Linsidiosa democrazia dellapplauso. Il monito di Bobbio di Paolo Flores d'Arcais e Marco Revelli, da "Il Fatto Quotidiano", 5 novembre 2009 A cento anni dalla nascita, Paolo Flores dArcais e Marco Revelli ricordano il giurista e politologo torinese. PAOLO FLORES DARCAIS Norberto Bobbio è sempre stato un liberale. Tu ed io veniamo invece dalla sinistra a sinistra del Pci. Nulla di più lontano e incompatibile, in apparenza. E invece con Bobbio il dialogo è stato più facile che con il Pci, più fecondo, al punto che ha infine messo capo, per lunghi anni, ad un comune agire. Ricordo che nella federazione giovanile del Pci, che pure era in odore di eresia, della famosa controversia tra Bobbio e Galvano della Volpe, i testi di Bobbio venivano letti quasi solo come materiali su cui si era esercitata la critica del marxista. Ci sfuggiva che invece nel liberalismo di Bobbio, nella sua coerenza gobettiana, cera una delle chiavi per uscire a sinistra dal dogmatismo comunista, compreso lo stalinismo soft del togliattismo. Per scoprire davvero Bobbio io ho dovuto maturare prima la critica del marxismo anche nella forma delle sue più accattivanti eresie. Il tuo incontro con Bobbio, invece, a quando risale? MARCO REVELLI Nella prima metà degli anni Sessanta, quando al consiglio distituto del nostro liceo lo invitammo a Cuneo, per una conferenza su Benedetto Croce. Credo che il titolo esatto fosse Croce e il liberalismo. Può sembrare strano oggi, ma allora si trattò di un fatto di rottura. Nella Cuneo bigotta e clericale, sempre guidata da un monocolore democristiano, anche quando a Roma cera già il centrosinistra, persino Croce faceva scandalo. Lho poi ritrovato nel 66, quando mi iscrissi a Giurisprudenza, a Torino, dove Bobbio insegnava Filosofia del diritto. Quellanno teneva uno dei suoi corsi canonici, diciamo così, sul Giusnaturalismo moderno, da Hobbes e Locke a Rousseau, Kant, fino a Kelsen. Più che il Bobbio politico ho conosciuto allora il Bobbio professore la figura in cui egli si è sempre maggiormente riconosciuto, quella che a mio avviso meglio lo esprime. Come professore ci ha insegnato il dovere del dubbio metodico nel lavoro intellettuale. Il rispetto delle posizioni dellavversario, limpegno a non ignorarle e neppure ridicolizzarle nel confronto, ma anzi a valorizzarle, talvolta nobilitandole, se si vuole davvero dialogare. Larte della chiarezza. Lidea che quando il linguaggio è oscuro, fumoso, allusivo, anche il pensiero è incerto. Non cera ancora stato il movimento studentesco, il 68, personalmente non ero ancora a sinistra di nulla, mi guardavo attorno, ma certo Bobbio ci ha vaccinato contro le tentazioni del pensiero chiuso e del dogmatismo. PFdA: Bobbio è un grandissimo sistematizzatore della democrazia liberale nella sua coerenza, che non può essere piegata a usi conservatori se non sfigurandola: questa è la lezione che ci consegna attraverso la lettura dei grandi classici liberali. La coerenza dei valori su cui poggia la democrazia liberale porta infatti inevitabilmente allimpegno per leguaglianza, parola oggi impronunciabile persino a sinistra, e che Bobbio invece coniugherà instancabilmente come indisgiungibile dalla libertà, che altrimenti si corrompe nel privilegio. E così accadrà a Bobbio quello che è accaduto a tanti altri intellettuali liberali (non solo di matrice azionista, come Galante Garrone e Sylos-Labini, ma anche esplicitamente conservatrice, come Sartori o addirittura Montanelli), restando fermo sui suoi principi (per decenni bollati dal Pci come borghesi) si ritroverà accusato di cripto comunismo e di estremismo, diventerà il bersaglio preferito dei Galli della Loggia. Tu che hai collaborato con lui per anni, quale era il suo giudizio su questi liberali anti eguaglianza? MR: Bobbio, più che un liberale è sempre stato un liberal-socialista, come buona parte dei militanti del Partito dAzione. Con un maggiore accento più sul secondo termine socialista che sul primo. E questo perché lEguaglianza che nel linguaggio azionista si traduceva in Giustizia stava davvero al primo posto nella scala dei valori politici: si legga la splendida pagina di Destra e sinistra in cui Bobbio descrive la propria reazione, già nellinfanzia, di fronte allo scandalo della diseguaglianza. Il suo progetto di società giusta si basava sulla formula Eguale libertà, dove la libertà non può essere veramente tale, e pienamente legittimata, se non egualmente distribuita. Il suo stesso atteggiamento cauto di fronte al tripudio per il crollo del comunismo, lo dimostra: il primo pensiero fu, a caldo, su chi, e cosa, avrebbe sostituito dopo di allora quellideologia nellaffermazione dei diritti degli ultimi. Gli attacchi che subì, anche da parte del gruppo del Corriere, certo lo fecero assai soffrire. Ma anche in quel caso cercò di prendere sul serio le argomentazioni dellaltro. Di non liquidarle con un gesto di fastidio. E ritornò più volte sul travagliato rapporto tra liberal-socialisti e comunisti, con alterne risposte, ma sempre con la stessa conclusione: dalla lotta contro il fascismo a quella contro lItalia della controriforma e della conservazione cieca, il motto era sempre lo stesso, né con loro, né contro di loro, né, possiamo aggiungere, senza di loro. PFdA: Il 68 è stato uno dei momenti chiave, una sorta di cartina di tornasole, per molti intellettuali di sinistra. Iniziò allora, ad esempio, in odio al 68, il progressivo spostarsi a destra di Lucio Colletti, che divenne sempre più rapido negli anni Settanta, per trasformarsi infine in un precipitare, prima craxiano e poi berlusconiano. Lanticapitalismo più radicale, perfino lelogio leniniano della violenza (sulla scorta del marxiano spezzare la macchina dello Stato), andavano bene se restavano nel cielo delle dispute ideologiche, ma un movimento che cominci a contestare il potere nelle università, nelle piazze, addirittura nelle fabbriche Molto marxismo si rivelò marxismo della cattedra. Del resto anche gli apocalittici anti-borghesi della scuola di Francoforte entrarono in rotta di collisione con lazione dei Rudi Dutschke. Bobbio, che da liberale coerente ha sempre condannato ogni ipotesi di spezzare la macchina dello Stato e ha sempre predicato la realizzazione della Costituzione, non ha mai fatto sconti al movimento studentesco per quelli che riteneva degli errori, ma con il movimento dialogò sempre, in un senso non formale o diplomatico. Cosa ha imparato secondo te la generazione del 68 dal suo incontro/scontro con Bobbio? MR: Temo che la nostra generazione non abbia imparato nulla, almeno allora, né da Bobbio, né da nessun altro. Lui, invece, il dialogo lo propugnò e cercò di farlo fin dallinizio. Il suo primo articolo sul tema, pubblicato nel gennaio del 1968 sulla rivista Resistenza, era intitolato significativamente Un dialogo difficile ma necessario. Il secondo, di marzo, più pessimista, Arduo il dialogo con gli studenti. Poi il rapporto peggiorò. E ferito e indignato soprattutto dalla dissacrazione sistematica da parte del Movimento di tutti i valori in cui aveva creduto: la Costituzione, la Resistenza, la democrazia rappresentativa, la sua tradizione culturale Nel 1969 scrive un pezzo aspro, disperato. Ricordando lamico e compagno Leone Ginzburg, annota, a proposito della libertà: Oggi sappiamo che la libertà si può usare per il bene e per il male La libertà si può anche sprecare. Si può sprecarla fino al punto di farla apparire inutile, un bene non necessario, anzi dannoso. E a furia di sprecarla, un giorno o laltro (vicino? lontano?) la perderemo. Ce la toglieranno. Non sappiamo ancora chi: se coloro che abbiamo lasciato prosperare alla nostra destra o coloro che stanno crescendo tumultuosamente alla nostra sinistra. Abbiamo comunque il sospetto, alimentato da una continua severa lezione durata mezzo secolo, che la differenza non sarà molto grande. Tuttavia non smetterà, ancora per tutti gli anni Settanta, di cercare il confronto, il dialogo, con tutte le disparate sinistre che si sono succedute e dilaniate tra loro. PFdA: E solo a metà degli anni Settanta che Bobbio diventa lintellettuale per antonomasia, il Croce dei suoi giorni. Anche prima era stato un protagonista del confronto culturale, ho ricordato la sua controversia con Della Volpe, ancora più importante fu quella con Togliatti. Comunque una vera svolta nel peso, anche mediatico, che la sua figura eserciterà, avviene a metà degli anni Settanta, con la fase-uno della stagione craxiana. Quella caratterizzata dal Progetto socialista, da Mondoperaio, dalla duplice alternativa, alla Dc e al Pci, che ha per riferimenti politici Lombardi e Giolitti e per riferimento ideologico proprio Bobbio. Lanticomunismo come critica libertaria, o di socialismo liberale (i fratelli Rosselli), non certo come moderatismo di establishment. Poi segue il Craxismo-due, quello della governabilità e della corruzione. Bobbio tentò a lungo di mantenere la speranza nel Psi. Tu come ricordi il suo impegno per una sinistra unitaria e post comunista, che lo spinse alla rottura con il Craxi-due, e alla speranza nel Berlinguer della questione morale? MR: La fine della speranza in un qualche progetto politico avviene in verità per Bobbio già alla fine degli anni Sessanta, quando abortisce lunificazione tra Psi e Psdi nel Psu. Il fallimento di questa esperienza fu così grave da lasciarmi senza fiato confesserà nellautobiografia -. Decisi che quando agivo in politica, sbagliavo, o almeno avevo la vocazione per le cause sbagliate. Certo, la svolta autonomista del Psi alla metà degli anni Settanta lo affascinava. Una sinistra emancipata dal doppio dogmatismo cattolico e comunista (dalle due chiese contrapposte ma simmetriche) era stata nei sogni degli antichi fautori di una rivoluzione democratica come soluzione dei vizi storici italiani. Ma si rivelò, appunto, un sogno. Craxi non era un leader, era un padrone del partito con tentazioni cesaristiche. Larticolo di Bobbio su La Stampa contro la Democrazia dellapplauso, in cui stigmatizzava spietatamente la deriva plebiscitaria del Psi, segna una rottura inequivocabile. E ladesione convinta alle tematiche della questione morale non solo di Bobbio ma di tutto quel gruppo che proveniva dal Partito dazione, come Galante Garrone, Vittorio Foa, Giorgio Agosti, Giulio Einaudi, ne è la dimostrazione. PFdA: Il momento di un partito nuovo sembrava arrivato alla fine dell89, dopo la caduta del Muro e con la svolta della Bolognina. Bobbio non si limitò a fare losservatore. Mandò infatti la sua adesione alla manifestazione della sinistra dei club del 10 febbraio 1990 al Capranica con queste parole: Cari amici, non posso essere presente alla manifestazione perché sto partendo per gli Stati Uniti. Sono pienamente daccordo con voi sulla necessità di dar vita a una nuova sinistra che si ispiri, come dite bene, a una visione laica della politica. Chiese unanalisi franca, oggettiva, spietata, sulle cause della disfatta (dellintera sinistra)perché proprio di una disfatta si tratta , labbandono di ogni patriottismo di partito e un ricambio radicale (credo che occorrano uomini nuovi). E concluse: La creazione di una nuova sinistra oggi, nel deserto didee della politica quotidiana, è una magnifica avventura, ammonendo che il passo più difficile è quello dalle parole ai fatti. Che ricordi hai di Bobbio in quei momenti cruciali? MR: Se devo essere sincero, ricordo un Bobbio in lento, silenzioso allontanamento dalla politica. I suoi scritti più significativi degli anni Novanta sono tutti di carattere morale. Si pensi al De senectute. Si pensi soprattutto a quello che io considero il più bel testo del Bobbio maturo, il più vero: Lelogio della mitezza, la più impolitica delle virtù. Quella che consiste nel lasciar essere laltro quello che è, la forma più estrema del rispetto dellaltro. Lopposto dellarroganza, della protervia e della prepotenza, le doti (o i vizi) prevalenti tra i politici, che vedeva dilagare nellItalia avviata alla Seconda repubblica. Hai fatto bene a citare quella frase finale: Il passo più difficile è quello dalle parole ai fatti. Il Bobbio più recente ha limmagine di unItalia preda dei suoi vizi storici, unItalia irredimibile per via politica. Scriverà esplicitamente che dal trauma di quella terribile caduta consumatasi nella prima metà degli anni Novanta con lavvento di Berlusconi di quella vera e propria disfatta, come la definì egli non si riprese mai. PFdA: Bobbio sul piano culturale è sempre stato un positivista giuridico e un neoilluminista. In questo mi sembra più attuale che mai. La norma non si dà in natura, nasce da una decisione umana. E anzi, alla sua origine (la Grundnorm di Kelsen) vi è un fatto politico (per lItalia repubblicana, la Resistenza). Sulla scia di Hume, Bobbio ha sempre ribadito come non sia logicamente possibile un passaggio dallessere al dover essere. Anche se questo comporta il rischio del nichilismo. Oggi verrebbe accusato di scientismo, eppure la sua battaglia neoilluminista la condusse assieme al massimo esistenzialista italiano, Nicola Abbagnano. Tenere fermissimi, con Bobbio, scienza e finitezza dellesistenza, Hume e Kelsen, mi sembra possa costituire un antidoto più che mai necessario per una cultura di sinistra in balìa dei vari heideggerismi, habermasismi ed ermeneutiche. MR: Bobbio è sempre stato un neopositivista, o meglio un anti naturalista: la natura non può essere legislatrice nel campo sociale e politico. Lo stato di natura è, hobbesianamente, disordine, invivibilità, conflitto di tutti contro tutti. LOrdine umano non può che essere costruito sopra e oltre la Natura. Possibilmente in modo razionale. In ciò la Scienza ha un ruolo fondamentale come metodo, non come nuovo legislatore. Per questo Bobbio non è uno scientista: non accetta lidea di un ordine umano vero rivelato per via scientifica (sarebbe una nuova forma di fallacia naturalistica). E, se vogliamo dare etichette, un contrattualista. Crede in una costruzione dellordine umano per via logica e dialogica. Attraverso lelaborazione razionale di un modello condiviso (e provvisorio) di ordine sociale. In questo senso il suo discorso è un antidoto a tutte le forme di sostanzialismo politico. A tutte le idee di un ordine definitivo, rispondente a una qualche verità assoluta. PFdA: Mi sembra che nellimpegno civile e culturale di Bobbio non siano mancate le contraddizioni. La sua impostazione esclude, logicamente, ogni morale naturale. Ma poi sullaborto prende una posizione non lontana da quella delle gerarchie cattoliche: Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere ( ) mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e lonore di affermare che non si deve uccidere.Insomma, laborto è un omicidio, lovulo fecondato è, fin dal primo istante, una persona umana a tutti gli effetti. Una posizione che sfida ogni evidenza scientifica, etica, giuridica, psicologica (se laborto è un omicidio, date le dimensioni del fenomeno è più grave dellOlocausto, ma chi davvero considera la donna che ha abortito alla stregua di un Ss che getta un bambino ebreo nel forno crematorio? Nemmeno il più feroce integralista di Cl, spero, e certamente non Bobbio). Ho sempre pensato che questa caduta mistico-reazionaria facesse il paio con unaltra contraddizione, il suo pacifismo integrale, il non ucciderai sempre e comunque, che se praticato sul serio condannerebbe anche i volontari democratici in Spagna, e la Resistenza. MR: Ti stupirò, ma io sono daccordo con le posizioni prese allora da Bobbio sulla questione dellaborto. In quella presa di posizione cera una reazione, una forma di resistenza, al modo in fondo superficiale, e facilone, alle forme del linguaggio e dellargomentazione, con cui i fautori del legge 194 affermavano le proprie ragioni, quasi che le cose fossero perfettamente chiare, prive dimplicazioni morali. Come se trattando di embrioni, e vite non nate si parlasse di cose, di oggetti, disponibili senza problemi da parte dei loro possessori. Bobbio, al contrario, sottolineava il carattere tragico comunque tragico di quelle scelte. Riproponeva lidea radicata profondamente nel suo stesso sistema di pensiero che nelle alternative vere, quando si è chiamati a scegliere, qualcosa comunque si sacrifica. Figuriamoci quando ciò coinvolge i temi della vita e della morte. Certo, scegliere si deve. Ma non cè scelta innocente. Non si sceglie il Bene contro il Male. Nella maggior parte dei casi e laborto è uno di questi, per certi versi il più emblematico si è costretti a scegliere tra due mali. Questo io credo che volesse ricordare Bobbio ai laici, che nella passione della battaglia sembravano averlo dimenticato. PFdA: In uno dei suoi ultimi testi, primavera del 2000, dal titolo Religione e religiosità, pubblicato sullAlmanacco di filosofia di MicroMega dedicato a Dio, un testo intensissimo sia sotto il profilo teoretico che autobiografico, quasi un testamento, scriveva: Non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità, che consiste nel profondo senso del mistero. Un mistero impenetrabile, ripete la parola più volte e la vuole sottolineata. Il testo è una critica radicale del carattere consolatorio di ogni ipotesi di immortalità e vita eterna, e della teologia cattolica che non ha mai potuto affrontare seriamente il problema del male (che la giustizia di Dio sia ineffabile o imperscrutabile gli sembra uningiuria alla razionalità: Sullineffabile non si può dire nulla). Ma a questo punto taglia corto con un tassativo: Mi fermo qui. Non voglio andare oltre. Non per reticenza. Ma mi sono posto una regola a cui continuo a credere: non si deve dare scandalo. Mi sembrò, e continua a sembrarmi, una risposta criptica, al limite dellambiguità. MR: La conclusione di quello splendido testo, appartenente anchesso al Bobbio più intenso, e drammatico quella che tu chiami ambiguità e che io definirei ambivalenza ha a che fare più che con la sua concezione della Fede con la sua idea di Ragione. Il Bobbio razionalista, neoilluminista, positivista logico, ha unidea limitativa di Ragione. Attribuisce ad essa una sorta di sovranità limitata nellimmenso regno del mistero. Non ho mai avuto la tentazione di sostituire la Dea Ragione al Dio dei credenti. Per me la nostra Ragione non è un lume: è un lumicino. Ma non abbiamo altro per procedere nelle tenebre da cui siamo venuti alle tenebre verso le quali andiamo, scrisse Bobbio in un saggio intitolato Capire prima di giudicare. Appunto, tentare di squarciare quelle tenebre fuori dal raggio breve della nostra flebile Ragione, quello gli sembrava il vero peccato capitale per lintellettuale laico: farsi profeta, guru, illusionista. Sostituire al linguaggio sorvegliato dellanalisi razionale i propri fantasmi interiori o le proprie emozioni, speranza o paura che siano. In questo è il senso della sua lezione , consiste per luomo di cultura il vero dare scandalo. (5 novembre 2009) |