposizione abbiamo dato vita a un fermento interno, ad uno scrupolo, ad un'autocritica; il risultato sara' che metteremo sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi reazionari, i loro sforzi crudeli e vani nel mondo, la loro irreligiosa difesa di una societa' sbagliata. Tanto piu' dopo gravissime denunce del pericolo di una distruzione atomica, l'impostazione di un altro metodo di lotta, quello nonviolento che mantiene il dialogo, la liberta' di informazione e di critica e non distrugge gli avversari, diventa urgente; ed io credo che anche nelle scuole bisognera' insegnare il valore e le tecniche dei metodo nonviolento. La resistenza alla guerra diventa oggi tema dominante, perfino con riferimenti teorici, filosofici, religiosi. |