Introduzione a "La Bella Politica" di Marisa Ombra di Anna Bravo Per chi assegna il copyright della "bella politica" ai movimenti degli anni Sessanta-Settanta, questo libro importante rappresenta una documentata e serena smentita. Non solo: oggi che quell'espressione e' usata come un mantra tuttofare, la riporta alla concretezza della storia. E cosi' facendo, mostra la sua capacita' di durata: se la bella politica ha un posto d'onore nella memoria di oggi, e' perche' ha saputo resistere nella realta' di allora, a dispetto delle gerarchie e della routine, tenendo vivo il legame con idee, ideologie, organizzazioni - nel caso di Marisa Ombra il Pci, i Gruppi di difesa della donna, l'Udi; il femminismo, anche. Questa non e' una storia di Resistenza, sebbene la racconti; e' l'escursione su un'intera biografia, dall'infanzia agli anni Novanta: tempo lungo, ritmo serrato e essenziale. Bella politica e' l'esperienza del partigianato, che l'autrice vive come staffetta, macinando in solitudine continaia di chilometri fra le colline dell'astigiano e delle Langhe. Sono le discussioni con alcuni compagni e compagne, i giri elettorali, il lavoro con le contadine, l'impegno in "Noi donne", il primo giornale politico femminile del dopoguerra e la prima impresa cooperativa editoriale, di cui Marisa sara' presidente. Bella politica e' il femminismo, punto di svolta, nuovo sguardo sul mondo. Nell'Udi, molte diffidano del modo in cui le ragazze degli anni Settanta irrompono sulla scena pubblica, degli obiettivi radicali, dei cortei separati fragorosi e variopinti, degli slogan. Marisa ha le sue perplessita' e le conserva, ma sente che tutto questo la riguarda, che e' una risorsa di liberta'. In quegli anni trova nuove amiche - "alcune incontrano alcune", scrive, fotografando in tre parole una via maestra della politica femminista - e inizia un rapporto profondo con la mai dimenticata Annarita Buttafuoco. Partecipa alle campagne per il divorzio, per la depenalizazione dell'aborto e contro la violenza sessuale. Allora come oggi, si interroga sull'amicizia fra donne, dubita del primato attribuito alla madre, reale e simbolica, dal pensiero della Libreria delle donne di Milano - e sono riflessioni profonde. Oggi piu' di allora, apprezza le lotte per la pace, ma non si riconosce nel pacifismo "senza se e senza ma", nella sensibilita' diffusa che ha trasformato in luogo comune (a volte rinnegato nei fatti) la tesi secondo cui non c'e' progetto, non c'e' ideale personale o collettivo che giustifichi lo spargimento di sangue. Scrive: sull'8 marzo, con Tilde Capomazza, mostrando come quella data nasca da una gloriosa leggenda, non da un evento; sulla Resistenza, e fra le riviste dove pubblica c'e' la prima in Italia di studi delle donne, "Dwf"; sulle immagini dell'Udi; sull'attualita'. Scopre come il femminismo - "un periodo bellissimo" - cambi il rapporto con il suo compagno, che comincia a guardarla come si guarda una sconosciuta, misteriosa e piu' autorevole di prima. E' in prima fila nel processo tumultuoso al cui termine la iperstrutturata Udi azzera i vecchi organigrammi, autosciogliendosi in una miriade di gruppi locali. Con Luciana Viviani e Maria Michetti, comincia e porta a termine il lavoro smisurato di raccolta e ordinamento dei materiale dell'organizzazione, creando un Archivio di importanza primaria per la storia delle donne, del Pci e dellíItalia repubblicana. E' una vita cosi' ricca che viene spontaneo pensare a Marisa come a una donna fortunata. Gia' alle origini. Ha un padre dirigente del Pci e comandante partigiano, una madre dolcissima che ha avuto il coraggio di concepirla prima del matrimonio, una nonna cosi' aperta da accogliere con naturalezza la futura nuora incinta (negli anni '20!). Intorno, il clima caldo di un borgo meta' operaio meta' campagnolo. Presto arrivano la passione politica, la Resistenza, la militanza, in cui porta le sue timidezze, la salute a volte fragile, il piacere dell'eleganza, non ultimo il dono di una bellezza delicata, raffinata, duratura. E porta il gusto della liberta', che le costa anche amarezze piccole e grandi. Nella sua cura per l'abbigliamento, nella sua predilezione per i tacchi a spillo, c'e' chi vede una spia dell'esecratissima "mentalita' piccolo-borghese" - lei continua a metterli. La sua storia d'amore, che sara' lunga e felice, con un compagno sposato e separato, fa scandalo, le frutta convocazioni da parte dei dirigenti, critiche dei militanti, il licenziamento dal lavoro al partito - lei ne soffre ma resta con lui. Sono alcuni fra i punti bui della sua vita, insieme alle difficolta' di relazione fra donne, alla impersonalita' programmatica dei rapporti nel Pci. Su tutti spiccano il grande trauma dell'Ungheria, scambiata per una controrivoluzione borghese e solo in seguito riconosciuta nella sua verita'. E il dolore legato al nuovo corso del Pci dopo l'89, che giudica tardivo politicamente, e, appunto per questo, frettoloso nel disperdere un patrimonio grande di solidarieta', dedizione, competenze. Non e' tutta all'insegna della buona fortuna, la vita di Marisa. Di queste e altre delusioni e dissensi, il libro racconta con coraggio e senza carita' di patria. Scelta non ovvia, anche mettendo in conto che negli ultimi anni gli storici, e soprattutto le storiche, hanno dato al concetti di memoria della politica una fisionomia molto piu' sfaccenttata e mossa che nella tradizione comunista - penso, fra gli altri, ai lavori di Lucia Motti, Fiamma Lussana, Patrizia Gabrielli, Anna Rossi-Doria. Ma qui e' singolare il registro narrativo. La "cattiva politica", che esiste e spesso e' quella che si pretende generale e complessiva, quella che si ammanta di blasoni ideologici e morali, scorre nel testo senza mai prevalere, senza mai dargli il suo timbro. Non monopolizza lo sfondo, non stinge sul resto, gli fa piuttosto da contrappunto, quasi da contorno. Anzi, si potrebbe definirla "contorno" proprio in senso letterale, complemento amaro o attossicato di una pietanza meravigliosa; se non si puo' lasciarlo nel piatto, gli si puo' pero' impedire di rovinare il pasto. Di qui la lontananza siderale dal registro della protesta e della recriminazione presente in altre narrazioni, in cui la bella politica viene ridotta a residuo che compensa e umanizza la "cattiva", ma non abbastanza da evitare di sentirsene vittime. Interpretazione altrettanto netta e non meno realistica di quella di Marisa Ombra. Ma la sua e' la scelta consapevole di sottrarsi all'imperialismo retrospettivo della cosiddetta grande storia. La scelta di una donna complessa che ci regala un libro complesso, pieno di idee e nello stesso tempo di colori, profumi, suoni, rumori - come quanto ricorda che la sua Resistenza e' stata scandita dall'abbaiare dei cani e dall'incertezza su chi lo provocasse, amici, nemici, un altro animale, un viandante. Di tutto questo viene spontaneo esserle grate. Ma non solo di questo. Nell'esplosione attuale dei modelli culturali, l'area di maggiore tensione e' probabilmente quella che riguarda le forme del diventare adulti e dell'invecchiare. E Marisa, la sua persona, la sua scrritura, sono la prova vivente (e rara) del fatto che dare fiducia al nuovo e' un talento indipendente dall'eta'; che giovane non e' necessariamente l'opposto di vecchio, mentre vecchio non e' necessariamente l'opposto di seducente. Il che non vuole dire, e' ovvio, confondere le fasi della vita, vuol dire aiutare se stessi a scoprire i propri tempi, e se non coincidono con quelli canonici, pazienza. Per come appare, per come si racconta, Marisa e' una bellissima vecchia ragazza, cui spetta un posto speciale nella memorialistica della politica, e uno altrettanto speciale nella riflessione sull'eta' e gli anni. |
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