Voci e Volti della Nonviolenza Numero 378 del 29 settembre 2009 Pedro Casaldaliga Ricorda Helder Camara (1999) [Dal mensile "Jesus", n. 10, ottobre 1999, col titolo "Dom Helder Camara. Un dono per il mondo"] Ora, in occasione della sua morte, nessun avversario, ne' dentro ne' fuori la Chiesa, ha avuto il coraggio di parlar male dell'arcivescovo di Olinda-Recife, nel Nordeste arido, mistico e militante del Brasile: dom Helder Pessoa Camara. O almeno nessuno ne ha parlato male in pubblico. Anzi, al contrario: tutto il mondo ne ha parlato bene (mi riferisco agli "avversari dentro e fuori la Chiesa", perche' dentro e fuori li ha avuti, nella sua lunga e tormentata vita, l'amato patriarca). Io, commentando la sua morte, il significato della sua vita, il profondo vuoto che ci lascia - ancorche' con tutta la presenza di un risuscitato -, facevo, tra il serio e il faceto, lo stesso commento addolorato di Gesu': "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti...". Con dom Helder abbiamo condiviso episcopalmente lunghi anni della piu' recente storia della Chiesa e ci hanno uniti impegni e sogni, programmi e aneddoti ed una certa esperienza ecclesiale sofferta. Tutti questi anni, ora li ripercorro nella memoria, alla luce quieta dello humour e della speranza. Questa speranza che e' stata, certamente, in tutta la sua vita e soprattutto nei tempi difficili della societa' e della Chiesa, un atteggiamento fondamentale di dom Helder. Non solo ha scritto che "il deserto fiorira'", lo credeva in modo irremovibile. E con questa speranza ci ha lasciati ed e' morto, e nemmeno ora, nelle tenebre, aspetta invano. Continuo a immaginarmelo con le braccia in alto, come se cercasse di allungare la sua figura minuta, vestita con la talare bianca, mentre ci grida, grida al mondo: "Irmaaaos!", "fratelli!". Abbracciandoci tutti, senza frontiere. Anche il "fratello universale"... O chiamando, nella piu' intima orazione evangelica: "Paaai!", "Padre!". E sottolineava la sillaba, come riposando nella sicura accoglienza di Dio. O proclamando la Maria del Magnificat come la "Mariaaaama!" afrobrasiliana, nella memorabile prima volta della Messa dei Quilombos che avevamo composto Milton Nascimento, Pedro Tierra ed io. In questa preghiera dom Helder ebbe l'audacia filiale di correggere il canto a Maria: "Non e' necessario che i ricchi restino a mani vuote". Ne' ricchi, ne' poveri, chiedeva. Che ci sia lo stesso per tutti, che tutti siamo fratelli... (La notte prima della grande celebrazione di questa messa, che dom Helder presiedette, le forze dell'"ordine" repressivo trasformarono la croce del cartellone pubblicitario in falce e martello e durante l'eucaristia diffusero un opuscolo sulla "messa nera", nel senso peggiorativo del termine). In diversi libri e riviste, nelle moltissime interviste che gli hanno fatto, dom Helder ha lasciato scampoli delle sue memorie. Sempre eloquenti, perche' dom Helder era un oratore nato. Diceva tutto con vibrazione. Come pure era un poeta nato: un poeta di aforismi, che scriveva di solito nelle prime ore del mattino. Molte altre memorie, sicuramente, gli sono rimaste nella penna o nel cuore. Molte nel piccolo scrigno di una misericordiosa prudenza, nella colombaia della pace. Perche' dom Helder, il famoso "vescovo rosso", fu sempre un militante della nonviolenza, un Gandhi ecclesiale latinoamericano. Nella societa' non voleva scontri violenti, anche se sollecitava riforme e qualcosa di piu' che riforme. Tutti ricordiamo quel suo detto paradigmatico: "Quando parlo dei poveri, mi chiamano santo. Quando indico le cause della poverta', mi chiamano comunista". Risaliva alle cause e denunciava l'oppressione o l'esclusione sociale chiamando per nome i loro meccanismi e le loro strutture. Non fu un ingenuo, pur essendo un pacifista. Era profeta. Dai pulpiti e nelle conferenze e attraverso i mezzi di comunicazione. Nelle assemblee episcopali o nei giri "cospiratori" dei compagni e delle compagne di "caminhada". Con i monsignori del Vaticano e i Papi. Egli sognava una Chiesa altra nel suo vivere l'autorita'; capace di molto dialogo, ecumenico (e macroecumenico, diremmo ora), un ministero papale ed episcopale "altro"; sognava un popolo laico libero e adulto e attivo, che prendesse decisioni e non "imparasse" e "obbedisse" soltanto, agendo come un immenso collegio per la Chiesa nei suoi impegni sociali o politici. Con talare e croce, dentro e fuori, andava dom Helder... L'amore, la speranza e lo humour lo aiutarono a muoversi nella marea. Nelle questioni piu' intricate o nelle situazioni limite sapeva manifestare la sua acutezza. In piena dittatura militare, quando gia' gli avevano assassinato con la tortura il suo "diacono", il suo Lorenzo, il padre Antonio Enrique Pereira Neto, ricevette minacce anonime, chiamate telefoniche terrorizzanti. Una notte il telefono se ne usci' con questa proposta macabra: "Dom Helder, scelga il tipo di morte che preferisce!"; al che lui, pronto e piu' che altro divertito, rispose: "Squartato, come Tiradentes!" (l'eroe dell'indipendenza brasiliana). A Roma, in particolare nella Congregazione del Sant'Uffizio - che allora si chiamava ancora cosi' -, sua Eminenza il cardinale prefetto mi allungo', con una lettera-poema, un libro di poesia, intitolato Terra nostra, liberta'. Nel prologo l'autore evocava, tra molte cose belle, anche le torture subite dai nostri operatori pastorali, alcuni seviziati con scosse elettriche ai genitali. Per questa ragione, il prefetto del Sant'Uffizio, contestando la mia difesa, defini' il libro "eretico ed erotico". Incalzato da dom Helder, sua Eminenza disse che non conosceva il libro, che gliene avevano parlato... Con questa stessa Eminenza ci fu un altro alterco, ancora piu' imbarazzante, diciamo. Dom Helder riteneva la collegialita' il grande progetto ecclesiale della nostra epoca. E sua Eminenza contestava, chiuso, difendendo l'accentramento: "Collegialita', collegialita'... dove sta nel Vangelo la collegialita', dom Helder?". "Nel collegio apostolico, Eminenza!", rispondeva il minuto arcivescovo. Durante un'assemblea della Cnbb - la Conferenza episcopale brasiliana - si stava discutendo non so quale norma venuta da Roma e, nel mezzo delle discussioni, qualcuno, conservatore, fece appello all'autorita' del Papa, richiamo' all'obbedienza al Papa. Dom Helder prese la parola, ci ricordo' la santa liberta' di Paolo quando discuteva con Pietro e concluse: "Se Paolo non si fosse opposto a Pietro, a quest'ora saremmo tutti circoncisi!". Una risata solenne, episcopale, riempi' la sala e pose termine alla discussione. Roma non diede a dom Helder la berretta cardinalizia. Il Governo brasiliano impedi' che gli venisse conferito il premio Nobel per la pace. Il popolo e la Chiesa dei poveri e molta umanita' grata gli hanno dato i migliori titoli e un affetto mondiale. Dom Helder Camara restera' tra di noi come profezia. Come una delle piu' grandi figure della Chiesa di questo secolo. Come uno dei massimi leader spirituali, all'altezza di Gandhi, di Luther King... "Fratello dei poveri", anima del Terzo Mondo nel Concilio Vaticano II, cuore di Medellin. Voleva "un anno Duemila senza miseria in Brasile", un nuovo millennio nella pace e senza esclusioni. La sua memoria sara' il nostro impegno. La sua speranza, ora realizzata, ci confortera': fiorira' il deserto, nonostante tutte le siccita'... il suo "passaggio pasquale" ci apre, soprattutto in America latina, una porta autentica per il vero Giubileo. Dom Helder e' stato un vero "dono" per il Brasile, per la nostra Chiesa, per il mondo. Ci sorride, stende le braccia e grida, glorioso: "Irmaaaos, irmaaa!". * Postilla Di dom Camara, il cardinale Lucas Moreira Neves ha scritto: "Conservo il ricordo di un prete povero che fino alla fine ha vissuto autenticamente la piu' austera poverta' prima di predicarla agli altri. Ho visto in lui durante tutta la vita, anche quando da alcuni era giudicato 'politico', un uomo che poggiava totalmente la sua azione nel Vangelo" ("Osservatore Romano", 4 settembre 1999). |
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