"Per un'etica della responsabilità verso gli esseri umani e la terra"
Parla il teologo della liberazione Leonardo Boff: mancano le mediazioni politiche giuste Prendersi cura delle cose, farsi carico degli altri, rispettare l’ambiente vitale che ci circonda e ci sostiene. Questo è l’imperativo etico del nostro tempo, un imperativo che deve trovare un terreno fertile nella politica, nell’economia, nella riflessione teorica laica e religiosa. Leonardo Boff, noto teologo e filosofo della liberazione, si è incentrato in questi ultimi anni in una riflessione a tutto campo su questa nuova etica umana, che vede nella difesa della vita e della Terra il senso di fondo dell’esistere. La settimana scorsa Leonardo Boff è venuto in Italia per partecipare ad alcuni incontri di presentazione del suo nuovo libro, edito da Cittadella, dal titolo Il creato in una carezza. Lo abbiamo intervistato. Leonardo Boff, da tempo tu ti fai portavoce di un’etica universale, che ha nella cura della Terra minacciata di morte il suo punto di forza. Però sembra che questa etica sia un po’ emarginata dalla riflessione culturale laica ed ecclesiale. Come mai? La dimensione della cura, della responsabilità individuale verso le creature e verso tutti gli esseri animati e inanimati, è pensata per essere un’etica che va contro il sistema dominante. I problemi che affronta sono globali. Pensiamo solo al problema sociale, quello dell’esclusione planetaria, rappresentato drammaticamente da cinque miliardi di persone che vivono nel cosiddetto terzo mondo. E pensiamo al problema ecologico, che dimostra come l’equilibrio chimico e fisico della terra sia minacciato di morte per cui il futuro della terra non è più garantito ma è affidato alle decisioni politiche dell’uomo. Io credo che questa situazione esige una rivoluzione, che non può essere volontaristica, come è stata in passato per tutta la tradizione rivoluzionaria, ma si impone come una “rivoluzione etica”, che parte da una base minima in cui tutti si ritrovano. E allora l’essenza dell’essere umano non è né l’intelligenza, né la razionalità, né la libertà, ma la cura verso le cose. Dai bambini agli anziani tutti possono realizzare questa spinta etica, vitale, che è la cura del prossimo e dell’ambiente vitale che ci circonda. Qui risiede il patto che lega le culture diverse, le religioni, i popoli del mondo. Però bisogna fare di questa prospettiva un progetto politico e una centralità spirituale. E in questo senso mancano le mediazioni politico-culturali per rendere questa etica riconosciuta una forza rivoluzionaria. Come mai anche nella Chiesa la riflessione sull’ambiente è così debole? La Chiesa è diventata ecclesiocentrica e occidentalocentrica e non ha una sensibilità marcata verso i problemi globali dell’umanità. Ha una sensibilità, però solo morale e non politica, intesa come indicazione di un destino comune del genere umano. Io credo che bisogna aiutare la Chiesa a recuperare questa sensibilità verso un futuro che coinvolge tutta l’umanità e tutta la creazione. La Chiesa deve essere forza ispiratrice, pedagogica, stimolo e coscienza critica verso tutto ciò che vive. E la società civile come reagisce? In questi ultimi mesi si muovono i gruppi, le associazioni di base, i movimenti ambientalisti per criticare duramente le politiche neoliberiste e la globalizzazione dei mercati. Così è accaduto a Seattle, così a Washington. E’ una società civile che ha deciso di muoversi da sola? Bisogna capire questa questione in termini dialettici. Da una parte si è organizzato a livello globale il sistema finanziario, l’economia e il mercato, ma dall’altra si è organizzata la globalizzazione della società civile. Io penso che le manifestazioni di Seattle e le ultime a Washington contro il Fondo Monetario internazionale e la Banca mondiale, abbiano, per la prima volta, messo in moto le articolazioni di una società civile globale, che vuole un’altra direzione della storia e che non vede nel mercato la merce come centralità, ma vede, invece, come centralità la vita, la terra, la quarta e quinta parte del mondo che sono i poveri. E’ possibile usare gli strumenti della società del mercato per impostare una nuova società più giusta e riconciliata? Io credo che il mercato sia la più grande invenzione sociale del mondo, però bisogna collocare il mercato all’interno di un altro paradigma, che non fa del mercato la centralità di tutto, ma lo rende uno strumento per la realizzazione di una comunione di uomini e donne che si scambiano l’effusione della vita, il bisogno di soddisfare le necessità di base dell’esistenza, che muovono le energie per i dialogo, l’amicizia, la fiducia. E’ possibile trasportare questa etica della cura dentro la teologia? La mia sfida personale è proprio questa: fare la teologia di questi nuovi fenomeni. Dio è presente in tutti questi progetti e il luogo della fede discerne i figli di Dio in questo processo e crea un linguaggio che lo rende visibile. Le chiese devono assumere una visione ermeneutica di interpretazione del corso del mondo, ma che è anche corso del progetto di Dio nella storia, dentro le sue contraddizioni. Questa per me è la vera evangelizzazione: non creare discorsi, ma svelare ciò che è nascosto nel progetto di Dio. E la teologia della liberazione in America Latina come sta? E’ in crisi, come alcuni dicono o è solo in una fase di ripensamento? La teologia della liberazione parte sempre dalla situazione reale di cristiani che lottano per la vita, per la terra, per i diritti umani. Per tutte quelle chiese che hanno fatto in sincerità l’opzione per i poveri contro la loro povertà e in favore della vita, la teologia di riferimento è la teologia della liberazione. Tutti i gruppi dei Sem Terra (dodici milioni solo in Brasile), le comunità di base (100.000), i gruppi biblici di base (2 milioni) e tutti gli operatori che lavorano per questa chiesa del grembiule, sentono come riferimento teorico la teologia della liberazione, che non ha più la visibilità di una volta, quando c’erano gli scandali, i discorsi clamorosi ecc., ma è una teologia viva, naturale, quotidiana che si basa sull’articolazione di un progetto di lavoro, che riflette profondamente i temi della povertà, della giustizia e della fede. |
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