http://web.tiscali.it Un Dio "tappabuchi"? Lettere dal carcere di Dietrich Bonhoeffer ad Eberhard Bethge, risalenti all’estate del 1944, durante la seconda guerra mondiale. Dio non può essere creduto per il fatto che a certi fatti non sappiamo dare spiegazioni razionali. L’uomo sta maturando ed il compito di un Dio tappabuchi è sempre più meschino, ridotto e anti cristiano. I passi riportati di seguito seguono la continuità logica di un discorso teologico che i due sviluppano a "puntate". Il testo è stato copiato da "Resistenza e resa" delle edizioni Paoline. Ho tolto tutte quelle parti che non sono necessarie per la comprensione del testo o che mi erano sembrate troppo difficili. Le evidenziature sono mie. Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale, quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il concetto di " soluzione ", le risposte cristiane sono invece poco (o tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili. Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere a questioni irrisolte. Partendo dal centro della vita, determinate questioni vengono semplicemente a cadere, e parimenti viene a cadere la risposta ad esse (penso al giudizio sugli amici di Giobbe!). In Cristo non esistono problemi cristiani. pp. 382-383 Voglio provare ad indicare ora la mia posizione dal punto di vista storico. Il movimento nella direzione dell'autonomia dell'uomo (intendo con questo la scoperta delle leggi secondo le quali il mondo vive e basta a se stesso nella scienza, nella vita della società e dello Stato, nell'arte, nell'etica e nella religione), che ha inizio (non voglio entrare nella discussione sulla data precisa) all'incirca col XIII secolo, ha raggiunto nel nostro tempo una certa compiutezza. L'uomo ha imparato a bastare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l'ausilio dell' " ipotesi di lavoro: Dio ". Nelle questioni riguardanti la scienza, l'arte e l'etica, questo è diventato un fatto scontato, che praticamente non si osa più mettere in discussione; ma da circa 100 anni ciò vale in misura sempre maggiore per le questioni religiose; si è visto che tutto funziona anche senza "Dio", e non meno bene di prima. Esattamente come nel campo scientifico, anche nell' ambito generalmente umano "Dio" viene sempre più respinto fuori dalla vita e perde terreno. Ora, la storiografia cattolica e quella protestante sono d'accordo nel ritenere che in questa evoluzione si debba vedere il grande distacco da Dio e da Cristo; e quanto più esse chiamano in causa e si servono di Dio e di Cristo contro questa evoluzione, tanto più questa stessa evoluzione si auto comprende come anti cristiana. Il mondo che ha raggiunto la consapevolezza di se stesso e delle leggi che regolano la sua vita è talmente sicuro di sé che la cosa ci risulta inquietante; qualche difetto di crescita e qualche fallimento non possono trarre in inganno il mondo sulla necessità della sua strada e della sua evoluzione; tutto questo viene messo in conto con virile freddezza e nemmeno un evento come questa guerra rappresenta un'eccezione. Contro questa sicurezza di sé l'apologetica cristiana è scesa in campo in diverse forme. Si cerca di dimostrare al mondo divenuto adulto che non può vivere senza il tutore "Dio". Nonostante la già avvenuta capitolazione davanti a tutte le questioni mondane, restano tuttavia le cosiddette "questioni ultime" - la morte, la colpa - cui solo "Dio" può dare una risposta, e per le quali c'è bisogno di Dio, della Chiesa e del pastore. Noi viviamo dunque in certa misura delle cosiddette questioni ultime dell'uomo. Ma che cosa accadrà quando esse un giorno non esisteranno più come tali, ovvero quando anch'esse troveranno risposta " senza Dio "? A questo punto intervengono gli epigoni secolarizzati della teologia cristiana, cioè i filosofi esistenzialisti e gli psicoterapeuti, e dimostrano all'uomo sicuro, soddisfatto, felice, che in realtà è infelice e disperato, solo che non vuole riconoscere di trovarsi in una situazione sventurata, di cui non sapeva nulla e da cui solo loro possono salvarlo. Dove c'è salute, forza, sicurezza, semplicità, essi fiutano un dolce frutto da rodere o in cui depositare le loro malefiche uova. Essi mirano anzitutto a spingere l'uomo in una situazione di disperazione interiore, e poi hanno partita vinta. Questo è metodismo secolarizzato. E con chi riesce? Con un piccolo numero di intellettuali, di degenerati, di quelli che si credono di essere la cosa più importante al mondo e perciò si occupano volentieri di se stessi. L'uomo semplice, che trascorre la sua vita quotidiana tra lavoro e famiglia, certo con deviazioni di ogni genere, non ne è coinvolto. Non ha ne tempo ne voglia di occuparsi della sua disperazione esistentiva e di considerare la sua felicità magari modesta sotto l'aspetto della "tribolazione", della "cura", della "sventura" . Ritengo questi attacchi dell'apologetica cristiana contro la maggior età del mondo: primo, privi di senso; secondo, di scadente qualità; terzo, non cristiani. Privi di senso, perché mi sembrano il tentativo di far tornare al periodo della pubertà qualcuno che è già diventato uomo, cioè di renderlo dipendente da cose dalle quali di fatto non dipende più, e di cacciarlo in problemi che per lui di fatto non sono più tali. Di scadente qualità, perché qui si cerca di sfruttare la debolezza di una persona per scopi che le sono estranei e che non ha accettato liberamente. Non cristiani, perché Cristo viene scambiato con un determinato livello della religiosità dell'uomo, cioè con una legge umana. Su questo tornerò più ampiamente in seguito. Intanto qualche parola ancora sulla situazione storica. La questione è questa: Cristo e il mondo divenuto adulto. Barth è stato il primo a riconoscere che l'errore (…) consisteva nel voler mantenere nel mondo o contro il mondo uno spazio per la religione. Contro la religione egli fece scendere in campo il Dio di Gesù Cristo, pneuma contro sarx. (…) La Chiesa confessante ha semplicemente dimenticato in larga misura l'impostazione barthiana e dal positivismo è caduta nella restaurazione conservatrice. La sua importanza sta nel mantenere i grandi concetti della teologia cristiana, ma sembra quasi che in questo essa si stia progressivamente esaurendo. pp. 398-402 … E ora voglio tentare di sviluppare ulteriormente i temi teologici recentemente interrotti. Io parto dal fatto che Dio viene spinto sempre più fuori da un mondo diventato adulto, dall'ambito della nostra conoscenza e della nostra vita, e che da Kant in poi ha conservato uno spazio solo al di là del mondo dell'esperienza. La teologia si è da una parte opposta apologeticamente a questa evoluzione, e ha dato l'assalto - vanamente - al darwinismo ecc.; dall'altra si è aggiustata con questa evoluzione facendo giocare a Dio solo più il ruolo del deus ex machina in relazione alle cosiddette questioni ultime; Dio cioè diventa la risposta alle questioni esistenziali, diventa la soluzione delle pene e dei conflitti della vita. Se dunque un uomo non ha nulla di simile da esibire, ovvero si rifiuta di entrare in tali questioni e di farsi compiangere, allora per Dio egli è effettivamente inaccessibile, oppure si deve dimostrare a quest'uomo privo di questioni esistenziali che, senza ammetterlo e senza saperlo, in realtà è profondamente immerso in questi problemi, miserie, conflitti ecc. Se ciò riesce - e sia la filosofia esistenzialistica che la psicoterapia hanno elaborato in tal senso metodi raffinatissimi - solo allora quest'uomo diventa accessibile a Dio, e il metodismo può celebrare il suo trionfo. Se non si riesce a condurre quest'uomo a considerare e a designare la sua felicità come una sciagura, la sua salute come malattia, la sua forza vitale come disperazione, allora il latinorum dei teologi non serve più a nulla. Si ha che fare o con un peccatore incallito dalla natura particolarmente malvagia, oppure con un'esistenza " borghesemente satura "; il primo è tanto lontano dalla salvezza quanto la seconda. Vedi, questo è l'atteggiamento spirituale contro il quale voglio oppormi. Se Gesù ha fatto beati dei peccatori, si trattava però di veri peccatori; ma Gesù non ha fatto come prima cosa di ogni uomo un peccatore. Egli li ha chiamati fuori dai loro peccati, non ve li ha fatti entrare. Certamente l'incontro con Gesù significava il rovesciamento di ogni valutazione umana. Così è stato per quanto riguarda la conversione di Paolo. In questo caso però l'incontro con Gesù precedeva il riconoscimento del peccato. Certamente Gesù si è preso cura di esistenze che si trovavano ai margini della società umana: prostitute, pubblicani; ma tuttavia assolutamente non solo di loro, perché egli ha voluto prendersi cura degli uomini in generale. Gesù non ha mai messo in questione la salute, la forza, la felicità di un uomo in quanto tali, ne li ha considerati dei frutti bacati; perché altrimenti avrebbe risanato i malati, ridato forza ai deboli? Gesù rivendica per se e per il Regno di Dio la vita umana tutta intera e in tutte le sue manifestazioni. pp.416-418 Il fatto che Dio è stato allontanato dal mondo, dalla dimensione pubblica dell'umana esistenza, ha portato al tentativo di mantenerlo presente ancora almeno nell'ambito del " personale ", dell'" interiore ", del "privato". E siccome ogni uomo ha ancora da qualche parte una sfera del privato, s'è creduto di poterlo attaccare su questo punto con la massima facilità. I segreti del lacchè - per dirla in modo rozzo - cioè l'ambito dell'intimità (dalla preghiera alla sessualità) - sono diventati il terreno di caccia dei moderni responsabili di cura d'anime. In questo assomigliano (pur essendo la loro intenzione completamente diversa) ai peggiori giornalisti scandalistici (…) che mettono a nudo l'intimità dei personaggi più in vista; in questo caso, per ricattare la gente sul piano sociale, finanziario, politico; nell'altro, per ricattarli sul piano religioso. Perdonami, ma non posso metterla in termini meno duri. (…) Quanto più un uomo è privo di legami, tanto più facilmente cade in questo atteggiamento. Esiste anche un'assenza di legami degli uomini di chiesa, quello che noi chiamiamo atteggiamento "pretesco", quell'andar fiutando le tracce dei peccati degli uomini per riagguantarli. È come se uno arrivasse a conoscere una bella casa solo quando avesse trovato le gattabuie dell' ultima cantina, e se potesse apprezzare adeguatamente una buona opera teatrale solo quando avesse visto come gli attori si comportano dietro le quinte. La stessa cosa vale per quei romanzi degli ultimi 50 anni, dove si crede di aver rappresentato adeguatamente i personaggi solo dopo averli descritti nella camera da letto, e per quei film dove si ritengono indispensabili scene di nudo. Ciò che è rivestito, coperto, puro, casto, viene considerato a priori falso, denudato, impuro; così facendo, si dà solo prova della propria mancanza di purezza. La diffidenza e il sospetto elevati ad atteggiamento base nei confronti degli altri è la rivolta della mediocrità. Dal punto di vista teologico l'errore è duplice: in primo luogo si crede di poter giudicare una persona peccatrice solo dopo aver spiato i suoi punti deboli e i suoi tratti più ordinari; in secondo luogo si crede che l'essenza dell'uomo sia costituita dai retroscena interiori, intimi, e questa viene chiamata la sua "interiorità"; ora, il dominio di Dio dovrebbe consistere proprio in questi umani recessi! Per il primo punto, si deve dire che l'uomo è certamente peccatore, ma detto questo ci manca ancora molto perché sia volgare. Per essere banali, Goethe o Napoleone dovrebbero essere dei peccatori per il fatto di non esser stati sempre dei mariti fedeli? Ciò che conta non sono i peccati della debolezza, ma quelli forti. Non c'è alcun bisogno di andar in giro a spiare. La Bibbia non lo fa mai. (…): la Bibbia non conosce la nostra distinzione tra interiorità ed esteriorità. Perché dovrebbe? Ciò che conta per la Bibbia è sempre l'anthropos teleios, l'uomo intero, anche quando, come nel discorso della montagna, il decalogo viene spinto nella " massima interiorità ". È assolutamente non biblico pensare che una "disposizione" buona possa prendere il posto del bene nella sua interezza. La scoperta della cosiddetta interiorità è stata fatta solo nel Rinascimento (probabilmente in Petrarca). Il " cuore " nel senso biblico non è la realtà interiore, ma l'uomo intero, quale egli è davanti a Dio. Siccome l'uomo in effetti vive tanto dall'" esterno " verso l'" interno ", quanto dall'" interno " verso l' " esterno ", la convinzione di poterne comprendere l'essenza solo nei suoi retroscena spirituali interiori è completamente deviante. Io voglio perciò arrivare a questo, che Dio non venga relegato di contrabbando in qualche ultimo spazio segreto, ma che si riconosca semplicemente la maggior età del mondo e dell'uomo, che non si " taglino i panni addosso " all'uomo nella sua mondanità, ma che lo si metta a confronto con Dio nelle sue posizioni più forti, che si rinunci a tutte le astuzie pretesche, e non si considerino la psicoterapia e la filosofia esistenzialista strumenti che aprono la strada a Dio. L'invadenza di tutti questi metodi è troppo poco signorile per la parola di Dio, perché essa possa associarvisi. Essa non si associa alla rivolta della diffidenza, alla rivolta dal basso. Essa regna. pp.421-423 Dove Dio mantiene ancora uno spazio per sé? Chiedono gli animi impavidi, e poichè non trovano risposta condannono tutt'intera questa evoluzione che li ha condotti in una siffatta situazione di difficoltà. (...) Così il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15,347)! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza "l'ipotesi di lavoro Dio" è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti e con Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. È assolutamente evidente, in Mt 8,17, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l'uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il l'uomo all'impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio deus ex machina. La Bibbia rinvia sofferente può aiutare. In questo senso si può dire evoluzione verso la maggior età del mondo, con la quale si che la descritta fa piazza pulita di una falsa il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo immagine di Dio, apra lo sguardo verso grazie alla sua impotenza. Qui dovrà appunto inserirsi la " interpretazione mondana " . Questo è il rovesciamento di tutto ciò che l'uomo religioso si aspetta da Dio. L'uomo è chiamato a condividere la sofferenza di Dio soffrendo in rapporto al mondo senza Dio. Deve perciò vivere effettivamente nel mondo senza Dio, e non deve tentare di occultare, di trasfigurare religiosamente, in qualche modo, tale esser senza Dio del mondo. Deve vivere " mondanamente " e appunto così prende parte alla sofferenza di Dio; l'uomo può vivere " mondanamente ", cioè è liberato dai falsi legami e dagli intralci religiosi. Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi (un peccatore, un penitente o un santo) in base ad una certa metodica, ma significa essere uomini; Cristo crea in noi non un tipo d'uomo, ma un uomo. Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo. (…) Questo venir trascinati nella sofferenza messianica di Dio in Gesù Cristo nel Nuovo Testamento si realizza in diversi modi: attraverso la chiamata dei discepoli alla sequela, attraverso il sedere alla stessa tavola con i peccatori, attraverso le " conversioni " nel senso più proprio del termine (Zaccheo), attraverso il gesto della grande peccatrice (che avviene senza confessione di colpa) (Lc 7), attraverso la guarigione dei malati (vedi sopra, Mt 8,17), attraverso l'accogliere i bambini. Tanto i pastori che i Magi d'oriente stanno davanti alla mangiatoia non come dei " peccatori convertiti ", ma semplicemente perché vengono attirati dalla mangiatoia (la stella) così come sono. Il centurione di Cafarnao, che non pronuncia assolutamente nessuna confessione, viene presentato come esempio di fede (cf Giairo). Gesù " ama " il giovane ricco. Il tesoriere etiope (Atti 8), Cornelio (Atti 9), non sono per niente delle esistenze sull'orlo dell' abisso. Nataniele è un " israelita senza falsità " (Gv 1,47); e, infine, Giuseppe di Arimatea, e le donne al sepolcro. L'unica cosa comune a tutti costoro è il prender parte alla sofferenza di Dio in Cristo. Questa è la loro " fede ". Nessuna traccia di metodica religiosa, l'" atto religioso " è sempre qualcosa di parziale, la " fede " è qualcosa di totale, un atto che impegna la vita. Gesù non chiama ad una nuova religione, ma alla vita. Come si presenta però questa vita? Questa vita della partecipazione all'impotenza di Dio nel mondo? Di questo spero di scriverti la prossima volta. Oggi ti dirò solo questo: se si vuole parlare di Dio in modo " non religioso ", allora si deve parlarne in modo tale che con ciò non venga occultato, ma, al contrario, venga portato, alla luce l'esser senza Dio del mondo; e proprio così sul mondo cade una luce stupefacente. Il mondo adulto è senza Dio più del mondo non adulto, e proprio perciò forse più vicino a lui. |
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